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Autore: Happy_Pumpkin    19/01/2021    5 recensioni
avrebbe conosciuto il suo soulmate, un giorno, nutrendosi nel frattempo di amori momentanei mischiati a flebili speranze che forse, ma proprio forse, quel cliente portato all’aeroporto sarebbe stato... lui, nessun altro che lui, quello giusto insomma.
Naruto Uzumaki guida un taxi in una Metropoli immensa, alla ricerca del suo Soulmate che sembra però essere destinato a non incontrare mai, in un'esistenza imprevedibile intervallata da irrinunciabili routine. Finché, un giorno, da' un passaggio a un uomo che gli cambierà per sempre quell'esistenza, rivoluzionandogliela a sua volta.
SasuNaru ! Soulmate!Au
[Secret Sancta 2020] [Buon Natale Angelica!]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Dopo le dimissioni del re Sargon a favore del figlio ancora minorenne Sennacherib, la vicina cittadina di Enkidu è ormai diventata centro focale delle attività del FLA, il Fronte di Liberazione Antimonarchica, dove il presidente Madara Uchiha dichiara che, non essendo sufficienti le revisioni legislative ed economiche a favore dei non-soulmate, abbatterà anche il nuovo governo a suo dire formato da arrivisti che tengono in pugno quello che lui reputa essere un re fantoccio.
È tempo che questa pagliacciata di monarchia e l’oligarchia che c’è dietro finisca. Le prime controriforme fatte per paura del FLA sono insufficienti e ridicole, oserei dire, in confronto a tutto quello che ancora c’è da fare: bisogna riformare anche e soprattutto la sanità e l’apparato contributivo, basta a questo sistema statico di vecchi ancorati alle tradizioni che ci hanno portato alla recessione economica più disastrosa degli ultimi secoli, oltre a un divario sociale esorbitante con la scusa di tutelare i soulmate, quando invece gli unici che aiutano sono solo loro stessi. Essere soulmate non deve però più fare la differenza sul piano sociale, mai più. Preparatevi!” così si chiudono le terrificanti parole del presidente Uchiha che pure gode di elevata popolarità, al punto che ha ottenuto l’immunità per…

Sasuke spense la televisione, ignorando la breve protesta di sua madre che a quel punto si limitò a scuotere la testa.

“Ti interessa continuare a vedere cos’ha fatto questo pazzo?” le domandò asciutto, il volto apparentemente neutro. A tavola acconto a lui Naruto trattenne un istante il fiato ma, dopo aver lanciato un’occhiata a Itachi e Shisui di fronte a sé, prese un altro boccone e continuò a mangiare.

La donna tamburellò una volta le dita sul tavolo, come riflettendo se rispondere, infine confermò: “Sì, mi interessa. Ed è grazie a questo pazzo se siamo tutelati, non tutti hanno la fortuna di incontrare il soulmate.”

Lanciò un’occhiata a Itachi, il quale finse di non accorgersene, bevendo un sorso d’acqua. Sasuke serrò le labbra, inspirando una volta a fondo con le narici dilatate. Avvertì Naruto stringergli la coscia da sotto il tavolo, dunque decise di non ribattere e accettare il fatto che col passare degli anni sua madre non avrebbe mai rimosso dal suo carattere inasprito quella parte di sé che disprezzava i soulmates. E il fatto che il suo figlio maggiore Itachi avesse incontrato il proprio in Shisui non cambiava le cose, anzi, forse addirittura le peggiorava: i due infatti avevano avuto la sfortuna di essere cugini, pertanto il pesante legame di parentela a complicava la questione.

Tutto sommato però, nonostante le ribellioni a sfavore, essere soulmate bypassava ugualmente tutte le leggi in merito a legami di parentela vicini ma non prossimi, quindi i due ragazzi avevano potuto ufficializzare la loro unione senza troppi problemi, eccetto forse quelli morali posti da Mikoto in primis.

Il secondogenito Uchiha guardò il fratello e non seppe, proprio non capì come facesse questi ad accettare ancora quegli stupidi pranzi in famiglia, finti, perché entrambi tentavano disperatamente di provare un attaccamento materno che in realtà non avvertivano, di certo non come un tempo. Cercò di buttare giù un boccone di arrosto ma scoprì di avere la gola così secca da faticare a deglutire, talmente tanta era la rabbia che provava. Altroché mangiare, avrebbe voluto ribaltare il tavolo e urlare a Itachi di andarsene, che Mikoto non lo meritava come figlio: si prendeva cura di lei e tutto quello che riceveva era un pranzo ogni tanto mai esente da frecciatine più o meno mirate.

Il problema più grande di tutti però – nonché quello che faceva in fin dei conti desistere Sasuke dallo scoppiare in quel modo – era che si trovava nella stessa posizione di Itachi quanto a incapacità di tagliare del tutto i rapporti con la madre. Sebbene incattivita dal tempo e dalle delusioni era pur sempre il genitore rimasto loro accanto, sempre, nel bene e nel male, nonché ad aver subito le ripercussioni di un marito non soulmate il quale, dopo un matrimonio di dieci anni e ben due figli, aveva improvvisamente trovato la propria soulmate e se ne era andato. Fugaku Uchiha aveva lottato per avere la custodia dei figli ma Mikoto si era rivelata una leonessa disperata, spendendo tutto ciò che possedeva – denaro, tempo, amore – pur di tenersi i figli. Il tribunale aveva stabilito presso di lei la residenza e custodia principale dei minori, con regolamentazione dei giorni e dei periodi paterni secondo calendario, ma né Itachi, né soprattutto Sasuke avevano voluto saperne nulla del padre: li aveva abbandonati, abbandonato la loro madre, dall’oggi al domani, come se tutto ciò che avevano creato non contasse più nulla, quindi non avevano ritenuto di dover rispettare alcun obbligo nei confronti dell’uomo.

Per questo, per non ripetere ciò che il loro padre Fugaku aveva fatto, né Sasuke, né Itachi se l’erano mai sentita di prendere le distanze da Mikoto. Persino quel giorno Sasuke arrivò al punto da provare quasi compassione per lei e, in fondo, amarla comunque: la sua mamma, invecchiata e così piena di rancore, che si sentiva quasi tradita da Itachi perché anche lui, come suo padre, aveva trovato un soulmate anziché restare per sempre vittima di un amore sospeso. Lo invidiava e questo era terribile.

Domani partirò per Enkidu – cambiò allora improvvisamente argomento il giornalista, girando un paio di volte la purea nel piatto, per poi pulirsi la bocca col tovagliolo e proseguire senza guardare nessuno in particolare – visti i miei articoli di questi anni e grazie alle manovre del direttore, sono riuscito a ottenere un’intervista con Madara Uchiha. Mah, forse è perché portiamo lo stesso cognome.”

Nessuno a tavola si mosse. Naruto appoggiò la forchetta e scosse la testa, consapevole che ovviamente il cognome identico c’entrava ben poco con tutta la faccenda: se Sasuke era riuscito nell’impresa era perché in quei due anni e mezzo da quando stavano assieme egli aveva dedicato anima e corpo alla questione del FLA, ma anche a tutte le forme di ribellione sorte negli stati vicini che avevano un simile sistema monarchico, viaggiando spesso come inviato in zone considerate a rischio. Conosceva Madara, come Madara ormai conosceva lui. Era per questo che persino uno che amava rilasciare dichiarazioni ma non interviste come il presidente del FLA aveva concesso un colloquio a Sasuke, non certo per una casuale omonimia.

Ovviamente Naruto sapeva del viaggio, sapeva anche che non avrebbe rivisto il suo compagno se non il giorno dopo, e allo stesso modo conosceva i rischi – non si sarebbe mai abituato all’idea di non sapere quando e se Sasuke sarebbe davvero tornato dai suoi viaggi.

Spero che non finirai per far arrabbiare anche il presidente come hai fatto anni fa con il suo vice, altrimenti stavolta mi sa che non te la caverai con una corsa in macchina” scherzò Naruto, cercando di alleggerire la tensione. Sorrise quando vide il sorriso spuntare sul volto altrimenti corrucciato di Sasuke, era sicuro che si stava spremendo in troppi pensieri come al suo solito.

Farò il possibile per tenere per me le mie posizioni contro il terrorismo” guardò sua madre quando lo disse. La donna per contro si alzò in piedi e iniziò a rassettare le prime cose dalla tavola, domandando: “Qualcuno vuole un caffè?”

Per me come sempre senza zucchero” disse Naruto, dopo che gli altri ebbero accettato. Sasuke e lui si guardarono un istante. Di riflesso Uzumaki tese meglio la manica per assicurarsi che il proprio marchio fosse coperto: come promesso aveva smesso di cercare. Non che gli fosse costato alcuno sforzo seguire la richiesta che tempo addietro, quella sera invernale a casa sua, gli aveva fatto Sasuke, semplicemente dall’oggi al domani non aveva ritenuto più necessario fermarsi in caffetteria durante la pausa, in attesa che qualcuno pronunciasse la fatidica frase. La verità era che non voleva che qualcuno eccetto Sasuke dicesse quelle parole, più in generale non desiderava in alcun modo conoscere il suo soulmate, mai; assurdo, per uno abituato a scommettere di trovarlo a ogni incontro casuale, ma persino ovvio: conoscerlo significava perdere Sasuke, e lui non era pronto, non lo sarebbe mai stato.

“Certo caro” confermò Mikoto, con una nota di dolcezza. Forse perché vedeva in lui una speranza per il figlio, la coronazione di una vita felice possibile anche senza soulmate, forse perché naturalmente capace di star simpatico, la donna aveva sviluppato un certo affetto per Naruto.

“Anche per Shisui senza zucchero” intervenne Itachi.

Vergognandosi senza averne il motivo, con la sensazione di aver rubato qualcosa, forse un posto nella scala gerarchica del voler bene, Naruto guardò un istante il fratello di Sasuke e il rispettivo compagno, stupendosi una volta di più di come si potesse essere genitori così ciechi, incapaci di vedere i figli meravigliosi davanti a sé.

Forse era per questa consapevolezza dell’incapacità materna che Itachi aveva sì un volto splendido, perfetto avrebbe detto Naruto, forse persino troppo, quasi da copertina, ma ammantato da una sorta di malinconia, come se la sua attenzione non fosse mai rivolta troppo a lungo alla Terra, astronauta distante anni luce con il cuore proiettato verso la sua personale stella: Shisui, che trovava sempre il modo di sorridere, di mostrarsi felice, di farlo ridere, di essere naturalmente complice con una sintonia splendida, quasi i due avessero una connessione neuronale ed emotiva costruita cancellando la macchia nera sul torace di entrambi; abbracciandosi la prima volta, da ragazzini, si erano amati e legati per sempre.

Non avevano dovuto attendere, cercare e cercare ancora. L’uno era sempre stato davanti all’altro. Ma questo li rendeva meritevoli di invidie o biasimo? Naruto pensava di no, riteneva al contrario che avevano lottato esattamente come chiunque altro, anzi, forse di più; era spaventoso che persino in un mondo come il loro, dove essere soulmate restava a prescindere una fortuna, dovessero comunque dimostrare qualcosa.

Guarda che me lo ricordo, Itachi, non è una cosa speciale” ribatté la donna. Serrò i denti, sembrò voler dire altro, ma si girò andando verso la cucina accanto.

In quell’istante Sasuke batté un pugno. Leggero, ma le posate tintinnarono: “Non deve parlarvi così.”

Per contro Itachi sembrò calmo, appoggiò le mani intrecciate sul tavolo e reclinò appena la testa, accennando una sorta di sorriso enigmatico: “Capisco che ci tieni a noi, fratellino, ma non prendertela. È fatta così, infelice e insoddisfatta, mi spiace solo che vivrà male gli ultimi anni che le restano.”

Sembrò esserci una nota malvagia, mitigata però da una sorta di affetto remoto, ancora persistente, come una malattia recidiva.

“Non ti conoscessi nel sentirti parlare così mi spaventeresti” ammise Shisui, con gli occhi sgranati e una faccia quasi buffa, in parte divertita. Naruto sorrise e scorse Itachi fare lo stesso prima di ribattere quasi profetico: “Magari non mi conosci poi così bene.”

“Seh, a chi vuoi darla a bere – scherzò l’altro, dandogli un buffetto sulla spalla, prima di dare un colpo di tosse e cambiare argomento per non imbarazzare troppo il compagno – ma Sasuke, smettiamola di elogiare Itachi che non è abituato, torniamo invece a te. Ah, Madara Uchiha. La città di Enkidu diventata praticamente la sua fortezza. Si prospettano due giorni di fuoco! Complimenti però, sei davvero un osso duro per essere arrivato a tutto questo.”

Prese il bicchiere, sollevandolo. Sasuke guardò un attimo il proprio, con Naruto che già glielo riempiva per brindare, cosa che alla fine fece anche se fu un gesto quasi accennato, a seguito del quale tenne la base del vetro tra le dita, girandola sulla tovaglia con fare pensoso. Dopo un istante infatti ribadì:

“Credo in quello che faccio, tutto qui. E Naruto… – si bloccò, respirò, poi proseguì – è stato paziente con me.”

Colto alla sprovvista mentre era in procinto di bere, l’altro si fermò e posò il proprio bicchiere, ridacchiando amabilmente in imbarazzo: “Ma non ho fatto nulla di che!”

Eccetto che lo lasciava andare, come sempre, come in ogni viaggio; nonostante la paura, il pericolo, l’ancestrale consapevolezza che un giorno forse Sasuke non sarebbe più tornato. Eppure lo accettava ogni volta, come aveva detto anni fa era quella la consapevolezza del rischio dei rispettivi mestieri. E del rischio di amare, avrebbe aggiunto.

Shisui ridacchiò a sua volta: “Allora dobbiamo brindare: a Naruto che ti sopporta.”

Sasuke si sfregò una volta con il pollice il palmo macchiato d’inchiostro indelebile, infine brindò assieme agli altri guardando il suo compagno negli occhi.

Ripensò alle nottate svegli a competere in qualche picchiaduro o nei giochi di corsa in macchina, le litigate perché, secondo Naruto, Sasuke si allenava di nascosto e doveva dargli la rivincita; gli incontri al pub con gli amici di Naruto che erano diventati anche suoi, tra le sigarette consumate fuori, al freddo, in compagnia di Kiba, le chiacchiere scarne ma sentite con Shikamaru che gli parlava della figlia, emozionandosi, la sensibilità di Choji e le risate collettive; i film visti allungando il divano mentre erano avvolti d’inverno dalla coperta e finivano per addormentarsi l’uno contro l’altro; le cene fuori che si concedevano nelle quali o l’uno o l’altro erano in ritardo a causa del lavoro, del traffico, di qualche strada chiusa perché era stato trovato un ordigno esplosivo, delle manifestazioni a favore o contro il FLA, la monarchia, il governo, i privilegi e le disuguaglianze; i piatti presi d’asporto le domeniche in cui erano liberi entrambi e non avevano voglia di uscire, dedicando il poco tempo che avevano solo per loro, nessun altro.

Perché era vero: quando si amava profondamente una persona le priorità cambiavano. Come poteva avere importanza la Terra e tutti i suoi abitanti quando si guardava un’unica stella amata ma mai, davvero mai abbastanza vicina, mai abbastanza capace con la sua luce e il suo calore di annullare del tutto il resto.

Per questo Sasuke amava le mattinate pigre con Naruto, i piccoli battibecchi quotidiani, il farci l’amore quand’erano solo in tuta e pigiama, a volte con le calze ancora addosso e in bocca col sapore della colazione, del caffè, del pranzo non finito, negli occhi l’ultimo fotogramma di un film prima di baciarsi.

Per preservare tutto questo non toglieva mai i guanti d’inverno, d’estate indossava quelli tagliati in cotone, nessuno faceva domande, sembrava una fissa come un’altra, quando invece non poteva sopportare di mostrare la propria macchia a qualcuno Macchiato come lui e magari… trovarlo, trovare il soulmate che da qualche parte in quel mondo da cui Sasuke tentava di fuggire ancora lo cercava. Non toccava nessuno, eccetto pochissime persone, ma non sentiva la mancanza di un contatto: Naruto era già quel contatto, la sua famiglia, oltre a Itachi e Shisui. E a sua madre che pure, nonostante tutto, continuava a tenersi vicino.

Nel bagnare le labbra col vino dopo aver brindato, in un pensiero subitaneo, di quelli involontari come un guizzo muscolare, si chiese cosa ne fosse di suo padre. Ogni tanto questi gli mandava un messaggio di auguri, o di buone feste, ma Sasuke non rispondeva mai; farlo gli sembrava di portare a tradire tutto ciò che era, che aveva conquistato sino ad allora: un amore per cui aveva lottato, ma persino una madre che a differenza dell’uomo non aveva ancora abbandonato.

Mikoto arrivò con i caffè, lo guardò e gli sorrise, con la benevolenza di chi avesse perdonato qualcosa. Forse lei lo sapeva. Forse comprendeva meglio di chiunque altro la fragilità di quei momenti, dei sentimenti, degli attimi irripetibili. Per questo gli sorrideva e già lo perdonava se avesse vacillato ancora.


*


La stanza era ampia, con le pareti di un bianco puro che creava un contrasto quasi accecante coi mobili in arte povera presenti, il cui legno scuro odorava di cera e vagamente ancora di resina, come se fossero stati appena tagliati e ricomposti per quell’occasione speciale.

Seduto al centro di un divano bianco panna, quasi affondando nell’incavo tra un cuscino e l’altro, con le gambe accavallate, i guanti tolti accanto a sé e il blocco per gli appunti appoggiato sulla coscia, in silenzio Sasuke osservò prima Madara seduto davanti a lui, poi la donna con eclettici capelli rosa accanto. Sakura, così l’aveva presentata quando si erano incontrati prima di accomodarsi nell’ampio salotto, al cui ingresso sostavano due uomini, probabilmente la scorta.

La stanza era inondata di luce che passava attraverso le ampie porte-finestre collocate su di un bel giardino verdeggiante, che rigurgitava vita nel pieno del risveglio primaverile. La stanza stessa profumava di fiori oltre che di legno e di pulito, i cui pavimenti lucidi restituivano i riflessi dorati del sole attraverso i vetri.

Dopo aver appoggiato il registratore sul tavolino, Sasuke si slacciò il primo bottone della camicia e senza cambiare posizione delle gambe introdusse l’intervista come di rituale, coi primi riferimenti alla situazione politica attuale e le ultime dichiarazioni rilasciate da Madara stesso.

“Dunque, supponendo che la monarchia cessasse di esistere, come dovrebbe essere formato il governo? Bisognerebbe creare una costituzione?”

Partì senza mezze misure. Non era d’altronde conosciuto per compiacere chi avesse davanti, ma nemmeno incastrava con domande scomode che mettevano a disagio. Il suo compito era informare e investigare, tirando fuori risposte oltre a riflessioni, non confessioni o lodi; Madara Uchiha lo sapeva, forse necessitava di quelle domande, o non si sarebbero mai trovati così a parlare nel cuore della sua casa.

In effetti l’uomo fece una sorta di mezzo sorriso, gli occhi infossati in qualche ruga brillarono di una luce diversa, ma nel complesso l’espressione rimase piuttosto neutra e attenta, di chi non aveva bisogno di fare la prima mossa e studiava l’interlocutore per decidere solo in seguito come agire.

Gli occhi di Sasuke tornarono sulla donna un istante, la scorse emettere un breve sospiro anche se il suo sguardo dalle iridi verdi non si distoglieva da lui, forse lo stava studiando a sua volta. Una mano era appoggiata forse inconsapevolmente sul ventre appena sporgente: doveva essere incinta di diversi mesi, c’era infatti un gesto di protezione in quel modo che aveva di racchiudere il nascituro in un abbraccio. Indossava un vestito leggero ma di eleganza semplice, con guanti raffinati che arrivavano fino al gomito e scarpe dal tacco basso dal gusto vintage.

Quando Madara cominciò a parlare, Sasuke lo seguì appuntandosi parole chiave, idee per ulteriori domande o approfondimenti; nel farlo, nel vedere le lettere confluire sulla carta tramite l’inchiostro, avvolto dal silenzio della stanza e dal tepore tardo-primaverile, una parte della mente del giornalista si trasportò all’alba di quella mattina, quando aveva salutato Naruto prima di partire: il sole era forse più giallo, filtrato attraverso le nuvole pigre delle prime ore del giorno e in parte ostacolato dall’imponenza delle montagne a ridosso dell’orizzonte, dai profili degli edifici che in qualche modo sembravano cercare disperatamente di ritardare la salita dell’astro al vertice del cielo, regalando qualche ora ancora di sonno sotto le coperte, di momenti assieme, di coccole prima di doversi alzare.

Stasera ti trovi con gli altri?” gli aveva domandato, posando all’ingresso il borsone con il cambio di vestiti.

“Sì, pensavamo di andare con la metro fino alla steakouse, l’hanno riaperta dopo…” aveva lasciato in sospeso il resto della frase.

Dopo l’attentato di sei mesi fa? – proseguì per lui Sasuke, diretto come sempre, senza distogliere lo sguardo da Naruto – ancora oggi penso sia una fortuna che l’ordigno fosse esploso prima del turno serale. Sono contento riapra, molte attività stanno riprendendo da quando il FLA ha allentato la presa, fa sembrare quasi che un’eventuale impennata lavorativa sia merito loro, pazzesco.”

Si abbassò per coccolare Cerbero che era corso scodinzolando, quasi avesse intuito dal tono della voce, dal modo forse in cui Sasuke aveva di muoversi, che il padrone stava per partire. Gli accarezzò il pelo un po’ ruvido, dispensandogli qualche grattino dietro le orecchie, per poi vederlo correre ancora e portargli una pallina, sull’onda dell’entusiasmo. Sorrise. Gli sarebbe mancato, incredibile quanto un animale sapesse entrare di prepotenza e con affetto strabordante nella vita di chi decideva di adottarne uno. Riempivano tanti vuoti e lasciavano voragini quando se ne andavano.

“Oggi pensavo di prendermi un attimo e portarlo al parco, ti ricordi la cagnolina della settimana scorsa? Magari la rivede” ipotizzò Naruto, per poi prendere la pallina e lanciarla attraverso il breve corridoio che dava verso lo studio e la stanza da letto. Cerbero partì all’inseguimento con la rapidità di un missile e solo allora Sasuke si alzò, prendendo la mano di Naruto:

“Andiamoci assieme domani, quando torno.”

“Ma sarà tardi, immagino sarai stanco e…”

Scosse la testa: “No. Mi farà bene.”

Naruto allora intrecciò le proprie dita con quelle del compagno e annuì: “Allora facciamo domani sera – si voltò verso Cerbero che era tornato con la pallina – mi spiace Sbarbino, incontrerai la tua fiamma forse questo weekend, però ti aspetta passeggiata extra-lusso al chiaro di luna.”

Lo accarezzò facendo versi stupidi. Sasuke lasciò lentamente la presa e li guardò mentre si ringhiavano giocosi a vicenda: Naruto era fatto così, adorabilmente scemo, capace di soprannomi assurdi da dare persino al cane, un pilastro di serenità e fonte costante di risate; anche e soprattutto quando le cose si facevano difficili e Sasuke temeva di chiudersi troppo, Naruto gli ricordava di non farlo, di tornare da lui.

Stai attento a Enkidu” gli disse all’improvviso Uzumaki tra una carezza e l’altra al cane, continuando a guardare quest’ultimo. Sembrò una cosa detta quasi per caso, senza importanza, ma il suo tono era serio, maturo, come se ci fosse un’altra persona sotto lo strato giocoso che animava Naruto.

Starò attento” confermò Sasuke. Guardò il soggiorno, i loro mobili, i libri, le cose a terra da rimettere a posto con una sistemata veloce, la custodia di un film in blu-ray guardata la sera prima, il pranzo al sacco che Naruto avrebbe mangiato in giornata ancora da mettere via, appoggiato sul tavolo assieme alla colazione appena consumata assieme. Persisteva l’odore di caffè, di marmellata, dell’aria fresca dell’alba entrata attraverso le finestre lasciate ancora aperte in camera.

Si fotografò nella mente quel momento, ciò che gli apparteneva e che amava, quasi per portarselo con sé in viaggio, anche se sarebbe stato breve ma non abbastanza in prospettiva a ciò che gli aspettava, a quanto gli era costato e a quanto gli altri richiedevano da lui.

E ora, mentre Madara parlava, mentre la donna chiamata Sakura seduta composta lo osservava, Sasuke davanti a sé vedeva casa sua, il suo compagno, il suo cane, tutto ciò che avevano creato nel tempo nonostante la paura sepolta che un giorno la loro bolla d’amore sarebbe magari scoppiata, o forse altro sarebbe stato perso nella metropoli immensa in cui vivevano, per colpa di Madara, del FLA, delle rivolte, del bisogno così disperatamente umano di lottare, di perdere, di sacrificare per ottenere libertà e diritti.

Mi mancano.

Lo scrisse sul blocco degli appunti, accanto a parole come diritti, parlamento costituzionale, abrogazione, diplomazia estera.

Lei non ha conosciuto il proprio soulmate, vero?” domandò all’improvviso Madara, dopo che Sasuke ebbe chiuso il blocco degli appunti e spento il registratore. Il giornalista sollevò lo sguardo, desistendo dalla tentazione di guardarsi le mani nude e coprirsele. Non rispose subito, aprì infatti la borsa a tracolla ai piedi del divano e solo allora confermò:

“Non l’ho conosciuto.”

Nemmeno io – Sakura lo guardò, sembrò in procinto di dire qualcosa ma si zittì – E mi sento libero. Questo negli anni è stato dimenticato, la gente prima delle ribellioni era ossessionata dal trovare il soulmate, abbandonando tutto il resto.”

Sasuke finì di mettere via le cose, riflettendo che un tempo gli avrebbe dato ragione; forse, per certi versi, Madara aveva ancora ragione, magari era Sasuke ad aver smaltito una buona parte della rabbia tenuta in corpo per quello che era accaduto con suo padre. Ripensò a Itachi, alla sua felicità nonostante la loro madre, così come ripensò a Naruto, alla frase semplice ma altrettanto essenziale ancora incisa sul suo braccio.

Questo è vero, ma a che prezzo?” domandò mettendosi la borsa a tracolla. Non c’era provocazione nella domanda però fu la seconda volta che vide un bagliore diverso negli occhi di Sakura, la prima era stata quando Madara aveva detto di non aver mai conosciuto il suo soulmate. Si rimise i guanti e tornò ad allacciarsi il bottone della camicia.

“Mi assumo la responsabilità di quel prezzo. Se non io, qualcun altro avrebbe iniziato tutto questo. La violenza, i traumi, la perdita sono gli unici modi per risvegliare un popolo dal torpore di una vita lobotomizzata” asserì Madara, alzandosi a sua volta in piedi imitato dalla moglie.

Erano splendenti, come se attraverso le finestre di quella casa immersa nel verde, lontana dal mondo di orrori che avevano creato, avessero potuto dialogare direttamente con il Sole.

Se suo padre non se ne fosse andato, forse Sasuke non avrebbe mai avuto il coraggio di iniziare la relazione più felice della sua vita. Ma Naruto che traumi, che perdite aveva avuto? Cosa l’aveva spinto se non la sua forza d’animo a smettere di cercare il soulmate?

“Non per tutti vale quello che ha detto.”

Davvero?” accennò un sorriso, gli occhi erano attenti, così come quelli della donna.

Ma importa poco, immagino. Di fronte alla storia e al suo corso il popolo è una massa, il singolo cessa di esistere. Il singolo conta solo quando prende decisioni per tutti gli altri.”

Si preparò a prendere congedo.

Fu allora che Sakura, all’improvviso, ancora accanto a Madara disse: “Tu sei il giornalista a cui oltre un anno fa Johnson ha sparato.”

Ci fu una nota divertita nella sua realizzazione, appena percettibile nel suono serio eppure armonioso delle sue parole. Madara fece un fischio e applaudì un paio di volte:

“Fai parte di quei non lobotomizzati, immagino” notò, dandogli a sua volta del tu.

“O forse anche io avevo bisogno di far perdere qualcosa a qualcuno” risposte l’altro, scrollando le spalle come se non contasse.

Madara inspirò più a fondo, quasi riflessivo, ma non rispose. Salutò Sasuke: non gli tese la mano, né ovviamente questi lo fece, anche se notò subito che Madara non aveva alcuna macchia sui palmi.

Fu Sakura ad accompagnarlo alla porta dopo aver dato un cenno di congedo agli uomini vicini al salotto, con il suo vestito semplice e che le stava così perfetto, quasi cucito addosso.

“La ringrazio, è stata un’intervista interessante. Non siamo abituati devo dire.”

“Partecipa sempre alle interviste di suo marito? L’ho vista accanto a lui in ogni dichiarazione” domandò incuriosito Sasuke.

La donna accennò un sorriso e annuì: “Per quelle poche mai fatte… sì. Il FLA è una creatura di entrambi.”

“Perché allora solo Madara Uchiha parla di sé come Presidente? Non dovrebbe essere lei più partecipe, anziché una spalla decorativa?”

Si morse un labbro, deviando lo sguardo rabbuiandosi. Sorprendentemente, il sorriso della donna si addolcì e ribatté, con altrettanta calma nonostante gli occhi fossero vividi e trasmettessero la carica del fuoco: “L’abbiamo deciso tanti anni fa, quando io non avevo che vent’anni e lui era soltanto un operaio qualsiasi. Sapevamo che sarebbe stato un percorso difficile, per questo Madara mi ha voluto proteggere, prendendosi le responsabilità di fronte al mondo delle scelte disumane. Ma non lo voglio lasciare solo di fronte a quel mondo, capisce?”

Si guardarono un istante, solo loro, con la porta ancora chiusa in quell’atrio tanto più piccolo rispetto alla stanza immensa in cui erano stati a fissarsi.

“Certo che lo capisco. Forse non lo accetto del tutto, ma lo capisco.”

“Madara è un uomo complesso e tormentato. Lo siamo tutti in fondo. Ma è un combattente, lo amo per questo. Soprattutto… non odia chi ha un soulmate, lotta anche per loro.”

Sasuke sollevò un sopracciglio: “Questa mi è nuova.”

La vide arricciare appena il naso in una smorfia quasi giocosa di disappunto, corredata da un indice sollevato in una posa ammonitrice: “Non sia sempre così tagliente. Il fatto è che prima di essere soulmate si è anche persone, individui, bisognerebbe essere riconosciuti come tali e non solo in funzione del proprio compagno – sembrò voler aggiungere altro, ma sospirò e si portò le mani dietro la schiena – arrivederci, Sasuke Uchiha.”

Fu più asciutta nel dire quelle ultime parole, quasi volendo rientrare in carreggiata e prendere le distanze.

L’uomo allora la salutò a sua volta e di riflesso allungò la mano per aprire la porta. Sakura lo anticipò, ma di poco, così finirono per bloccarsi entrambi a mezz’aria.

Risero, scaricando le tensioni, e per un attimo la stanzetta vibrò di quelle risate. Senza rifletterci la donna tese allora quella stessa mano verso di lui:

“A prescindere da come andrà il futuro, è stato un piacere conoscerla.”

Sasuke la strinse a sua volta d’istinto, replicando: “Anche per me.”

I rispettivi palmi si toccarono e le dita si strinsero... sigillando con la pelle un’attesa di oltre trent’anni.

Con un gesto così stupido e semplice, Sasuke e Sakura scoprirono le loro carte e che quelle carte erano identiche, un mazzo condiviso e poi riunito, realizzando di aver trovato ciò che per tutto quel tempo avevano tentato disperatamente di ignorare, di lasciare indietro, di non conoscere perché già appartenevano a qualcuno che non erano loro due.

Loro due. L’uno il soulmate dell’altra.

Una scarica elettrica che partì proprio dai rispettivi palmi e percorse il braccio in una risalita pazza, meravigliosa, affamata, per arrivare fino in testa, una folgorazione all’encefalo che fece battere loro i denti e rabbrividire, prima gelo e poi caldo, i peli che si rizzarono e i capelli che sembrarono sollevarsi, mentre l’epitelio sensibile captava ogni singolo atomo dell’altra persona, richiamandosi.

Entrambi si allontanarono di scatto, ustionati, folgorati, colpiti, trasportati e terrorizzati. Sasuke sbatté il gomito contro la porta e Sakura si appiattì contro il muro, ansimando entrambi. Non riuscirono a smettere di guardarsi, gli occhi umidi non si chiusero una sola volta.

“No” mormorò Sasuke, scuotendo appena la testa. Poi si guardò lentamente la mano, costringendosi a distogliere lo sguardo da Sakura.

Vide il palmo, il proprio palmo la cui macchia d’inchiostro cominciava lentamente a dissolversi, come se un solvente invisibile la stesse portando via. La toccò, per chiederle di restare, per non farla andare via e lasciarlo nudo, esposto e vulnerabile.

Ringhiò, serrò i denti, mormorando con le lacrime di rabbia agli occhi: “Idiota. Stronzo. Come hai potuto abbassare la guardia, come hai potuto permetterlo?”

Strinse allora i pugni, sigillando le labbra, chiudendo gli occhi per cercare di contenere il proprio mondo che si stava disgregando. E di seppellire quell’assurda sensazione… di completezza, sì, di completezza e quindi di pace che si stava facendo strada in lui, strisciando attraverso le distese dell’orrore e della paura, attanagliando ogni fibra di cuore colma d’amore per Naruto.

“Mi dispiace” mormorò Sakura, a sua volta con gli occhi lucidi, stringendo con quella stessa mano coperta ancora dal guanto il vestito al proprio petto. Afferrò ansimando la maniglia della porta e la spalancò, deglutì infine chiese: “Non roviniamo tutto.”

Sasuke la fissò, incapace di muoversi. Fu come se la sua testa caotica non riuscisse più a comandare il corpo. Voleva fuggire, ma al tempo stesso faticava ad accettare di perdere ciò che aveva appena ritrovato, strappando con dolore qualcosa di sigillato in quella stretta, come se in quell’ingresso fossero stati versati pelle e sangue.

Ripensò a Naruto, alla sua casa, alla sua vera casa, e mosse un piede verso la soglia. Poi un altro. E un altro ancora. Anche se gli occhi verdi di Sakura alle sue spalle lo fissavano, perforandogli la schiena per arrivare dritti al cuore, quasi già lo avessero il pugno, e lui tenesse a sua volta quello della donna, stretto nel proprio palmo ancora serrato.

Arrivato sul marciapiede si costrinse a non voltarsi per vedere Sakura – non la conosceva, non sapeva nulla di lei, eppure non sapevi nemmeno nulla di Naruto ma ci sei andato addirittura a letto, cosa cambia? – e provò quasi sollievo ma anche paradossale struggimento quando udì la porta di casa chiudersi.

Affondò le mani nelle tasche e corse alla macchina, con il fiatone, quasi la lontananza gli stesse rubando ossigeno. Cercò nella borsa a tracolla le chiavi ma faticò a trovarle, così la svuotò sul marciapiede, sul quale rotolarono le sue penne, i suoi appunti, il registratore, la sua piccola stupida vita riversa su di una strada. Afferrò le chiavi, rimise alla buona le cose dentro la borsa e con le mani che tremavano cercò di infilarle nel quadrante d’accensione, una volta che si sedette al volante. L’auto aziendale partì, allora Uchiha si allacciò le cinture faticando anche in quel caso e si diresse verso il motel.

Avrebbe potuto guidare di notte e rientrare a casa ma scoprì di non avere le forze, poi la sola idea che domattina gli sarebbe spettato anche il giro per Enkidu con quelli del comitato di Madara gli faceva venire il voltastomaco.

Come poteva andare a casa in quelle condizioni? Naruto avrebbe capito, avrebbe capito tutto. Si guardò il palmo, fermo al semaforo, e si chiese cosa sarebbe successo tra di loro. Ripensò a suo padre, quello stronzo figlio di puttana di suo padre, e all’improvviso provò pietà per lui, pietà e quasi compassione.

Che colpa ne avevi? Come potevi resistere, come potevi stare lontano dal tuo soulmate dopo aver provato così tanto, in così poco tempo e così tanto facilmente? Dobbiamo lottare talmente tanto nella vita che sembra incredibile poter sentire tanta felicità senza il minimo sforzo eccetto lasciare che la natura faccia il suo corso.

“No!” gridò rauco Sasuke, tirando un pugno al volante. Il clacson suonò in risposta, riecheggiando per le vie di Enkidu, perdendosi oltre gli alberi e le case a schiera della zona residenziale.

“Io ero felice. Ero perfettamente felice” lo disse e immaginò che anche Sakura potesse sentirlo e rispondergli:

“Anch’io ero perfettamente felice prima di stringerti la mano.”


*


Seduto sul letto del motel, Sasuke guardò il cellulare. Il laptop era ancora aperto sulla scrivania, con le ultime mail e l’articolo dell’intervista già mandata al suo ufficio per una prima revisione; poco distante, il posacenere in plastica restituiva fili leggeri di fumo mentre il nome sbiadito del motel sul fondo era parzialmente coperto da diversi mozziconi di sigaretta. Lesse il messaggio di Naruto, al quale non era ancora riuscito a rispondere.

Come stai amore? Ahahah visto, la distanza ci rende un po’ più teneri. Hai insultato anche Madara o è andata super bene come credo? Tra poco vado alla steakhouse, mangio carnazza anche per te, forse perché immagino solo di averti accanto. Mi manchi.

Si passò una mano sul volto, poi tra i capelli.

Anche lui gli mancava, cazzo se gli mancava. Avrebbe voluto abbracciarlo, sciogliersi da quell’alterigia da stronzo di cui ogni tanto si rivestiva, e chiedergli, implorarlo, che potesse dirgli che andava tutto bene, che il mondo non sarebbe finito per una stupida macchia cancellata.

Ma cosa poteva scrivergli che non fossero bugie? Come poteva scrivergli che gli mancava e che lo amava, quando a pochi chilometri da lì, struggendosi, c’era la sua soulmate? Doveva dirglielo, doveva confessargli quello che era successo, ma per telefono era da schifosi. E… poi? Egoisticamente aveva paura, paura che tutto sarebbe finito, non era ancora pronto, anche se una parte di sé gli chiedeva di farlo, di lasciarlo andare e accettare che le cose sarebbero comunque andate bene, che la sua felicità era semplice, a portata di mano. Anche il loro amore in fondo era semplice, senza troppe pretese, fatto di una quotidianità normale vissuta tra le mura di casa, con le spese di ogni giorno da affrontare, le bollette, il mutuo, Cerbero da portare a passeggio e le cene assieme sul divano mentre guardavano un film. Un amore come tanti, che avrebbe potuto provare chiunque ma non per questo meno valido: sapeva cosa comportava, poteva riprovarci.

Il palmo bruciava, come se tutto ciò che era cercasse di ferirlo. Lo massaggiò, con l’inchiostro che stava svanendo sempre di più, rivelando lentamente la nuda pelle con tracce arrossate, quasi essa non fosse abituata a essere esposta al mondo.

All’improvviso il telefono suonò. Per un attimo Sasuke temette – e desiderò – che fosse Naruto, poi vide si trattava di un numero che non conosceva, un altro cellulare.

Rispose.

“Pronto?”

Fu sorpreso di come la sua voce suonasse seria, responsabile, nonostante il maremoto che lo stava facendo affogare.

Trattenne il fiato quando udì una voce di donna, di Sakura: “Sono io, Sasuke.”

“Come hai avuto il mio numero?” domandò sul chi vive, alzandosi in piedi. Ma si ritrovò a sorridere. Di nuovo quel senso di sollievo. Del ritrovare dopo aver perduto.

La sentì ridere, una risata un po’ spenta: “Il tuo biglietto da visita quando ti sei presentato.”

“Capisco.”

La sua voce si spense. Anche Sakura non parlò e per qualche secondo udirono solo i rispettivi respiri attraverso la linea.

“Io…” accennò la donna. Sasuke disse la stessa identica parola. Tacquero entrambi.

Fu lei a proseguire dopo un attimo, con fatica, come se ogni parola gli costasse sangue e dolore: “Ho riflettuto e… non vorrei ma…”

“Mi manchi.”

Lo dissero ancora una volta assieme. Una volta di più, con più sentimento.

“Dove sei?” gli chiese. Sasuke sentì un singhiozzo sommesso dall’altra parte del telefono che gli strinse il cuore.

“Madara cosa ti ha detto?” domandò di fretta, preoccupato, disperato, quasi Sakura e la sua esperienza potessero essere una guida. E una speranza.

Non gli ho detto nulla – tacque, la voce le tremò – Sasuke ancora non ce la faccio a dirglielo. Ma lui lo sa, lo capirà per forza, ci conosciamo e…”

“Sono al motel sulla principale, vicino all’ingresso alla statale” rispose l’altro. La sua voce suonò di nuovo calma, controllata, non seppe perché, sapeva solo che doveva vedere Sakura. Parlarle, capire se stava bene e poi… si morse il labbro, serrando i denti.

“Arrivo a breve.”

Finirono la telefonata e allora Sasuke si chiuse in bagno. Si fece una doccia, poi con ancora l’asciugamano avvolto attorno alla vita e i capelli umidi che gocciolavano, si guardò allo specchio. I contorni erano appannati dai residui del vapore, nella stanzetta faceva caldo, gli sembrava di respirare acqua e odore di bagnoschiuma dozzinale.

Si portò i capelli all’indietro e appoggiò le mani sul lavandino umido di condensa, stringendo il bianco lucido della ceramica.

Lo sguardo che vide era lo stesso che aveva visto anche Naruto quel giorno in cui lo aveva fatto salire sul suo taxi? Forse aveva qualche ruga d’espressione in più, qualche capello bianco, un chilo che non avrebbe mai smaltito. Una macchia in meno sulla pelle.

“Mi spiace. Mi spiace Naruto – tolse con il palmo le ultime tracce di appannamento, sentendo il freddo del vetro contro la pelle – mi spiace papà, per averti giudicato senza sapere.”

Si asciugò i capelli, poi si rivestì con fare quasi metodico, usando il cambio pulito che sapeva del suo detersivo e non del profumo di legno e fiori della casa di Madara e Sakura. Gli sembrò di indossare una parte di sé, di ciò che era.

Quando si avvicinò al letto, vide il registratore e accanto il blocchetto degli appunti. Lo sfogliò distrattamente, così che le parole d’inchiostro gli scivolarono prive di significato davanti agli occhi.

Mi manchi.

Le riconobbe in mezzo a mille altre. Si bloccò, fissando i caratteri scritti di getto sulla carta, mentre pensava a Naruto, a Cerbero, alla loro casa, alla loro vita.

Non tutti abbiamo bisogno di perdere per decidere di lottare.

Richiuse il blocchetto e lo rimise al suo posto, alzandosi in piedi. In quell’istante bussarono alla porta e con passi cadenzati, come se il suo corpo prima ancora della sua testa sapesse cosa fare, Sasuke andò ad aprire; Sakura sostava sulla soglia. Aveva un cappello in testa e si tolse degli occhiali da sole quando lo vide a sua volta. Gli sorrise, anche se aveva pianto, pertanto Sasuke non riuscì a non sorridere a sua volta, un moto quasi schivo, ma sollevato, perché in fondo le cose con lei davanti gli sembravano meno terribili.

Entra” la invitò, spostandosi dalla soglia.

Ma io non sono come Naruto. Io… forse ho bisogno proprio di perdere per decidermi a lottare. Ciononostante lo farò, fino in fondo.

Richiuse la porta.


*


La steakhouse era affollata ma non troppo caotica, complici i tavoli ampi e ben distanziati, anche se nell’aria si diffondeva l’odore di carne grigliata, di salse e delle patate lasciate a sfrigolare. Sembrava che tutti desiderassero celebrare una nuova vita dopo mesi, addirittura anni, di buio, lasciandosi per qualche ora alle spalle le atrocità del passato senza però dimenticarle mai del tutto.

“Ehi, Naruto? Sei con noi o stai guidando un taxi immaginario verso Enkidu?”

Il taxista si riscosse e ridacchiò appena, portandosi una mano dietro la testa: “Scusatemi, è che sono un po’ in pensiero per Sasuke, gli ho scritto un messaggio ore fa ma non mi ha ancora risposto.”

Loro nel frattempo avevano finito la cena e i piatti dei dolci ordinati erano sul tavolo, già spazzolati con golosità. In tutto questo, ancora nessuna traccia di Sasuke.

“Kiba, lascialo stare, anche io sarei in pensiero se Shikamaru entrasse in silenzio stampa, specie dopo aver intervistato non un signor nessuno, ma addirittura Madara Uchiha” intervenne Temari lanciando un’occhiata all’uomo che annuì, consapevole di quanto potente potesse essere la furia della sua compagna se ignorata ingiustamente.

Nel mentre che Temari si era girata a riprendere la figlia intenta a lanciare i residui di panna col cucchiaino, Nara aggiunse guardando l’amico di una vita:

“Certo che non è da Sasuke, sicuro non ti abbia magari inviato una mail o cercato con altri mezzi? Sai, magari la connessione per qualche motivo è debole.”

“Niente, nada, non pervenuto. Silenzio radio totale – strinse il tovagliolo, ammettendo – sono tentato di prendere la macchina e andare a Enkidu.”

Choji giocherellò con la guarnizione residua della fetta di torta e poi convenne: “Non potrei darti torto, lo farei anch’io.”

Shikamaru gli lanciò un’occhiata ma non se la sentì di entrare in aperto disaccordo, pur consapevole che Naruto non era certo nello stato d’animo di guidare: “Se lo fai, se vuoi davvero andare a vedere che succede, noi veniamo con te.”

“Puoi scommetterci, cazzo!” esclamò Kiba, sbattendo il bicchiere. Gli ultimi residui di schiuma si scossero brevemente per poi tornare a depositarsi sul fondo in infinite bollicine. Temari sussultò, ma si limitò a sospirare, dando una leggera carezza alla figlia che si era bloccata a sua volta guardando Kiba con occhi sgranati d’infante.

Quella sera Naruto ebbe il primo sorriso spontaneo da quando si erano dati appuntamento, anche se velato da un cenno di commozione. Se gli amici si vedevano nel momento del bisogno, lui poteva proprio dire dopo così tanti anni di avere direttamente degli angeli custodi.

“Non vorrei farvi fare un viaggio simile ma voglio essere onesto con me stesso e con voi: non ce la farei a tornare all’appartamento da solo e attendere senza far nulla. Ma è anche vero che non avrei la lucidità adatta per guidare così lontano, mi secca ammetterlo, purtroppo non sono un supereroe.”

“Sei già super abbastanza” ammise Shikamaru, con un mezzo sorriso. Fu Temari a suggerire di potersi occupare di Cerbero prima di tornare a casa con la bambina.

Naruto avrebbe tanto voluto provare un’autostima proporzionale almeno al complimento prezioso ricevuto dall’amico, ma si trovò parecchio in difficoltà. La sua mente già correva a una serie di scenari catastrofici, una buona parte dei quali includeva il timore di essere nient’altro che materiale di scarto affettivo.

Allo stesso tempo però sentì farsi strada dentro di sé una nuova energia, trasmessa forse da quella carica vigorosa di partecipazione data dagli amici, forse dal suo naturale ottimismo. Pur nella solitudine immensa di quella serata senza il suo compagno, Naruto realizzò di non sentirsi affatto solo e di essere bensì amato da tante persone, disposte a un viaggio notturno improvvisato pur di stargli accanto, con la speranza che a Sasuke non fosse successo nulla.

“Grazie ragazzi, siete i migliori.”

In quel ragazzi incluse ovviamente anche Temari che annuì, facendogli l’occhiolino.

Finirono le ultime cucchiaiate dei dolci e si organizzarono per pagare il conto, tra Naruto che insisteva per volerci pensare lui e gli altri che si opponevano. Nel mentre si udì una musichetta leggera che si perse appena tra le chiacchiere del locale, il viavai dei camerieri e la musica di sottofondo del locale, mischiata alle griglie sfrigolanti.

Fu Choji dopo un po’ a chiedere: “Ma chi è che ha la colonna sonora di Shoot & Pray come suoneria del cellulare?”

Tutti guardarono Kiba che, sorpreso e un po’ offeso, sollevò le mani obiettando: “Ehi, trash va bene, ma c’è un limite a tutto!”

Di riflesso gli sguardi si spostarono su Naruto che aggrottò le sopracciglia, perplesso, poi sgranò gli occhi: “Ma sono io! L’ho cambiata giusto l’altroieri per le chiamate di Sasuke e…”

Si bloccò. Fu il turno degli altri a sgranare gli occhi assieme a lui, mentre Temari esclamò:

“Sasuke! Ti sta chiamando?”

Agitato, con il cuore che prese stupidamente a battere più forte, la testa inondata di centinaia e centinaia di paure, di pensieri, di ipotesi differenti – starà bene? Gli è successo qualcosa? È bloccato da qualche parte? Perché adesso, dove… con chi eri? – e le mani quasi instupidite da tutto quel pensare. Frugò sotto il tovagliolo dove dispettosamente sembrava aver deciso di nascondersi il cellulare, poi cercò di sbloccare lo schermo sbagliando due volte la combinazione, sbuffò, ci riprovò infine con successo e, senza nemmeno darsi tempo di fare altro, rispose quasi urlando:

“Pronto, Sasuke!”

Sentì un rumore di traffico e di clacson, al punto che fece fatica a capirlo. Riuscì a distinguere delle parole confuse tipo scusami e Naruto.

“Aspetta che esco un attimo, non ti sento.”

Gli altri lo guardarono uscire preoccupati. Kiba fece per alzarsi ma Shikamaru fece un cenno così che l’amico si bloccò.

Uzumaki nel frattempo sbatté le porte e si fiondò fuori, quasi incollandosi il volto al telefono per cercare di sentire, al punto che le parole di Sasuke fecero uno strano eco:

“Alza gli occhi.”

Senza riflettere, Naruto obbedì però in rapida successione aprì la bocca, con le parole che avrebbe dovuto dire incastrate sopra la lingua, lì, come su un trampolino, terrorizzate dal vuoto prima di saltare.

Vide davanti a sé Sasuke.

Sembrava diverso, gli occhi avevano un taglio più deciso ancora, i capelli ricordavano onice, lucidi, splendidi, sotto la luce dei lampioni e quella ai neon dell’insegna del ristorante.

“Cosa ci fai qui?” gli uscì di getto, tutto d’un fiato. Fu tutto quello che gli venne in mente, anche se di domande, così come d’idee ne aveva persin troppe. Ma quell’interrogativo era l’unico che forse gli piacesse.

“Devo spiegarti un sacco di cose. Quello che è successo oggi, io…”

“Stai bene?” fu la seconda cosa che Naruto gli chiese. Anche se provava una certa rabbia, dal momento in cui la paura che gli fosse successo qualcosa era parzialmente annichilita, consapevole che ora che ce lo aveva davanti potevano risolvere qualunque problema Sasuke avesse avuto.

Colse un moto di disgusto sul volto di Uchiha, non sapeva rivolto a chi di preciso, ma pareva quasi a se stesso, infine l’altro rispose: “Non lo so se sto bene. Ma so che dovevo vederti e parlarti.”

Il tono di voce era controllato, il viso calmo, serio e professionale come sempre. Puzzava di fumo, Naruto lo immaginò divorare sigarette mentre guidava, con il finestrino abbassato che schiaffeggiava il volto col freddo di quella tarda serata primaverile. Il taxista infatti conosceva bene il suo uomo, le sfumature e le ombre sul volto, e poteva recepire quasi a pelle che Uchiha era agitato, pieno di cose da dire ma al tempo stesso accorto, un ballerino pronto a saltare su di un lago ghiacciato. Troppo, decisamente troppo accorto per una serata come quella, in cui era piombato lì davanti quando il compagno non lo aspettava che per il giorno dopo.

“Neanche un messaggio – sbottò infatti Naruto, scuotendo la testa – che ti costava? Ero preoccupato. Io… stavo per venire a Enkidu, ti rendi conto? Ah, cazzo!”

Si passò una mano tra i capelli, per poi trarre un sospiro e ritrovare la calma. Quella volta lesse chiaramente una profonda mortificazione sul viso di Sasuke e non gli piacque per niente. Sasuke era fiero, tagliente, orgoglioso, timido e capace di improvvise parole d’affetto dopo ore di silenzio, ma... mortificato? Mai. Dispiaciuto a volte, faticava a scusarsi esattamente come Naruto, però in nessuna occasione si era mostrato a lui con l’aria così carica di senso di colpa, anche se si trattò di un moto subitaneo.

“Mi dispiace Naruto. Dovevo vederti, non ce la facevo a scriverti.”

Con agitazione crescente l’altro gli si avvicinò ad ampie falcate, afferrandolo per le spalle: “Sasuke, mi vuoi dire che è successo?”

Una voce nella sua testa gli suggeriva che ormai era ovvio. Che chiedere a quel punto era da perdenti vigliacchi. Ma Naruto non lo lasciò, né mollò la presa, attendendo.

“Andiamo a casa, vuoi? Mi mancavi. È stata una giornata difficile, tutto qui.”

Sasuke gli portò a sua volta le mani sulle braccia. Solo allora Naruto notò che non indossava i guanti e una mano, quella con il marchio, era fasciata.

“Che… ti sei fatto male?”

Fece per toccargliela, ma Sasuke la ritrasse: “Mi sono ferito in maniera stupida, tutto qui – lanciò un’occhiata alle spalle del suo ragazzo e aggiunse, vedendo i suoi amici uscire all’ingresso della steakhouse – non vorrei averti fatto perdere la serata con gli altri, anche se gli altri a quanto pare ti hanno raggiunto comunque.”

Mosse il capo in un cenno rivolto alle spalle di Naruto che, confuso, con troppe domande e dubbi, si voltò quasi distrattamente per poi notare oltre la soglia del ristorante Kiba e tutti gli altri, con questi che fumava poco distante e gli sguardi di tutti discreti ma preoccupati.

La figlia di Shikamaru e Temari aveva sorriso nel vedere Sasuke che le sorrise a sua volta, togliendo la presa dalle braccia di Naruto per rimettersi le mani nei tasconi del giubbotto.

“Sei uscito senza giacca, avrai freddo” gli fece notare infine.

“Il freddo è l’ultima cosa a cui riesco a pensare in questo momento. Comunque… va bene, ok, andiamo a casa, ma parliamo poi, eh? Non so esattamente di cosa, sono un ammasso di paura, di felicità per rivederti e ansia stupida in questo momento, ma non posso far finta che non sia così.”

“Lo so, lo so, sono anche io un concentrato di tante cose in questo momento.”

Sasuke si lasciò sfuggire un sorriso involontario nel vedere Naruto sorridere agli altri e rassicurarli, gli stessi altri che senza più il timore di aver interrotto un momento particolare si avvicinarono chiedendo a entrambi se stavano bene.

E a quella vista, di fronte a quel calore e alla consapevolezza che avrebbe potuto perderli tutti per sempre, Sasuke si sentì rivoltare le viscere. Strinse la mano senza più marchio e bruciava, cazzo se bruciava. Ma gli aveva mostrato la realtà delle cose: stava a Sasuke renderle tali, con tutti i sacrifici del caso; soprattutto, si sentiva disgustato all’idea di mentire ancora. Avrebbe voluto essere più spietato, con se stesso, coi sentimenti di entrambi e ignorare persino quel senso etico di correttezza tanto insito nella sua persona, solo per continuare a fingere per ancora un altro po’, cullandosi nell’illusione temporanea che tra loro due non fosse cambiato nulla, quando invece erano acrobati inesperti appesi a un filo sottilissimo, un’esile tela di ragno carica di rugiada.

“Naruto” lo chiamò, guardandolo negli occhi. Sentì un nodo alla gola stringerglisi come se la sua stessa pelle, divenuta troppo stretta, volesse strozzarlo.

“Dimmi” lo esortò l’altro. Teneva ancora il cellulare in mano e sembrava sull’attenti, vigile, ma un pochino più sereno. Fu per questo che Sasuke non riuscì a esitare ancora e gli disse d’un fiato:

“Ho trovato il soulmate.”

Il cellulare cadde dalle mani di Naruto e si schiantò a terra, con il vetro che si frantumò in centinaia di frammenti scintillanti, capaci di riflettere come miriadi di cristalli il neon delle insegne e il buio del cielo senza stelle sopra tutti loro.

Ma...

Stava per aggiungere Sasuke, senza riuscire a proseguire. O forse fu Naruto che non riuscì più ad ascoltarlo, con le orecchie che gli fischiavano e il cuore che scalpitava impaziente nel petto, anche se era impossibile che battesse ancora con così tanta vita e forza: Naruto avrebbe giurato di averlo sentito volare a terra e spaccarsi in infinite schegge, esattamente come il cellulare e le lacrime che avrebbe voluto versare.

Sproloqui di una zucca

Questo è stato un capitolo per me difficilissimo da scrivere! In parte perché la faccenda del separarsi dal compagno/a con cui si ha convissuto per tanto è un'esperienza che mi ha segnata tanto, in parte perché come sempre mi ritrovo a scrivere di tematiche toste ma in realtà così quotidiane: l'incertezza di una relazione o dell'esistenza in sé, l'importanza degli amici, la voglia di lottare, anche se in modi e con mezzi diversi. Che dire, spero tanto vi sia piaciuto, che vi abbia lasciato qualcosa, in attesa del quarto e ultimo capitolo. Spero anche che Sasuke non risulti particolarmente inviso :3


   
 
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