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Autore: EcateC    14/01/2021    5 recensioni
Lord Voldemort scaglia l'Avada Kedavra a Harry Potter, ma quest'ultimo, invece di risvegliarsi nel limbo della Stazione di King's Cross, si ritrova in un letto ospedaliero, con un team di medici decisamente inaspettato... E inquietante.
Sorta di AU dal sapore distopico.
Genere: Angst, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bartemius Crouch junior, Bellatrix Lestrange, Harry Potter, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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-AVADA KEDAVRA!-

Il bagliore verde, una luce accecante.

Harry cadde al suolo, ma invece di morire, si svegliò.

 

 

 

                      ...Harry...

...Harry?...

    
               …Harry!?…


"Harry!"

 


"Ce l’abbiamo! Si sta svegliando! Si sta svegliando! Cento milligrammi di epinefrina in endovena, presto!"

"Sì, dottore" obbedì una donna.

"Harry? Harry, riesci a sentirmi?"

Harry aprì lentamente le palpebre ma una luce abbagliante, tagliente come una lama di sole, gli ferì la vista e gli strappò una smorfia. Il medico di fronte a lui spense la piccola torcia e Harry riuscì a metterlo a fuoco. Era un uomo di mezza età, stempiato, col volto semi coperto da una mascherina chirurgica e un’espressione terribilmente famigliare.

"Ciao, Harry" gli sorrise Voldemort "Bentornato tra noi, finalmente."

“N-no” ansimò appena, il suo cuore iniziò a battere precipitosamente. Aveva gli arti atrofizzati, un tubo attaccato alla gola, le braccia piene di aghi. Voleva muoversi, gridare, ma non ce la faceva.

"È tachicardo" osservò la donna di prima, anche lei con la mascherina e la divisa verde dell’ospedale "Sta avendo un collasso respiratorio."

"Grazie, Isabella, meno male che ci sei tu" esclamò Voldemort, sarcastico "Sarà l’epinefrina. Intubatelo prima che mi muoia sotto al naso."

"Possiamo sedarlo per altri sette anni" scherzò un altro dottore, mentre gli ficcava in gola un grosso affare di metallo. Harry cercò di dimenarsi, di difendersi, ma tutto ciò che riusciva a fare era sbavare e grugnire. Non un muscolo rispondeva ai suoi comandi, aveva solo degli spasmi e la testa mandava scosse di dolore lancinante. Guardò Voldemort con gli occhi sgranati e lucidi di lacrime.

"Oh, non guardarmi così, figliolo" gli sorrise lui, togliendosi la mascherina "Ti sto salvando la vita."

 

 

***

 

Quando Harry riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu un soffitto bianco e poi, a sinistra, una piccola televisione via cavo spenta, che poggiava su una piastra appesa al muro. Sotto c’era un tavolino in linoleum, con un sedia dello stesso colore. C'era uno strano odore di mentolo, gli ricordava lo studio dentistico che frequentavano i Dursley.

"Come ti senti?"

Harry si voltò di scatto, così velocemente che per poco non si torse il collo. Aveva riconosciuto quella voce cupa e cavernosa.

"Pr…Profess..sor Piton?" domandò stravolto, e nello stesso istante la macchina a cui era legato iniziò a fare dei “bip” più veloci e preoccupanti "Lei… Lei è vivo?"

L’uomo fece un’espressione perplessa, ma non volle indagare.

"Non ti agitare" gli disse subito Piton, che era assurdamente vestito come un babbano "Va tutto bene."

"Vold…Voldemort" ansimò Harry "Mi ha messo qualcosa in gola… C’era anche Bellatrix e… E Barty Crouch. È vivo."

Piton aggrottò le sopracciglia, sembrava spaesato. "D’accordo, ehm… Me ne occuperò io."

Harry annuì subito "Grazie. E ho visto i ricordi" insistette Harry con voce rauca, deglutendo tra una parola e l’altra "La… La sostanza argentea, nel pensatoio. Lei è sempre stato dalla mia parte. Io la volevo… Ringraziare per questo."

"Ringraziarmi?" gli fece eco, incredulo. Poi si rivolse alla porta "Infermiera!" chiamò, atterrito "Infermiera, per cortesia."

"Devo parlare con… Con Silente" delirò Harry, chiudendo gli occhi "Voldemort mi ha ucciso, credo."

"Sì?" disse una voce maschile, untuosa, scocciata. Harry riconobbe anche questa: Lucius Malfoy.

"Oh, chiedo scusa" mormorò Piton, imbarazzato "Volevo dire infermiere."

"Qual è il problema?" incalzò Malfoy, duro.

"Credo che il ragazzo stia delirando" disse Piton "Dice delle cose senza senso."

"È normale. Dopo il risveglio, molti riferiscono di essere stati vittime di incubi ed allucinazioni. Passerà col tempo.”

Harry scosse violentemente la testa e si dimenò sul letto “No! Lui è un Mangiamorte!” gridò sconclusionato, con la fronte madida di sudore “Lui sta mentendo, deve essere rinchiuso ad Azkaban! La prego, io devo parlare con Silente! Devo parlare con Silente!”

"Oh, perdiana, la pressione è alle stelle" esclamò Malfoy, irritato "Sta avendo delle convulsioni. Prego, signore, si sposti" gli disse brusco, tirando fuori il suo cerca persone e suonando l’allarme della camera "Abbiamo un codice blu nella stanza 9, letto 34."

Presto accorsero delle persone, alcuni col camice bianco, altri con divise verdi o rosa. Tra tutti spiccò la donna con i capelli neri che Harry aveva già visto in sala operatoria.

"Di nuovo questo ragazzino" brontolò Bellatrix Lestrange, mentre si igienizzava in fretta le mani "Sta diventando un incubo."

 

***

 

Harry aprì gli occhi, ma questa volta era preparato. Sapeva dove si trovava, era in un ospedale babbano perché Voldemort gli aveva lanciato un sortilegio e l’aveva spedito in una realtà parallela, dopotutto era il mago oscuro più potente del mondo, poteva ben conoscere delle maledizioni che causassero paradossi del genere. O magari aveva semplicemente trasfigurato Malfoy Manor, oppure aveva assediato un vero ospedale babbano... Qualunque cosa avesse fatto, era comunque terribile ed era suo compito sistemare le cose. Harry cercò di muoversi ma si sentiva debole, spossato, e il timore che lo stessero avvelenando gli parve fondato. Magari in quella flebo insieme alla soluzione fisiologica c'era una buona quantità di Distillato della Morte Vivente. 

Cercò di strapparsi i cavi dalle braccia, ma una voce gelida e spiacevole lo fece trasalire.

"Convulsioni muscolari, tremori, difficoltà respiratorie…” 

Harry alzò lo sguardo: Voldemort era seduto proprio di fronte a lui, nella penombra, con lo stetoscopio appoggiato sulle spalle come se fosse un serpente. "Hai avuto quattro attacchi di panico in sole dodici ore, Harry, il che è curioso in un paziente che risveglia dopo sette anni di coma. Che cosa ti ha fatto spaventare a tal punto?" gli domandò con voce morbida.

"So cosa stai facendo" ansimò Harry con voce tremante, racimolando tutto il coraggio che aveva "Ma io non ho paura di te."

Voldemort si alzò in piedi e gli rivolse un’espressione interrogativa. Il suo viso era del tutto umano, ma Harry era certo che fosse lui. Lo sguardo, la voce, l’altezza, era indiscutibilmente lui.

"Tutti i bambini hanno paura dei medici" ragionò calmo, avvicinandosi "Noi siamo i cattivi, facciamo le punture. Isabella in effetti prova un certo compiacimento nel farle."

"Tu non vincerai" sibilò Harry, torcendo il collo "Io ti sconfiggerò."

"Sarebbe già tanto se riuscissi a contare fino a dieci" lo sbeffeggiò, ma poi il suo sguardo fu catturato dalla macchina a cui Harry era collegato: i battiti cardiaci erano aumentati precipitosamente. "Hai davvero paura di me?" dedusse, stupito.

"Non ho paura di te!" si ribellò Harry, dando uno strattone violento ai cavi medici "So cosa stai facendo! So chi sei in realtà!"

Voldemort assottigliò lo sguardo, pareva molto coinvolto. "E chi sono in realtà?"

"Tu sei Lord Voldemort."

Quest’ultimo lo guardò negli occhi, poi prese una sedia e l’avvicinò al letto. “E che cosa ti ho fatto?” gli chiese “Raccontami.”

 

***

 

"Il coma farmaceutico è uno strumento di depressione della coscienza che è ormai utilizzato in tutto il mondo. Ha radicalmente cambiato la prognosi di milioni di pazienti ma, come tutte le cure mediche, presenta degli effetti collaterali. Può causare un danneggiamento cognitivo o mnemonico, e se la causa per la quale si finisce in coma è una lesione del cervello, come purtroppo è successo a te, Harry, si può perdere il ricordo del momento del trauma, rielaborare le informazioni che si acquisiscono durante lo stato vegetativo e usarle in modo da riempire il vuoto con una realtà illusoria, una vita che ci piace e che stimola la nostra fantasia."

"Non è vero" Harry scosse violentemente la testa "Io non sono pazzo."

"Lo so che è dura per te, ma tu devi essere coraggioso" continuò Voldemort, illuminato dalla luce fredda dell'alba "Io sono sette anni che combatto contro di te per riportarti in vita. Tre anni fa, quando tu pensavi di essere in quel brutto cimitero, io sono stato a un passo dal risvegliarti. Ho fatto qualcosa di deontologicamente scorretto, è vero, ti ho sottoposto a brevi ma intense scosse di elettroshock per dare un forte stimolo al tuo cervello, ma l’ho fatto per te, per il tuo bene."

"Era la maledizione Cruciatus" obbiettò Harry, madido di sudore di nuovo. Voldemort scosse la testa.

"No, Harry. Non esiste la magia."

"Sì, invece!" gridò, disperato "Silente, Albus Silente ti fermerà."

"Albus Silente, già. Credo di avere capito chi è, sai?" gli sorrise Voldemort, mettendosi a braccia conserte "In effetti qui c’era un uomo molto anziano che ti aveva preso a cuore. Veniva sempre nella tua camera a raccontarti delle avvincenti storie sulla seconda guerra mondiale o a leggerti delle fiabe a voce alta. Dicono che sia terapeutico parlare ai pazienti in stato comatoso, ma io non ci ho mai creduto, e meno male a questo punto" forzò un sorriso "Pensa se fossi venuto io a leggerti delle fiabe."

"Dottor Riddle?"

Una donna si affacciò alla porta, sia Voldemort che Harry si voltarono.

"Già qui, Bella?" domandò il primo, guardandosi l'orologio.

Costei arrossì leggermente "Abbiamo un codice rosso in pronto soccorso, incidente d’auto. Il dottor Nott chiede di lei."

“Dagli una mano tu, io ora sono impegnato” esclamò Voldemort, accennandole un sorriso “Ma prima portami un caffè."

"Certo, capo" gli ammiccò in modo equivoco.

"Lei è Bellatrix" disse Harry, faticosamente "È una sadica bastarda."

"Solo in obitorio quando fa le autopsie" scherzò lui "E hai detto Bellatrix? Come mai lei da Isabella è passata a Bellatrix e io da Thomas sono passato a Voldemort?"

Harry non rispose, guardò solo fuori dalla finestra. C’era un albero molto vecchio, bitorzoluto, che gli ricordava in modo eclatante il Platano Picchiatore. Harry chiuse gli occhi e si impose di calmarsi, quella non era la realtà, niente di ciò era vero, doveva solo rimanere lucido e vincere anche quella sfida.

"Ti chiami Voldemort" mormorò a fatica, con gli occhi chiusi "Perché è ciò che è risultato enigmando il tuo vero nome. Tom Marvolo Riddle."

Quest’ultimo smise di sorridere, Harry lo guardò e per un attimo gli parve impressionato. "Come fai a sapere il mio secondo nome?" gli chiese infatti, sbalordito.

"Tu hai cercato di uccidermi. Hai ucciso i miei genitori, hai ucciso tante persone."

"Devi averlo sentito dire una volta in questi sette anni e te lo sei ricordato" rifletté Voldemort, colpito "Il modo in cui hai rielaborato la realtà è a dir poco straordinario."

"Non ho rielaborato la realtà. I miei genitori, Silente, Ron ed Hermione… Loro esistono."

Voldemort assottigliò lo sguardo "Ronnie è un cane molto socievole, lo usiamo per la pet therapy.

"Non è vero" si ribellò Harry, profondamente angosciato.

"In effetti le tue onde cerebrali subivano un notevole incremento in sua compagnia."

"Basta!" sbottò furioso "Tu hai diviso la tua anima in sette pezzi!"

"Ho diviso il mio ufficio in sette dipartimenti" lo corresse tranquillamente Voldemort.

"Parli con i serpenti, la tua faccia era quella di un serpente!"

Voldemort pensò a cosa replicare e poi si guardò il camice bianco. Come gli altri medici, nella tasca aveva ricamata un’immagine raffigurante il Bastone di Asclepio, simbolo greco consistente in un serpente attorcigliato intorno a una verga. Harry lo notò e scosse la testa.

"Il serpente è il simbolo della medicina" gli disse Voldemort, compiaciuto "Ed è ovunque, c’è dappertutto. Il tuo cervello ha fatto una brillante associazione. Il serpente e la bacchetta magica, dico bene?"

"No, no, no, no" si dimenò Harry, facendo roteare gli occhi. I suoi valori vitali iniziarono a salire precipitosamente, la pressione arteriosa, la respirazione, tutto.

"Ti inietto un po' di morfina, ti farà stare meglio" gli disse Voldemort con tono conciliante, puntando una siringa nei cavi della sua flebo "O altrimenti nota come Imperius. Che fantasia, dovresti davvero scriverci un libro."

Harry chiuse gli occhi prima ancora di poter elaborare il concetto.

 

 

***

 

"Bella? Si sta svegliando"

"Controllagli la flebo" ordinò malamente una donna.

“Dillo alle infermiere" replicò l'uomo di prima, sgarbatamente.

"Sei tu il novellino che deve imparare! Muoviti!"

“Non prendo ordini da te” sibilò l’altro e nello stesso istante Harry aprì gli occhi. “Controllagli la flebo, ora, prima che ti faccia una tracheotomia!”

Harry mise a fuoco una donna, che altri non era se non Bellatrix Lestrange con i capelli raccolti. Stava puntando un bisturi contro la gola di Barty Crouch Jr.

Appena vide che era sveglio, Bellatrix abbassò il braccio e gli sorrise in modo squisitamente ipocrita.  “Ben svegliato, Harvey. Come ti senti?”

“Credo si chiami Harry” la corresse Barty, tagliente.

“È uguale” gli rispose tra i denti lei, infastidita “Allora?”

Bellatrix gli andò più vicino e si appoggiò con l’anca sulla sponda. Harry cercò di dimenarsi, di gridare, ma era completamente atrofizzato, la sensazione era quella di avere un’incudine sul petto.

“Poverino, hai davvero una cera orribile” gli disse, ma come cercò di sfiorargli la guancia, Harry si rivoltò violentemente.

“Il tuo turno è finito due ore fa, Bella. Posso solo sapere perché sei ancora qui?” le domandò Barty, polemico “Non hai un marito a casa che ti aspetta?”

“Fatti gli affari tuoi” gli rispose lei, alzando lo sguardo su di lui.

"Oh, capisco. Ma lasciamelo dire, Bella, sei piuttosto patetica" la insultò inviperito, mentre cambiava le sacche medicali “Un cagnolino da riporto ha davvero più spessore di te."

Lei sogghignò perfidamente "Sei geloso, Benji?”

“Ma per favore” la smentì subito, esasperando una smorfia inorridita "Fatti un bagno di umiltà."

"Non intendevo di me, idiota."

Barty arrossì leggermente, voltandosi subito verso la pompa di infusione "Non so di cosa stai parlando" replicò in fretta, ma poi si fermò di fronte a Harry e aggrottò le sopracciglia. "Il ragazzino è cianotico, c’è qualcosa che non va.”

"Se muore è colpa tua" disse subito Bellatrix, avvicinandosi alla sponda del letto "Cosa c’è che non va, tesorino?" si rivolse a Harry "Dillo a zia Bella."

Harry riuscì a gridare, malgrado tutto.

"Probabilmente sta avendo un’altra allucinazione" azzardò lei, mettendosi lo stereoscopio nelle orecchie. Cercò di ascoltargli il torace, ma Harry gridò più forte, tanto che per poco non si soffocò col tubo. Bella però insistette, con poca delicatezza.

"È completamente paralizzato, non respira" disse rapida "A quanto pare dobbiamo fargli sul serio una tracheotomia."

"Un altro attacco di panico?" disse Crouch "Ma che diavolo ha questo ragazzino?"

"Vorrei vedere te dopo tutti quegli anni di isolamento cerebrale" replicò Bella, mentre si infilava in fretta la mascherina chirurgica "Tienilo fermo, non vorrei incidergli un occhio."



“Lo dicevo io che dovevamo attaccarlo a un ventilatore polmonare.”

“Stai zitto, si sta svegliando.”

Harry aprì leggermente le palpebre, di nuovo. In piedi di fronte al suo letto c’erano ancora Bellatrix Lestrange e Barty Crouch Jr, entrambi cupi e accigliati. Quest’ultimo aveva la mano sollevata e coperta da un guanto di lattice verde.

"Quante dita sono queste?" gli chiese annoiato. Harry sbatté due volte le palpebre, quello era l’incubo più brutto della sua vita.

"Ti prego, Potter, rispondimi, sono qui da nove ore" lo supplicò Crouch "Quante dita sono queste?"

Harry mise a fuoco la mano, faticosamente. "Quattro" mormorò, sentendo un dolore pungente all’altezza della gola.

"Grande, una stellina d’oro per te!” lo prese in giro lui “E come ti chiami?”

"Ha…" lo sforzo lo fece tossire violentemente, Barty alzò gli occhi al cielo "Har-ry Potter."

"Ottimo. Funzioni cerebrali regolari e nessuna amnesia" decretò Barty, frettoloso "Possiamo andare a casa, adesso?"

Bellatrix lo ignorò. "Sicuro di sentirti bene? Hai qualche disturbo come, non so, cefalea, nausea, sensazione di soffocamento, oppressione, vista oscurata? Sbatti le palpebre se la risposta è sì."

Harry si limitò a fissarla con odio, senza muoversi.

"Molto bene" gli sorrise lei, tranquillamente "Noi adesso andiamo, ma sappi che sei sotto stretto controllo e gli infermieri verranno presto a cambiarti le flebo. Se la gola inizia a bruciarti non chiedere loro altra morfina, il tuo cervello ha ricevuto una dose di sedativi sufficiente per mettere al tappeto un elefante. Ci vediamo domani, tesorino."

Con grande gioia di Harry, i due dottori del terrore si voltarono.

"Quanta premura, sono colpito" sentì esclamare con voce insinuante.

"Il capo lo vuole vivo" rispose Bellatrix, spiccia "E perciò anche io."

"Tu vuoi solo leccargli il culo…"

"Cielo, Crouch" ridacchiò lei “Dammi tregua."

Barty le afferrò forte un braccio "Ci vai a letto, vero?" le domandò, inquieto.

Il sorriso della donna si ampliò "Non potevi fare il Pubblico Ministero come tuo padre, invece di venire a rompere le scatole a me?"

“Siete due pazzi psicopatici” si intromise Harry, ma tutto quello che riuscì a dire fu un grugnito incomprensibile. I due Mangiamorte si voltarono a guardarlo, perplessi.

"Sabato pomeriggio, partita di Paintball, medici contro avvocati" le accennò Barty, senza distogliere lo sguardo insospettito da Harry "Gli avvocati sono capeggiati da Moody, quel collega squilibrato di mio padre. Ci devi essere, Bella, dobbiamo stracciarli."

Lei smise di guardare Harry e poi si rivolse al collega con un sorriso arrogante "Sì, e magari mi metto anche a correre mezza nuda sopra a un tavolo."

"Ci sarà anche luuuiii…" canticchiò.

Bellatrix lo guardò, sconcertata "Questo è impossibile."

"Perché impossibile?" le chiese subito Barty, modulando il suo stupore per sembrare indifferente. Prese anche il cellulare che teneva nella tasca del camice pur di fingersi distaccato. "Allora?" la incalzò.

Bellatrix alzò gli occhi al cielo "Perché è impegnato con me, sabato pomeriggio!"

"Ecco! Lo sapevo!" strillò Barty, arrossendo come un papavero "Lo sapevo!"

"Oddio" sibilò Bellatrix, scocciata "Trovati un ragazzo, Benjamin, o Youporn, quello che preferisci."


 

***

 

La notte fu persino peggiore del giorno, Harry non chiuse occhio nemmeno per un secondo.

Inoltre, un inserviente grasso e dall’aspetto alticcio era venuto a dare lo straccio di fronte alla sua porta, e Harry aveva notato con orrore che si trattava niente meno di Codaliscia.

Ma almeno una cosa positiva c’era: aveva iniziato a sentirsi le gambe, i piedi formicolavano e poteva chiudere le mani a pugno. Stava progressivamente e lentamente riprendendo possesso di se stesso. La gola certamente bruciava in modo sempre più impietoso, però era un dolore irrilevante in confronto al guaio in cui si era cacciato. Doveva scappare e poi trovare Ron ed Hermione, e magari anche Silente, visto che sia Piton che Barty Crouch Jr. in quella falsa realtà non erano morti sul serio.

Magari era sopravvissuto anche Sirius, pensò, sentendosi invadere da un profondo e insperato senso di calore. La scintilla della speranza gli diede la forza di muoversi, di sollevare le ginocchia. Doveva alzarsi, uscire da lì, i suoi amici avevano bisogno di lui, anzi, il mondo magico aveva bisogno di lui. Lui era il prescelto, il bambino che è sopravvissuto, era suo compito sconfiggere Voldemort e riportare la pace.

Harry si alzò a sedere sul letto e si trascinò giù le gambe, aveva dei tremolii indiretti in tutto il corpo e la testa gli faceva male, ma non gli importava. Potevano anche legarlo a testa in giù, non si sarebbe arreso.

Toccò il pavimento con i piedi scalzi, ma come cercò di alzarsi, le ginocchia gli cedettero e lui cadde a terra. Fece un bel respiro e si aggrappò al bastone della flebo, i muscoli gli tremavano e sentiva male ovunque, ma doveva provarci. Quella probabilmente era una cella di Malfoy Manor che era stata trasfigurata nella stanza di un ospedale babbano. Voldemort si era davvero superato questa volta, ammise sconvolto.

Fece tre passi, poi altri tre, sorreggendosi sul bastone di metallo come se fosse un’ancora di salvezza. Quatto quatto arrivò alla porta, cercando di fare meno rumore possibile, ma appena si affacciò sull’uscio, fu costretto a nascondersi: c’era un’infermiera con la schiena ingobbita che stava controllando una cartellina, ma Harry riconobbe subito la sua vera identità: era Alecto Carrow, la Mangiamorte.

Aspettò pazientemente che la donna se ne fosse andata, e poi si addentrò nel corridoio buio e antisettico. C’erano lamenti e gemiti ovunque, persone ferite, richieste di aiuto, sembrava di essere finiti all’inferno e Harry pensò che non doveva essere poi molto lontano dalla realtà.

Fece altri tre passi felpati e superò la guardiola, ogni movimento era uno sforzo estenuante e si ritrovò ad ansimare per la fatica dopo neanche dieci metri. Ma come raggiunse gli ascensori di metallo, si fermò.

C’era una figura lunga e nera in lontananza, oltre due porte a vetri, che rendeva più nero il buio. Sembrava un Dissennatore, ma la sua miopia non gli permise di distinguerlo ed esserne certo. Gli pareva solo una macchia nera e oblunga, losca, che aveva iniziato ad avvicinarsi precipitosamente...

Harry strinse le palpebre e indietreggiò, sentendosi invadere da una angoscia profonda. Non era un Dissennatore.

Fece subito dietrofront, con le gambe che gli iniziarono a tremare e a formicolare per la fretta e la paura. Doveva fuggire, non era nelle condizioni di combattere, a stento si reggeva in piedi.

“Guarda che ti ho visto” sogghignò Voldemort alle sue spalle, prossimo a raggiungerlo. Ma Harry non si fermò, non si diede per vinto, doveva andarsene, doveva andarsene, doveva andarsene. Per un triste attimo, prese in seria considerazione l'idea di gettarsi giù dalla finestra.

“Fermati, codardo.

Quell’insulto ignominioso lo fece trasalire. E fermare. Harry fece un bel sospiro e si voltò per affrontare di petto il suo peggior nemico, proprio come avevano fatto i suoi genitori.

“Come avevo immaginato” gli disse Voldemort, divertito “Avrei giurato che ti saresti fermato.”

"Dammi la bacchetta" lo sfidò Harry, adirato "Affrontami da uomo."

Voldemort alzò le sopracciglia.

“Esiste una particolare sindrome che si chiama Complesso del salvatore o Complesso dell’eroe, per renderti meglio l’idea" iniziò, affabile "Le terapie sono ancora sperimentali e la ricerca non ha fatto grandi progressi nell’ultima decade, ma sono ottimista. Quando avrai finito con me, ti aspetterà un simpatico soggiorno in psichiatria.”

“Perché non mi uccidi e basta?” gli chiese Harry, sfinito.

“Perché non voglio ucciderti” gli rispose stancamente, accendendo la luce del corridoio. Harry dovette coprirsi subito gli occhi, la luce dei neon era tagliente. “Non sono io il cattivo" continuò Voldemort "Hai avuto un incidente, Harry, e sei finito in coma. Qualunque cosa tu abbia vissuto durante il tuo stato di incoscienza, non è stata reale

Harry si toccò la fronte, ma ovviamente, la pelle era liscia, la cicatrice a forma di saetta non c’era più. Scosse la testa, stava iniziando a rassegnarsi.

“Focalizza, Harry, cerca di ricordare” lo esortò Voldemort “Il pomeriggio del tuo incidente pioveva, faceva freddo, ma voi avevate comunque deciso di fare una gita al mare, finché tu non sei sparito e ti hanno ritrovato quattro ore dopo in una grotta, in coma. Che cosa è successo?”

Harry deglutì a vuoto e scosse leggermente la testa, come se volesse scacciare un insetto dai capelli. Aveva la nausea, gli oggetti intorno a lui si stavano bizzarramente duplicando. O forse era lui che aveva iniziato a vederci doppio.

“Quale grotta?” gli chiese, iniziando a iper ventilare. Per Merlino, stava davvero parlando con Voldemort.

“Tu sai quale. Dimmi che cosa è successo!” lo incalzò quest’ultimo, spazientito.

Harry non si lasciò incantare "So cosa stai facendo. Non vincerai, io non ho paura, io ti fermerò.”

“Non sono un tuo nemico, Harry.”

“Sì, invece!” gli strillò, mettendosi una mano sulla testa dolorante.

“Perché!?” gli chiese, curioso e al contempo irritato “Perché proprio io il cattivo?”

“No, la domanda è perché io!

"Certo" sospirò Voldemort, stancamente "Se non ti spiace, prendo una pastiglia di ibuprofene. L’insonnia mi provoca dei feroci mal di testa."

Harry lo guardò tremebondo mentre entrava nella guardiola degli infermieri e apriva un cassetto per ingoiare una medicina babbana. Sembrava così umano da fare impressione.

"Sei testardo, Harry, ma sappi che lo sono anche io. Non ti darò tregua finché non mi racconterai tutto e parlo sul serio. L'importante per me è vincere, non è partecipare. Se so di non vincere, io non partecipo" lo minacciò, Harry lo guardò con odio e non si dimostrò affatto sorpreso "E dato che ho speso gli ultimi sette anni della mia carriera a cercare un modo per risvegliarti, esigo avere qualcosa in cambio."

"Smettila!" gridò Harry, sudato e tremebondo "So che è tutta una farsa! E tu sei solo un codardo, hai fatto tutto questo perché hai capito che io stavo vincendo! Perché il bene trionfa sempre, Tom, e se anche non dovessi essere io a sconfiggerti lo farà qualcun altro al mio posto! E tu perderai e resterai solo, senza amici, senza amore, senza nulla."

Voldemort sospirò e si mise le braccia conserte "Commovente" giudicò sarcastico, stringendo gli occhi "E dimmi come li vedi i muri intorno a te? Tremolanti? O senti forse il pavimento instabile sotto i tuoi piedi, come se fossi in una barca in mezzo al mare?"

Harry non capì quella domanda, però in effetti i muri sembravano ondeggiare leggermente, e Voldemort gli parve più sdoppiato di prima.

"Sei cianotico, Harry. Tra meno di dieci secondi perderai i sensi e finirai sul pavimento" la voce di Voldemort era rimbombante, come se fossero finiti in una caverna "Amelia, portami subito un kit RCP, gentilmente."

"Sì, dottore" disse subito l’infermiera. Harry barcollò, le luci tutt’intorno iniziarono a balenare velocissime e lui sentì all’improvviso un dolore acuto alla testa, vide il soffitto, tutto gli parve sottosopra. Forse erano davvero in una caverna, magari Voldemort lo aveva materializzato.

"Chiama anche gli altri, di’ loro di portare una barella."


 

Un mese dopo




"Tra tutti i pazienti che ho avuto, tu sei stato in assoluto la sfida più interessante, più duratura e più coinvolgente di tutta la mia carriera, Harry. Come mi liberi dalla routine tu, non lo fa nessuno."

"Lasciami morire in pace" gli disse Harry, con una dignità che lo lasciò di stucco "Puoi anche prenderti la mia vita, ma io ho ancora il ricordo dei miei amici e dei miei genitori. E tu non potrai fare niente per cancellarli."

Voldemort si sporse verso di lui "Tu non conosci i tuoi genitori, Harry. Sei un figlio di ignoti che è cresciuto in un orfanotrofio."

A Harry sfuggì una risata esausta, ma Voldemort lo guardò con del compatimento "Non ti ricordi che prima del tuo incidente ero venuto a visitarti e tu avevi paura che ti volessi portare in manicomio?"

"No" ansimò Harry, scuotendo stancamente la testa "Quello eri tu, non io. Eri tu."

"Non ricordi neanche di Jenni? Quella bambina che hai gettato dentro un pozzo?"

"No, io ho salvato Ginny!" obbiettò Harry con gli occhi iniettati di sangue, la t-shirt fradicia di sudore "L’ho salvata da te! Dal basilisco! Tu sei Voldemort, tu sei il cattivo, tu uccidi le persone! Io voglio ritornare a casa! Per favore, ti prego, riportami a casa."

Forse, per la prima volta in vita sua, Harry vide Voldemort sorridere in modo non tirato. "Ora capisco" gli disse infatti, il suo viso si era come illuminato di comprensione "Io e i miei colleghi siamo i cattivi perché abbiamo cercato di guarirti e quindi di portarti via dal tuo sogno, dalla tua vita irreale, non è così?"

"Non è un sogno, è la realtà. E tu devi riportarmi indietro."

"Posso indurti il coma un’altra volta" gli rispose Voldemort, a bassa voce "Ma dopo poi non ne usciresti mai più. Il tuo cervello è già severamente compromesso."

"Non mi importa, non voglio uscirne" esclamò Harry, risoluto "Io devo tornare indietro, ho bisogno di tornare indietro, i miei amici hanno bisogno di me. Ti prego.”

Harry lo supplicò con lo sguardo e Voldemort non distolse il contatto visivo.

"Mi stai chiedendo di ucciderti, Harry, ne sei consapevole?" gli fece notare, ma il ragazzo fece un sorriso esausto e annuì "D’accordo, allora." continuò Riddle "Chiudi gli occhi e conta fino a dieci."

Harry lo fece e sentì subito dei rumori sinistri intorno a lui, dell'armeggiare. Qualcuno aveva chiuso le tende a listarelle della sua camera e le luci del neon si erano abbassate. Si era letteralmente messo nelle mani di Vodlemort, ma dopotutto era la morte l'ultimo nemico da sconfiggere.

"Uno" mormorò, sentendo il suo corpo rilassarsi progressivamente "Due..."

"Addio, Harry" lo salutò Voldemort, alzandosi in piedi.

"Tre..." mormorò e finalmente rilassò i pugni.

 



Era disteso a faccia in giù, ascoltando il silenzio.
Era perfettamente solo. Nessuno lo guardava. Non c’era nessun altro. 
Non era del tutto sicuro di esserci nemmeno lui.



 


 

Note
Le ultime due righe sono prese dal capitolo "King's Cross" dei Doni della Morte, dove Harry si risveglia dopo che Voldemort lo ha apparentemente ucciso...
Ah! Che brutta cosa che ho fatto. Lanciatemi pure i pomodori, ne avete tutto il diritto.
(E il teatrino tra Bellatrix e Barty era necessario, non potevo farne a meno).

   
 
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