Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moonlight_Tsukiko    27/01/2021    1 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Go Ahead and Cry, Little boy
Capitolo 22
 
Levi

L’auto di Kenny è nel vialetto.

Il mio corpo si congela quando me ne rendo conto. Mi fermo, proprio lì in mezzo alla strada, e mi chiedo se può vedermi da qui. Probabilmente no, dal momento che sono per lo più nascosto dietro gli alberi sempreverdi vicino al bordo della nostra proprietà, ma non lascio che il pensiero mi consoli.

Non riesco a immaginare perché sia ​​a casa a quest’ora. Anche se mi aveva mandato un messaggio mentre ero a casa di Eren, non era tornato a casa quando finalmente avevo raccolto il coraggio di tornare. In effetti, sono passati alcuni giorni e non lo vedo da allora. Quindi è uno shock enorme vedere la sua macchina parcheggiata dietro la mia.

Provo a pensarci razionalmente. Forse ha perso il lavoro. Forse ha chiesto mezza giornata libera. Forse è rimasto a casa per bere l’ultima bottiglia di Jack. Non sarebbe la prima volta. Non so come riesca a farlo, ma immagino che al suo capo non importi. Kenny lavora in una fabbrica, quindi non si fanno problemi se manca un operaio, dato che può essere sostituito da altri cento.

Mi giro e mi allontano da casa prima di pensarci. Il battito del mio cuore mi ruggisce nelle orecchie e riesco a sentirmi sudare freddo. So che dovrei essere ragionevole, che dovrei parlare con Kenny invece di scappare come un codardo, ma non ho mai affermato di essere maturo.

Non capisco dove sto andando fino a quando non vedo le altalene e gli scivoli. Espirando bruscamente, mi dirigo verso una delle altalene e spazzolo via la neve. Mi siedo pesantemente, ascoltando lo scricchiolio del dondolo mentre si adatta al mio peso e afferro le catene abbastanza forte da far male.

Il cuore mi batte ancora forte. Non intensamente come prima, ma abbastanza per farmi domandare se è possibile avere un infarto. Sarebbe un bel modo per andarsene. Morire in un parco giochi ispirato a Barney and Friends.[1] Sono sicuro che i genitori lo adorerebbero. Ovviamente i genitori che porteranno i figli a giocare in questo parco non avranno alcun tipo di trauma, vedendo un ragazzo morto sulle loro amate altalene.

Mi lecco le labbra secche e stringo più forte le catene. L’aria fredda attacca brutalmente qualsiasi pezzo di pelle esposta che ho. Le orecchie, le dita e il naso sono intorpiditi al punto che mi chiedo se siano ancora lì. Stamattina c’era stato un avviso di vento gelido, ma l’avevo ignorato. Il freddo non mi ha mai dato molto fastidio, ma immagino che il congelamento sia un problema di cui dovrei preoccuparmi.

Mi lascio oscillare leggermente nell’altalena. Mi sento miserabile. È una sensazione che non mi è nuova. Faccio del mio meglio per ignorarla, ma è un po’ come quel brufolo che continua a spuntarmi sul naso. Proprio quando penso che sia sparito, riappare. Il più delle volte, è peggio di prima.

Non mi piace pensare a come sono finito in questa situazione. Non oggi, ma la convivenza con Kenny. Non è qualcosa che potrei facilmente dimenticare, ma non avrei mai immaginato che sarebbe potuto succedere. Mia madre era sempre stata forte. Ho pensato che avrebbe superato qualsiasi cosa. Sono cresciuto ammirandola, prima di sapere come pagava le bollette.

Voglio dire, non fraintendetemi, l’ho sempre rispettata. È stato piuttosto strano scoprire che mia madre andava a letto con uomini differenti per poter mangiare. E anche allora, non ha fatto molto. I ricchi non andavano da lei. Gli unici che andavano a cercare mia madre erano i bastardi: gli uomini che tradivano le loro mogli, gli uomini che volevano sottrarsi a qualunque tipo di responsabilità stessero cercando di evitare. Mia madre non ha mai avuto un brav’uomo.

Diceva che Micheal era un brav’uomo. Mi chiedo se avrebbe continuato a dirlo anche se sapesse di Sammy e Olivia.

Mi chiedo molte cose. Molti sono il tipo di ‘e se’ che mi tengono sveglio la notte. E se mia madre non fosse morta? E se non fossi mai stato mandato a vivere con Kenny? E se Michael non se ne fosse mai andato? E se, e se, e se?

Non mi piace nemmeno pensare a quel tipo di domande, ma alla mia mente piace fornirle ogni tanto solo per ricordarmi quanto sono infelice. In un certo senso è un casino, ma immagino che la vita sia solo un casino.

Non sto dicendo che la vita fa schifo, però. Beh, sì, a volte, ma non è come se avessi questa nuvola scura sulla testa che non se ne va mai. La gente dice sempre che le cose migliorano e credo sia vero. Sto ancora aspettando quel momento, il momento in cui mi rendo conto che tutte queste cose sono probabilmente un qualche tipo di Paradiso che cerca di rendermi una persona migliore. Questo è quello che diceva mia madre. Che qualcuno lassù renda la vita una merda in modo che le persone possano imparare da essa, intendo.

Sembrava una stronzata. Le piaceva trovare scuse per giustificare le condizioni in cui vivevamo. Gli uomini non erano troppo duri con lei; erano solo presi dal momento. Michael non era una brutta persona; era solo sopraffatto. Non era infelice; non era felice come si meritava. Sapevo che lei cercava di darmi una vita come chiunque altro, senza preoccupazioni e circondato da arcobaleni e chissà cos’altro, ma io sapevo qual era la verità.

Qualcosa di umido mi tocca la mano e mi rendo conto che sta nevicando. Mia madre odiava la neve. Non ha mai veramente detto perché, ma lo sapevo. A volte non potevamo permetterci di pagare la bolletta della luce. Avrebbero spento la corrente e saremmo rimasti bloccati senza riscaldamento fino a quando non sarebbe riuscita a ottenere i soldi necessari. Il freddo ha sempre avuto un bel modo di ricordarle che le cose non erano così belle come lei cercava di farle sembrare.

Le cose probabilmente sono andate male nel periodo in cui ho iniziato il liceo. Ha cercato di guadagnare più soldi. Ha detto che stava risparmiando per il college, che ne avrei avuto bisogno più di lei, e che ero una testa di cavolo quando le ho detto che nemmeno ci pensavo al college. Ero solo al primo anno, mi sembrava presto per preoccuparmene.

È stato strano quando le cose hanno cominciato ad andare a rotoli. Non sembrava malata, aveva solo l’aspetto di una classica persona con difficoltà economiche. Aveva perso all’istante tutti i clienti. Aveva cercato un vero lavoro, ma non aveva nemmeno il diploma di scuola superiore. Nessuno voleva assumerla.

Non so come Kenny sia finito nelle nostre vite. Probabilmente verso la fine del primo anno di liceo. Cominciavo a vederlo in giro per casa, mia madre mi disse che era mio zio, sangue del mio sangue e che si sarebbe preso cura di me se dovesse esserle successo qualcosa. All’inizio non capivo, non fino a quando non è stata sotterrata. 

Il ricordo di tutto ciò mi fa irrigidire all’istante. Mi sento male allo stomaco e per alcuni istanti penso che potrei davvero vomitare. Ma la sensazione passa rapidamente così comm’era arrivata e mi ritrovo a lasciar andare le catene.

Le mie mani sono rosse, coperte dai rientri lasciati dalla catena e arriccio le dita sperimentalmente. Si muovono rigidamente, lentamente, e mi rendo conto che dovrei entrare prima di ammalarmi.

Regolo le cinghie dello zaino e sospiro pesantemente. Il mio respiro appare come una nuvola grigia di fronte a me prima che si dissolva. Gli anfibi scricchiolano sul ghiaccio e sulla neve mentre cammino verso casa, con tutto il corpo pesante. È come se trascinassi un mucchio di mattoni invisibili a ogni passo, e mi chiedo cosa accadrà se decidessi di sdraiarmi proprio dove sto e chiudere gli occhi.

Continuo a muovermi, però, perché forse c’è una possibilità che Kenny se ne sia andato. Forse i suoi collaboratori sono riusciti a convincerlo a uscire. C’erano riusciti in passato. Ci sono stati momenti in cui è uscito tutta la notte e non avrei dovuto preoccuparmi di lui fino a quando non inciampava in casa alle sei del mattino del giorno successivo.

Supero gli alberi sempreverdi e sospiro lentamente. La sua macchina è ancora parcheggiata innocentemente dietro la mia sul vialetto. Questa volta non penso di scappare. Ho evitato questo momento abbastanza a lungo.

Salgo i gradini e mi fermo davanti alla porta. Non sento altro che il sibilo del vento nelle orecchie. Sembra un avvertimento, come se qualcuno là fuori stesse cercando di dirmi di non entrare. Forse non è niente del genere. Forse sono proprio come mia madre in questo momento, costringendomi a trovare qualcosa di spettacolare in qualcosa che non lo è.

Scuoto il pensiero e afferro forte la maniglia della porta, aprendola lentamente. Spolvero gli anfibi innevati sullo zerbino. I miei piedi coperti da calzini non fanno quasi rumore mentre cammino nel soggiorno.

È seduto nella vecchia poltrona del salotto. Si siede così in profondità che a volte rimane la forma del suo sedere. Era piuttosto magro quando l’ho visto per la prima volta, ma ha guadagnato molto peso dopo la morte di mia madre. Immagino sia colpa della birra e del cibo cinese.

I suoi occhi sono chiusi, ma l’esperienza mi dice che non sta dormendo. L’ha già fatto prima, dopo tutto. Fingeva di dormire per poi saltarmi addosso come un leone fa con la preda. Quei giorni sono i peggiori perché vuol dire che è proprio arrabbiato. Non so ancora le cause che scatenano questa reazione, ma non sono neanche sicuro di volerlo scoprire.

“Ehi.”

Apre lentamente gli occhi e fisso la televisione. È muta, ma sta trasmettendo le notizie del telegiornale della sera. Deglutisco. Sono stato fuori per così tanto tempo?

“Sei tornato tardi.”

“Gruppo di studio,” mento. È quasi spaventoso quanto poco ci abbia pensato. “Tu… uhm… sei a casa.”

Solleva un sopracciglio. “Perché, ti manco?”

“Nah,” dico, stringendo forte le mie cinghie dello zaino. “Sono solo contento che tu non sia ubriaco e non ti stia vomitando addosso.”

Si appoggia allo schienale, un braccio appoggiato sul bracciolo e mi guarda in modo equilibrato. Mi sento sbiancare sotto il suo sguardo. Le mie spalle si abbassano involontariamente e improvvisamente sembra che il mio zaino pesi cento chili.

“Dovevo occuparmi di una cosa.”

“Te ne sei solo andato,” mormoro, la mia voce tremendamente sottile, e mi sconvolge fino al midollo. Non pensavo che lasciarmi così mi avrebbe influenzato così tanto. Al massimo, semmai, pensavo che avrei saltato dalla gioia. Invece, ho sentito questo intenso, paralizzante terrore che in qualche modo riesce a prendere il controllo di ognuna delle mie sensazioni.

Kenny mi guarda impassibile. “La prossima volta lascerò un biglietto.”

Stringo i denti abbastanza forte da farmi male. Mi fa male la mascella per la forza, ma continuo a farlo. Qualcosa si sta costruendo dentro di me, qualcosa che non posso fermare, ma sto facendo del mio meglio per contenere.

“Cosa c’è, moccioso? Hai qualcosa da dire?”

“Te ne andrai, vero?”

Non so perché glielo sto chiedendo. Non è quello che voglio? Allontanarmi da lui, intendo. Non ho detto a Eren che sarei uscito appena compiuti diciotto anni? Allora perché il pensiero di Kenny che se ne va mi disturba?

“Cosa?” Chiede, sembrando confuso, e mi sento un fottuto idiota.

“Niente... non è niente. Lascia perdere.”

Mi giro per andarmene, intento a far finta che tutta questa conversazione non sia mai avvenuta, ma lui mi richiama. Rimango sulla soglia, le mani strette a pugno. Le mie unghie lasciano delle rientranze nel mio palmo che sembrano piccole mezzelune e le guardo in modo da non dover guardare Kenny negli occhi.

“Cosa stai blaterando?” Chiede. Si alza dal divano e si avvicina a me.

Le assi del pavimento scricchiolano minacciosamente sotto i suoi piedi. Il cuore mi batte forte nelle orecchie e mi chiedo quante volte ho intenzione di farmi prendere dal panico in una sola giornata. Si ferma di fronte a me, abbastanza lontano da permettermi di scappare se decidesse di diventare violento. Non ce lo farei, ma è bello pensare di avere questa opzione.

“Niente,” ripeto, e mi costringo a guardarlo. Somiglia molto a mia madre. Non sono sicuro del motivo per cui mi sorprende, considerando che sono fratelli, ma è così.

Mi guarda per qualche istante prima di schernirmi e tornare al suo posto. Si siede e riattiva l’audio della televisione. Sbuffo all’improvviso flusso di suoni nel minuscolo soggiorno.

“Scusa,” riesco a dire e vado via da lì prima di poter fare qualsiasi altra cosa.

I miei passi suonano fastidiosamente rumorosi mentre salgo le scale. Quasi inciampo sui miei stessi piedi mentre raggiungo l’ultimo gradino. Raggiunta camera mia, premo la fronte su uno dei muri. Mi costringo a fare respiri profondi, ma l’aria sembra essere estremamente difficile da mantenere nei miei polmoni.

Scendo a terra, il muro freddo e solido dietro la schiena, e lascio che le notizie serali affoghino i miei pensieri.
 
 
*** 

“Ehi Ackerman!”

Reiner mi stringe la spalla. Lo guardo e mi costringo a sorridere.

“Ciao,” saluto. “Come va?”

“Non dovrei chiedertelo io?” Chiede Reiner, appoggiando una spalla contro l’armadietto accanto al mio. “Cavolo, amico. Ultimamente sei stato un fantasma. Ti sei dimenticato di noi solo perché non ci comandi più?” 

“Non vi ho mai comandati,” dico, alzando gli occhi al cielo. “Non senza una buona ragione, almeno.”

“Ci stai evitando.”

“Non è vero,” dico, difendendomi. È come se ci fosse una crepa nella mia armatura, come se la facciata che ho così accuratamente realizzato si sta rompendo in punti che non riesco a vedere. Sto diventando troppo vulnerabile, mi rendo conto. Sto mostrando il mio vero me stesso, e non va bene.

La mia mente mi fornisce immediatamente l’immagine di Eren. Deglutisco mentre metto nell’armadietto il libro di inglese per prendere quello di scienze. È lui che mi ha reso così, no? È quello che mi fatto venire voglia di essere vulnerabile. E, a mio merito, lo sono stato. Era stato incredibilmente difficile parlargli, figuriamoci mostrargli pezzi di me che non avevo mostrato a nessun altro, ma l’avevo fatto. Sono progressi, ne sono sicuro, ma non sono esattamente sicuro di ciò verso cui sto progredendo.

“Va bene, come vuoi,” dice Reiner scrollando le spalle. Mi mordo forte l’interno della guancia. “Andiamo in giro dopo la scuola. Sai, tutti i ragazzi.”

“Giusto,” dico distrattamente. “Io-”

“Verrai?” Domanda, quasi speranzoso. “Voglio dire, ci hai abbandonato dopo l’ultima partita. Tutti si chiedevano dove diavolo eri finito.”

Ah giusto. Eren e io eravamo usciti. È stato bello, stare con qualcuno che non aveva aspettative, che non voleva che io recitassi in un certo modo, e mi ritrovo a chiedermi come dovrei fare per tornare ad essere quel ragazzo. Sono stato solo Levi da chissà quanto tempo. Con Eren sono semplicemente Levi. Non c’è nient’altro a esso collegato, non mi sento di dover essere nient’altro. Sono pronto per essere di nuovo Levi Ackerman? Sono pronto a essere il capitano della squadra di football e tutto ciò che ciò comporta, dopo tanto tempo che sono solo io?

“Avevo solo delle cose da fare,” dico velocemente, costringendomi a smettere di pensare e Reiner alza un sopracciglio. “Seriamente, amico.”

“Va bene, ma vieni stasera. Niente ma, okay? Siamo all’ultimo anno. Chissà che fine faremo il prossimo autunno.”

Restringo gli occhi.

“Stai pensando al futuro?” Chiedo, incapace di impedirmi di sorridere. “Pensavo che vivessi il momento.”

Lui scrolla le spalle. “Le cose cambiano, no?”

“Certo,” rispondo scettico, ancora un po’ confuso, ma ignoro il pensiero. Non sono poi così amico di Reiner. Non devo cercare di capirlo. “Immagino ci vedremo più tardi, allora.”

Reiner annuisce e si allontana dall’armadietto. “Ci incontriamo nel parcheggio e poi andiamo a casa di Franz.”

“Fantastico,” rispondo, ma per qualche motivo c’è una sensazione di disagio che mi attanaglia lo stomaco. Esco con questi ragazzi da anni. Non c’è motivo per cui mi senta così a disagio.

Passo il resto della giornata meccanicamente. Se Eren nota il mio umore di merda, non lo menziona. Gli dico che lo chiamerò più tardi e annuisce lentamente, come se non mi credesse davvero. Mi stringe la mano prima di andarsene, e mi chiedo se dovrei andare con lui.

Non lo faccio, però. I miei piedi mi portano nel parcheggio finché non riesco a individuare la testa di Reiner tra la folla di studenti. Lui, Franz, Thomas e Marco sono tutt’intorno alla macchina di Franz. Mi avvicino a loro con riluttanza, quasi trascinando i piedi, ma tutti sorridono quando mi vedono.

“Ma guardate chi c’è!” Escalama Franz con un sorrisetto. “Levi Ackerman in carne e ossa.”

“Vaffanculo,” dico, spingendolo via quando cerca di lanciarmi un braccio attorno alle spalle e Thomas ride ridicolmente forte accanto a me. “Andiamo?”

"Sì, sì, andiamo,” dice Reiner, dirigendosi verso il volante. “Vado con Franz e Thomas. Ti va bene andare con Marco?”

Annuisco. “Sicuro.”

Marco sorride di nuovo e lo porto lontano dagli altri alla mia macchina. Entriamo in silenzio e accendo la radio solo per non sentirmi costretto a dire qualcosa.

“Reiner ti ha costretto, eh?”

“Cosa te lo fa pensare?” Chiedo, uscendo dal parcheggio. Marco scrolla le spalle.

“Non lo so. Sembra tu abbia la testa tra le nuvole. E non sembravi troppo entusiasta quando ci hai raggiunti.”

“Scusa.”

“Per cosa ti stai scusando?”

“Non lo so. Non importa. Scusa.”

Marco alza un sopracciglio, ma si zittisce.

Il resto del tragitto passa in silenzio. Prima che me ne renda conto, siamo a casa di Franz. Ci sono altre auto nel vialetto, oltre a quella di Reiner. A giudicare dal modo in cui riesco a sentire l’alto volume della musica, non siamo solo noi a aver deciso di incontrarci.

“Suppongo che abbiamo compagnia,” dice Marco.

Scrollo le spalle e decido di non rispondere. Usciamo dalla macchina e camminiamo verso la porta. È già aperta, quindi entriamo e ci asciughiamo le scarpe bagnate. Vedo Thomas parlare con una ragazza, ma Reiner e Franz non si vedono da nessuna parte.

Molti ragazzi provengono da altre scuole. Riconosco che alcuni appartengono a squadre contro cui abbiamo giocato, ma sono per lo più estranei. Mi muovo goffamente e rimango radicato nel mio posto mentre Marco inizia ad andare avanti.

“Vieni?”

“Tra un minuto,” riesco a dire.

Si stringe nelle spalle e scompare in cucina. Mi appoggio al muro e faccio un respiro profondo. Che cazzo ci faccio qui? Odio le feste. Sono venuto solo perché i miei amici hanno insistito, ma non mi sono mai trovato molto bene con loro. Tutto ciò che fanno è causare problemi.

Ma non ho voglia di stare in piedi contro il muro per tutta la sera, quindi mi costringo a socializzare. Alcuni dei ragazzi contro cui abbiamo giocato, mi salutano.

“Ciao, sei Levi, giusto?” Chiede uno. Schultz o qualcosa del genere. Ricordo di averlo visto sulla sua maglia.

“Sì, sono io,” dico. “Sei Schultz, vero?”

“Mi chiamo Gunther,” dice. “Sono di Krolva. Tu di Shiganshina, vero? Amico, ci hai davvero preso a calci in culo quel giorno.”

“Sì, mi ricordo,” dico. “Non abbiamo mai dovuto faticato così tanto per vincere. Nemmeno contro Trost.”

Gunther sorride con orgoglio. “Non sono i vostri più grandi rivali?”

Alzo le spalle, sorridendo. “Qualcosa del genere.”

Gunther ride.

“Beh, è ​​stato bello vederti. Ehi, forse dovremmo uscire qualche volta. Fare qualcosa che non sia competere per la vittoria sul campo da football.”

“Sì, forse,” dico. Non sono sicuro se lo intendo davvero. “Ci vediamo.”

“Ci vediamo!”

Mi spingo oltre le persone affollate sulla soglia della cucina. Prendo una bottiglia d’acqua dal frigorifero e guardo mentre la gente si ubriaca di fronte a me. Gira voce ci sia dell’erba nel seminterrato e un paio di ragazzi vanno a controllare. Sento qualcuno ridere dal piano di sotto, una risata che sembra proprio quella di Reiner.

Mi alzo contro il bancone e bevo lentamente un sorso d’acqua. La musica mi sta dando il mal di testa e mi domando quanto brutto sarebbe se decidessi di andarmene e basta. Ma prima di poterlo fare, Marco mi raggiunge.

“Ehi,” dice, senza fiato; decido di non voler saperne il motivo. “Hai visto Franz?”

“Non da quando abbiamo lasciato la scuola,” mormoro. Marco fa spallucce e beve ancora. Deglutisco forte e distolgo lo sguardo.

“Vuoi una birra?”

“Ho preso dell’acqua,” rispondo, scuotendo la bottiglia per enfatizzare. “Sono a posto.”

Marco alza un sopracciglio e non dice nulla. Improvvisamente mi rendo conto di essere stufo di questo. Non solo la festa, ma tutte le persone che la accompagnano. Non è il luogo in cui vorrei essere. Perché devo torturarmi in questo modo? 

“Oh, ciao Reiner!”

Sussulto quando Marco mi urla nell’orecchio. Reiner sorride e ci raggiunge. Mi sento in trappola e l’idea ridicola che lo stanno facendo apposta mi si pianta nella testa.

“Sai, sono contento che tu sia venuto,” Reiner mi getta un braccio attorno il collo. “Ci hai lasciato senza dire nulla. Che fine avevi fatto?”

“Si è fatto altri amici,” risponde Marco al posto mio, sorridendo, e il mio cuore sprofonda all’istante. “Ormai passa un bel po’ di tempo con Eren.”

Mi chiedo come diavolo lo sappia, ma poi ricordo di quando ho dovuto trascinare a casa il culo ubriaco di Eren. Marco mi aveva chiamato dicendomi che Eren mi aveva definito un suo amico. Pensò che sarei stata l’unica persona che Eren avrebbe ascoltato. E anche se non aveva torto, credecvo che ormai se ne fosse dimenticato.

“Eren,” ripete Reiner, improvvisamente rigido, e sono più che consapevole di essere incazzato all’istante. “Jaeger?”

“E allora?” Chiedo, cercando di attenuare la situazione, ma sembra solo farlo incazzare di più.

“È un fottuto stronzo!”

“Non parlare di lui in quel modo,” ringhio. “Che diavolo ne sai di lui?”

“Perché t’importa? Non ho bisogno di conoscerlo per sapere che non è altro che un fottuto perdente!”

“Fottiti, Reiner,” ringhio. “Pensi che lo odierò solo perché lo odi tu? Dammi tregua.”

“Non si tratta di questo,” sibila Reiner. “Si tratta di lealtà!”

“Lealtà?” Sbuffo e continuo prima di potermi fermare. “Dove cazzo era la tua cosiddetta ‘lealtà’ quando Bertholdt aveva bisogno di te?”

Ho a malapena il tempo di reagire prima che Reiner mi colpisca. Marco riesce ad afferrarmi per un braccio e mi trascina via prima che il pugno di Reiner possa connettersi con la mia faccia. Lo guardo sconvolto, l’adrenalina mi scorre nelle vene e inciampo all’indietro. Avevo lasciato cadere la mia bottiglia d’acqua a terra, bagnando l’intero pavimento.

“Santo cielo,” impreca Marco dietro di me. Deglutisco e cerco di smettere di tremare dalla rabbia.

“Ma che cazzo?”

“Stai zitto, okay?” Ringhia Reiner, ancora chiaramente incazzato, e sbatte la birra sul bancone. “Non... non nominarlo, cazzo.”

“Perché?” Insisto. “Perché ho ragione?”

“Basta,” interviene Marco, stringendomi il braccio. “Lascia perdere, Levi.”

Non dico niente e lascio che Marco mi riconduca davanti alla casa. Siamo vicini alla porta e guardo mentre cammina avanti e indietro davanti a me.

“Sai che Bertholdt è un argomento delicato.”

“Quindi?” Chiedo, incrociando le braccia. “È solo colpa sua. Non è un mio problema.”

“Hai ragione, non lo è,” dice Marco attentamente. “Solo... non lo so, non credo che dovresti parlarne. Si sente peggio di tutti noi.”

“Ha un modo orribile di dimostrarlo,” mormoro. Marco sospira e si appoggia alla parete.

“Levi.”

“Sai cosa?” Dico, alzandomi dritto. “Fanculo. Non me ne frega più niente di tutto questo.”

“Cosa?”

“Sono stufo,” sibilo. “Sono stufo delle feste, sono stufo di Reiner che si comporta come un fottuto stronzo e, soprattutto, sono stanco di fingere.”

“Lo so, ma-”

“Eren è mio amico. L’hai detto tu stesso, vero? Non starò lì ad ascoltarlo parlare di lui in quel modo. Non è giusto.”

“Sicuro che sia solo questo?” Mormora Marco. “Eren è solo tuo amico?”

Deglutisco.

“Non sono affari tuoi.”

Marco restringe gli occhi.

“Levi-”

Non aspetto che finisca.

A disagio e incredibilmente seccato, mi giro e afferro la maniglia della porta. La porta si richiude rumorosamente alle mie spalle e ci appoggio la schiena. Passando una mano traballante tra i capelli, prendo il telefono dalla tasca e lo tengo stretto tra le mani. Il mio dito esita sul pulsante Home. Alla fine, però, non lo sblocco e lo metto di nuovo in tasca. Vorrei poter tornare a casa, ma Marco non ha un passaggio per tornare indietro. Non sono così tanto stronzo da lasciarlo qui.

Scendo le scale e vado nel retro della casa. Ci sono alcuni ragazzi, ma li ignoro e cammino verso il patio. Dopo aver rimosso la neve da uno dei gradini, mi siedo pesantemente e incrocio le braccia.

Mi lascio cadere sulla schiena. I miei occhi rimangono incollati sul cielo. È un’altra notte buia, il tipo di oscurità in cui tutto sembra buio pesto, ma sembrano esserci un milione di stelle nel cielo. Non ho mai visto niente del genere.

Beh, non proprio. Probabilmente ho visto qualcosa di simile molte, molte volte prima. Ma oggi è probabilmente il primo giorno in cui ho davvero voglia di ammirarlo. Appoggio le mani sullo stomaco e continuo a fissare il cielo.
 
All’improvviso, non riesco più a sentire gli stupidi ragazzi nel cortile o la musica ad alto volume dall’interno. Anche il vento è silenzioso ora. Ci siamo solo io e il vasto mare di stelle.
 
 

[1] Barney and Friends: programma televisivo per bambini andato in onda negli Stati Uniti dal 1992 al 2010.
   
 
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