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Autore: _Bri_    18/01/2021    2 recensioni
Ma Sirius non impara mai e lo ha fatto ancora una volta, di correre via dalla sua stanza quando gli era stato chiesto, al contrario, di rimanere per aiutare suo fratello. O almeno questo è ciò che ricorda.
O crede di ricordare?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Splendore insopportabile in un buio catastrofico


 
È possibile catalogare il bianco?
Luce.
Abbagliante, freddissima e malinconica, terrificante a schiaffeggiare le pupille che si stringono, impaurite in un senso di costrizione da lei pretesa, diventano puntini minuscoli in quell’oceano di chiarore mortifero.
Ma che bella che è.
Sirius ne vuole di più, anche se le palpebre vanno a chiudersi in un istinto di sopravvivenza involontario. Insopportabile.
Non riesce a tollerare che qualcuno o qualcosa arrivi a determinare il futuro al posto suo. Sua madre lo ha sempre sgridato: un bambino troppo indisciplinato e autonomo, che non fa altro che causare guai.
Ma Sirius non impara mai e lo ha fatto ancora una volta, di correre via dalla sua stanza quando gli era stato chiesto, al contrario, di rimanere per aiutare suo fratello. O almeno questo è ciò che ricorda.
O crede di ricordare?
Sotto il suo corpo acerbo di ragazzo troppo alto e troppo magro percepisce il tappeto morbido dell’erba vestita di rugiada. Le mani scattano ad aiutare gli occhi, che stropiccia, ancora una volta, con riflesso incondizionato.
Da quanto tempo è lì, Sirius non lo ricorda più. Con coraggio tira via le dita e apre pianissimo gli occhi, scontrandosi con il chiarore tipico della luce di agosto.
Ma perché sente freddo?
Rimane in silenzio, intanto che gli occhi larghi scattano a destra e sinistra, terrorizzato senza sapere il perché. Non vuole muovere un solo muscolo, ha solo l’impellente esigenza di capire immediatamente come mai si trovi lì. Alle orecchie arriva il canto malvagio di un’orda di cicale e se si impegna, può sentire un cane abbaiare in un luogo non troppo lontano.
Le narici si allargano, voraci, e gli occhi si chiudono ancora, a trattenere stupide lacrime calde che sono corse lungo i dotti, agitate e ansiose di sgorgare quanto prima: l’odore è quello del prato gravido di fiori. Margherite e campanule, lillà timidi circondati dalle loro famiglie, erbe aromatiche come menta e rosmarino.
Ma perché, dannazione, sente freddo?
Le ginocchia sporgenti sono scoperte; non ha che un paio di calzoncini consumati a coprirlo. Proprio quelli che odia sua madre. E una camicia di lino chiaro a maniche corte fa sfuggire le braccia, atterrate nuovamente sull’erba.
Atterrite dalla gravità del suo animo spaventato.
E i piedi?
In qualche modo trova il coraggio di muovere le dita, rattrappite in un apparente rigor mortis. Anche quelle sono piantate sul terreno caldo, nude.
Schiude la bocca un paio di volte e la lingua scatta dentro di essa, vogliosa di catturare la saliva che la aiuterà a cacciare via quella secchezza innaturale, che avvolge lei e il palato in cui abita. Poi comincia a contare i denti con la punta, intanto che colma i polmoni di tutta l’aria che riesce a catturare per sé.
Panico.
Uno, due, tre, quattro, cinque… arriva il canino.
Ora che è padrone di tutti e cinque i sensi, Sirius capisce che quella grassa massa gelida e ingorda che si è posata sul suo sterno, ha la colpa di fargli sentire il freddo più freddo, nonostante l’agosto.
 
È-solo-fottuto-panico.
 
Ha sentito qualcuno parlarne, una volta. Ti senti come se stessi per morire o meglio: il panico ti convince che presto morirai. L’unico modo per combatterlo è concentrarsi sullo scorrere del tempo e capire quanto prima che la morte non è così magnanima da aspettare tutto quel tempo, prima di portarti via con lei.
Continua a contare i denti, da sinistra a destra, prima l’arcata superiore e poi quella inferiore e quando finisce ricomincia il giro e piano piano tornare a respirare si fa un po’ più semplice.
Li sente, dei passi esplodere sulla terra, ma lui non vuole dargli importanza; è di respirare che ha bisogno, solo di respirare.
Odia il panico, un’altra di quelle cose che non può controllare e del quale si è reso schiavo contro la sua volontà.
Certo che è un pensiero proprio stupido. È ovvio che la schiavitù non sia una scelta, altrimenti non esisterebbe nemmeno. Forse il suo cervello ha smesso di funzionare, visto che non fa che produrre nodi di pensieri così banali.
 
- La mamma è molto arrabbiata con te. -
 
Ha ripreso a contare i denti, Sirius. Ha ignorato i passi, ma ora non può fare altrettanto con la voce acerba di Regulus. Lo spia con un occhio e per un po’ smette di contare, incastrato nella figura seriosa del fratello che lo fissa con commiserazione, con le braccine allacciate strette e i piedi accavallati. Non che gli abbia detto qualcosa di strano e nuovo, al punto di distrarlo dal mantra respiratorio su cui si è concentrato per prendere a calci il panico.
Eppure.
Continua a guardare Regulus, mentre sente la morsa di dolore sfuggire via dal corpo; il più piccolo non sembra comprendere cosa sta accadendo nella testa di Sirius, tantomeno che forse è proprio il suo arrivo lì, ad averlo strappato via alle mani gonfie e livide della morte.
 
- Stai… stai bene? -
 
Disapprovazione, disappunto, rabbia: Regulus lascia andare questi sporchi sentimenti mentre la voce tituba e si incrina in quella domanda. Sirius capisce di averlo spaventato.
 
- Regulus… qui. -
 
Alza il braccio destro provando una fatica mostruosa, come se a trattenerlo a terra ci sia uno squadrone di demoni; però si sforza, perché è quello che vuole. Il palmo della mano si apre in direzione di Regulus, che lo osserva con timore.
 
- Mi… mi stai spaventando. Dai! -
 
- Per piacere, fallo… fallo per me. -
 
Il più piccolo dei Black osserva la mano tesa nella sua direzione; non è sicuro di volerlo fare, eppure è la prima volta che sente Sirius chiedergli qualcosa in quel modo che non crede di conoscere. Pietoso, esigente, bisognoso.
Non dice nulla, ma slaccia le gambette secche mentre sbuffa, così allunga una mano per allacciare quella di Sirius.
Stringere quelle piccole dita innaturalmente pulite, provoca un moto di emozioni violente nel suo petto e un sorriso scopre i denti che ha dimenticato di tornare a contare. Lo tira lentamente verso di sé e Regulus, dapprima insicuro, decide di assecondarlo.
 
- Mi dispiace tanto. – Sussurra Sirius che non riesce a resistere e tira il fratellino a sé, ormai scivolato al suo fianco incapace di fare diversamente.
 
- Io non ti ho mai capito Sirius. Ma dispiace tanto anche a me. -
 
E il nero?
 
Buio fagocitante e squallido. Sapore di ferro liquido, oscuro dolore, privazione della felicità.
Dove è finito quel caldo tepore? E l’estate con il canto delle cicale?
Come è evaporato il profumo delle margherite e dei lillà, del rosmarino fresco e delle ortensie di sua madre?
Quel cane non abbaia più. Deve essere scappato via, forse lo hanno ammazzato.
Quando è scomparsa l’erba fresca? E il sole di agosto è già affogato nella notte?
Dove è andato Regulus? Con il suo disappunto e le gambe scoperte. Con quell’aria di disapprovazione che sempre gli concede?
Prova a guardarsi intorno, Sirius. Ora le pupille hanno smesso di nascondersi e si spandono all’infinito, avide di quella fredda luce di agosto.
E il naso cerca il profumo di fiori e della pelle pulita di suo fratello.
Trema, scatta convulso il corpo tutto. È tornato il panico.
E un fruscio smuove quel buio e assorda le orecchie. Poi, finalmente, si allontana e scompare, lasciandolo al buio della sua cella.
Sente una voce implorare pietà, poi delle urla.
Si annoda nel suo corpo ridotto a un velo di pelle e ossa gracili e chiude gli occhi, nella speranza di tornare ad accecarsi di luce.

 

 
Dovrei scrivere una miriade di altre cose, lo so. Eppure oggi è uno di quei giorni in cui mi sembra tutto un po’ troppo grigio.
Erano secoli che volevo scrivere qualcosa su Sirius, che è in assoluto uno dei miei personaggi preferiti e forse, proprio per questo motivo, non mi sono mai sentita capace di affrontarlo. Alla fine è uscita fuori questa cosa triste, malinconica e sbagliata e quindi forse avrei fatto meglio a rimandare ancora, ma è scappata dalla mia testa e non sono riuscita a trattenerla.
Scusami Sirius, la prossima volta prometto di non farti male.
 
Bri
 
 
 
   
 
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