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Autore: Francine    20/01/2021    2 recensioni
Ammesso che la passione umana abbia la virtù d'innalzarsi al di sopra di ogni assurdo, come si può sostenere che non abbia anche quella d'innalzarsi al disopra dei propri assurdi?
(Yukio Mishima, Confessioni di una Maschera, 1949)
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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4.




 Ci sono mattine in cui si sveglia e fatica a capire dove si trovi. Se sia ancora ad Atlantide, il mare come soffitto, nella reggia di oricalco e calcedonio di Poseidone, oppure se sia davvero con le chiappe sul trono di Athena, tra rocchi e colonne che resistono al tempo soltanto perché non hanno nient’altro di meglio da fare. O se non sia stato tutto un lungo, lunghissimo sogno e lui sia ancora nella grotta di Capo Sounion, a resistere contro la marea che sale e monta ed invade la sua prigione due volte al giorno.
Ma ci sono mattine in cui si sveglia e pensa che sia tutto un incubo. Gli succede quando ha le udienze, e gli tocca stare ad ascoltare le paturnie di questo o di quello e mettere pace - o evitare che le istanze dell’uno non provochino strane reazioni se mischiate con quelle dell'altro. Ha ridotto l’orario di ricevimento a due volte al mese, ché il Sacerdote di Athena non può e non deve cincischiare con le minuzie del popolino, ma sollevare lo sguardo e osservare con cura cosa accade all’orizzonte, quali nubi si stiano addensando o se la strada è libera fino a dove lo sguardo si perde, sfumando in una sottilissima linea di un verde prato appena accennato.
Deve ingoiare una pillola amara, ma è solo due volte al mese, e il Sacerdote si dice che sì, può farcela; che sì, è il caso di mandare giù quel sorso di fiele; che sì, via il dente via il dolore. 
Stornerà tutto con una bella e lunghissima pausa meditativa nella piscina che fu di Sion prima e di Saga poi, accompagnando il proprio riposo con una bottiglia o due di quel buon rosso, corposo e forte, che ha scovato nella cantina privata del Sacerdote, ché al sommo Sion, sotto sotto, piaceva vivere dignitosamente, non foss’altro che per alleviare gli acciacchi dell’età.

Sono le udienze private ed urgentissime quelle che gli fanno andare la giornata di traverso, ché non ha avuto il tempo e la possibilità di prepararsi spiritualmente alla cosa. E lui detesta essere impreparato, detesta che le proprie giornate siano mandate a carte quarantotto da stupidi contrattempi che spuntano fuori come i dente di leone in un prato a primavera. Ecco perché ha provveduto personalmente a far rivoltare quel praticello innocuo, zolla per zolla, cosicché non saltassero fuori sorpresine poco gradevoli. Eppure non è bastato, ché davanti al suo trono - ché davanti al trono di Athena - non c’è un soldato semplice che gli sta portando un’ambasceria urgentissima o un Santo di Bronzo che gli sta facendo rapporto - i Santi d’Argento sanno stare al mondo e richiedono udienza rispettando il cerimoniale - ma due Santi d’Oro: uno con l’Armatura da parata - mantello candido, rosa tra le labbra ed elmo sottobraccio - e l’altro che assomiglia ad un gatto randagio ripescato chissà dove, con gli abiti stazzonati, gli occhi cisposi, ciuffi d’erba che spuntano qua e là ed un bisogno disperato di dormire, di radersi e di fare una doccia, non necessariamente in quest’ordine.

È in momenti come questo che Kanon, ex Dragone del Mare e Generale di Poseidone, Santo dei Gemelliad interim e Grande Sacerdote di Athena, vorrebbe aver conservato la maschera blu cobalto che il Sommo Sion, suo predecessore, era solito indossare per celare al mondo il proprio aspetto ultracentenario - ché sì, il suo era un miracolo, ma i doni degli dei non sono fatti per i mortali. Quello che il Cancro ha appena detto - incalzato da Aphrodite come un branco di lupi segue un cerbiatto che si è perso - è talmente assurdo da lasciarlo a bocca aperta, e poco ci manca che i suoi occhi non cadano fuori dalle orbite e si mettano a rimbalzare sui gradini e sul pavimento di marmo, come un paio di biglie extra-large color azzurro mare. Il Cancro se ne resta con lo sguardo fisso sulla guida di velluto rosso ai suoi piedi, e non ha modo di assistere a questa scena singolare, ché non capita molto spesso di trovare il Sacerdote con la guardia abbassata; ma Aphrodite - ma Yngve - vede. Ed è un sorriso complice e divertito quello di Pisces. Lo stesso che incurverebbe le labbra di un gatto che sta per papparsi un passerotto grassoccio, ammesso che i gatti possano sorridere - cosa di cui Kanon è sicurissimo.

Ed è lo sguardo di Yngve, occhi di mare al mattino, che lo esorta a dire qualcosa. Non può starsene in silenzio e a bocca spalancata come un merluzzo appena pescato, anche se ha appena sentito le farneticazioni di qualcuno che, palesemente, ha una sbornia coi controfiocchi ancora da smaltire. È o non è il Sacerdote di Athena?
 
«Stai dicendo che...», esordisce, la voce arrochita di chi non ha ancora spiccicato mezza parola.

Per riguardo alle sue corde vocali, o per una prassi consolidata durante la reggenza di Saga, il Cancro termina la frase al posto suo: «Sì, Santità.».

E Kanon, Ex Dragone del Mare eccetera eccetera, vorrebbe rispondere «Sì, Santità un cazzo», ché lui non ha espresso nemmeno mezza delle domande che si affastellano nel suo cervellino in perenne movimento. Saturno è un padre severo? Forse. Ma vogliamo davvero parlare di quale croce sia essere retti da Mercurio?
Parliamone, pensa Kanon, in un angolino della sua mente, prima di stringere i braccioli dello scranno fino a farsi sbiancare le nocche. Non gli chiede: «E io cosa dovrei fare, di grazia?», ché quella testa dura non capirebbe il suo sarcasmo e gli risponderebbe come se quella fosse una domanda genuina. Guarda invece Aphrodite, che, invitato dall’occhiataccia del Sacerdote, si toglie quella stramaledettissima rosa dalla bocca e si fa uscire il fiato.

«L'Undicesima Casa non è il solo Tempio che ha degli spazi vuoti, Santità.» 

E qualcosa, nella testa di Kanon, si mette in moto. No, è vero. Anche gli altri templi hanno delle strampalate strutture al di sopra del tetto. Chi uno stupa. Chi un camminamento. Chi un porticato. La Settima Casa vanta addirittura un solarium. Ché poi, a dirla tutta, non sono dei veri e propri templi classici. L’architetto che ha progettato quel complesso si è preso alcune… libertà, per così dire. Sempre che queste libertà non siano intervenute a gamba testa strada facendo. Perché Kanon è sicurissimo che, almeno un paio di volte, Ade sia riuscito ad infiltrarsi al Santuario. Il Re dell’Oltretomba non sceglie forse il corpo dell’essere più puro al mondo, il quale - ma tu guarda le coincidenze! - è sempre qualcuno molto, ma molto vicino alla dea?
Certo che sì.
Ogni santissima volta.
Ma senza stare a scomodare le doti strategiche delle schiere di Ade - ché con una guida come Pandora e quei tre deficienti dei Giudici, l’esercito dell'Oltretomba è in una botte di ferro, altro che Attilio Regolo!-, il guaio dei templi classici è che invecchiano anche loro. Il sole, il vento, l’acqua, il tempo che passa, fanno danni ben più seri delle rughe sul volto di una donna. E prima o poi qualche frontone lì, qualche colonna là, si sarà dovuto procedere a riparare i danni, magari anche tirando su ex novo i templi danneggiati. Non stanno ancora riparando la Sesta Casa? E non vuoi che qualcuno si sia baloccato con l’Athena Exclamation, nel corso dei millenni?

Certo che sì. Ecco perché le Dodici Case hanno stili così diversi tra di loro. Ecco perché la Casa dell’Acquario assomiglia ad un patio da piazzare in qualche parco per farci suonare l’orchestrina locale, nei pomeriggi di primavera. Non ci vuole un genio per capirlo. E forse, sotto sotto, lo sa - lo intuisce - anche il Cancro, che se non avesse bevuto troppo, adesso si starebbe risparmiando questa udienza urgentissima e una cervicale coi controfiocchi.

Se non solleva la testa, gli cadrà per terra, pensa Kanon. E forse gli starebbe anche bene, così impara a cacciarsi nei guai. Quello che non riesce a comprendere, però, è perché Yngve lo abbia preso per la collottola e portato al suo cospetto, nemmeno fosse un cucciolo da sgridare perché l’ha fatta sul tappeto buono del salotto. C’è una motivazione, dietro ai gesti di Pisces; non è uno che fa le cose tanto per ammazzare il tempo, lui. Nossignore. 
Così Kanon fa un gesto con la mano, come ad invitare Aphrodite a proseguire col suo discorso.

«Forse occorrerebbe controllare se questi spazi possano essere abitabili», e la voce di Yngve calca quest'ultima parola. «Per scrupolo. Potrebbero rivelarsi utili, in futuro. Per evitare che il nemico sfrutti delle zone cieche.»
O per riunirsi per il pokerino del venerdì, sillabano le labbra di Yngve con studiata calma e lentezza. Cosicché Kanon legga. Cosicché Kanon capisca. Cosicché Kanon sorrida.
Oh, certo. Certamente. Il pokerino del venerdì. Lo strazio cui la dea li esorta a partecipare per riallacciare i rapporti tra di loro. Perché un compagno d’arme è un tuo sodale. Uno da issarti in spalla e riportare a casa quando le cose vanno male, convinto che lui farebbe lo stesso per te.

Sì, come no?, pensa Kanon; ché l’idea di Saori non è sbagliata - anche se Athena preferirebbe gli scacchi, ma bisogna pur adattarsi ai tempi che cambiano, no? - almeno sulla carta. Il problema, secondo la modestissima opinione di Kanon, è che non si è invogliati a riportare indietro la pellaccia di chi ti lascia in mutande ogni singola volta, non foss’altro che per fermare quella rogna una volta per tutte. Anzi, lo si lascia a crepare in qualche fossa merdosa, magari sotterrandolo sotto una palata o due di fango. Tanto per essere sicuri. Hai visto mai?

E Aphrodite sarebbe il primo ad andare a concimare il terreno, col culo che si ritrova con le carte. Poco ma sicuro. Ecco perché insiste per andare in missione da solo, ché lui non è una principessa in ambasce, nossignore. Lui si salva da sé. E sarebbe prontissimo a seppellire i propri compagni azzoppati, pur di non doverli riportare indietro a spalla, ché ad Aphrodite non piace faticare. Nossignore.

Ma c’è un'altra cosa che Aphrodite detesta, oltre al pokerino del venerdì, al perdere tempo, al doversi ripetere, e ai cretini patentati: avere persone tra i piedi. Già è seccante vedersi andare a venire persone che si recano all’udienza dal Sacerdote, figuriamoci avere tutti i santi venerdì sera quattro o cinque gaglioffi che si aggirano per i tuoi quartieri privati tanto per fare un salutino. Che fai, passi per casa sua e non ti affacci a scambiare due parole?
Non si può.
Non si fa.
E la storia del pokerino settimanale gli è venuta a uggia prima di subito, visto che non si può giocare con moneta sonante e che i suoi compagni di gioco hanno imparato a chiamarsi fuori quando c’è lui al tavolo.
Tutti, tranne Marco.

Non che al Sacerdote faccia piacere avere persone in giro per la Tredicesima Casa quando lui vorrebbe e potrebbe farsi i fatti suoi, magari accompagnando il proprio cogitare con un bicchiere di quello buono, o dedicarsi ad un appuntamento galante. Senza contare la deprecabile abitudine che ha Mu di portarsi appresso quella piattola del suo allievo. Che corre, s’impiccia, guarda, chiede, parla, respira, esiste…

Kanon, ex Dragone del Mare eccetera eccetera, sorride, un lampo malvagio che trova eco sul viso angelico di Aphrodite.
«Avete perfettamente ragione», dice il Sacerdote, alzandosi in un frusciare di vesti, l’elmo rosso corallo che sciacqua un po’ sulla testa di Kanon. «Sarà il caso di parlarne tutti assieme.»
«Volete dire, Santità...», osa timidamente domandare il Cancro, guardandolo da sotto in su come fa un cane che ha appena ricevuto un liscebusso da manuale. 
«Hai inteso bene, Death Mask», e quando Kanon lo chiama col suo nome celeste, il Cancro sa che il tempo dei giochi è finito e che adesso si fa sul serio. «È ora di indire un chrysos synagein


   
 
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