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Autore: Natsumi92    12/01/2021    3 recensioni
Dean Winchester adorava partecipare alle feste; un po' meno doverle organizzare.
E la cosa più assurda era che il destino beffardo aveva deciso, non solo di appioppargli la croce dell’organizzazione della festa di Natale, ma anche di affiancarlo al collega che detestava di più in assoluto là dentro.
DESTIEL AU
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Castiel, Charlie Bradbury, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 7


Mentre si muove a grandi passi all’interno dell’edificio, Dean è consapevole di emanare vibrazioni talmente negative che, chiunque, passandogli accanto, le avvertirebbe. Entra dall’ingresso principale dell’ufficio senza rivolgere alcun saluto, nemmeno a Charlie che, in ogni caso, sembra essere troppo presa dal suo computer anche solo per accorgersi dell’entrata in scena del capo. 

Dean non se ne preoccupa, anzi ne è grato: una persona in meno a cui dover spiegare il suo malumore. Garth, Jack, Ketch e Balthazar lo salutano comunque, ognuno a proprio modo, mentre Bobby decide di ignorarlo perché impegnato in una telefonata che ha tutta l’aria di essere importante. Anche Rowena è al telefono, alla sua postazione, e Dean riesce a sentire come la donna si stia scusando per un difetto di stampa di un qualche volume. Il sorriso ampio e il tono di voce educato fanno letteralmente a pugni con gli occhi infuocati di rabbia. Dio solo sa quanto quella donna si impegni ogni giorno a fingere cortesia per parlare con i clienti. 

Quando il biondo passa di fronte all’ufficio dei Novak, nota la porta socchiusa e un vociare provenire dall’interno: rallenta, prende il proprio cellulare e finge di essere impegnato a leggere le email proprio davanti alla porta. Riesce a cogliere giusto un paio di parole dai fratelli - che sembrano riguardare il lavoro - ma ciò che gli interessa davvero è solamente la voce di Castiel. Gli sembra tranquillo, apatico come al solito, concentrato, e a Dean ciò fa andare in bestia. Perché diavolo deve essere solo lui quello turbato? Ha passato un 25 Dicembre infernale, con Jo che gli chiedeva spiegazioni sul suo comportamento alla festa, con Sam che continuava a telefonargli per invitarlo a casa sua, con il martellante pensiero di Castiel che aveva preso la decisione di chiudere la loro stranissima situazione.

Ma poi, esattamente, qual era la loro situazione? Dean era rimasto spiazzato, nuovamente, dalle parole di Castiel, perché si aspettava di continuare a condurre lui il gioco. Eppure, le redini erano passate nelle mani dell’altro, senza che Dean potesse fare nulla a riguardo. 

Alza gli occhi dal proprio telefono, avvertendo qualcosa di strano, e li aggancia a quelli di Rowena che, stranamente, lo sta guardando con un sopracciglio alzato e le braccia conserte. Dean si sente come un bambino che è stato appena scoperto a rubare le caramelle che i genitori hanno nascosto in dispensa. La rossa gli fa cenno con l’indice di avvicinarsi a lei e Dean esegue, come ipnotizzato, finché non raggiunge la sedia vuota di fronte alla scrivania della responsabile del servizio clienti.

«Dolcezza,» inizia lei, indossando un’espressione che nasconde più di quanto dovrebbe. «Avverto qualcosa di strano tra voi due.»

Dean si guarda attorno, non capendo esattamente a che diavolo si stia riferendo.

«Ho provato a parlare con il caro Castiel, poco fa, ma ha preferito scusarsi perché aveva troppo lavoro da sbrigare. Perciò chiedo a te: racconta tutto a zia Rowena.»

Proprio l’ultima cosa di cui ha bisogno. O l’unica cosa di cui ha bisogno, dice una vocina nella sua testa. Sospira e si appoggia contro lo schienale della sedia, rendendosi conto di indossare ancora il cappotto e la sciarpa. «Va tutto bene--»

«Sai, non ho molti rimpianti, ma quei pochi che ho continuano ad ossessionarmi, nonostante sia passato del tempo. La soluzione migliore è sistemare le cose, prima che sia troppo tardi.»

«È che non so più cosa fare, capisci?» inizia, dando per scontato che Rowena possa davvero capire il suo cruccio. «Io e lui non sembriamo essere per niente sulla stessa lunghezza d’onda, è come se Cas provenisse da un altro universo! Un universo incompatibile con il mio.»

«Ne avete parlato?»

Dean deglutisce, ricordandosi tutte le volte in cui, dopo una discussione, entrambi si ritrovavano in un’impasse. «Non vedo a cosa possa servire.»

«Oh, giovane sciocco! Il dialogo e la comunicazione sono alla base di una solida relazione!»

«Chi diavolo ha parlato di relazione?»

«Io e Arthur abbiamo detto l’uno all’altra tutto, ci siamo aperti e messi a nudo completamente prima di iniziare la nostra storia.» Rowena lo ignora, continuando il suo monologo: «Lui mi ha raccontato dei fantasmi del suo passato e io dei miei--»

«Gli hai anche raccontato della tresca che hai avuto con Gabriel Novak, nei bagni dell’ufficio?»

«--E dopo cinque mesi la nostra relazione va a gonfie vele!» Allarga le braccia, con un modo di fare drammaticamente teatrale. Dean alza gli occhi al cielo. «Perciò, parlatene. E sistemate le cose.»

Lo sguardo della sua sottoposta è talmente penetrante che Dean viene investito da brividi su tutto il corpo. Ovviamente, Rowena ha ragione: Cas ha deciso per lui di interrompere ciò che c’era tra loro, senza dargli nemmeno il tempo di aprirsi completamente. Dean stava per farlo, la notte di Natale, quando se l’è ritrovato a casa sua, ma successivamente aveva ringraziato una qualche divinità sconosciuta per non averlo più fatto.

Semplicemente non era né il momento e nemmeno il luogo adatto.

Con la coda dell’occhio, il biondo vede Castiel uscire dal proprio ufficio; ha una serie di moduli tra le braccia e sembra troppo indaffarato per notare come Dean lo stia fissando. I capelli scuri sono più scarmigliati del solito, la cravatta azzurra e bianca è allentata e non sta nemmeno indossando la giacca: sono le nove di mattina e lui sembra già sull’orlo di un esaurimento nervoso.

Rowena coglie i suoi pensieri: «Hanno iniziato a compilare le valutazioni di fine anno solo oggi. A quanto pare sono arrivati alle sette, stamattina, perché sono rimasti parecchio indietro.»

«Riusciranno a finire in cinque giorni?» Dean chiede (più a se stesso in realtà), continuando a tenere lo sguardo puntato su Castiel, che fa avanti e dietro da un cubicolo ad un altro, facendo domande ad ogni dipendente.

«Perché non lo chiedi direttamente a lui? Sei il direttore generale della Campbell&Co di New York, o no?»

Rowena gli ha appena lanciato la palla: una scusa perfetta per iniziare a parlare con Castiel. Iniziare è la parte più difficile, infatti, perché il resto -- Dean ne è più che certo -- sarebbe venuto da sé.

Si alza, deciso prima di tutto a passare dalla reception: «Charlie, ricordami di mandare un mazzo di fiori a Rowena, prima della fine dell’anno.»

La ragazza lo guarda stralunata: «Cosa--»

Ma non riceve alcuna risposta, perché Dean si sta avvicinando a Castiel -- intento a parlare con Jack -- e non riesce a pensare a nient’altro.

«Novak. Ti voglio nel mio ufficio all’ora di pranzo.»

Cas salta comicamente sul posto, irrigidendo ogni muscolo del proprio corpo e voltandosi, con lo sguardo terrorizzato, verso Dean.

«È… è successo qualcosa?»

«Non lo so, dimmelo tu. Sei in ritardo con le valutazioni di fine anno?»

Il responsabile delle risorse umane sbianca, sgranando gli occhi in maniera quasi innaturale. Dean vorrebbe ridere, ma preferisce rimanere professionale.

«Io-- sì, ci sono stati dei ritardi, ma io e Gabriel stiamo--»

«Non mi interessa. Ne parleremo dopo nel mio ufficio,» conclude, girando i tacchi e lasciandosi alle spalle un Castiel completamente frastornato, tra gli sguardi preoccupati del resto dei dipendenti.

 

Allo scoccare dell’ora di pranzo, Dean è più stressato che ansioso: sa benissimo ciò che dirà a Cas, eppure l’attesa l’ha comunque snervato.

Il bussare breve e deciso lo fa sobbalzare e, dopo essersi schiarito la gola, pronuncia un “Avanti” a voce un po’ troppo bassa. Castiel, a quanto pare, riesce a sentirlo, perché apre la porta ed entra, col capo chino e la postura rigida. Aspetta in piedi davanti la porta finché Dean non gli fa cenno di sedersi di fronte a lui.

«Prima che tu possa rimproverarmi, lascia che ti spieghi le motivazioni del nostro ritardo--»

«Sono molto deluso da te,» lo interrompe Dean. Gli occhi blu del suo collega sono fissi su di lui, dandogli il coraggio necessario per continuare. «Dai l’impressione di essere diligente, a modo, sempre pronto a portare a termine i tuoi compiti. Però non sei riuscito a concludere questo,» con un cenno della mano, Dean indica se stesso.

Cas stringe gli occhi, confuso.

«Non mi hai lasciato il tempo di pensarci su. Hai dato per scontato, due volte, di conoscermi e sei giunto a conclusioni affrettate, decidendo tutto al posto mio.»

«Dean--»

«No, ora sta’ zitto. So di essere stato forzato a seguire questa strada, so di non aver avuto le palle di dire in faccia a mio padre la verità; sono anche perfettamente consapevole di rispettare talmente tanto la mia famiglia da lavorare comunque sodo per l’azienda.» Il biondo si alza in piedi e si avvicina all’altro, poggiandosi sul bordo della scrivania. «E sai come sono arrivato a questa consapevolezza, Cas? Perché ci ho pensato per due notti intere! Avevo bisogno di tempo, cazzo, per elaborare le tue maledette parole!»

La schiena dritta e le spalle tese di Castiel lo fanno sembrare un essere non umano. «Cosa stai cercando di dirmi, Dean? Ti ascolto.»

Dean fa roteare gli occhi e, poi, li chiude, stringendosi la radice del naso con una mano. «Quello che voglio dirti è che se vogliamo far funzionare questa… cosa tra noi, non devi importi sui miei pensieri. Devi lasciarmi spazio.»

Il silenzio che segue è carico di aspettativa e di domande che Cas non sembra riuscire a porre sotto forma di parole: si limita ad annuire e a distogliere lo sguardo dal suo capo, ma solo per una breve manciata di secondi. Infine, fa indietreggiare la sedia e si mette anch’egli in piedi, di fronte a Dean.

«D’accordo.»

«D’accordo?» chiede Dean, non del tutto convinto.

L’altro annuisce, posando, con un gesto naturalissimo, la mano destra sulla spalla sinistra di Dean.

Come se quella mano fosse sempre appartenuta a quel posto, Dean immagina nella sua testa tuoni e lampi, il suono di vetri che si infrangono, il rumore di una porta che sbatte, colpi di arma da fuoco. Cose sconnesse tra loro, di sicuro, ma che sembrano avere un qualche nesso logico nei meandri più remoti della sua memoria.

È davvero facile chinarsi in avanti, fino a sfiorare le labbra di Castiel con le proprie. Così facile e prevedibile che Cas non si sposta, ma ricambia, inclinando la testa.

Questa volta, il bacio è diverso: Dean avverte una sensazione di familiarità e di tenerezza che non aveva provato la prima volta. Nonostante sia solo il secondo -- la morbidezza delle labbra di Cas, l’odore dolce della sua pelle, l’accenno di barba che gratta contro la sua pelle -- Dean è fermamente convinto di averlo baciato più e più volte. Magari in un’altra vita. Sorride, immaginando quell’assurdità, e Castiel si allontana, crucciandosi.

«Perché sorridi?»

«Mi sento più leggero, sai? Come se mi fossi tolto un peso enorme dallo stomaco.»

Il moro porta entrambe le mani sul suo viso ed inizia ad accarezzargli la pelle con i pollici. Nessuno dice niente, per un periodo di tempo sconosciuto, decidendo comunque di rimanere l’uno attaccato all’altro.

L’intraprendenza di Castiel sorprende il direttore generale quando, senza neanche chiedere il permesso, riprende a baciarlo, con così tanta forza e passione che Dean è costretto a reggersi alla scrivania dietro di sé, per evitare di perdere l’equilibrio.

«Dio, sono così felice,» mormora Cas contro le sue labbra, senza staccarsi. Dean deve letteralmente spingerlo via per riuscire a replicare.

«Ti accontenti di poco se questo ti rende felice,» dice, sarcastico. 

Una scintilla negli occhi blu del suo sottoposto brilla improvvisamente. «Tu non sei poco, Dean. Tu sei tutto

E, okay, forse il suo cuore perde un paio di battiti, forse la pelle d’oca è un po’ troppo accentuata, forse le gambe minacciano di cedergli, perché il suo tono di voce deciso e lo sguardo arguto non lasciano spazio ad ulteriori contraddizioni.

«Stasera vieni da me? Così possiamo continuare questo discorso in un luogo più confortevole,» propone Dean.

Cas, dal canto suo, non sembra del tutto convinto. «Io e Gabe pensavamo di trattenerci in ufficio per… per le valutazioni.»

«Fanculo le valutazioni. Risolverete domattina,» dice, stampandogli un bacio improvviso sulle labbra. Sente una leggera tensione nel corpo dell’altro e decide di stringere la presa attorno alla sua vita per evitare che possa allontanarsi.

«Dean--»

«Che c’è, hai cambiato idea?»

Castiel scuote la testa, un sorriso malinconico gli si forma sul viso. «Non potrei mai cambiare idea.»

La pazienza del direttore generale sembra essere sul punto di cedere, come una corda troppo tesa in procinto di spezzarsi. «Allora parla! Che ti prende?!»

«In realtà c’è un’altra cosa che voglio dirti. Io ti lascerò i tuoi spazi e tutto il tempo di cui hai bisogno, quando ne hai bisogno, e sono disposto a farlo sul serio. Però, vorrei che tu parlassi con tuo padre, come hai fatto con Sam e come adesso stai facendo con me.»

Dean si svincola dalle braccia dell’altro, come scottato. «Sai proprio come ammazzare l’atmosfera, eh? Tirare in ballo il mio vecchio mentre stiamo limonando.»

«So che non è il momento, ma devi sapere che John non è stato sempre così chiuso e rigido,» dice Cas, continuando imperterrito. «Mio padre mi ha raccontato quanto abbia dovuto lottare per farsi accettare dalla famiglia Campbell. Tuo nonno non aveva la minima intenzione di concedergli la mano della sua unica figlia.» 

Dean non lo sta guardando più, trova che prestare attenzione al tavolino accanto alla porta -- piuttosto che alle parole di Cas -- sia molto più facile. Ma il responsabile delle Risorse Umane è deciso a non lasciar perdere, perciò si rimette di fronte a lui per rientrare nel campo visivo del suo capo. 

Il paio di occhi verdi si sposta su quelli blu dell’altro, proprio come farebbe un pezzo di metallo verso una calamita.

«Non voglio giustificarlo, ma avrà avuto senz’altro le sue buone ragioni per spingere te e Sam a continuare gli affari di famiglia. Potrebbero comunque essere ragioni egoistiche e per esserne al cento per cento sicuro devi chiederlo direttamente a lui.»

Una sensazione nuova, e strana, si fa lentamente spazio nella pancia di Dean. Potrebbe essere solo ansia, oppure angoscia, con una punta di un qualcosa di positivo: il direttore generale si sta avvicinando ad una via d’uscita, che lo porterà fuori dal labirinto di delusioni e compromessi che è stata la sua vita fino a quel momento.

«Non sono sicuro che vorrà ascoltarmi, Cas.»

«Io invece sono più che sicuro che tu sarai in grado di farti ascoltare, Dean.»

Castiel accenna un sorriso, uno di quelli che vorrebbero essere incoraggianti ma che, stranamente, hanno tutta l’aria di nascondere mille altri dubbi. E Dean, che è terribilmente preso da questo tipo strambo, non potrebbe esserne più grato.

«Grazie. Per tutto,» mormora, infine, afferrando la cravatta di Cas e attirandolo a sé per riprendere da dove si erano interrotti.

 

§

 

Rowena è costretta a tornare al proprio cubicolo prima di raggiungere Arthur al ristorante dove le ha dato appuntamento per il pranzo, perché ha dimenticato le fottute chiavi della macchina. Non appena le trova -- si sono andate ad incastrare all’interno del suo portapenne in chissà quale assurdo modo -- si accorge di non essere sola in ufficio, come si aspettava.

Gabriel Novak è in piedi di fronte all’ufficio di Dean, ad osservare qualcosa da dietro il vetro opaco della porta. La donna, incuriosita, si avvicina al capo delle Risorse Umane per capire cosa ci sia di così interessante e-- oh.

Due sagome -- che hanno tutta l’aria di essere i carissimi Dean e Castiel -- stanno amoreggiando. Chiaro come la luce del sole, nonostante la limitata visibilità.

«Non ti ricorda io e te qualche mese fa?» dice Gabriel, senza guardarla, eppure riconoscendola immediatamente.

Rowena sbuffa una risata. «Eravamo giovani ed ingenui, caro. Adesso siamo entrambi felicemente impegnati.»

«Eh, già. La vita è strana.» Poi, si gira verso di lei. L’inesistente differenza di altezza tra i due permette loro di guardarsi perfettamente negli occhi. «Ammetti che sono stato il sesso migliore della tua vita.»

La risata sguaiata della donna si sarebbe potuta sentire fin dalla strada. «Sei stato troppo pulito per i miei standard!» sentenzia, allontanandosi e continuando a ridere.

Gabriel aggrotta le sopracciglia, ferito nell’orgoglio: «E con questo che diavolo vorresti dire?! Ehi, bellezza! Torna qui ed elabora!»






 


Nota dell'autrice: Ragazz*, finalmente i due piccioncini sono riusciti a risolvere i loro problemi, applausi applausi!!! Vi avviso che manca un ultimo capitolo e, forse, un epilogo che apprezzerete decisamente. Cosa ne pensate, comunque, di questo capitolo? Ci ho messo un po' a scriverlo e a sistemarlo, ma grazie a Julss sono riuscita a tirarlo fuori! Ci riaggiorniamo la settimana prossima <3 Grazie per tutte le letture e le recensioni, siete l'amore <3
 

   
 
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