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Autore: VaniaMajor    22/01/2021    5 recensioni
Kagome possiede un portafortuna. Non avrebbe mai immaginato che a causa sua sarebbe stata portata in un altro mondo, coinvolta in una guerra orribile e legata misteriosamente a un demone dai capelli d'argento...Ma chi è il Principe dai capelli neri dei suoi sogni? Perchè la sua onee-chan deve soffrire tanto? E c'è speranza di tornare a casa...viva?! La ricerca delle Hoshisaki è iniziata. Una AU di Inuyasha e della saga di Cuore di Demone!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Author’s note: Permettetemi di ringraziarvi per l’accoglienza che mi state riservando, non credevo che dopo questa assenza foste ancora così affezionati alle mie vecchie storie! “Hoshisaki” promette di essere altrettanto complicata. Preparatevi: un certo principe sta per svegliarsi e Anna sta arrivando!
 
CAPITOLO 8
LA CHIAMATA
 
Il tempo a Palazzo trascorreva come al solito. Il pellegrinaggio avveniva seguendo meccanismi ben oliati, la gente era disciplinata, fosse per reverenza o per paura delle guardie armate. Jaken riceveva rapporti quotidiani sulla quantità di visitatori, sul tipo di richieste, sugli eventuali truffatori da buttare fuori a calci. Le solite cose, una routine che lo teneva occupato da quarant’anni e che col tempo aveva imparato ad apprezzare. Sesshomaru-sama mostrava di fidarsi di lui e, in più, l’incarico lo teneva ben lontano dalle battaglie al confine. All’inizio, il demone rospo aveva faticato ad accettare di essere lasciato indietro, ma poi aveva capito l’importanza del suo ruolo di guardiano e si era sentito commosso e fiero di essere stato scelto per controllare che al corpo di Inuyasha non accadesse nulla di male. Anche se non era mai andato troppo d’accordo col figlio minore del vecchio imperatore, Jaken non voleva certo vederlo morto…senza contare che le due Hoshisaki che l’hanyo possedeva andavano preservate a qualunque costo!
Quando la guardia lo raggiunse, correndo come se avesse Naraku alle calcagna, stava pensando proprio alle ultime novità. Controllava ogni sera che il leggero lucore di Yuuki continuasse a circondare il corpo addormentato del Principe. Sesshomaru-sama era partito alla velocità della luce per cercare notizie di un ritorno di Shinsetsu e da allora non si era più fatto sentire.
Sarebbe un bel colpo. Tre Hoshisaki recuperate e Inuyasha di nuovo al fianco di Sesshomaru-sama per combattere contro Naraku. – pensò – A quel punto, mancherebbe solo Junan…”
Il suo sospiro, appena velato di una pena di cui nessuno l’avrebbe mai sospettato, fu spezzato dal brusco arrivo della guardia, che finalmente attrasse la sua attenzione.
«Jaken-sama, una visita per voi» disse la guardia, inchinandosi.
«Che…per me?! Cosa?!» sbottò Jaken, perplesso e contrariato. Non aspettava nessuno!
«Tre umani, un piccolo demone volpe e un neko-yokai da combattimento. Un uomo che si fa chiamare Miroku dice di dover riferire movimenti di Naraku sul confine a voi o a Sesshomaru-sama» iniziò a spiegare la guardia, scettica. Jaken fece tanto d’occhi.
«Miroku?! Quel bonzo depravato è ancora vivo?!» sbottò, sbalordito. Il giovane si era tenuto ben lontano da ogni incarico ufficiale fin da quando Naraku gli aveva giocato quel brutto scherzo.
«Allora lo conoscete? Viaggia accompagnato da una Cacciatrice e da una miko. Li abbiamo fermati alla porta in attesa di ordini da parte vostra».
«Una Cacciatrice…l’ultima, mi sa, visto che anche loro sono stati sterminati. E una miko, dici? – borbottò Jaken, perplesso e conscio di dover prendere una decisione in mancanza del suo Signore – Va bene, portameli». Sperava solo di non doversene pentire. Era sempre nervoso quando le cose uscivano dal seminato!
Si rilassò un poco solo quando riconobbe alla testa del piccolo gruppo proprio la faccia da schiaffi del giovane monaco. Dietro di lui venivano due fanciulle, una delle quali portava l’uniforme e l’arma dei Cacciatori. Almeno su quel punto, non avevano mentito. Il kitsune e il demone gatto non c’erano e una delle guardie gli sussurrò di averli alloggiati e di aver provveduto a rifocillarli.
«Pensavo che la tua maledizione ti avesse già fatto secco, Miroku. Sei proprio resistente» lo salutò, sospettoso.
«Altrettanto lieto di rivederti, piccolo rospo dalla bocca larga» disse Miroku con voce leggera e un grande sorriso, scandalizzando le guardie per quella confidenza «Immagino Sesshomaru non ci sia. Possiamo parlarti in privato?»
«Seguitemi» sospirò Jaken, dando a intendere che gli stava facendo un enorme favore. Li condusse in una stanza riservata e lasciò le guardie all’esterno, per ogni evenienza. Una volta chiusa la porta, incalzò: «Allora, che c’è? Spero sia una cosa seria perché sono molto occupato anche senza le tue sciocchezze!»
«Posso presentarti Sango, la Cacciatrice, e Kagome-sama, una giovane e venerabile miko?» prese tempo Miroku.
«Sì, sì, tanto piacere.» sbuffò Jaken, disinteressato a quelle femmine umane «Si può sapere che volete?»
«Kagome-sama, se non vi spiace…» la invitò il monaco, gentile. La ragazza dai capelli corvini, il cui volto sembrò a Jaken in qualche modo familiare, portò una mano al collo, tirando una sottile catena. Un pendente emerse dalle sue vesti e si rivelò alla luce. Jaken sentì il cuore fermarglisi per un attimo in petto e si chiese se i demoni potessero morire d’infarto, poi si arrabbiò.
«Oh, certo. Shinsetsu, come no. Bravo monaco, brava miko, l’avete riprodotta bene, ma ci vuole altro per infinocchiarmi! – sbottò, seccato per essere stato raggirato in quel modo sciocco – Miroku, avevo sentito dire che giravi per En truffando la gente, per chi mi prendi?!»
«Oh, no, Jaken-sama, questa non è…» disse la giovane, sfilandosi il pendente dal collo per tenderglielo.
«Dai, Jaken, ci vedi meglio di così. – sbuffò Miroku – Tieni, è questa la truffa di cui parli. Non ci saresti cascato per un attimo». Frugò nella sua veste e ne estrasse una gemma a suo modo magnifica e pura, ma nemmeno lontanamente simile a quella che la ragazza gli tendeva sul palmo della mano. Jaken rimase immobile, con gli enormi occhi sgranati, indeciso se credere o meno, se mettere alla prova quel pendente o chiamare le guardie.
«Jaken-sama, sono stata io a trovare Kagome-sama e Shinsetsu. I demoni di Naraku la stavano attaccando per rubarle l’Hoshisaki, sul confine. – intervenne la Cacciatrice, il cui volto serio e onesto sembrava non aver mai conosciuto la menzogna – Siamo state attaccate più e più volte durante il nostro viaggio verso il Palazzo. Naraku sa che Shinsetsu è tornata e non tarderà a fare guerra ad En. Dovevamo consegnarla a Sesshomaru-sama a tutti i costi, il prima possibile».
«Sesshomaru-sama sa che Shinsetsu è tornata» disse Jaken, atono, prima di rendersene conto.
«Davvero?! Come se n’è accorto?» chiese Miroku, stupito, ma nemmeno poi tanto.
«Non sono fatti tuoi! – sbottò Jaken, già pentito di aver detto troppo – Beh…ma tu da dove vieni, miko? Perché salti fuori all’improvviso con Shinsetsu? Non sarai una di Gake?!»
Kagome raccontò molto velocemente la sua storia, scrutando con apprensione le reazioni del piccolo demone. Quel Jaken sembrava tormentato dal desiderio di crederle mischiato a una gran paura di prendere la decisione sbagliata. Quando tentò di spiegare che la vecchia Kaede, oltre a riconoscere Shinsetsu, l’aveva scambiata per Kikyo, Sango le diede un colpo sul ginocchio e Kagome saltò quel particolare con un tuffo al cuore. Era vero, meglio non nominare la nemica del Principe in quella sede. Nemmeno Miroku sapeva della possibilità che lei ne fosse la reincarnazione ed era già rimasto abbastanza sorpreso nel venire a conoscenza di quali fossero le sue origini.
Quando terminò, Jaken rimuginò su quella storia per qualche attimo, quindi parve decidersi e avvicinò il suo bastone a due teste alle mani di Kagome, che tenevano ancora il pendente. Il volto di vecchio rimase immoto, quello femminile parve destarsi e cantò una breve melodia che fece venire loro le lacrime agli occhi. Quando la voce si spense, Jaken sentenziò: «È Shinsetsu. È tornata».
«È quello che ti sto dicendo dal principio! – disse Miroku, facendo per alzarsi con un sorrisetto sfrontato - Per la mia ricompensa e quella delle mie compagne, ci accorderemo con Sesshomaru. Ora, se vuoi accompagnarci dal Principe Inuyasha…»
«Cosa?! Ma tu stai scherzando, scordatelo!» sbottò Jaken, e le sue parole furono una doccia gelata.
«Come sarebbe a dire?!» protestò Miroku, contrariato.
«Nessuno vedrà il Principe Inuyasha prima del ritorno di Sesshomaru-sama! Io non me la prendo questa responsabilità».
«Brutto vigliacco di un rospo…» ringhiò il monaco.
«Jaken-sama, io non so chi sia stato a condurmi a En, ma vorrei liberare il Principe dalla sua maledizione. – disse Kagome, rendendosi conto che avvertiva un’emozione profonda al pensiero di poter liberare quella persona – Non credete che vi sarebbe grato? È imprigionato da cinquant’anni, perché farlo soffrire ancora?»
Sango e Miroku la guardarono con ammirazione e perfino Jaken si sentì in colpa per la propria esitazione, ma scosse comunque la testa con fare cocciuto.
«Voi non conoscete il Principe Inuyasha! Datemi retta, quando si sveglierà è meglio che sia presente Sesshomaru-sama. – rabbrividì – Non sappiamo se sia ancora in sé o se il lungo sonno lo abbia fatto impazzire. Inuyasha è forte ed è sempre stato imprevedibile. Non fate storie e aspettate, come farò io. Manderò messaggi al mio Signore e lui tornerà presto».
«E nel frattempo?» chiese Sango, cupa, notando che la luce negli occhi di Kagome si spegnava, sostituita di nuovo da ansia e tristezza.
«Nel frattempo alloggerete qui e mi farete un rapporto serio sulla situazione al confine. – disse Jaken, frenando subito le loro proteste – In questo castello, non si mangia a scrocco».
***
«Non è giusto!» sbottò Kagome, frustrata, facendo sobbalzare Shippo che si stava riempiendo la bocca di mochi.
«Non posso darvi torto, Kagome-sama, ma a quanto pare siamo in un vicolo cieco» sospirò Miroku, scuotendo il capo.
«Oh, Miroku-sama, voi avete fatto più di quanto fosse necessario! È questa situazione che mi rende nervosa. – spiegò Kagome, allargando le braccia – Sembra che tutte le forze di En si siano messe d’accordo per tenermi lontana dal mio mondo!»
«Mi spiace, Kagome…Abbi pazienza, ormai siamo a palazzo, la risoluzione di questo brutto pasticcio non è lontana» cercò di confortarla Sango, prendendole una mano e stringendola con partecipazione. Kagome annuì, ma tutti quei ritardi l’avevano resa ancora più ansiosa. Jaken li aveva alloggiati in una bella stanza, aveva fatto portare loro da mangiare e poi non si era più visto. Avevano il severo divieto di vagabondare per il Palazzo ed era stato assicurato loro che sarebbero stati subito avvertiti del ritorno di Sesshomaru. Fuori dalla porta c’era una guardia a cui potevano rivolgersi in caso di necessità. In pratica, erano più o meno agli arresti domiciliari.
«Hai tutta questa fretta di tornare a casa, Kagome-chan?» chiese Shippo, perdendo la sua allegria. Lo avevano messo al corrente del segreto di Kagome, visto che ormai anche Miroku lo conosceva, ma faticava ad accettare che la sua nuova amica desiderasse sopra a ogni altra cosa andarsene. Kagome gli sorrise con dolcezza.
«Tu non l’avresti, Shippo? – gli chiese – Ho paura di affrontare le verità da cui sono fuggita, ma…questo è troppo. Non è la mia guerra, non è la mia patria. Voglio solo svegliare il vostro Principe per aiutarvi e poi tornare a casa mia».
«Un desiderio comprensibile, Kagome-sama. Non credo vi si possa chiedere di più.» annuì Miroku, nascondendo con abilità la sua convinzione che non sarebbe stato così facile. Sango l’aveva messo in parole con chiarezza qualche notte prima: se Kagome-sama era la portatrice di Shinsetsu, questo la legava al Principe Inuyasha fino alla fine di quella battaglia. Lei lo avrebbe completato. Tra l’altro, Miroku credeva di avere intuito la natura del viso che Kagome aveva visto prima di essere attirata nel pozzo…
«Mi chiedo perché Jaken abbia tanta paura di vedere svegliarsi il Principe Inuyasha…Era davvero così terribile? Peggio di Sesshomaru?» chiese Shippo, incredulo. Gli era capitato di incontrare il gelido imperatore di En e pensava che più terrificante di lui ci fosse solo Naraku!
«Aveva fama di essere una testa calda, questo è certo, ma le cronache lo ricordano come un Principe molto amato. Non credo proprio fosse cattivo» disse Miroku, stendendosi con le mani dietro la nuca.
«Credo che Jaken abbia paura che la maledizione di Kikyo abbia influito sulla sua mente. Dopotutto, è stato tradito e imprigionato in un incubo che dura da cinquant’anni» mormorò Sango, cupa.
«Già, la mente di un uomo andrebbe in pezzi. Quella di Inuyasha è per metà yokai, quindi può essere più resistente, ma sappiamo bene quanto sia facile scivolare nella pazzia sotto magie come questa» rifletté Miroku, altrettanto grave. Kagome vide uno spasmo attraversare i lineamenti di Sango, poi la ragazza si alzò e, mormorando una scusa, uscì sulla balconata che dava verso uno dei cortili interni del palazzo. Miroku si tirò subito a sedere, masticando un’imprecazione.
«Questa potevo risparmiarmela, vero?» si rimproverò, piano, vedendola sparire all’esterno.
«Sapete del fratello di Sango, Miroku-sama?» chiese Kagome, stupita.
«Gliene ho parlato io, spero non sia un problema» ammise Shippo, mentre l’amico si alzava in piedi.
«Kagome-sama, vi spiace se vi lascio con Shippo per qualche momento? Mi sento in colpa e vorrei…» iniziò il monaco. Kagome e Shippo lo illuminarono con due identici sorrisi d’approvazione.
«Fatela parlare un po’, Miroku-sama, sono sicura che le farà bene.» disse la ragazza, facendogli cenno di sbrigarsi. Miroku uscì, sentendosi stranamente imbarazzato e sotto esame, e Kagome e Shippo si scambiarono un altro sorriso d’intesa.
«In fondo, Miroku-sama è un gentiluomo.» approvò la giovane, per un attimo dimentica dei suoi problemi. Sentiva profumo di romanticismo nell’aria!
«Hanno molte cose in comune. Credo proprio che dovrebbero diventare amici.» annuì Shippo con fare saccente, leccandosi le dita appiccicose.
«Sono d’accordo con te!» rise Kagome. Chissà, da un’amicizia poteva fiorire un altro sentimento, e sia Sango che Miroku avevano vissuto in solitudine tragedie che avrebbero spezzato persone meno forti. Meritavano di trovare un po’ di felicità. Un’immagine fugace del giovane dai capelli neri che aveva visto nei sogni le passò nella mente e Kagome la scacciò, arrossendo. Cos’andava a pensare?! Aveva problemi più urgenti! Le sue dita salirono a stringere Shinsetsu e la sua espressione tornò cupa.
“Dovremmo temere il Principe Inuyasha? Cosa faremo se dovesse essere impazzito? – si chiese, con un brivido – Quello che gli è capitato è terribile…Non è strano che tutti odino Kikyo per ciò che ha commesso. Davvero io le somiglio? Possibile che io sia la reincarnazione di una persona che ha commesso un’azione tanto malvagia?”
Il pensiero le fece venire i brividi. Il pendente si illuminò di una lieve luce rosa sotto le sue dita, ma né lei né Shippo, che in quel momento stava contendendo uno spiedino a Kirara, se ne accorsero.
“Non riesco a crederlo. Lei era potente, perché ha scelto di imprigionarlo se poteva ucciderlo? E poi, anche lei è morta…Qualcosa non mi torna.” continuò a pensare. Era come se una forza chiarificatrice stesse mettendo ordine nei suoi pensieri, regalandole un intuito e una capacità logica che non credeva di possedere. Era vero, se Kikyo fosse stata una traditrice avrebbe ucciso Inuyasha, permettendo così a Naraku di rubargli le Hoshisaki. Imprigionandolo, invece, le aveva rese intoccabili. Perché? Cos’era accaduto davvero cinquant’anni prima? Aveva la sensazione che dietro a quella storia si celasse un dolore. Le sue narici, incongruamente, furono per un attimo piene del profumo dei fiori di ciliegio. Le salirono le lacrime agli occhi.
“Voglio saperlo. – pensò, sbalordita per l’intensità di quel desiderio, quasi una sete fisica che cancellò ogni suo altro pensiero – Voglio che sia lui a dirmelo. Voglio svegliare Inuyasha, subito!”
Shinsetsu esplose in un lampo di luce che avvolse il corpo di Kagome e strappò un grido spaventato a Shippo, il quale si coprì gli occhi per non essere accecato mentre Kirara nascondeva la testa tra le zampe con un miagolio stridente. Quando la luce scomparve e il piccolo kitsune riaprì gli occhi, la giovane dai capelli corvini era scomparsa.
***
Anna alzò la testa di scatto e le mani le ricaddero dal lucchetto con cui stava chiudendo il vecchio magazzino delle reliquie del Tempio. Le era parso di sentire il proprio nome pronunciato dalla voce di Kagome.
«Sto diventando matta per la preoccupazione» si disse, con voce in cui vibrava il nervosismo. Chiuse il lucchetto con mani incerte, poi, prima di tornare in casa, si guardò attorno. L’ampio cortile del Tempio era buio e tranquillo. Ormai si era fatta notte e anche per questo si era offerta di andare a ritirare nel magazzino quei pochi oggetti che il nonno aveva portato in casa per cercare di proseguire con la nuova catalogazione dei manufatti religiosi. Il pover’uomo tentava di distrarsi dal pensiero di Kagome, ma come tutti non ci riusciva molto bene. Anna e Sota cercavano almeno di evitargli strapazzi e quella sera l’aria era fredda e umida. Dal cielo nuvoloso e cupo cadeva una pioggia sottile.
Anna rabbrividì, nonostante avesse indossato il cappotto. Si disse di non fare la sciocca e di darsi una mossa, prima di prendere un raffreddore. In quei giorni aveva un fastidioso mal di capo che partiva dalla fronte, tra gli occhi, e un malanno era l’ultima cosa a cui aspirava. Fece solo un paio di passi verso casa, prima che una potente luce rosata illuminasse l’Hokora a giorno, togliendole il fiato. La luce brillò per un attimo con una vivida, fulgida nitidezza, come se qualcuno avesse acceso un faro all’interno del piccolo edificio che conteneva il pozzo sacro, poi si spense come se non fosse mai esistita.
Anna non avrebbe saputo dire perché, nella sua mente, quella luce venisse subito associata a Kagome. Seppe solo che un attimo dopo il ritorno del buio lei già stava correndo verso il pozzo. Non poteva esserci niente là dentro, quel posto era già stato controllato e in fondo sia lei che Kagome ne avevano sempre avuto paura. Una parte di lei le diceva di tornare indietro e dimenticarsi di quella luce. L’altra sembrava convinta che quel lampo fosse un segno della presenza di Kagome.
«Kagome!» esclamò, ansante, aprendo di botto la porta scorrevole dell’Hokora. Come previsto, non c’era nessuno, ma il pozzo non era al buio. Una piccola luce proveniva dal fondo, illuminando di un vago bagliore dorato il bordo della struttura in legno. Anna deglutì a fatica, ma il coraggio non le era mai mancato e venne avanti, decisa a venire a capo di quel mistero. Si accostò al bordo del pozzo e guardò all’interno, stringendo le labbra tanto da sbiancarle. Non sapeva cos’avrebbe fatto se avesse posato gli occhi su qualche macabra scoperta. Sotto i suoi occhi attoniti, il pozzo si rivelò senza fondo. Nel buio cosmico che vi regnava, brillava una piccola luce rosa, come una stella gettata nel nulla.
«Kagome…» mormorò ancora Anna. Conosceva quel colore. Era lo stesso del pendente che la sua sorellina acquisita portava al collo fin da quando erano bambine. La stessa sfumatura, senza possibilità di errore. Anna l’aveva visto tra le sue dita troppe volte.
Mentre la sua mente si schiudeva a questa rivelazione, nel buio nacquero altre due luci, come richiamate da quella rosa. Le si misero ai lati, una stella rossa e una gialla che parvero racchiudere e proteggere quella più delicata. Anna posò le mani sul legno e si sporse, decisa a dare un senso a ciò che i suoi occhi stavano vedendo. La luce delle stelle pulsò e rifulse e altre due punte luminose comparvero. Una era azzurra e pareva debole, incerta. L’altra, non appena si manifestò, prese a splendere con un fulgore argenteo che le fece perdere un battito e risvegliò, crudele, il male alla fronte che la affliggeva da giorni.
Con un’esclamazione soffocata, si portò le mani tra gli occhi, barcollando, sentendo montare una forte nausea. Avvertì il profumo dei fiori di ciliegio e provò paura e una dilaniante nostalgia. Strinse i denti, mentre i suoi tentennamenti la sospingevano contro il bordo del pozzo e la costringevano ad afferrarlo di nuovo per non cadervi dentro.
«Cos’è questa cosa?» gemette, incapace di capire. Dai recessi della memoria stava affiorando un’immagine, un volto incorniciato da lunghi capelli color argento. Non si accorse delle lacrime che le rigarono le guance.
«Chi sei? – singhiozzò – Cosa vuoi da me? Cos’hai fatto a Kagome?»
Non fu l’elusivo ricordo a risponderle, ma una voce fredda, dura, venata di una crudeltà indicibile.
«Eccoti, Junan!» la chiamò, con una brama che la fece urlare di orrore. Una tenebra orribile inghiottì le luci e risalì lungo il pozzo, mentre Anna gridava per il dolore e la sua fronte si illuminava di un accecante bagliore viola. Un gelo che non aveva mai provato, eppure familiare, la avvolse e la trascinò con sé, facendole perdere i sensi e strappandola al suo mondo per trascinarla verso l’ignoto.
   
 
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