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Autore: VaniaMajor    29/01/2021    3 recensioni
Kagome possiede un portafortuna. Non avrebbe mai immaginato che a causa sua sarebbe stata portata in un altro mondo, coinvolta in una guerra orribile e legata misteriosamente a un demone dai capelli d'argento...Ma chi è il Principe dai capelli neri dei suoi sogni? Perchè la sua onee-chan deve soffrire tanto? E c'è speranza di tornare a casa...viva?! La ricerca delle Hoshisaki è iniziata. Una AU di Inuyasha e della saga di Cuore di Demone!
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Author’s note: Sapete bene che il lupo perde il pelo ma non il vizio, quindi Vania può essere stata “in ferie” ma di certo non ha perso la brutta abitudine di lasciare ogni capitolo con un sacco di punti di domanda! Che dite, andiamo a vedere di rispondere a qualcuno di essi?
 
CAPITOLO 9
SHINSETSU E JUNAN

 
Per un attimo, la vista di Kagome si tinse di rosa e la stanza attorno a lei scomparve, avvolta dalla luce. Quando questo fenomeno terminò, tutto era cambiato. In ginocchio su un pavimento di legno lucidato a specchio, nella penombra malinconica della luce di candele sparse in ogni angolo, Kagome rimase immobile, pietrificata dallo spavento. Quella non era la stanza in cui Jaken li aveva portati! Dove era andata a finire? Possibile che la sua Hoshisaki non facesse altro che cacciarla nei guai?!
Si alzò con un ansito, febbrile, timorosa di essere penetrata senza volere in zone che le erano precluse. Doveva essere ancora nel castello, era l’unico posto che le si fosse presentato con una tale profusione di eleganza e ricchezza. La sala era grande e poco illuminata, senza finestre. Al centro, troneggiava un enorme giaciglio coperto con tendaggi purpurei. La risposta alle sue domande le balzò alla mente con inaspettata chiarezza, seccandole la bocca. Ma certo…non aveva appena desiderato con forza di poter risvegliare il Principe Inuyasha? Quello non era un letto. Era il luogo su cui giaceva il corpo del mezzo demone, imprigionato in un sonno maledetto.
“Shinsetsu si è affrettata ad accontentarmi. – pensò, sollevando davanti agli occhi il pendente che ancora splendeva, fioco – Rimane da capire se sia una buona idea. Nessuno sa che sono qui, ma mi cercheranno. Scommetto che Jaken penserà per prima cosa che mi sia intrufolata qui dentro in qualche maniera”. Le sembrava molto plausibile. Meglio sbrigarsi, se davvero aveva intenzione di fare di testa propria. Quella bravata della sua Hoshisaki rischiava di finire molto male.
«Cominciamo col dargli un’occhiata» mormorò, agitata ma più curiosa di quanto avesse immaginato. Camminò fino al pesante tendaggio del baldacchino. Non si stupì molto che le sue dita fossero percorse da un lieve tremito quando sfiorò il tessuto, che si rivelò difficile da spostare. Sbirciò all’interno: sotto era buio pesto e occorreva salire due o tre gradini per vedere chi o cosa fosse sdraiato sul grande giaciglio.
“Beh, tanto peggio. – pensò Kagome, facendosi coraggio e intrufolandosi nella tenebra – Se Shinsetsu continua a brillare, non avrò problemi.”
Quando la tenda le ricadde alle spalle, infatti, la luce della sua Hoshisaki raddoppiò, consentendole di salire senza inciampare. C’era anche un’altra luce, molto fioca, che veniva dal giaciglio, ma Kagome tenne gli occhi bassi, seguendo il movimento dei propri piedi. Aveva paura di guardare il Principe Inuyasha. Era un mezzo demone…E se fosse stato mostruoso, come le creature di Naraku che l’avevano attaccata? O simile a Jaken o a Shippo? Cos’avrebbe fatto se il suo corpo avesse avuto i segni orribili della morte causatagli da Kikyo? Oppure il suo volto sarebbe stato quello del giovane dai capelli neri che l’aveva chiamata su En e le faceva battere il cuore nei sogni?
Giunse a lato del letto, coperto da un telo di seta. Chiuse gli occhi, contò fino a tre, poi aprì le palpebre e alzò la testa per guardare il Principe a cui doveva molte delle sue disgrazie. Kagome lasciò uscire in un tremolo sospiro il fiato che aveva inavvertitamente trattenuto. Non si trattava di un mostro e, se non fosse stato per l’asta della freccia che usciva dal petto, si sarebbe potuto pensare di stare osservando il sonno di un dormiente.
Il Principe Inuyasha era un bel giovane che non dimostrava nemmeno vent’anni, con lunghissimi capelli d’argento e un volto che anche nel sonno era serio, corrucciato, quasi tormentato dai pensieri. Le mani, dotate di unghie che parevano micidiali, tenevano al suo fianco una spada nel fodero. I piedi erano nudi, mentre il corpo era coperto da una particolare veste rossa di un materiale che sembrava più spesso del cuoio. Gli occhi di Kagome vagarono sulla forma di quel bel giovane, il cui tempo era immobile da cinquant’anni, e una profonda malinconia la colse. Notò con sorpresa che in cima alla testa argentea spuntavano due orecchie canine, un dettaglio così incongruo nella sua tenerezza che Kagome non poté fare a meno di sorridere. Prima che potesse contenersi, si era sporta per toccarle. Sotto le sue dita, si rivelarono vellutate ma fredde.
«Non lo sarebbero se tu fossi sveglio, non è vero? – mormorò Kagome, a pochi centimetri da quel viso che sembrava avercela col mondo – Sarebbero calde. Mi sbaglio?» Un leggero bagliore dorato vagava sul corpo del dormiente e Kagome si chiese se la sua sola presenza stesse svegliando il principe. La sua mano destra andò a posarsi sul petto di lui e non vi trovò il battito del cuore. A giudicare dalla posizione, doveva essere stato trapassato dalla freccia di Kikyo. Accorgendosi di essere quasi sdraiata sul principe, Kagome si fece indietro di scatto, arrossendo. Ma che le prendeva?! Se voleva svegliarlo, doveva darsi una mossa invece di perdere tempo prendendosi confidenze imbarazzanti!
«Già, ma…come faccio?» gemette. Ora che si trovava lì, non aveva la benché minima idea di dove iniziare. Forse Miroku avrebbe saputo come procedere, ma il monaco non era lì ad aiutarla. Doveva cavarsela da sola. Per prima cosa, forse era meglio togliere quella freccia dal petto dell’hanyo. Kagome si issò sul giaciglio, accanto a Inuyasha, poi afferrò l’asta della freccia e tirò. Non accadde nulla.
«Andiamo…non è questo il tuo posto! – esclamò Kagome, arrabbiandosi – L’hai imprigionato per un sacco di tempo, ora lascialo andare!»
Tirò di nuovo mentre diceva queste parole e l’asta si fece cedevole. Kagome la sentì vibrare, poi la freccia scivolò fuori dal corpo del principe senza la minima resistenza, come se non avesse atteso altro che il via libera per cessare la propria funzione. Kagome barcollò all’indietro e quasi cadde, essendosi aspettata una maggiore resistenza. Gettò la freccia alle sue spalle e guardò febbrilmente il volto dell’hanyo, ma in apparenza non c’erano stati cambiamenti. Il sonno di Inuyasha era identico, simile alla morte.
«Coraggio, svegliati! Svegliatevi, Principe Inuyasha! – lo esortò, toccandogli il volto e dandogli qualche colpo gentile alle guance, chiedendosi se non stesse sfiorando il sacrilegio – Perché non ti svegli?! Cos’altro dovrei fare?!»
Non vi fu reazione, nemmeno quando lo scrollò più forte. Inuyasha restava morto. Kagome compresse le labbra in una linea sottile e i suoi occhi brillarono di una rabbia di cui nemmeno lei capì l’origine. La visione del mezzo demone inerte le stava facendo male. Con un’imprecazione soffocata, salì a cavalcioni sull’addome dell’hanyo, si sfilò Shinsetsu dal collo con un gesto brusco che le scompigliò i capelli e poi premette con entrambi i palmi l’Hoshisaki sul punto in cui ancora si vedeva la ferita procuratagli dalla freccia di Kikyo.
«Svegliati, Inuyasha! Shinsetsu ti chiama!» esclamò, proiettando tutto il proprio desiderio di destarlo in quell’esortazione, nella pressione delle mani sul suo cuore. Shinsetsu pulsò sotto i suoi palmi, un battito che le si riverberò nelle braccia ed entrò in risonanza col suo pensiero. Poi, la luce delicata si propagò lungo le membra del principe, avvolgendolo in una carezza che, Kagome lo sperava, lo avrebbe guarito. L’aura rosa coprì l’intero corpo del dormiente e Kagome iniziò a sentire una nuova pulsazione sotto i palmi, stavolta dall’interno del petto dell’hanyo. La luce gialla che ne scaturì la sorprese. Era fulgida, calda e piena di vigore, come un sole d’estate. Era la luce che aveva visto nel pozzo dell’Hokora. Un istante dopo, gli occhi del Principe Inuyasha si aprirono. Kagome fece in tempo a vederne il colore ambrato, inaspettato e bellissimo, il lampo di dolore e confusione al primo sbattere delle palpebre. Poi, gli occhi di Inuyasha si posarono su di lei e i suoi lineamenti si trasformarono in un’espressione di odio, rancore e dolore che le congelò il sangue nelle vene.
«Kikyo?!»
Le Hoshisaki si spensero. Vi fu un attimo di stasi nella nuova tenebra, in cui l’unico suono fu quello dei loro respiri, così vicini. Poi, il corpo di Inuyasha si mosse. Fu per puro istinto che Kagome si gettò di lato, allontanandosi da Inuyasha e cadendo dolorosamente sui gradini con un gemito, la catena di Shinsetsu stretta in pugno. Fece in tempo a sentire qualcosa che le passava a pochissima distanza dalla testa, come un’arma che avesse cercato la sua gola. Ansimando per la paura, si trascinò fuori dal baldacchino, tornando alla luce delle candele. In quello stesso istante, il mezzo demone emerse dai tendaggi, tirandoli con tale violenza da strapparne una parte, che ricadde in modo disordinato. Kagome lo vide in piedi per la prima volta. Era bello e terribile di un’ira più che umana, con il fodero della spada in una mano e gli artigli levati pronti a colpire. Non c’era traccia di follia in lui, niente di ciò che Jaken aveva temuto, ma la sua sete di vendetta lo rendeva terrificante.
«Kikyo, traditrice! Cosa mi hai fatto?! Come hai osato?!» ringhiò, venendo avanti di un passo. Kagome scivolò all’indietro, senza osare perdere il contatto visivo.
«Io…io non sono Kikyo.- balbettò, conscia che era in gioco la sua vita – Il mio nome è…»
«Taci, traditrice!» sbottò Inuyasha, saltandole addosso. Con un grido, Kagome si aggrappò a un candelabro e lo fece cadere tra loro, guadagnando a malapena il tempo per evitare l’attacco e rimettersi in piedi.
«Per favore…per favore, ascoltami! Davvero, io non sono Kikyo!» gridò, cercando di farlo ragionare.
«Credi di potermi prendere in giro un’altra volta?!» ruggì Inuyasha, afferrandola per una caviglia e tirandola a sé, bloccandola a terra. Kagome gridò e si fece scudo con le braccia mentre lui alzava la mano artigliata per colpirla. Il colpo non venne. Lo sentì emettere un suono frustrato che non capì, poi le sue mani si chiusero sui suoi polsi e l’hanyo la costrinse con facilità a scostare le braccia dal viso.
«Difenditi, maledetta strega! Non stare qui a fare la vittima! – le ruggì in faccia, incombendo su di lei – Avanti, usa i tuoi poteri! Dov’è il tuo arco?! Se pensi che non abbia il fegato di ammazzarti, ti sbagli di grosso!»
Kagome non capì perché non l’avesse ancora fatto, ma non sprecò l’occasione per mettere in chiaro le cose.
«Io sono Kagome!» gridò, disperata, guardandolo fisso negli occhi nella speranza che si accorgesse della differenza. Lo sentì irrigidirsi. Una vaga espressione interrogativa gli aleggiò negli occhi, poi le sue mani si strinsero sui suoi polsi tanto da strapparle un gemito. «Davvero, per favore, il mio nome è Kagome! Kikyo è morta cinquant’anni fa, dopo averti sigillato!» continuò. Inuyasha mandò un ansito e la lasciò andare come se scottasse, ricadendo seduto all’indietro. Kagome si tirò a sedere a fatica, massaggiandosi i polsi. Il principe sembrò guardarla finalmente con attenzione e il rapido passaggio di emozioni sul suo viso, pur se incomprensibile, le diede la certezza che le differenze gli erano infine balzate agli occhi.
«Cinquant’anni? Kikyo è…morta?!» mormorò, portando una mano alla fronte in una posa che in un momento meno drammatico sarebbe stata quasi comica. Sembrava che gli fosse crollato il mondo addosso, e in effetti doveva essere così: come avrebbe mai potuto immaginare per quanto tempo aveva dormito e che la sua vendetta, nel frattempo, era sfumata?
«È una lunga storia, Principe Inuyasha, e qua fuori ci sono persone che potranno raccontarla meglio di me.- disse Kagome con voce gentile, sperando che la tempesta fosse passata – Se volete venire con…»
In quel momento, lo sguardo di Inuyasha si focalizzò su Shinsetsu, che pendeva tra le dita di Kagome. La rabbia tornò nei suoi occhi.
«Sei la nuova portatrice di Shinsetsu?!» ringhiò, alzandosi lentamente in piedi. Kagome, per riflesso, si strinse il pendente al petto.
«S…sì, e allora?» balbettò. Inuyasha scrocchiò le lunghe dita e scoprì le zanne.
«Allora avevo ragione. Tu devi essere la reincarnazione di Kikyo!» disse, venendo avanti di un passo. Kagome si affrettò a balzare in piedi.
«Ehi, non scherziamo! Io sono Kagome, Ka-go-me! – sbottò, arrabbiata e più ferita che mai nel sentirsi la copia di qualcuno che non c’era più – Non sono Kikyo!»
«Allora dammi Shinsetsu o ti ammazzo senza pensarci due volte!» le ordinò lui.
«Cosa?! Shinsetsu è mia! Ti vorrei ricordare che ti ho appena salvato la vita, anche se me ne sto pentendo! Potresti essere un po’ più gentile!» strillò Kagome, furibonda, facendogli strabuzzare gli occhi.
«Co…cosa?! Come ti permetti, ragazzina?! Dammi quella Hoshisaki!»
«Non ci penso nemmeno! Non vorrebbe mai stare in mano a un buzzurro violento! E mi chiamo Kagome, non “ragazzina”!»
«Che me ne frega del tuo nome?!»
«Oh già, l’unico nome che ti interessa è Kikyo, non è vero?! Se ci sei tanto affezionato, vado a recuperare la freccia e te la pianto di nuovo nel petto, almeno la smetterai di gridarmi in faccia!» strillò Kagome, sul punto di piangere per la paura e la frustrazione.
«Sei tu che gridi come una pescivendola!» sbraitò Inuyasha, la cui rabbia però si stava trasformando in confusione. Non era mai capitato che un abitante di En gli si rivolgesse a quel modo!
«Beh, mi spiace tanto! Sarà perché qualcuno, qui, continua a insultarmi o cercare di uccidermi!» gridò lei, prima di scoppiare a piangere. Inuyasha fece un paio di passi indietro, come se il pianto di lei fosse un colpo fisico. La fissò, attonito. No, quella non era Kikyo. Somigliava a una versione più giovane della sua nemica, ma in lei non c’era traccia del freddo autocontrollo e della profonda malinconia che aveva imparato a conoscere. Quella ragazza maleducata esprimeva senza vergogna i propri sentimenti. Odiò sentirsi un verme per averla fatta piangere.
«Ehi…ehi, piantala! – balbettò – Andiamo, smettila! Io non…»
Fu in quel momento che la porta della sala venne aperta e Jaken, seguito a ruota da Sango, Shippo e Miroku, fece irruzione insieme a un nutrito gruppo di guardie armate, trovandosi davanti una ragazza che piangeva e un redivivo e frustrato Principe di En.
***
Avvolta in un gelo mortale, Anna precipitò nella tenebra con un grido. Dapprima cadde, poi il mondo sembrò capovolgersi e avvertì la sensazione di essere tirata e sollevata. Una mano la afferrò per i capelli con uno strattone doloroso che le fece scorrere lacrime involontarie sulle guance, poi colpì qualcosa di duro con la schiena ed emerse dal pozzo per essere gettata a terra come un sacco di cui disfarsi.
Boccheggiando per la paura e il dolore, Anna rimase per un attimo immobile, gli occhi spalancati. La notte era rischiarata da una strana luce violacea. Le sue dita erano aggrappate a erba tenera, impregnata dall’umidità della notte. Non sapeva dove si trovasse né cosa fosse accaduto, ma tutto il suo corpo le gridava di scappare il più velocemente possibile. Ebbe anche il tempo di un primo sussulto per cercare di alzarsi da terra, prima che la stessa mano che l’aveva presa per i capelli la afferrasse per la gola e la sollevasse di peso, facendole emettere un orribile suono strozzato.
Inorridita e semistrangolata, si trovò a guardare in faccia un uomo dai lunghi capelli neri, vestito con una pelliccia bianca, il quale la teneva sollevata con forza inaudita. Accanto a lui c’era una donna che si copriva metà del volto con un ventaglio. Gli occhi di entrambi avevano una sfumatura allarmante anche al fioco lucore notturno.
«Questa è Junan? Non somiglia per niente a quella vecchia. – disse la donna, sollevando un sopracciglio mentre la studiava con blando interesse – Ce la sbrighiamo qui, Naraku?»
«Sesshomaru è nei paraggi» disse l’uomo, senza smettere di fissare la sua preda, che iniziava a temere di essere sul punto di morire soffocata «Portaci altrove, Kagura».
«Come vuoi» sospirò la donna, annoiata. Un attimo dopo, i tre erano in volo su una gigantesca piuma. Anna, finalmente libera dalla stretta di quello che sembrava chiamarsi Naraku, tossì e cercò di non guardare di sotto. Finché erano in volo, non c’era possibilità di fuga. Gli occhi malvagi di quell’uomo non la lasciavano un istante.
«Dove…sono?! – tentò di dire, con quel poco di voce che le uscì dalla gola martoriata – Chi siete voi?»
Non le risposero. Anna rabbrividì. C’era qualcosa di sbagliato, in quei due. Il nonno di Kagome l’aveva addestrata tanto quanto aveva fatto con sua nipote e Anna non aveva mai avvertito prima una tale manifestazione di energia malvagia.
«Dove…avete portato…Kagome?» insistette, ottenendo finalmente un barlume di interesse nella coppia.
«Conosci quella tipa? Ma guarda…è proprio vero che si attirano a vicenda. Se avessimo tenuto d’occhio quel pozzo dal principio…» mormorò la donna col ventaglio, pensierosa.
«Taci, Kagura.»
Le parole furono dette senza enfasi, ma la donna si affrettò a serrare le labbra e a tornare a occuparsi della traiettoria del volo.
“Non hanno Kagome!” pensò Anna, mentre il cuore le faceva un balzo. Sapevano dell’amica e forse le stavano dando la caccia, ma non avevano messo le loro grinfie su di lei! Inoltre, ora aveva la certezza di dove fosse finita Kagome dopo la sua scomparsa. Poteva pensare solo a se stessa, per il momento. Si abbracciò forte e lasciò ricadere le spalle, inondandosi il volto con i capelli castani. Non voleva che quell’uomo spiasse le sue espressioni, né che sospettasse che era ben lontana dal volersi arrendere o dal perdersi d’animo. Ora che poteva respirare, la sua mente stava lavorando per cogliere la prima opportunità di fuga.
Volarono ancora per pochi minuti, poi Naraku indicò un punto e la piuma scese, in cerchi che si fecero sempre più stretti, in una minuscola radura circondata dal bosco su tre lati. Il quarto digradava verso un fiume, cinque o sei metri più sotto. Lo sguardo di Anna saettò, sotto la cortina di capelli, valutando la distanza che la separava dal corso d’acqua. Era una buona nuotatrice e quella poteva essere la sua sola possibilità di allontanarsi dai suoi rapitori. Non attese nemmeno che la piuma toccasse terra. Con uno scatto, balzò sul terreno erboso e si mise a correre con quanta velocità le consentissero le gambe.
«Kagura» disse l’uomo con la pelliccia bianca, senza alcuna traccia d’allarme nella voce.
«Sicuro? Bah, contento tu…»
Era a pochi metri dal salto quando un’improvvisa e violentissima folata di vento la colpì alle spalle. Non solo si sentì sollevare, ma il mondo divenne una molteplice fonte di dolore. Fu come se decine di armi l’avessero colpita in ogni dove. Vide volare sangue e seppe che si trattava del proprio. Non si era sbagliata: quel vento tagliava come una lama. Piombò a terra, faccia avanti, tremante di dolore mentre il sangue le inzaccherava i vestiti stracciati. Quei due erano pronti a ucciderla! Il tizio chiamato Naraku rise, un suono gutturale pieno di malvagità. Si sentì rivoltare, poi l’uomo la afferrò per il cappotto e la trascinò sull’erba, ignorando le sue grida di dolore. La sollevò e la lasciò penzolare nel vuoto, trattenuta solo dalla stretta della sua mano.
«L’ultima volta ho fatto l’errore di ammazzarti troppo presto. – lo udì dire, attraverso la nebbia del dolore – Dammi Junan e poi…ti lascerò andare.» Rise di nuovo in quel modo disgustoso.
«Non so…nemmeno…cosa stai…» ansimò Anna. Iniziava a sentire un freddo profondo, che si allargava come un’onda nelle sue membra fino alla sua mente. Stava perdendo troppo sangue. Naraku scostò di poco la pelliccia bianca che lo ricopriva. Sotto, portava quella che sembrava un’armatura. Incastonate nel petto, c’erano due gemme dal colore malato. A quella vista, un dolore indicibile esplose al centro della fronte di Anna, tanto che tentò inutilmente di sollevare le mani per afferrarla. Naraku sorrise, soddisfatto.
«Allora è qui!» mormorò, colpendo il punto esatto da cui giungeva quel dolore. Le dita di Naraku perforarono la pelle e Anna gridò un’ultima volta, mentre il sangue le rigava il volto e la vita scivolava via ancora più velocemente dal suo corpo. Una luce viola, arcana e accecante, respinse le dita di Naraku, il cui viso si tese in una smorfia di dolore e rabbia. Insistette, ma era come se una barriera si fosse interposta tra la sua mano e l’Hoshisaki che ora vedeva brillare in mezzo al sangue. Quella dannata ragazza possedeva una cosa che in passato le era mancata: poteri spirituali che le consentivano di usare Junan. Le mani di Anna si serrarono sul braccio che la reggeva, in un ultimo impeto di forza di cui non la si sarebbe creduta capace.
«Tu non mi ucciderai…un’altra volta» mormorò, con voce non sua.
Un istante dopo, un’attonita Kagura sentì Naraku urlare e lo vide lasciare andare la ragazza, che precipitò in acqua con un tonfo. Il Signore di Gake, che non conosceva ferita fin da quando Inuyasha era stato imprigionato, caracollò all’indietro e ricadde, con un rantolo orribile. Kagura si affrettò a raggiungerlo. Buttò un’occhiata di sotto, constatando che la corrente aveva trascinato via il corpo della portatrice di Junan, poi guardò Naraku e inorridì. La forma del mezzo demone stava mutando, perdendo i contorni e trasformandosi in quell’ammasso di fattezze che per tanto tempo era stato il suo aspetto quotidiano, quello stesso coacervo da cui lei si era separata per diventare Kagura.
«Che ti sta succedendo?!» chiese, orripilata e in parte spaventata.
«Niente di grave. Mi ha solo…rubato un paio di parti inutili.» ringhiò Naraku. Gli mancava quasi tutto un braccio, ma in compenso stavano spuntando arti di tutti i tipi dove non avrebbero dovuto essercene. «Andiamocene. Devo immediatamente ripristinare l’equilibrio.»
«Questo è ovvio. – commentò Kagura, sbalordita, chiedendosi se quanto stava vedendo poteva tornarle utile in qualche modo – E Junan?»
«Dev’essere morta, - ringhiò Naraku – ma, se non lo fosse, va uccisa immediatamente. Sguinzaglia i nostri sicari. Sesshomaru non deve trovarla!»
***
Sesshomaru aveva lasciato da poco l’accampamento. Non era contento di ciò che aveva visto. Mentre gli Esseri Umani sembravano ancora molto coinvolti nello scontro contro Gake, pur se stanchi, provati e martoriati dalle perdite, gli Yokai gli erano parsi indolenti, annoiati da quelle schermaglie continue. Il loro modo di pensare non accettava guerre tirate in lungo per troppo tempo ma solo battaglie veloci e sanguinarie. Tutta quell’attesa stava facendo loro perdere la voglia di presidiare il confine, che infatti era un colabrodo. Inoltre, Sesshomaru era convinto che tra loro ci fosse qualche traditore, tentato dalle false promesse di Naraku.
“Su una cosa hanno ragione: questa situazione si sta protraendo troppo a lungo. Devo sbrigarmi a riunire le Hoshisaki e porre fine a questo stillicidio” pensò, con una smorfia, mentre saltava da un albero all’altro sotto la fioca luce della luna. Purtroppo, al momento non aveva sentito nulla di serio riguardo a Shinsetsu, solo la storia di un monaco che millantava di averla trovata ma si era lasciato alle spalle la fama di un libertino ambiguo. Sesshomaru pensava di sapere chi fosse quello sciocco e aveva una mezza idea di ritagliarsi il tempo necessario per riservargli una punizione esemplare.
“Eppure, non posso essermi sbagliato. Il bagliore attorno al corpo di Inuyasha era un segno di vita di Yuuki. Shinsetsu dev’essere tornata. Se Naraku l’avesse trovata prima di me, lo saprei…allora dove si nasconde?!”
Fu in quel momento che una sensazione inaspettata, così potente da sommergerlo e fargli dimenticare per un istante dove si trovava e cosa stava facendo, lo attraversò all’altezza del petto. Perse il perfetto equilibrio e la grazia che lo contraddistinguevano e ricadde sull’albero successivo, aggrappandosi per puro istinto al tronco per non precipitare al suolo. Una splendida luce argentea sgorgò all’altezza del suo cuore e Sesshomaru si sentì tirato in più direzioni, ma non in modo doloroso. Fu come se la sua anima si affacciasse al mondo e lo trovasse più grande, ricco di promesse. Fu un attimo, poi la luce si spense e la sensazione passò, consentendogli di recuperare il suo autocontrollo. Portò una mano al punto in cui, ironicamente, risiedeva in pianta stabile Chinoo, l’Intelligenza. La sua Hoshisaki lo aveva avvisato del risveglio di più di una Punta di Stella.
«Mentre io cercavo sul confine, Shinsetsu deve aver viaggiato fino a Inuyasha» mormorò, provando dentro sé un freddo trionfo. Aveva avvertito più di un richiamo, il che poteva solo significare che suo fratello era stato risvegliato, insieme alla possibilità di usare la spada Tessaiga e l’Hoshisaki che conteneva. Se non aveva compreso male, e Sesshomaru non contemplava l’errore, in questo momento al castello lo attendevano tre delle Hoshisaki perdute. Nel giro di un istante, era di nuovo quasi in pari con Naraku per la corsa al completamento delle Stelle.
Scese con pochi balzi fino a terra, deciso a trasformarsi per tornare al castello il più velocemente possibile, ma quando volse le spalle al confine un tremito potente scosse la spada al suo fianco, gelandolo. Sesshomaru abbassò lentamente gli occhi ambrati sul fodero di Tenseiga, la spada la cui Hoshisaki giaceva inutilizzata da decenni. Anche lei si era risvegliata? Ma perché? Sesshomaru non era mai più riuscito a utilizzarla, dopo quell’unica volta…
I lineamenti dello yokai si irrigidirono in un’espressione terribile, rifiutando il ricordo. Tessaiga vibrò di nuovo e la notte fu rischiarata da un breve lampo di luce azzurra. La spada sembrava volerlo tirare indietro, lontano dal castello, verso il confine. Poi, la sensazione passò e la spada tornò inerte al suo fianco, come se non si fosse mai mossa. Sesshomaru, cauto, posò la mano sull’elsa. Nulla. L’arma che suo padre gli aveva lasciato era tornata un oggetto defunto.
«Cos’hai cercato di dirmi?» mormorò, teso. Aveva avvertito più di un richiamo, quando Chinoo si era messa a splendere. Possibile si trattasse di…Junan?! Sesshomaru alzò la testa con uno scatto, fiutando l’aria con un’improvvisa brama prima di potersi trattenere, poi si diede dello sciocco. Non poteva essere. Tenseiga sbagliava. Junan era perduta insieme alla sua proprietaria e quello era un argomento chiuso a chiave nella profonda oscurità in cui giaceva il cuore dell’Imperatore di En. Qualunque cosa avesse fatto reagire Tenseiga, non c’entrava con “lei”. Forse Junan sarebbe tornata, prima o poi, ma la sua valenza per Sesshomaru non aveva più nulla di speciale. Era una Hoshisaki come le altre e in quel momento non poteva ignorarne tre per seguire il miraggio di una sola di esse.
Chiudendo ricordi e speranza nella tomba gelida del proprio cuore, Sesshomaru si trasformò nella sua forma canina e si lasciò alle spalle il confine, sfrecciando verso la propria dimora.
   
 
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