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Autore: Vento di Fata    09/01/2021    2 recensioni
[AU!] [Akuroku, accenni di Zemyx, XemSai, KaiXion, background VanVen]
"Sono tutti quel tipo di bambini che gli insegnanti definiscono “problematici” o “disagiati”, e forse è questo che li ha fatti avvicinare, come un branco di cani randagi che si raduna per difendersi contro il mondo e per leccarsi le ferite dopo ogni battaglia.
Alle volte Roxas, con i vestiti di seconda mano che ha troppa paura di sporcare e la cartella di scuola nuova e un fratello che gli vuole bene che lo aspetta a casa, si sente un pesce fuor d’acqua, sembra sempre che ci sia qualcosa che li divide, una consapevolezza che non riesce a comprendere, qualcosa che non li fa avvicinare. Ma in fondo gli piacciono quella nuova vita e quegli amici, anche se ogni tanto sente Ventus che torna tardi dal secondo lavoro e piange in salotto, quando crede che sia lui che Vanitas stiano dormendo."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Saix, Xion
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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Nota dell’autore: Come sempre, prima di iniziare, questa è la playlist della fanfiction, le canzoni del capitolo vanno da Lit a Be Kind. Menzioni leggere di abusi passati e attacchi di panico, ma per la maggior parte è puro fluff. Lavatevi i denti.
 
I know you're chokin' on your fears
Already told you I'm right here
I will stay by your side every night


I don't know why you hide from the one
And close your eyes to the one
Mess up and lie to the one that you love
When you know you can cry to the one
Always confide in the one
You can be kind to the one that you love

- Be Kind, Halsey

Prima di cominciare, una piccola dedica.
Questo capitolo è dedicato alla mia Axel, che ha creduto in me
e in Spirals prima che lo facessi io.
Il tuo Roxas
 
I know you're built to love, but broken now, so just try, yeah
 
«Cosa ci fai qui, Lea?»
Roxas non lo guarda, tiene lo sguardo fisso verso il tramonto perché sa che se si girasse il suo cuore potrebbe esplodere. Sente Lea vicino a lui prendere un respiro, e il rumore della carta del ghiacciolo che viene strappata.
«Volevo rivedere il tramonto.» dice semplicemente. Il tramonto. Il fottuto tramonto.
«Il tramonto, eh?» commenta Roxas, le parole come veleno sulla sua lingua. «Non gli amici che hai abbandonato per sette anni. Il tramonto di Twilight-fottuta-Town.» lo stecco del ghiacciolo si spezza definitivamente e lo osserva mentre cade, gli occhi che bruciano e un dolore immenso che si fa strada nel suo petto. «Sei un gran bel pezzo di merda a dirmi in faccia una cosa del genere.»
Lea soffoca una risata amara. «Hai tutte le ragioni per dirmelo.» risponde, dando un morso al ghiacciolo. «Cosa dovrei dire, secondo te?»
Stavolta è la rabbia ad avere la meglio e Roxas si gira verso Lea, stringendo i pugni per la furia. «Non ne ho idea, forse “scusa per avervi mollati come degli stronzi per poi tornare e fare finta di nulla”?» le parole fanno fatica a superare il nodo che sente in gola ed escono con molta meno cattiveria di quanto in realtà volesse. «Ci sono milioni di cose che potresti dire in questo momento, e non ne stai dicendo nemmeno una giusta.»
Lea volta lo sguardo verso di lui a sua volta, e quegli occhi sono così dolorosamente verdi e identici a quelli che ricorda che Roxas vorrebbe mettersi a urlare. Il suo viso non è cambiato quasi per niente, a parte una piccola cicatrice sul labbro e i capelli più corti. «Non vi ho abbandonati, Roxas. Ero in galera.» le parole sono dure e controllate, ognuna una lama rovente che affonda di più nel cuore di Roxas.
«Ma poi sei uscito» riesce a dire; «e per un anno non ci hai nemmeno fatto sapere che eri vivo, e quel pezzo di merda grande quanto te di tuo fratello non ci ha detto niente perché tu non volevi che sapessimo più nulla di te.» il nodo in gola si scioglie, così come il bruciore agli occhi che diventa una cascata di lacrime. Abbassa lo sguardo e le osserva cadere sulla gonna, la stoffa azzurra che si scurisce sotto le piccole gocce. Ci sono mille cose che vorrebbe dirgli in quel momento, così tante parole di odio, rabbia e tristezza che vorrebbe rovesciargli addosso come un fiume in piena, per fargli capire quanto ha sofferto, quanto ha sentito la sua mancanza, quanto dolore gli provochi averlo lì in quel momento ma imporsi di essere arrabbiato con lui. «Immagino ti importasse veramente poco di noi.» sussurra Roxas, infine, stringendo l’orlo della manica del maglione nel pugno per portarla al viso e asciugarsi le lacrime.
«Roxas...» inizia Lea, ma si zittisce quasi subito. Con la coda dell’occhio Roxas vede che sta dondolando nervosamente una gamba, come se non sapesse cosa dire o come dirlo, e nella parte più egoista e cattiva del suo cuore è contento che sia così a disagio. Se lo merita. «Non sono venuto qui per fare finta che tutto sia come prima.»
«Lo spero bene» risponde Roxas a voce bassa, senza voltarsi a guardarlo.
«So di avervi fatto stare tutti male... specialmente tu. E non meriterei nient’altro che di bruciare come un fiammifero per quanto vi ho fatto soffrire...» Lea si ferma di nuovo, come se stesse raccogliendo i suoi pensieri e stesse cercando le parole giuste. «non volevo che mi vedeste diversamente da prima. Ho pensato che... che forse sarebbe stato meglio sparire e lasciarvi solo i bei ricordi. E quando leggevo di come le vostre vite andavano avanti e stavate trovando la vostra felicità, io-»
«Hai letto le mie lettere.» lo interrompe Roxas. Non crede alle sue orecchie. «Hai letto le mie lettere.»
«Rox-»
«Hai letto le lettere. Hai letto le mie cazzo di lettere!» urla Roxas, scattando in piedi e allontanandosi di un passo dal muro e da Lea, «Hai letto le mie lettere, e non hai pensato nemmeno per un secondo che... dannato bastardo!»
Non ci pensa due volte.
Afferra Lea per il davanti della giacca costringendolo a girarsi e gli tira un pugno in pieno viso. Lea non reagisce tranne che per un sussulto sorpreso, e ciò fa infuriare ancora di più Roxas, perché probabilmente il pugno ha fatto più male a lui che a Lea, e perché vorrebbe vederlo dolorante come il suo cuore, vorrebbe che quel pugno avesse aiutato sé stesso a sentirsi meglio.
Ma colpirlo non lo fa sentire meglio. E colpirlo di nuovo probabilmente non lo farà. Se continuasse si farebbe solo male.
«Devo essere proprio scemo.» sussurra Roxas, lasciando la giacca di Lea e allontanandosi di qualche passo. Alza lo sguardo verso di lui e lo vede che porta una mano al viso, toccandosi lo zigomo che già si sta arrossando, come se non comprendesse bene ciò che è successo, e quella vista ricorda a Roxas di quando gli aveva fratturato il naso con una testata a quattordici anni, il giorno che... scuote la testa frustrato, stringendo i pugni con abbastanza forza da sentire le unghie minacciare di rompere la pelle. Quasi sente la voce di Aerith nel suo cervello ricordargli che il dolore non è un buon modo per rimanere presenti, Roxas, concentrati su ciò che ti circonda e che puoi sentire e istintivamente allenta la tensione nelle mani e lascia cadere le spalle.
Lea non si è mosso da dove si trova, guarda Roxas come se lo vedesse per la prima volta, e per dei lunghi agonizzanti minuti il vento è l’unica cosa che riempie il silenzio. Roxas vorrebbe andarsene, tornare a casa e piangere da solo nella privacy della sua stanza, ma non riesce a muoversi né a staccare gli occhi da Lea.
«Il giorno del tuo compleanno... quando stavamo tornando in treno,» dice infine Lea, la voce che trema come se fosse sull’orlo delle lacrime, anche se nei suoi occhi non ce ne sono. «Mi hai chiesto- mi hai chiesto perché non lo dicevamo a nessuno.»
Di nuovo quel nodo alla gola. «Non ricordo... e non c’entra nulla.» riesce a dire Roxas.
«Era tardi, tu ti stavi addormentando e ti avevo svegliato perché dovevamo scendere. Non...» Lea abbassa lo sguardo e porta di nuovo una mano al viso, come a coprirselo. «Non ero sicuro che te lo ricordassi. Ma io...» è in quel momento che la sua voce si spezza in quello che è senza dubbio un singhiozzo, e nella luce del tramonto Roxas vede una lacrima scendere lungo il viso di Lea. «È per questo che non l’avevo detto. Perché stavo- ci stavo affogando in tutta quella merda, Roxas, e sapevo che non sarebbe durato per sempre, ma sono stato egoista e volevo che-» alla prima lacrima ne seguono altre che scivolano sul suo volto, scintillanti alla luce e cadono sul terreno tra di loro. «volevo tenere quelle cose per me, perché ci tenevo così tanto, e tu eri solo un ragazzino e non volevo trascinarti giù con me. E io- io non respiro quando penso che ti ho abbandonato, e mi dispiace di averti fatto soffrire- di aver fatto soffrire tutti voi.» Lea abbassa la testa come sconfitto, il ghiacciolo completamente dimenticato che si scioglie nel suo pugno.
Roxas resta immobile, ammutolito da quelle parole e dal pianto di Lea. Non lo ha mai visto piangere in tutti quegli anni, e la vista gli è così strana e aliena che fatica a capacitarsene.
Forse è abbastanza. Forse quelle scuse sono abbastanza, quel pianto e quel rimorso che incurva la schiena di Lea al punto da farlo sembrare un bambino spaventato.
«Non è solo a me che dovresti fare questo discorso.» si sforza di dire.
«Lo so e... lo farò. Volevo che tu fossi il primo, perché so che più di tutti ho ferito te.» altre lacrime rigano il volto di Lea, ma questa volta se le asciuga con il dorso della mano. «Non potrò mai perdonarmelo, Roxas, ma credimi quando ti dico che mi dispiace, e che l’unico motivo per cui non sono tornato è stato perché sapevo di non meritare di rivedervi, non perché non mi importava. Forse non lo merito ancora.»
«Ti avremmo perdonato qualsiasi cosa, Lea.» dice Roxas, sentendosi di nuovo pericolosamente vicino alle lacrime. La luce del sole sta iniziando a sparire per lasciare il posto alla notte, come la rabbia che lentamente sente abbandonarlo, sostituita da qualcosa di molto simile alla tristezza. «Nessuno di noi ti avrebbe mai odiato, e io...» una stretta tremenda gli afferra la gola, strozzandogli le parole prima che possa dirle. Fa un passo verso Lea, le mani che tremano per la voglia di avvicinarsi di nuovo, di toccarlo, di dargli un altro pugno forse, o abbracciarlo. «Io ti voglio bene, Lea.» riesce solo a dire, anche se vorrebbe dire mille altre cose, milioni, ma non riesce a farsi uscire nient’altro. Una persona più forte se ne sarebbe già andata e avrebbe detto a Lea che non lo avrebbe mai perdonato, ma Roxas non riesce a farlo.
Lea gli fa un sorriso pieno di tristezza. «Anche io te ne voglio, Rox. Fin troppo per quanto sia sano per entrambi, temo.»
È in quel momento che qualsiasi cosa tenesse ancora in piedi Roxas cede. Le lacrime vengono prima che riesca a fermarle, può solo fare un passo tremante verso Lea prima che gli cedano le gambe, e Lea lo afferra prima che possa cadere a terra, stringendogli le braccia intorno al torace e rialzandolo in piedi, una mano che va ad affondare nei suoi capelli e l’altra che gli stringe il fianco. Roxas singhiozza ancora più forte a quell’abbraccio così famigliare, che è come tornare a casa dopo tanto tempo.
«Stronzo, stronzo, pezzo di merda...» lo insulta tra i singulti, la fronte poggiata contro il suo petto e le braccia strette intorno a lui, e Lea lo lascia parlare, ascolta ogni suo insulto con gli occhi pieni di lacrime, ma non lo lascia andare, e Roxas non vuole che lo faccia.
Il sole è calato del tutto, lasciando solo la luce dei lampioni a illuminarli, quando Roxas lentamente smette di singhiozzare e si zittisce piano piano, lasciando che le ultime lacrime vadano a bagnare la maglietta di Lea, che non si è mosso di un millimetro. Roxas prende un respiro e volta la testa in modo da avere la guancia premuta sul suo cuore, sentendolo battere all’impazzata come il suo in quel momento. «Non ti ho perdonato» sussurra.
«Non mi aspetto che tu lo faccia.» risponde Lea contro i suoi capelli.
«E non so se lo faranno gli altri.»
«Non mi aspetto nemmeno questo.»
«Smettila di essere così zerbino o ti tiro un altro pugno.» lo minaccia Roxas senza cattiveria. «Dicevo... non ti ho perdonato. Ma immagino di poterti dare una possibilità... per vedere se davvero hai messo la testa a posto.»
Sente Lea sbuffare una risata. «Sei sempre stato troppo buono, biondo.» dice, carezzandolo come se fosse un uccellino ferito. «Vorrei solo che facessi una cosa per me.»
Roxas annuisce. «Finché non è di buttarmi dalla torre dell’orologio...»
«Idiota.» lo lascia andare e fa un piccolo passo indietro, guardandolo. «Vorrei... che non mi chiamassi più Lea.» quello non se lo aspettava. Roxas piega la testa come un cucciolo confuso, guardandolo interrogativo. «È un nome idiota, e paparino caro amava ripetermi che un nome da femmina era appropriato per una checca come me. Quindi preferirei... che mi chiamassi Axel, se puoi.»
«...credo di capire.» Roxas pensa a Ventus, che ha preso il cognome di Vanitas da anni perché non sopporta di essere legato ai loro genitori. «Axel...» ripete poi, lasciandosi scivolare il nome sulla lingua, come se stesse tastando come suona. «Mi piace. Ti sta bene.»
«Grazie, l’ho scelto tutto da solo.» il sorriso che gli fa è soddisfatto, come se non aspettasse altro che un’occasione per fare quella battuta, ma dura solo qualche secondo prima che Axel torni serio, e Roxas si ricorda in quel momento che dovrebbe essere ancora infuriato con lui, nonostante sia così facile ricadere nel loro botta e risposta da dimenticarsi che sono passati sette anni. A disagio Roxas si dondola sui talloni, improvvisamente senza parole.
«Dovrei andare a casa» dice infine. «Ven e Vanitas mi staranno aspettando per cena.»
Axel fa un cenno con la testa e si infila in tasca lo stecco e l’incarto del ghiacciolo. «Anche io devo andare a prendere il treno. Domani lavoro e vorrei arrivare a casa in un orario decente.»
Casa... «dove abiti adesso?» chiede Roxas, iniziando a camminare nella direzione della stazione, sentendo subito i passi di Axel seguirlo.
«In quel buco di Traverse Town» risponde lui, le mani in tasca; «è l’unico posto dove l’affitto è abbastanza basso da vivere decentemente quando sei fuori di galera da un anno e non sai fare niente che non sia disegnare, e ho lì un amico che mi ha dato una mano a sistemarmi.»
Roxas annuisce a quelle parole, cercando di non pensare a cosa è successo a Traverse Town. Insieme camminano in silenzio fino alla stazione, dove quando arriva il momento di salutarsi Roxas si ritrova con la gola secca, senza sapere cosa dire. Improvvisamente si rende conto che ha paura che una volta salutato, Axel sparisca di nuovo, e che è l’ultima cosa che vuole. «Ascolta...» inizia, fissandosi testardamente la punta delle scarpe. «Tu quando non lavori?»
«Mh... il venerdì di solito è il mio giorno libero. Come mai?» risponde Axel, che sembra a disagio quanto lui.
«Io il venerdì non ho lezioni all’università e ho il pomeriggio libero perché vado da Aerith» dice Roxas, sperando che colga l’allusione e di non doversi spiegare.
«Buono a sapersi» il sorriso leggero che gli fa è una buona conferma. «Stammi bene, biondo.» lo attira di nuovo in un abbraccio esitante, quasi timido, e Roxas trema prima di riuscire ad alzare le braccia e stringere tra le mani la giacca di Axel. Quello che sente sussurrato dopo è così fievole che pensa di esserselo immaginato.
Mi sei mancato.
 
È strano ricominciare a conoscersi.
Lea – no, Axel, continua a ricordarsi Roxas – è cambiato tanto quanto lui in questi sette anni. È sempre altissimo e magro come uno stecco, i suoi occhi sono sempre stupidamente verdi e i suoi capelli anche se più corti sono ancora tinti di rosso, ma è molto diverso da come si erano lasciati. È più serio, più raccolto, sembra scegliere sempre le parole con cura e pensarci su dieci volte prima di dirle, i suoi sorrisi sono sempre più incerti che altro, e si muove come se non volesse occupare troppo spazio, come se non fosse ancora sicuro di poter stare lì.
Il venerdì, quando Roxas scende dal treno dopo essere andato da Aerith, Axel lo aspetta fuori dalla stazione di Twilight Town, sempre con due ghiaccioli al sale marino in una mano e una sigaretta spenta nell’altra, e insieme camminano fino allo spiazzo illuminato dal tramonto e passano le ore che mancano al buio a parlare. Roxas gli racconta dei suoi studi, del lavoretto che ha trovato in biblioteca, del suo gatto che Ventus aveva iniziato a chiamare Catitas per dar fastidio a Vanitas ma che ora risponde solo a quel nome; e Axel gli parla dell’odioso pappagallo del suo vicino e dei tipi di ubriachi che incontra al lavoro, dei tatuaggi che si vuole fare e della sua disperata ricerca di un negozio di belle arti che non gli chieda l’anima per dei pastelli.
Axel, cresciuto e adulto, entra a fare parte della sua routine con la stessa facilità con cui il Lea ragazzino ne era uscito, e Roxas fatica sempre di più a ricordarsi che dovrebbe essere arrabbiato con lui. Quei pomeriggi al tramonto sembrano riempire un vuoto che nemmeno lui sapeva di avere, e che forse aveva solo aspettato che Axel tornasse per farsi di nuovo sentire.
Entrambi continuano a evitare l’elefante nella stanza, all’inizio, ma non ci vuole molto prima che la linea venga superata.
«Com’era la prigione?» sbotta una sera Roxas prima di riuscire a trattenersi. Stanno finendo i loro ghiaccioli e Axel ha appena finito di raccontargli di quando ha indossato un vestito per andare al lavoro e quasi si è preso un pugno, quando Roxas sputa la domanda, quasi di fretta, prima di potersene pentire. Guarda Axel bloccarsi sul posto, spiazzato, prima che si lasci sfuggire un sospiro e le sue spalle sembrano incurvarsi ancora di più quando lo fa.
«Siamo arrivati a quel punto eh?» dice con un piccolo sorriso amaro. «Non c’è molto da dire, Rox... era uno schifo. Cento uomini sudati e incazzati cacciati in trenta celle per venti ore al giorno, ma se non altro non sono capitato con un pedofilo o un assassino di bambini.» da un ultimo morso al suo ghiacciolo e getta via lo stecco, osservandolo mentre sparisce giù dalla scarpata, «Il mio compagno di cella era una drag queen finito dentro per una rissa in cui era scappato un morto.»
«Mi prendi in giro.»
«Assolutamente no!» il sorriso da leggero che era si allarga di più sul viso di Axel, come se stesse ricordando qualcosa di divertente. «Da quel che mi ha raccontato, degli idioti stavano importunando la sua ragazza e le sue amiche, quindi insieme ai suoi colleghi li hanno presi e gli hanno fatto sentire ogni singola punta di tutti i loro tacchi a spillo su per il culo.»
Roxas si lascia sfuggire un sorriso, prendendo un morso dal ghiacciolo. «Sembra simpatico.»
«Oh lo è, se solo non fosse così dannatamente primadonna.» Axel si passa una mano tra i capelli, che quella sera sono sciolti invece che raccolti in una coda, e nella luce morente del tramonto sono illuminati come un incendio. Roxas si trova a fissarli quasi senza rendersene conto, il ghiacciolo che gli si scioglie lentamente contro le labbra senza morderlo, e non si accorge che il diretto interessato ha smesso di parlare e si è accorto di essere fissato. Axel guarda i suoi occhioni blu assorti, il viso che è ancora leggermente arrotondato dall’adolescenza, lo spruzzo di lentiggini sul nasino e le labbra che è sicuro non siano lucide solo per il ghiacciolo che sta mangiando, e dannazione, quando è diventato ancora più bello? Axel vorrebbe allungare una mano a toccargli il viso, sentire se ancora è morbido come ricorda, se ancora arrossisce sugli zigomi e sul naso e se i suoi capelli ancora profumano di mela, ma sa bene che questo vorrebbe dire aprire tutta un’altra faccenda che non crede di avere la forza di affrontare. Sospira e quello sembra scuotere anche Roxas, che batte le palpebre un paio di volte e morde di nuovo il ghiacciolo per raffreddare il fuoco che sente accendersi sulle sue guance. «Diciamo anche che devo a quella primadonna di Marluxia di avermi fatto mettere la testa a posto.»
«Ah sì? Deve avere il favore di qualche dio allora.» commenta Roxas.
Axel fa un cenno con la testa. «Anche se già finire al fresco mi aveva fatto realizzare di non aver fatto le migliori scelte, alcune cose che ha detto mi hanno fatto veramente riflettere su tutto. Prima mi sembrava di avere tutto il tempo del mondo, di essere invincibile e che sarebbe durato tutto per sempre, ma poi ho capito che era solo una stronzata, e che quelle scelte mi stavano facendo scavare una fossa da cui avrei rischiato di non uscire.» Axel volta il viso verso la luce morente del sole. «Mi ha fatto realizzare... che non mi aspettavo di arrivare vivo a questa età.»
Quella frase spiazza Roxas più di tutto. Tra di loro Lea era quello che più si era voluto spingere verso la vita, che desiderava qualcosa di più e che aveva il coraggio di cercare quel qualcosa e dirlo ad alta voce, correndovi incontro a discapito dei lividi e delle sbucciature. Come può una persona così non aspettarsi di sopravvivere? «Come- perché?» chiede, la gola improvvisamente secca. Quel pensiero gli è così famigliare che può sentirne il peso sul cuore.
«Perché per quanto mi rifiutassi di ammetterlo, sapevo che non ero buono a fare niente. Ero un idiota che credeva di essere intoccabile e di potere fare quello che voleva, ed ero troppo cieco per vedere quanto mi stessi bruciando e che avrei finito per incenerire anche chi mi stava intorno.» Axel scuote la testa e si lascia sfuggire un sorriso triste. «Scusa, Rox. So che l’hai avuta molto peggio di me. Non dovrei buttarti tutto questo addosso.»
«Non dirlo nemmeno per scherzo» lo ferma Roxas, allungando una mano a toccargli il braccio. «Hai sofferto quanto e più di noi, hai tutto il diritto di volere parlare.» gli fa una carezza sull’avambraccio, sfiorando con le dita il contorno della freccia infuocata che si era tatuato anni prima. «E io ci sarò sempre per ascoltarti.»
Il sorriso amaro di Axel diventa più dolce, e stringe la mano di Roxas nella sua. «Grazie Rox.» dice sottovoce, e Roxas gli risponde solo con un sorriso che brilla come una stella al punto che Axel si chiede come ha fatto a restare senza vedere quel sorriso per così tanto tempo.
 
Xion è la prima a parlare con Axel.
Accade più per caso che per effettiva volontà. Roxas non aveva tirato più fuori l’argomento, pensando che una volta che fosse stato pronto Axel lo avrebbe fatto da solo, ma la chiamata di Xion prende entrambi alla sprovvista. Mentre insieme aspettano il treno di Axel per Traverse Town, il telefono di Roxas inizia a vibrare insistentemente contro la sua gamba, e quando lo alza e risponde, Xion nemmeno lo saluta: «Fammi parlare con quel pezzo di merda.» ordina, la voce dura e furibonda.
«Xion...» prova a placarla Roxas.
«Passami quel rottinculo maledetto prima che dia fuoco a tutto ciò che ami, Roxas.» Roxas deglutisce rumorosamente e volta lo sguardo verso Axel, che è sbiancato al punto da essere quasi trasparente. Toglie il telefono dall’orecchio e glielo porge.
«È per te.»
Anche se distante di qualche passo, Roxas sente ogni singolo insulto che Xion grida dall’altra parte della linea, ricoprendo Axel di improperi e bestemmie, chiedendogli come diavolo si fosse permesso di sparire in quel modo, credevano tutti che li avesse abbandonati, perché veniva a sapere da Isa che era andato da Roxas ma non aveva pensato di farsi sentire dagli altri? Axel rimane immobile durante quella cascata di insulti che dura quasi dieci minuti, rispondendo solo con dei piccoli “mhm” e “lo so”, aspettando che la furia si calmi. Quando la voce di Xion si spegne, Axel tiene lo sguardo sulle scarpe e la mano gli trema.
«Mi... mi dispiace Xi.» dice sommessamente. «Ti prometto che ti spiegherò tutto... lo so che non ti fidi, ma te lo giuro. Sì, parlerò anche con gli altri... come sta Naminè? Me la ricordo come uno scricciolino... puoi dirle che la saluto? Sì, lo so, vaffanculo. Ti voglio bene, Xi. Sì, mi dispiace. Ci sentiamo presto.» Axel chiude la chiamata con le mani che tremano, e porge di nuovo il cellulare a Roxas. Ha gli occhi lucidi e il labbro inferiore che trema. «Beh... è andata bene credo.» dice a bassa voce. Roxas fa un cenno con la testa e gli stringe la mano per rassicurarlo, carezzandogli le nocche con il pollice.
«È arrabbiata come lo ero io. Dalle del tempo e vedrai che andrà meglio, le sei mancato tanto.» gli dice. «Adesso credo sarà ora di fare il giro di telefonate a tutta la banda, però.»
«Immagino di sì.» con un rumore di ferraglia, il treno per Traverse Town rallenta fino a fermarsi sul binario. «Mi mandi tu i numeri degli altri?»
Roxas annuisce, lasciando la mano di Axel e lisciandosi una piega invisibile sulla felpa. «Ci vediamo.» dice. Axel gli fa un cenno della testa e sale sul treno.
Dopo Xion a chiamare è Demyx, probabilmente avvisato da Xion o da Isa. È ancora più furibondo di lei, se possibile, e minaccia Axel di morte più volte prima di scoppiare in un pianto disperato. Lo insulta per minuti interi tra le lacrime, con la voce di Zexion in sottofondo che cerca di calmarlo. Fa promettere ad Axel di incontrarsi il prima possibile, rovesciandogli addosso altri improperi, e di prendersi tutti i cazzotti che merita. Zexion approfitta per prendere la parola, e dire ad Axel che solo per aver fatto piangere il suo ragazzo ha tutto il suo disprezzo. Con Ienzo non va molto meglio, è più calmo e si dice contento di sapere che sta bene, ma sotto la sua calma c’è una delusione mal celata, che fa più male di cento pugni.
Li ha delusi, è questa la verità.
Roxas è lì con lui quando Axel chiude la chiamata, pericolosamente vicino alle lacrime, e non può fare altro che abbracciarlo, e se lo sente piangere, lo tiene per sé.
 
Roxas non desidera altro che andare a casa e dormire fino al mese successivo quando esce dall’università. Sbadiglia platealmente e si incammina verso casa, quando un clacson fin troppo vicino lo fa sobbalzare.
«Vieni perdente, andiamo a fare shopping!» gli grida la voce di Axel, e Roxas sbuffa mentre si gira, perché solo Axel può citare Mean Girls e credere di essere divertente. Lo stupisce però vedere che Axel è alla guida di quello che un tempo sarebbe stato un pickup, e che sembra avere visto ere geologiche migliori.
«Da quando guidi?» chiede Roxas avvicinandosi. Axel risponde solo con un sorriso sornione e aprendo la portiera del passeggero.
«Da quando sono riuscito ad accaparrarmi questo gioiellino con il mio stipendio schifoso, e siccome ne vado particolarmente fiero ho voluto venire a vantarmene con te» risponde mentre Roxas sale e si toglie lo zaino dalle spalle. Roxas si gira a guardarlo con un sopracciglio alzato, ben consapevole che c’è qualcosa sotto. «Ok ok, siccome ho finalmente un mezzo mio Xion e Naminé mi hanno invitato ad andare a trovarle e ho bisogno di qualcuno che mi faccia da scudo umano nel caso Xi decida di spararmi.»
«E io che pensavo volessi essere gentile.»
«Zitto biondo, io sono un amore.»
Roxas ride e scrive a Ventus di essere fuori con dei compagni di università e che farà tardi – negli ultimi tre mesi ha accuratamente evitato di lasciarsi sfuggire qualcosa sul fatto che Axel sia tornato, l’ultima cosa che vuole è un nuovo litigio – prima di piegarsi e abbassare la zip degli stivaletti, sfilandoli e incrociando le gambe. «Gita in macchina, yay!» esclama con fin troppa eccitazione, sorridendo ad Axel, che gli sorride di rimando prima di premere il piede sull’acceleratore.
Per arrivare a Land of Departure ci vuole almeno un’ora e mezza, che Roxas passa cercando e fallendo di rileggere gli appunti di storia medievale mentre Axel canta il più sguaiatamente possibile apposta per distrarlo, finendo col coinvolgerlo in un appassionato karaoke di una serie di canzoni dei Tokio Hotel. Quando Axel prende una nota particolarmente acuta mentre canta Darkside of The Sun Roxas inizia a ridere sguaiatamente, guadagnandosi un pugno sul braccio prima di unirsi nella maniera più stonata possibile. Roxas lo guarda e vede il sorriso di Axel che gli evidenzia le fossette sulle guance e il sole che illumina d’oro il suo volto, e il suo cuore salta un battito. Le loro urla sfumano nelle risate, che vengono trasportate lontano dal vento lungo la strada.
Quando arrivano però, l’allegria lentamente scompare, e quando parcheggiano non lontano da dove Axel e Xion si erano dati appuntamento, Axel è un fascio di nervi. Roxas lo guarda sistemarsi nervosamente la giacca, prendere il cellulare e scrivere un messaggio – probabilmente a Xion, prima di prendere un respiro profondo per calmarsi. «Andrà bene» prova a rassicurarlo Roxas. «se ti ha invitato vuole dire che non ti odia.»
«Oppure che vuole uccidermi.»
Scendono insieme e si incamminano – si sono dati appuntamento in un parco, in un luogo abbastanza tranquillo per poter parlare. Axel continua a essere nervoso, giocando continuamente con le chiavi del pickup per distrarsi, e anche Roxas inizia a sentire qualcosa di simile all’ansia montargli dentro.
Xion e Naminé sono già lì, sedute insieme su una panchina, Naminé chinata sul suo album da disegno e Xion che legge un libro. Sembrano identiche ma allo stesso tempo completamente diverse da come le ricorda Axel, e quasi gli viene da voltarsi e chiedere a Roxas se sono davvero loro; ma non ha bisogno di farlo perché nel momento in cui si avvicinano Xion alza la testa di scatto, fissandolo con gli stessi occhi blu di sempre, ma che si riempiono subito di rabbia. Si alza e marcia verso di loro, lasciando Naminé che alza lo sguardo e resta a guardare dal suo posto.
«Tu» inizia Xion, piantandosi di fronte ad Axel e puntandogli un dito contro il petto; «sei un pezzo di merda egoista e stronzo. E tu» aggiunge rivolgendosi improvvisamente a Roxas «sei doppiamente un pezzo di merda perché non hai pensato nemmeno per un secondo che volessimo sapere che questo stronzo schifoso era vivo.»
«Xi, lascia Roxas fuori da-»
«Tappati quella fogna o te la cucio, bastardo.» Xion zittisce Axel con uno sguardo che potrebbe polverizzare una montagna. Roxas guarda prima lui, poi Xion, e infine fa qualche passo indietro, andando a sedersi vicino a Naminé per lasciarli soli, anche se continua a tenerli d’occhio per evitare che ci siano omicidi.
Naminé alza lo sguardo dal suo blocco e gli sorride timidamente. «Ciao Roxas» lo saluta, la voce quieta e bassa, come un soffio di vento.
«Ciao Nami» Roxas si sforza di sorriderle, «sei cresciuta tanto dall’ultima volta, eh?»
Naminé annuisce, la matita che picchietta contro il foglio. «Come l’hanno presa gli altri?» chiede.
Mentre Roxas inizia a raccontarle delle chiamate e di ciò che è successo, Axel gli lancia un’occhiata da sopra la testa di Xion, l’agitazione che gli attanaglia le viscere come un cane furioso. «Ascolta, Xi...» inizia, continuando a rigirarsi le chiavi tra le dita, pensando che forse farebbe meglio a voltarsi e correre via. «non sono qui per implorare il tuo perdono.»
«Lo spero bene, Lea, perché non te ne meriteresti nemmeno un briciolo.» considera lei, altrettanto agitata per la rabbia e il nervoso, e il suo vecchio nome gli fa male come una coltellata. Axel annuisce, abbassando la testa.
«So di aver ferito te e tutti gli altri, vi ho abbandonati senza spiegazione e so che vi ho fatto del male facendolo, nonostante credessi fosse la cosa migliore per tutti...» Axel si ferma, prende un respiro, imponendosi di calmarsi. «Roxas mi ha raccontato di quanto tu sia felice qui, con la tua famiglia, di come tutti siete felici e state vivendo la vostra vita, e io... io ho pensato che non avrei dovuto fare parte di quel quadro dopo sei anni di assenza.»
Xion non risponde, lo guarda soltanto, le braccia ora incrociate. Ha i capelli più lunghi adesso, una ciocca le ricade sul naso e se la sposta con un gesto nervoso, ma così simile a quello che Axel ricorda di lei che si sente quasi più tranquillo. «Non è tuo diritto scegliere se noi vogliamo averti nella nostra vita o no.» dice Xion infine. «E so che tu pensavi di star facendo la cosa migliore, ma ci hai ferito tutti invece.»
«Lo so, e non potrò mai fare nulla che sia abbastanza per farmi perdonare.»
«Puoi esserci, invece.» quella risposta sorprende Axel, ma Xion sembra mortalmente seria. «Puoi esserci di nuovo per noi e starci di nuovo vicino. Ci sei mancato, Axel.»
Sentire il suo nome fa spezzare qualcosa nella tensione che teneva Axel dritto come un fuso. Si passa una mano tra i capelli e scaccia la voglia di piangere, cercano di tirare fuori invece un sorriso. «Roxas te lo ha detto, eh?»
Xion annuisce. «Me lo ha scritto appena dopo la prima chiamata. E hai ragione, Lea era proprio un nome di merda. Axel ti sta meglio.»
«Grazie, Xi.» Axel le sorride di nuovo, stavolta sinceramente. Senza pensarci alza una mano per arruffarle i capelli, come hanno sempre fatto, e il fatto che Xion lo lasci fare lo fa sentire infinitamente meglio. «Tu e Nami mi siete mancate.»
Xion non risponde, ma gli prende il polso e si gira, tirandolo con sé mentre raggiungono Roxas e Naminé. «Ti restituisco il rosso, Rox» annuncia, «visto che non l’ho ucciso?»
Sembra tutto incastrarsi perfettamente, dopo quello. Axel e Xion superano il resto dell’iniziale tensione dopo mezz’ora, quando Axel fa una battuta sui roditori che fa ridere Xion al punto da cadere dalla panchina. È come essere tornati a essere ragazzini, Naminé parla della scuola e mostra loro i suoi disegni, Xion racconta del suo lavoro e delle loro madri adottive, Yuffie e Tifa, che hanno indirettamente adottato anche l’intero gruppo ogni volta che qualcuno veniva a trovarle, e Axel mostra loro il tatuaggio che si è fatto sul polso appena uscito di prigione e le racconta del suo compagno di cella con cui lavora adesso. Roxas li guarda parlare, giocherellando con un braccialetto per tenersi impegnato, un sorriso sulle labbra mentre sente Xion ridere insieme ad Axel.
È tutto così giusto, in quel momento, che non sembra passato nemmeno un mese da quando erano una banda di ragazzini pieni di lividi con più sogni che altro, e Roxas sente il cuore esplodergli nel petto per quanto tutto questo gli è mancato. Axel incontra i suoi occhi e accenna un piccolo sorriso, poggiandogli discretamente una mano sul ginocchio e stringendo quel tanto che basta da far capire a Roxas che anche lui sta sentendo quelle cose. Xion nota quel gesto e lancia uno sguardo a entrambi, senza smettere di raccontare una storia sulla sua amica Kairi e degli amici di lei che a quanto pare hanno impiegato più tempo di Zexion e Demyx per mettersi insieme.
Il pomeriggio passa tra chiacchere e risate, e quando inizia a farsi sera Xion li porta a vedere la cattedrale di Land of Departure, che anche se chiusa basta la vista dall’esterno a far illuminare gli occhi di Axel come se avesse visto un angelo, e dalla tracolla tira fuori improvvisamente un taccuino e una matita e inizia a disegnare furiosamente, muovendo la matita a velocità quasi inumana sulla carta. Naminé subito fa lo stesso con il suo album, e Roxas si ritrova accanto a Xion a osservarli disegnare con un’espressione confusa sul viso. «Come fanno a disegnare così velocemente?»
«Non ne ho idea, tu come fai a sparare fuori mezzo Signore degli Anelli in dieci minuti quando siamo in chiamata?» rispose Xion, appoggiandosi a un lampione come se fosse abituata a quelle occasioni. Roxas fa un cenno con la testa e guarda Axel disegnare, il viso contratto in una smorfia di concentrazione e un ciuffo di capelli sfuggito alla coda che gli dondola davanti al naso. «Ti sei accorto che ad Axel piaci ancora, vero Roxas?»
Quello prende alla sprovvista Roxas, che si gira a guardare Xion con gli occhi spalancati. «Ma che dici, Xi?» le chiede, sentendo suo malgrado le guance arrossarsi. Non ha più pensato a quell’aspetto del loro rapporto dopo il loro primo incontro tre mesi prima e se Axel ci ha pensato, non se ne è accorto.
«Non so se te ne sei reso conto, Rox, ma ogni volta che apri bocca Axel ti guarda come se avessi appeso la luna e tutte le stelle» spiega Xion con il tono accondiscendente di chi sta spiegando qualcosa a un bambino un po’ lento, «e per quanto mi faccia ancora incazzare il pensiero di quello che ha combinato, si vede che è sincero.»
Roxas non risponde, ma volta di nuovo lo sguardo verso Axel, che proprio in quel momento ferma il suo disegnare e si raddrizza, guardando soddisfatto il disegno sul suo taccuino, e quando si accorge di essere osservato si volta verso Roxas e gli fa un sorriso talmente bello che Roxas sente il cuore saltargli un battito, e Xion accanto a lui sbuffa un esasperato “te lo avevo detto”.
Dire di nuovo “arrivederci” è più difficile del previsto. Roxas guarda Axel salutare sia Xion che Naminé, promettendo di farsi sentire e di venire a trovarle, di andare insieme in spiaggia con tutto il gruppo un giorno, ma ha sentito il senso di colpa mordergli le viscere per ogni parola, la paura che sia una bugia, il dubbio che sia tutto un sogno, ma scaccia quel pensiero in fondo alla sua mente.
Roxas tiene i piedi sul cruscotto. I suoi stivaletti sono sotto il sedile insieme al suo zaino, e le calze blu sono illuminate dalla luce dei lampioni a lato della strada. Axel tiene lo sguardo sulla strada, una mano sul volante e il gomito dell’altro braccio sporge dal finestrino aperto, la giacca di pelle sullo schienale del sedile.
Roxas sbadiglia e si volta a guardare Axel, che sembra esausto quanto lui. «Sei stanco?» gli chiede a bassa voce. Fuori è già buio e la strada è deserta nonostante non siano nemmeno le otto di sera, l’unica luce quella dei lampioni e della luna che sorge e si riflette sul mare che costeggiano.
«Un po’» risponde Axel, gli occhi ancora fissi sulla strada, «ma siamo quasi arrivati a Twilight Town.»
«Se vuoi possiamo fare una pausa. Preferisco fare tardi a cena che finire nell’oceano perché hai avuto un colpo di sonno.»
«Scemo» Axel alza gli occhi al cielo, ma rallenta e accosta, infrangendo con ogni probabilità qualche regola del codice della strada, ma il modo in cui si strofina gli occhi con le nocche tatuate suggerisce che ne abbia più che bisogno.
Si trovano quindi appoggiati alla portiera del passeggero del pickup, il motore ancora acceso che brontola piano, entrambi rivolti verso il mare. Axel si accende una sigaretta e d’istinto dopo aver preso una prima boccata la passa a Roxas, che però gliela restituisce subito. «Sei diventato un bravo ragazzo mentre non c’ero?» chiede Axel scherzando. Roxas gli fa un ghigno divertito e gli tira una gomitata.
«No, idiota, il fumo fa casino con le mie medicine» gli spiega. La luce di un lampione li illumina, e solo il rumore basso del motore e delle onde del mare infrange il silenzio della sera. Una folata di vento freddo fa rabbrividire Roxas, e gli ricorda che stare fuori con le calze e una maglietta a inizio febbraio non è l’idea migliore che abbia mai avuto.
Axel lo nota e si gira di nuovo verso di lui, una mano che va ad abbassare la zip della sua giacca di pelle. «Tieni» gli dice, sfilandosela e appoggiandogliela su una spalla, la sigaretta incastrata all’angolo della bocca. Anche senza volerlo Roxas sente le guance scaldarsi e accetta la giacca, infilandovi le braccia e stringendosela intorno. Il cuoio è caldo per il calore del corpo di Axel, e inspirando piano riesce a sentirne quasi il suo odore, di tabacco e grafite e tinta per capelli. Roxas mormora un ringraziamento e si avvicina un po’ di più ad Axel, le loro spalle che quasi si toccano, e torna a guardare il mare, mentre Axel in tutta tranquillità alza un braccio per appoggiarglielo sulle spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo, ma Roxas non fa nulla per spostarlo. Anzi, piega la testa per appoggiarsi ad Axel, sentendo il suo respiro sfiorargli i capelli.
Roxas alza lo sguardo e per un attimo si perde per l’ennesima volta nel verde delle iridi di Axel, quel verde dietro a cui aveva fantasticato per anni nel privato della sua camera e del suo quaderno, ed erano stati una delle prime cose che aveva amato di Axel-
Roxas si blocca, pietrificato, il cuore che dapprima si blocca e poi inizia a galoppare all’impazzata. Quel pensiero non gli ha mai sfiorato la mente prima, la possibilità di essere innamorato, ma gli sembra subito una verità quasi innegabile. E improvvisamente le lacrime, le pagine e pagine che aveva riempito di pensieri e ricordi, il dolore della separazione acquisiscono un significato nuovo ai suoi occhi, molto più sensato del sentire la mancanza di un amico.
Roxas ama Axel, lo ama da prima che se ne potesse rendere conto, da prima di avere le parole per dare un nome a ciò che provava; forse lo ama dal primo giorno in cui si sono incontrati, quando Roxas non era che un bambino con le ginocchia sbucciate e Axel era un ragazzino pieno di lividi che lo aveva fatto sentire a casa per la prima volta.
Axel continua a guardarlo, battendo ogni tanto le palpebre colorate di ombretto blu, e anche lui sembra pensare a qualcosa. Roxas apre la bocca per parlare, ma la gola gli si stringe in una morsa quando sul volto di Axel si apre un minuscolo sorriso, adornato da un rossore leggero sulle guance, e con l’altra mano sale a toccargli il viso, sfiorandolo appena con la punta delle dita. «Rox...» lo dice sottovoce, come se avesse paura di spezzare quel momento se parlasse troppo forte, e Roxas ci mette qualche secondo a ritrovare la sua voce.
«Si?»
«Posso baciarti?»
Il modo in cui Roxas chiude gli occhi è una risposta sufficiente per Axel, che si china su di lui e lo bacia con una dolcezza infinita, come se non avesse aspettato altro e volesse fare le cose per bene, e a Roxas sembra di impazzire. La mano di Axel che prima toccava la sua spalla sale a stringergli con dolcezza la nuca, affondando tra i capelli biondi e stringendolo a sé, il freddo completamente dimenticato. Stringe le braccia intorno al suo torace e afferra la sua maglietta, sentendo il suo cuore battere veloce come un colibrì quando si volta completamente verso di lui al punto che i loro toraci si toccano. Il respiro di Axel sa di tabacco e le sue labbra di lucidalabbra alla ciliegia, e non sono più i baci da ragazzini che si scambiavano sette anni prima, lo stringe quasi con ansia e si azzarda a sfiorare il labbro inferiore di Roxas con la lingua prima di allontanarsi, e prima che possa accorgersene o vergognarsi un piccolo mugolio lamentoso lascia le labbra di Roxas, sentendo già la sua mancanza.
Axel ride piano, il naso che fiora il suo, e le sue labbra salgono a premergli un bacio sullo zigomo, sulla palpebra e poi sulla fronte, una mano ancora sulla sua nuca e l’altra che scende a sfiorargli un fianco e lo fa rabbrividire. «Non sai da quanto volevo farlo» dice contro la sua fronte, lasciandogli un altro bacio. Roxas si sente avvampare, e la sua stretta sulla maglietta di Axel aumenta.
«Idiota» dice sottovoce, ma un’improvvisa emozione gli fa spezzare la voce, come un vetro che si infrange. Sposta la testa e preme il viso contro l’incavo del collo di Axel, che lo sente respirare tremolante, come fosse sull’orlo delle lacrime. «Non sparire di nuovo,» lo prega Roxas, la voce talmente fievole da essere quasi impercettibile, «giuramelo. Se vuoi che rimanga con te, devi prometterlo.»
«Roxas...»
«Se tu sparissi di nuovo dopo aver ricominciato questa cosa morirei, Axel» continua Roxas, tremante come un uccellino caduto dal nido, improvvisamente fragilissimo tra le sue braccia. «Morirei, lo capisci?»
Axel all’inizio non risponde, continua a stringerlo come se avesse paura che fuori dalle sue braccia Roxas si sarebbe spezzato. «Te lo prometto, Rox» sussurra contro i suoi capelli, baciandogli la testa e la punta dell’orecchio, il cuore che batte forte contro quello di Roxas. Gli prende il viso tra le mani, i pollici che sfiorano la pelle umida di lacrime sotto i suoi occhioni blu, e si avvicina per baciarlo di nuovo, tenendolo come fosse la cosa più preziosa del mondo.
«Ti amo, lo sai vero?» sospira contro le sue labbra, e il modo in cui Roxas lo bacia tanto basta come risposta.
 
Il treno si ferma con uno stridio di ferraglia, che risuona nelle orecchie di Roxas nonostante abbia le cuffie e la musica al massimo. Si mette lo zaino sulla spalla e scende di corsa, cercando di arrivare il più in fretta possibile al coperto per proteggersi dalla pioggia battente.
Oltre a fare schifo, Traverse Town è pure sommersa da un temporale, e proprio il giorno in cui si è vestito bene.
Roxas sbuffa e si infila velocemente nella stazione, tirando fuori il telefono per chiamare Axel. «Sono arrivato, dove diamine sei?» chiede non appena risponde, dondolandosi sui tacchi degli stivali. Sta approfittando del fatto che stia iniziando a fare più caldo per ricominciare a mettere le gonne che gli piacciono, come quella scozzese bianca e nera che indossa in quel momento, o almeno è ciò che si ripete, rifiutando categoricamente l’idea di aver pensato al modo in cui Axel lo guardava ogni volta che ne indossava una. Ma ovviamente il meteo doveva cospirare contro di lui.
«Sto staccando adesso Rox, resta in stazione- dì ancora una cosa del genere mentre sono al telefono con Roxas e ti tingo di verde, Marly, giuro che lo faccio» risponde Axel, rivolgendosi a metà frase verso qualcuno dalla sua parte. Roxas sente una risposta indistinta a cui Axel replica con un insulto, e sorride divertito quando un’ulteriore voce interviene e chiede se intendono andare a lavorare o devono ancora stare a battibeccare come vecchie pettegole. «Scusami, qui c’è gente che non ha imparato la sacra arte dello stare zitti.»
«Ho notato. Allora, mi vieni a prendere o mi lasci a prendere acqua?»
«Chi lo sa, magari sotto l’acqua cresci.»
«Vaffanculo.»
«Ti amo anche io, biondo. Ci vediamo tra dieci minuti.» Roxas chiude la chiamata senza salutare e si lascia cadere su una panchina, mettendo di nuovo le cuffie. Ripensa al “ti amo” che Axel gli ha detto e si sente avvampare: nonostante sia già passato quasi un mese, e se lo senta dire tutti i giorni più volte al giorno, non riesce ancora ad abituarsi a sentirlo dalle labbra di Axel. Mentirebbe se dicesse che non lo ha mai immaginato, anche quando non la riteneva più che una cotta da ragazzino, ma la realtà è molto diversa – e molto migliore – della fantasia.
Per distrarsi gioca con un filo del maglioncino mentre aspetta, ignorando il resto delle persone che gli passano intorno. È la prima volta che torna a Traverse Town da quando ci era andato insieme a Vanitas quattro anni prima per incontrare i suoi genitori, e aveva finito per fare una conoscenza più accurata di quanto desiderasse del pronto soccorso locale. Il solo ricordo gli fa venire il cuore a mille, e scuote la testa per scacciarlo: non è lì per farsi venire un attacco di panico o per tenere il broncio tutto il giorno. È lì perché è il compleanno di Axel e lo ha invitato a venire a trovarlo.
Il festeggiato arriva dopo una ventina di minuti, con un ombrello gocciolante di un giallo che fa male agli occhi in mano e i capelli sciolti sulle spalle. È infagottato in un cappotto nero e una sciarpa dello stesso orribile colore dell’ombrello, e appena vede Roxas da sopra la sciarpa gli fa un sorrisone, prima di bloccarsi a mezzo passo quando si accorge di com’è vestito.
Roxas non ama mettersi in mostra, anzi, ma si trova ad ammettere anche a sé stesso di aver prestato particolare attenzione al modo in cui si è vestito quel giorno. Oltre alla gonna e al maglioncino scuro ha vinto il suo imbarazzo indossando un paio di parigine nere con una riga bianca sull’orlo e un paio di stivali con appena più tacco del normale per sembrare leggermente più alto, e per completare l’opera si è truccato con più cura del solito; e improvvisamente si sente consapevole di ogni singolo dettaglio del suo aspetto quando Axel non nasconde nemmeno il modo in cui lo guarda, gli occhi che sembrano quasi brillare di una luce che non ha mai visto.
«Buon compleanno a me» dice infine, avvicinandosi a Roxas e poggiandogli le mani sui fianchi prima di chinarsi a baciarlo sulle labbra. «è questo bel ragazzo il mio regalo?»
Roxas ride nel bacio e lo lascia fare, appoggiandogli una mano sul petto. «Se ti basta questo...» risponde con un sorriso che è quasi timido. «Buon compleanno, Ax.»
Axel gli sorride a sua volta e lo lasci andare, impugnando di nuovo l’ombrello che aveva appeso all’incavo del gomito. «Possiamo festeggiare in un luogo con meno occhi, direi» conclude, prendendo Roxas per mano e uscendo con lui nella pioggia.
Tenere Axel per mano è ancora strano per Roxas. Se prima lo facevano quando si consolavano a vicenda o casualmente, ora Axel stringe la sua mano come a non volerla lasciare, come se avesse paura che Roxas scappi. È cambiato anche il modo in cui lo guarda, il suo sorriso, la tenerezza con cui lo sfiora, quel nuovo affetto gli fa esplodere il cuore di un sentimento che capisce a malapena.
Il bar dove lavora Axel – e sopra cui vive – non dista molto dalla stazione, e insieme si infilano sotto il portico dell’edificio per ripararsi dalla pioggia. Fuori dalla porta del bar c’è un uomo alto, dai lunghi capelli tinti di un rosa pastello e truccato in maniera decisamente troppo appariscente, che fuma una sigaretta, e sembra illuminarsi quando vede Axel. Il suo sguardo azzurro si sposta da lui a Roxas, che si tiene al braccio di Axel, e un sorriso gli si apre sul volto. «È lui il famoso fidanzato?» chiede, avvicinandosi con sorprendente velocità visti i tacchi che porta e squadrando Roxas, «È così carino... hai proprio buon gusto, Axe. Sicuro che vuoi stare da solo con lui?»
«Ficcati le mani nel culo, Marluxia, e pensa alla tua di fidanzata.» risponde senza perdere un colpo Axel, apparentemente tranquillo, ma la sua stretta sulla mano di Roxas sembra stringersi un po’ di più.
«Io e Larx siamo una coppia aperta, tesoro, lo sai bene» ride l’uomo. «Godetevi il pomeriggio, ragazzi» li saluta infine, lanciando a terra la sigaretta. Quando Marluxia è rientrato nel locale, Roxas è convinto di sentire Axel tirare un sospiro di sollievo, e si volta verso di lui, alzando un sopracciglio.
«Sei geloso?» gli chiede per provocarlo, la voce leggermente divertita, e Axel si gira verso di lui e gli fa una boccaccia.
«Non sarebbe mai all’altezza di qualcuno come te» dichiara. «quindi no, non sono geloso.»
Roxas ride e lo tira per la mano. «Entriamo, dai. Sono curioso di vedere come tieni la tua bella casetta senza Isa che ti costringe a mettere nei cassetti le tue mutande.» Axel gli fa un’altra boccaccia, ma prende dalla tasca del cappotto un mazzo di chiavi e insieme a lui apre ed entra in una porta a vetri adiacente al bar.
L’appartamento di Axel è incastrato in fondo a un corridoio del secondo piano, ed è disordinato esattamente come il suo inquilino. Roxas si guarda intorno mentre si toglie gli stivali, notando subito i disegni e le tele appesi ai muri in quantità, e i fogli sparsi su quello che davanti al divano dovrebbe fungere da tavolino, ma che nella pratica è un banco da disegno. Nell’aria c’è odore di colori che si asciugano e di carta bruciata. È decisamente come Roxas si immaginerebbe la mente di Axel: disordinata, piena di oggetti e idee, ma con un’armonia di fondo che la rende bellissima da vedere. Gli sembra di aver messo piede in uno spazio intimo e privato, che pochi possono vedere e ancora meno possono capire.
«Scusa il casino» si scusa Axel, che si è tolto cappotto e l’orribile sciarpa restando con una camicia a quadri rossi e neri, con i primi tre bottoni slacciati. Roxas fa un cenno con la testa e si avvicina al tavolino, lasciando a terra lo zaino e inginocchiandovisi accanto e sfiorando curiosamente uno dei disegni su di esso, di un gatto addormentato su un davanzale in mezzo a dei vasi di fiori.
«Non ricordavo fossi così bravo» considera Roxas a mezza voce.
«Beh Rox, ho avuto sette anni per migliorare.» gli risponde Axel, lasciandosi cadere dietro di lui e circondandolo con le braccia, premendogli un bacio sulla nuca. «ti piacciono?»
Roxas annuisce, spostando altri disegni per vederli meglio. Sono disegni e schizzi normalissimi, di animali, persone ed edifici, e tra di essi riesce a vedere qualche ritratto dei loro amici. Axel li ha disegnati in ogni tecnica possibile, con il carboncino così come con gli acquerelli, e la varietà di tecniche stupisce moltissimo Roxas. «Sono bellissimi, Axel» lo complimenta ammirato, una mano che accarezza un foglio di carta sul tavolo e l’altra che scende a tenere una di quelle di Axel tra le sue, intrecciando le loro dita. Axel fa un piccolo suono di assenso e continua a lasciargli piccoli baci sui capelli e sul collo, facendolo rabbrividire quanto sfiora la giugulare.
Restano per po’ così, con Roxas che studia con interesse i disegni di Axel e quest’ultimo che continua a riempirlo di baci e carezze innocenti, prima che Roxas riprenda a parlare. «Lo sai...» ricomincia, guardando il disegno di un mazzo di fiori, «mi sono ricordato che c’è una cosa che non ti ho mai detto.»
«Ovvero?» chiede lui, non smettendo di baciarlo. Quando Roxas esita a rispondere dischiude un po’ le labbra e gli preme leggermente gli incisivi sulla pelle, non abbastanza da far male ma quel tanto che basta da farlo sobbalzare. «Allora?»
«Idiota... se mi molli te la mostro.» risponde Roxas, cercando di ignorare il modo in cui le guance gli si infiammano e un fastidioso nodo gli si forma nella pancia all’idea. Axel sbuffa ma allenta la presa delle sue braccia quel tanto che basta da farlo spostare, e Roxas esita con le dita sull’orlo del maglioncino, il cuore che inizia a martellargli nel petto, prima che con un respiro se lo alzi sopra la testa e lo sfili, rabbrividendo quando l’aria gli tocca il petto nudo, e si impone di interessarsi particolarmente alla trama delle sue calze mentre quasi sente gli occhi di Axel guardarlo.
Un singolo fiore di camelia sboccia dietro la spalla di Roxas, colorato da schizzi di rosso e rosa, qualche foglia intorno colorata di verde, e sotto di essa un otto in numeri romani, abbastanza piccolo da passare quasi inosservato sotto il fiore.
Roxas sente Axel prendere un respiro, e gli viene la pelle d’oca quando sente le sue dita sfiorargli la pelle tatuata, seguendo prima il contorno della camelia e poi fermandosi dove c’è il numero. «Cosa vuol dire?» chiede Axel a bassa voce, come se non volesse rovinare quel momento, ma prima che Roxas possa rispondere abbassa la testa, baciandogli il tatuaggio e la pelle circostante.
«Vuol dire… ah-» Roxas si lascia sfuggire un sospiro per i baci di Axel, interrompendosi prima di continuare. «Il rosso- la camelia rossa significa “sei la fiamma del mio cuore” e il rosa vuole dire-» si interrompe di nuovo quando le mani di Axel gli sfiorano lo stomaco con un tocco quasi impercettibile; «le camelie rosa sono quando desideri avere qualcuno vicino.»
«Mh» considera distrattamente Axel, ancora così vicino alla sua pelle da riuscire a percepire il suo respiro quando parla. «E l’otto immagino che sia lì a caso, non è vero...?»
Roxas si sente avvampare, imbarazzato da quell’improvviso cambio di atmosfera, e abbassa la testa. «Lo sai bene che vuol dire, idiota...» borbotta sottovoce, quasi intimidito. Ha quasi paura a dirlo lui ad alta voce, come se confessare di essersi fatto un tatuaggio per Axel non appena è diventato maggiorenne potesse rendere le cose forse ancora più strane, forse più intime, ed è proprio quel pensiero che lo blocca. Gli sta mostrando un lato che pochissimi conoscono di lui, quello che piangeva la notte e si disperava e aveva preso il suo cuore spezzato e cercato di rimetterne insieme i pezzi, quel lato di sé stesso che Roxas vorrebbe tanto fingere che non ci sia, ma che è sempre lì e in quel momento chiede prepotentemente di essere ascoltato.
Axel non risponde, si limita a baciargli nuovamente la spalla nuda e lo stringe un po’ di più, sentendo contro le sue dita aperte sul suo petto il battito del suo cuore. «È bellissimo» dice infine. Roxas riesce solo a sussurrare un “grazie” fievole, e Axel sorride contro la sua pelle. «siamo timidi adesso, Roxas?» gli chiede, convincendolo poggiandogli le mani suoi fianchi a girarsi, tirandolo un po’ verso il suo corpo finché Roxas non si trova a cavalcioni delle sue gambe, le mani che stringono la camicia di Axel e lo sguardo ancora basso. Le sue guance hanno preso un colore rosato che risalta ancora di più le lentiggini che gli macchiano il visino come mille stelle, e Axel vorrebbe contarle e baciarle una ad una.
Si limita invece a lasciargli un bacio sullo zigomo, sulla guancia, sul naso e infine scende a catturare le sue labbra, godendosi il lieve respiro che Roxas fa quando lo bacia e approfittandone subito per accarezzargli il labbro inferiore con la punta della lingua.
Roxas sente le mani di Axel scendere ad accarezzargli le gambe, alzando con la punta delle dita l’orlo della gonna, e il suo cuore salta un battito per la sorpresa e non solo. Mentre lascia che il bacio si approfondisca al punto che non sa più se il suo respiro è veramente suo o è quello di Axel, lascia anche che le sue dita risalgano sotto la stoffa della gonna, sospirando piano nella sua bocca quando stringono con delicatezza la presa sulla sua carne. «Axel...» la sua voce è quasi come una preghiera che Axel non riesce a ignorare, sussurrata sulle sue labbra e facendolo quasi impazzire.
«Mi sa che non ero l’unico un po’ impaziente...» si lascia sfuggire, guardando mentre il rossore sulle guance di Roxas si fa più intenso. Roxas non gli risponde, le sue dita che lentamente allentano un altro bottone della camicia di Axel e si insinuano dentro, accarezzandogli il petto con la punta delle dita e percorrendo la linea di un ennesimo tatuaggio. Chiude di nuovo gli occhi, rosso come non mai, e si china di nuovo per baciarlo, ma Axel lo ferma poggiandogli due dita sulle labbra, un sorriso che sembra promettergli l’universo sul viso.
«Abbiamo tutto il tempo del mondo...»
Roxas sa che stavolta non sta mentendo.
 

Hello there. Lo so, sono in ritardo apocalittico, ma l’universo ha deciso che mi odiava e dovevo passare delle vacanze schifose all’insegna dello studio e della rottura di coglioni, e spero di essermi fatto perdonare con questo mega capitolo, che avrebbe dovuto essere l’epilogo, ma stava uscendo veramente troppo lungo, perciò ho deciso di tagliare e pubblicare l’epilogo un altro giorno. Spero che comunque vi sia piaciuto, mi sono impegnato tanto e in questo capitolo ho sperimentato per la prima volta con azioni e argomenti che non ho mai toccato prima, da quest’ultima scena (la più difficile da scrivere di tutto il capitolo, infatti non mi soddisfa del tutto) al chiarimento con Xion e Naminé, ma mi auguro di essere riuscito a trasmettere ciò che volevo trasmettere. Ringrazio tantissimo la mia beta reader, Sel, che mi ha aiutato a superare imbarazzi e dubbi per questo capitolo. Ciao Sel, so che mi leggi!
Spirals si avvia ufficialmente al suo epilogo, signori, e sono fiero di stare riuscendo ad arrivarci. Spero di riuscire a dare a questa storia una conclusione soddisfacente, e se non dovesse essere così vi autorizzo a legnarmi.
Detto questo vi saluto, spero che abbiate gradito il capitolo e se lo avete fatto vi invito a lasciare una recensione per dirmi cosa ne pensate, anche le critiche se costruttive sono ben accette.
See you on the flip side.
Vento di Fata
  
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