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Autore: Shaara_2    17/01/2021    2 recensioni
Clementina è cresciuta con un lontano parente in un piccolo paese della Sardegna. A ventidue anni, finiti gli studi, sogna di rendersi indipendente e trovare finalmente la sua strada, ma la cattiva sorte che ha rovinato e ucciso sua madre e suo nonno sembra perseguitarla e lei sa di non potersi lasciare andare liberamente ai suoi sogni...
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6


La casa romana della signora Mancini era una villetta singola, situata tra eleganti palazzine basse degli anni ‘70. Era bianca con le pietre a vista sopra gli archi delle finestre e uno scudo di legno sopra la porta. Tutt’intorno alla casa si trovava un grande giardino con delle siepi, alberi da frutta e graziosi vasi di fiori. Di fronte al patio, immerso in un prato verde, si trovava un gazebo con un salottino in vimini bianco e, poco oltre, una piscina rettangolare con delle sdraio intorno. Una stradina di ciottoli bianchi accompagnava verso la cancellata in ferro battuto che separava il terreno dalla via principale.

Davanti alla porta, una coppia di filippini aspettava il nostro arrivo. Entrati in casa, dopo un piccolo ingresso, si accedeva ad un grande salone arredato a metà tra lo stile antico e l'etnico. I muri erano ricoperti di quadri alternati da nicchie in cartongesso nelle quali si trovavano delle statue di marmo. In fondo al salone si vedeva una porta a vetri colorati che probabilmente portava alle altre stanze e alla cucina. Fu proprio da quella porta che uscì una ragazza mora dall’aria allegra e gioviale.

“Bentornate!” 

“Tesoro, guarda chi è arrivata?”

La ragazza ci venne incontro saltellando. Diede un bacio alla signora Mancini e uno alla signora Ruda, poi si girò verso di me allungando una mano.

“Ciao, Clem, ti ricordi di me? Sono Alina. Ci siamo viste a Muravera, a casa di Antonio.”

Alina era di media statura, magra, con i capelli neri a caschetto e un jeans talmente stretto che se fosse andata dal ginecologo non avrebbe dovuto toglierlo per fare la visita. A parte i gusti discutibili sui jeans, sembrava una ragazza spontanea e sincera. In quel momento mi ricordò la ragazzina che avevo conosciuto da piccola, forse meno timida e senza l’apparecchio ai denti. Anzi, sicuramente molto meno timida visto che, senza aspettare una risposta, mi abbracciò con calore.

“Che piacere rivederti, Clem!”

Rimasi pietrificata, da noi non si usava manifestare tutto quell'affetto senza conoscersi bene e, leggermente sconcertata, ricambiai il suo saluto.

“Mi ricordo di te…”

Lei sorrise, agitando una mano in aria. “Bugiarda!” E mi abbracciò di nuovo. “Non importa! Allora, ti hanno presa alla Com, così, tutta vestita di nero? Si saranno toccati qua e là, mentre eri girata...”

“Alina!” La madre fece una faccia sconcertata. “Non si dicono certe cose. “Piuttosto, fatti raccontare com'è andato il colloquio.”

La signora Mancini si girò verso la madre per aiutarla a togliersi la giacca e un voluminoso cappello con le piume. Dopo, con delicatezza, la prese a braccetto e l’aiutò a sedersi sul divano.

“Alina non far affaticare la nostra ospite.” Disse la signora Ruda, cominciando a dare ordini. “E tu, Clementina, vieni a sederti qui che faccio portare qualcosa da bere.”

La domestica, una filippina di mezz’età e l’aspetto robusto, si avvicinò alla signora.

“Cosa potto pottare, signora?”

Mentre la signora Ruda dava indicazioni io e Alina ci sedemmo accanto a lei, guardandola con stima e simpatia.

“Mamma” disse a voce bassa la signora Mancini “visto che Clementina sarà stanca, perché non facciamo portare il pranzo?”

Le due donne cominciarono a discutere e Alina, afferrandomi per una mano, ne approfittò per trascinarmi fuori dal salone.

“Vieni, ti mostro la stanza.”

La seguii oltre la porta, fino alla zona notte della casa, riconoscibile per un corridoio rettangolare su cui affacciavano numerose porte. Le nostre stanze erano attigue, molto simili sia nella grandezza che nell'arredamento, solo che la sua era rosa e piena di foto mentre la mia era verde e decisamente impersonale. Un letto in ferro battuto bianco, con comodino e una sedia abbinati, un tavolo di legno con uno specchio, un puff e un'enorme cabina armadio. La mia vista cadde sulla nuvola di piccoli cuscini a forma di caramella e sognai di buttarmici sopra, dimenticando quella faticosa mattinata, ma Alina mi spinse in camera sua come se stesse per esplodere una bomba.

“Vieni, dobbiamo organizzarci! Tra una settimana tornerà papà dall’estero e mamma vorrà festeggiare. Ti ricordi le feste della mamma?”

“Alina, non vorrei deluderti, ma non ricordo molto delle vostre feste. Forse, una volta sono venuta qui, in Continente, ma non in questa casa. Credo che fosse quella di tua nonna.”

“È vero, Antonio non ti portava. Diceva sempre: “le feste non sono per le bambine.” Ma sapevamo tutti che era una scusa per tenerti lontana. Mamma pensa che tuo zio sia ossessionato dall’idea di proteggerti.”

“Alina, è per la maledizione… cioè, non c’è una vera e propria maledizione, ma lui ritiene che sia mio nonno che mia madre siano morti a causa di un amore  sbagliato, e teme che possa capitare anche a me. Io, comunque, faccio molta attenzione a non mettermi in pericolo...”

Alina si lasciò cadere nel letto, immergendosi nei suoi cuscini a forma di caramella.

“Conosco la storia. Mia madre conosceva la tua e mi ha sempre parlato di lei come di un angelo caduto dal cielo e nonna era una cara amica di tuo nonno. Di certo sono stati entrambi ingenui, ma non si muore per amore, semplicemente, le cose accadono... Non devi pensare che debba per forza capitare anche a te.”

“Oh, no! Io non ci penso. Per ora tutto quello che voglio è trovare un lavoro.”

Alina giocherellò con un cuscino, come se fosse sovrappensiero, poi si alzò di scatto per andare verso al suo armadio, aprendo una delle ante.

“Un lavoro, dici?” Si mise in punta di piedi per prendere un vestito. “Guarda qui, penso di mettere questo abito per la festa, ti piace?”

Il suo abito consisteva in qualcosa di minuscolo in tulle di organza rosso. Una fila di brillantini sul bustino foderato,  niente spalline e una gonna svolazzante con due o tre micro sottane dello stesso colore. Per i miei canoni di castità, non l’avrei messo neanche a Barbie-Prostituta, però, salvo lasciar cadere la mascella, non riuscii a dirle quello che pensavo, e me ne uscii con un timido: “sembra grazioso!?”

Lei rise e mi venne accanto. 

“Quindi, se ho capito bene, non hai un ragazzo?”

“Un ragazzo?? No, no! Nessun ragazzo.” 

Cercai di mostrarmi indifferente, non mi sembrava doveroso raccontarle che Antonio mi stava così addosso che avevo faticato persino ad andare alla cena di fine corso. Avere un ragazzo, poi… Comunque, a parte qualche cotta, peraltro durata pochissimo, non mi ero mai innamorata di nessuno. Avevo pensato persino di essere… beh, dell’altra sponda, ma mi ero accorta di non provare attrazione per le ragazze. In seguito, avevo conosciuto Mirko all’università e per colpa sua avevo passato non so quante notti insonni. Ma dopo averlo conosciuto bene, mi ero accorta che mi era indifferente. Forse, ero anaffettiva oppure non avevo trovato la persona giusta. Ad ogni modo, innamorarmi sarebbe stato un problema e dunque non ci pensavo.

Sollevai gli occhi e, solo in quel momento, mi accorsi dello sguardo divertito di Alina:

“Quindi sei vergine?” mi chiese a bruciapelo.

Sussultai, fingendo che la domanda non mi turbasse.

“Vergine? Perché?”

Lei scoppiò a ridere. 

“Non posso crederci! Alla tua età!”

“Io-io” diventai paonazza e quasi balbettai per la vergogna. “In realtà ho pensato, in accordo con zio Antonio, ovviamente… Ecco, io… gli promesso che sarei arrivata intatta al matrimonio, e che prima avrei chiesto il suo permesso. Ho pensato che così, forse, potrei evitare che capiti anche a me…”

Alina prima rise a crepapelle, poi diventò serissima e mi prese una mano.

“Senti Clem, voglio esserti amica. I tempi sono cambiati, adesso le donne fanno i figli anche senza mariti e scopano con chi vogliono, dove vogliono e quanto vogliono. E soprattutto non chiedono l’approvazione allo zio! Con tutto l’affetto che puoi provare per Antonio, non dovresti mettere la tua vita in mano ad un uomo così anziano. È di un’altra epoca, lo capisci? E se volesse tenerti tutta per sé?”

A quelle parole non riuscii più stare seduta e non volevo mostrarmi turbata, perciò cercai di fingermi convinta. 

“Alina, zio Antonio ha visto morire mio nonno e mia madre. Ha 85 anni, non potrebbe reggere un altro errore. Io ascolterò i suoi consigli… l’ho giurato. E, comunque, probabilmente non mi innamorerò di nessuno. Quindi, il problema non si pone.”

Alina spalancò gli occhi e si girò di nuovo verso l’armadio, frugando freneticamente tra i suoi vestiti. Un profumo agrumato si diffuse per la stanza. Dopo un lungo tintinnio delle grucce, si girò con qualcosa in mano. 

“Ti piace?” 

Era un abito identico a quello rosso, ma nelle tonalità del nero. Questo, tra dimensioni e colore, lo vedevo più adatto a Barbie-Regina della lap dance. E trattenendo una risata iniziai a pensare a cosa dirle per dissuaderla, ma lei voleva discutere ancora sul mio giuramento. Probabilmente doveva sembrarle inconcepibile. Ma la convinsi che per me quella scelta fosse la cosa giusta e dopo aver discusso per ore, alla fine, accettò le mie ragioni.

“Ora che sai tutto, riesci a capirmi?”

“No! Quando ero piccola, non vedevo l’ora di sposarmi, ma adesso… l’unica cosa a cui veramente penso è il … “ Alina mi fissò per un istante “beh, lascia stare…”

“No, no, parla apertamente!”

Alina diventò rossa e si mise a ridere, poi aprì la porta della camera e si mise a gridare.

“Mamma, è pronto il pranzo?”

 

Pranzammo insieme a sua madre e alla signora Ruda, che erano sempre gentili e affabili nei miei confronti. Sembravano come delle zie che mi amavano da sempre. Stare con loro era piacevole e mi faceva sentire felice e a casa. Ogni giorno mi accompagnavano a vedere monumenti, a teatro o a comprare qualcosa. Era tutto così meraviglioso che dentro di me non sapevo come avrei mai potuto tornare in Sardegna, se non mi avessero preso alla Com ma, nonostante le mie numerose preghiere, nessuno mi chiamò dopo al colloquio. Al punto che, verso la fine della settimana, avevo già perso la speranza. Per fortuna c’era ancora la festa per il rientro del Capitano Mancini, così, con Antonio, mi accordai che sarei rimasta ancora una settimana dopo al ricevimento e dopo, se non fosse cambiato niente, sarei tornata a Muravera. Che peccato! Sarebbe stato bello poter restare con la famiglia Mancini per sempre, ma Antonio aveva ragione: quella non era la mia famiglia e, probabilmente, Roma non era il mio destino.

 

Angolo dell'autrice:

Carissime/i, vi ringrazio per aver letto questa storia e grazie per ogni singolo commento che avete scritto.
Sappiate che vi sono riconoscente e se potessi vedervi di persona vi abbraccerei tutti.
Purtroppo, dalla scorsa settimana sono di nuovo sommersa di lavoro e tutto andrà più lentamente, però, cercherò di pubblicare un capitolo ogni domenica.
Grazie a tutti e un abbraccio virtuale <3
Shaara


Ps: Carissimi lettori scusate se sto tardando a rispondere alle recensioni e a voi cari scrittori, scusatemi se sto leggendo così a rilento. Purtroppo, sto lavorando veramente tantissimo e continuerò così fino a febbraio. Abbiate pazienza, passerò a terminare tutte le storie che ho iniziato. Inoltre, quando avrò tempo, voglio fare l'elenco delle storie che sto leggendo, così, se vi va, potreste anche leggervi e scambiarvi i commenti anche tra di voi. Tutte le storie che sto leggendo sono bellissime e anche voi siete tutti persone deliziose che meritano tantissima attenzione e affetto sincero. Aspettatemi, passerò prima possibile!
Un bacio 
Shaara_2

   
 
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