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Autore: Arkady    31/01/2021    0 recensioni
Dal capitolo 4:
- Stai bene? - Mi chiede
- Non. Farlo. Mai. Più!! - Riesco a dirgli con voce strozzata, tra un colpo di tosse e un altro.
- Come hai fatto a bere? Non dirmi che sei una di quelle che deve tapparsi il naso con la mano? -
- Mi hai preso completamente alla sprovvista, mi sono pietrificata! –
Troppo tardi penso che, detta così, può sembrare che io abbia paura. Cosa, ovviamente, falsa! Che sia chiaro!
- Se avessi saputo che avevi paura, non ti avrei fatto questo scherzo. –
Ecco, appunto.
- Io non ho paura! - dico, in perfetto stile bimba di quattro anni.
- Si, certo che no. - mi risponde accondiscendente.
Genere: Demenziale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 15: Lo so

 
Siamo arrivati al pronto soccorso senza rischiare la vita. O il ritiro della patente di entrambi.
Il tragitto è stato tutto sommato semplice: la strada era dritta e c’era un solo semaforo (al quale mi è morta l’auto due volte), ma a parcheggiare ci ha dovuto pensare Lorenzo.
Quello sarebbe stato troppo per me.
Ora siamo seduti in sala d’aspetto, lui si è registrato e gli hanno dato del ghiaccio da tenere sul naso.
Nessuno dei due ha aperto bocca, se non per “comunicazioni di servizio”.
Io rabbrividisco: le sedie in metallo dell’ospedale sono gelide, come lo è anche l’aria che esce dal condizionatore. Io capisco che siamo in estate, ma diamine non fa così freddo nemmeno in pieno inverno! Ci saranno più di 15 gradi di escursione termica tra dentro e fuori!
Lorenzo mi allunga le chiavi dell’auto, ed al mio sguardo interrogativo mi dice – c’è una mia felpa in auto –
Vado a prenderla e torno dentro indossandola.
Mi sento un po’ ridicola: è davvero enorme!
Lorenzo mi accoglie con una risatina, e io gli lancio un’occhiataccia, risedendomi accanto a lui.
- dovresti smetterla di mettere cose talmente corte da non vedersi da sotto al giubbotto, o da sotto una mia felpa – mi sussurra avvicinandosi.
Non riesco a capire se il suo tono è solo divertito o anche contrariato. Io comunque ribatto a metà tra divertita e contrariata.
- è la tua felpa ad essere troppo grande. Guarda! – gli dico muovendo un braccio e facendo muovere gli almeno 10 cm di manica che avanzano – non mi si vedono nemmeno le mani -
- queste basta arrotolarle, scema – replica lui, posando il ghiaccio sulla sedia accanto e sistemandomi entrambe le maniche.
Una volta finito, intreccia le dita con una delle mie mani, e io mi ritrovo a sorridergli, con un timido – grazie -.
 
Quando tocca a lui, nemmeno troppo tempo dopo, slegare le nostre mani mi provoca un senso di abbandono, così nascondo la mia srotolando la manica.
Finalmente mia madre si degna di richiamarmi, e per rispondere esco fuori per non disturbare la quiete della sala d’attesa.
Le spiego brevemente cos’è successo, dandomi mentalmente della stupida per aver esordito con – sono al pronto soccorso –
La rassicuro che è tutto ok, o quanto meno niente di grave, e poi le chiedo dove sono spariti lei e Fabrizio senza nemmeno avvisare – se è una vendetta per ieri, mi pareva di averti già chiesto scusa – le dico risentita.
- non siamo all’asilo – replica lei seccata – ti ho già perdonata per ieri e che razza di madre si “vendicherebbe”? – e poi mi spiega che le era arrivata una telefonata mentre ero in bagno e aveva mandato Fabrizio ad avvisarmi.
Mi faccio andare bene le sue parole e la saluto, dopo che mi ha avvisato di non aspettarla a pranzo (che mi ha già lasciato pronto nel frigo) e di passare a prendere Fabrizio al doposcuola estivo prima di cena.
- se Lorenzo si ferma a cena, dovreste andare a fare un po’ di spesa, ok? – mi dice lei titubante e io le rispondo con un flebile – d’accordo -.
Quando mi giro per rientrare, quasi mi viene un infarto ritrovandomi Lorenzo accanto.
- potresti gentilmente smetterla di farmi prendere paura? -
- scusa, non l’ho fatto apposta. Nessuna delle due volte. – replica alzando le mani
- che ti hanno detto? – cambio argomento io, notando la specie di cerotto che ha sul naso.
- sembrerebbe che non me lo hai rotto, è solo una botta. – mi risponde sorridendo – devo tornare tra un paio di giorni, quando si sarà sgonfiato. -
- puoi guidare? -
Il sorriso gli vacilla un attimo alla mia richiesta, ammetto frettolosa – ti porto a casa? – mi chiede un po’ mogio
Decido si scherzarci su, battendogli un piccolo pugno sulla spalla – direi che abbiamo già rischiato all’andata, no? Adesso è il caso che ci porti tu sani e salvi a destinazione -
Anche il viaggio di ritorno è silenzioso, io guardo fuori dal finestrino nel cui riflesso noto che Lorenzo si gira a guardarmi spesso.
Arrivati sotto casa mia, con la coda dell’occhio lo vedo innervosirsi mentre ferma la macchina ma la lascia in moto.
- non puoi parcheggiare qui – gli dico e riesco a notare sul suo volto il lampo di sorpresa alle mie parole
- abbiamo un discorso in sospeso, no? – riprendo.
Lui indurisce un po’ la sua espressione, ma non dice nulla, parcheggiando in silenzio ed entrando in casa assieme a me.
 
Il silenzio si protrae a lungo, io non so cosa dire e lui sembra essersi chiuso in sé stesso, e la cosa inizia ad innervosirmi davvero.
Decido di andare a prendere un bicchiere d’acqua per entrambi, ed il mio spostamento pare riscuoterlo. Sento il suo sguardo addosso, seguirmi in cucina e osservarmi tornare da lui e porgergli il bicchiere.
- grazie – mormora lui, beve un sorso e poi riappoggia il bicchiere sul tavolino basso che c’è tra noi.
Rimane proteso in avanti, verso di me, si schiarisce la voce e dopo aver incatenato i miei occhi ai suoi, comincia.
- Eleonora, ascolta – prende un sospiro, facendo una piccola pausa – partiamo da cosa è successo alla casa al mare. –
Io chiudo un attimo gli occhi. Onestamente non mi interessa più.
O meglio, considerato che sembra essersi rivolto altrove, mi pare evidente che io sia stata effettivamente inadeguata. Non mi serve che me lo confermi a parole né, peggio ancora, che invece mi menta dicendomi che andava bene.
- non fare così – dice – per piacere ascoltami fino in fondo, decidendo solo alla fine se vuoi credermi o no. Puoi fare questo, per me? –
Mi guarda serio e davvero speranzoso, così annuisco e mi impongo di fare come chiede: ascoltarlo fino alla fine.
- ho sbagliato quella mattina a non insistere a parlarne, perché è chiaro che l’abbiamo presa diversamente – inizia lui – non mi è chiaro se ti sei arrabbiata perché ho voluto fermarmi o per qualcos’altro, ma non me ne pento assolutamente. – continua estremamente serio e qualcosa sul mio viso deve tradire la mia perplessità
- hai capito bene si – ora nella sua voce c’è una venatura di rabbia, che diventa sempre più palese mentre continua – hai una vaga idea di cosa significhi vedere la persona che ami che soffre e la causa sei tu? -
Spalanco la bocca, non per quello che ha detto, ma per come mi ha definita: la persona che ami. Non è come dirmi ti amo direttamente, ma il concetto è quello.
Lui deve aver scambiato la mia espressione per incredulità, perché prosegue quasi urlando – cazzo, piangevi! Come avrei potuto andare avanti? –
- io – cerco di dire, ma lui mi zittisce con un gesto della mano
- hai detto che mi facevi parlare fino alla fine – dice deciso e quando annuisco va avanti – credo sia chiaro che io voglia farlo con te, e non hai idea di come ero felice quando in spiaggia mi hai detto di essere pronta – la sua voce si abbassa un po’ e i suoi occhi lasciano i miei, concentrandosi sul bicchiere che guarda senza in realtà vederlo – tu eri agitata e anche io mi sono fatto prendere dall’agitazione. Non sapevo cosa dovevo fare… -
Si interrompe e si butta indietro con la schiena, afflosciandosi quasi sullo schienale del divano – cioè si, tecnicamente sapevo cosa dovevo fare – si corregge lanciandomi un’occhiata ed un mezzo sorriso – ma non è che io sia particolarmente ferrato in materia –
Ad entrambi scappa una breve risata, e forse vedere ridacchiare anche me lo sprona a proseguire – non volevo farti male, cioè… so che la prima volta alle ragazze fa male, però speravo fosse una cosa di un momento. E invece tu cercavi a tutti i costi di essere forte, perché Eleonora Bianchi non ha paura di niente… - mi dice con una punta di rimprovero
- volevo – inizio a giustificarmi, ma vengo zittita di nuovo
- non avevi niente da dimostrare, Ele. Né a me, né a te stessa. Né a chiunque altro. Eppure eri tesa come una corda di violino. Avevi paura e io non sapevo cosa dirti, o come fosse meglio comportarmi per cercare di farti rilassare. Quando ho deciso di mettere fine a… quello, ho pensato che volessi spazio. – tutto questo me lo dice guardandomi dritto negli occhi, che a questo punto abbassa – io ne avevo bisogno. Volevo calmarmi, togliermi dalla testa l’immagine di te che trattenevi le lacrime e darmi dell’idiota perché non sono stato capace di regalarti una prima volta decente. –
Lo ascolto rapita e lui prosegue – poi mi sono dato dell’idiota perché ti avevo lasciato lì da sola, e chissà su che tangente stavi partendo tu – di nuovo mi rivolge un mezzo sorriso e un’occhiata triste – ma quando sono tornato dormivi e non ho voluto svegliarti. Sembravi così fragile… - abbandona anche la testa indietro, guardando il soffitto – ti sei rannicchiata addosso a me e l’unica cosa che ho potuto fare è stata stringerti. – sospira pesantemente, e si tira su, tornando a guardarmi – la mattina dopo non c’eri, mi hai fatto spaventare da matti. Pensavo fossi scappata, sarebbe stato da te –
- forse – mi lascia il tempo di ammettere con un sorriso un po’ divertito e, dopo esserselo concesso anche lui, riprende con un’espressione abbattuta
– non sei scappata fisicamente, ma in realtà lo hai fatto. Non ne hai voluto parlare, poi ti sei nascosta dietro una finta allegria. Non ho capito se per non rovinare la giornata o se perché stavi semplicemente riflettendo sull’accaduto, comunque te l’ho lasciato fare. Ti ho lasciato anche mettere quell’orribile silenzio tra noi. E qui ho sbagliato di nuovo, perché mi ero convinto ti servisse del tempo per pensare, e mi sono fatto da parte per una giornata intera, con tutte le intenzioni di venire da te il giorno dopo e costringerti a parlarne -
- ok, basta. Adesso mi fai parlare – lo interrompo, e ricomincio a parlare prima che mi zittisca di nuovo – quello che hai detto è vero. – faccio una pausa per cercare di mettere insieme quello che voglio dire e mi rilasso un po’ quando noto che lui non ne approfitta per ricondurmi al silenzio – io mi sentivo pronta davvero, e si, nonostante questo avevo paura. – confesso, ma non mi pesa farlo come avrei immaginato – non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo cosa dovevo fare, non volevo deluderti, non volevo apparire inadeguata… -
- inadeguata? Deludermi? – mi interrompe quasi con rabbia – ma le senti le stronzate che dici? –
- fammi finire – gli dico calma, con gli occhi lucidi ed un groppo alla gola, e lui si ridimensiona all’istante – in quel momento mi sentivo così. E mi sono sentita così anche dopo. Quando mi hai lasciato sola quella sera, quando non ne ho voluto parlare al mattino dopo, quando ho fatto finta di niente tutto il giorno. In realtà volevo solo cancellare l’accaduto. Fare finta che non fosse successo. E si, volevo stare da sola. Volevo che tu la smettessi di guardarmi a quel modo. –
- che modo? – mi chiede
- con dispiacere. – gli rispondo – mi faceva sentire ancora più sbagliata. – ammetto con una smorfia.
Quando lui non riprende a parlare, continuo trovando il coraggio di guardarlo dritto negli occhi – il giorno dopo mi ha seccato parecchio che tu non mi abbia scritto nulla. E anche se da una parte volevo effettivamente cercare di non pensare a te, mi sono comunque sentita ignorata e messa da parte. A maggior ragione quando alla fine ho sconfitto il mio orgoglio e ti ho scritto per prima, e tu mi hai risposto che… avevi da fare. –
Quando smetto di parlare, mi rendo conto di essere diventata tesa e ostile. Abbiamo chiarito quanto successo alla casa al mare, cosa lo ha spinto ad agire in un modo, e cosa ha spinto me ad agire in un altro.
Ma ora siamo arrivati al nocciolo della questione: la sua bugia su ieri.
- credi che per me sia stato facile non scriverti? Ignorarti una giornata intera, dopo quello che era successo? – mi chiede infastidito – ero terrorizzato da che film mentali ti saresti fatta, perché ormai ti conosco e so che te li fai – blocca sul nascere la mia protesta e poi continua – ho scritto a tua madre, inventandomi che non mi rispondevi. E lei mi ha chiamato. –
- davvero? – chiedo sorpresa
Lui annuisce e continua – mi ha detto che aveva intuito che io e te avessimo litigato. Ho negato, perché in effetti non abbiamo litigato, ma non potevo nemmeno dirle cos’era successo – mi dice arrossendo leggermente – così le ho spiegato che ti stavo lasciando spazio per riflettere senza addentrarmi in particolari, e lei mi ha detto che eri fuori con Valeria e Ambra, e che mi avrebbe avvisato quando saresti rientrata –
- perché avrebbe voluto avvisarti? –
- così potevo passare – mi risponde
- ma non lo hai fatto –
- ci ho messo troppo ad arrivare – sospira un po’ rassegnato – quando tua madre mi ha aperto la porta, Greta era già qui e stavate discutendo. –
- hai sentito? – chiedo allarmata
- no. Si sentivano solo i toni, non del tutto pacifici. –
- già – ora sono io a sospirare amareggiata
- non mi pareva il caso di presentarmi dopo che lei se n’è andata, e tua madre ha avuto l’idea della sorpresa –
- quale sorpresa? – chiedo perplessa
- subito dopo che Greta è uscita, mi è arrivato il tuo messaggio. Quando ho visto il tuo nome, devi credermi, stavo per venire su di corsa. Poi ho letto il testo, parlavi dell’indomani e mi sono reso conto che era probabile che non volessi vedere nessuno. Allora tua mamma mi ha convinto a scrivere a Valeria e Ambra, perché si inventassero degli impegni per l’indomani, e lo stesso si è inventata lei per sé e Fabrizio. –
- perché? – continuo ad essere perplessa
- perché così saresti stata libera per me. Se nessuno dei tuoi amici poteva uscire, e io non fossi stato disponibile, era probabile che saresti stata a casa, e io avrei potuto stanarti –
- e che sono, una lepre? – ridacchio io, iniziando a collegare le cose – quindi eri tu con Fabrizio quella sera -
- una volpe, piuttosto – replica, anche lui divertito – e si, con Fabrizio c’ero io. Avrei voluto vederti, ma mi sono accontentato di sentirti. –
- volevo vederti anche io. Ci sono rimasta male per la tua risposta: era così fredda -
- me ne sono reso conto tardi. Nella concitazione di orchestrare tutto, senza per altro far capire a tuo padre che stava succedendo, mi sono limitato a pensare solo ad una scusa da propinarti. Mi dispiace – ed il suo dispiacere lo posso vedere anche nel mezzo sorriso che mi rivolge – e non ho pensato a Luca, e questo è stato il mio quarto errore. Ma anche se l’avessi fatto, non avevo il suo numero, quindi in ogni caso non avrei potuto avvisarlo. –
- quindi, ieri… ? – vorrei chiedere dov’eri, con chi, ma non riesco a finire di porre la domanda e lascio la frase in sospeso.
- quindi, ieri ero qui. Ero in cucina quando tu sei fuggita via. –
- Fabrizio ha fatto cadere la sua preziosa attrezzatura per avvisarvi – deduco in un sussurro
- stava per mettersi a piangere dopo che sei uscita – mi racconta e io scuoto il capo, immaginandomi la scena – io avrei voluto sbattere la testa sul muro. – continua lui, attirando su di sé il mio sguardo – ti ho anche rincorsa, ma avevi quel mezzo minuto di vantaggio e ho solo potuto vedere la macchina che ti portava via. –
- e poi? – chiedo, anche se credo di aver capito cosa sia successo, da lì in poi, ma voglio sentirglielo dire.
- poi sono tornato a casa mia. Avevi detto che saresti rincasata per cena, non aveva senso passare la giornata qui. E non volevo che tua madre mi vedesse come un cane in trappola, non più di quanto avesse già fatto quella mattina e la sera prima –
- cane in trappola? –
- non sapevo con chi eri. Nemmeno a lei è venuto in mente Luca tra le alternative possibili, e io… - mi guarda in modo strano, sembra divertito – e io mi sono fatto i film in testa, geloso marcio di chi stava rubando a me la tua compagnia –
- potevi chiamarmi –
- avresti risposto? –
- Credo di si. In quel momento stavo solo cercando una distrazione al pensiero di non poterti vedere. Non ce l’avevo con te. –
- allora questo è stato il mio quinto errore – ammette dispiaciuto, io faccio spallucce e lui continua dopo un sospiro – e poi mi è arrivata la chiamata di mio fratello. Leonardo mi ha detto che forse mi aveva messo nei casini, avendoti incontrata ed essendosi fatto sfuggire che papà non era in città e facendoti quindi capire che la mia era una bugia. –
Resto in silenzio, ricordandomi come mi sono sentita umiliata in quel momento, e lui si affretta a continuare.
- ho provato a chiamarti, ma non mi hai risposto. Allora ho avvisato tua madre, ma non hai risposto nemmeno a lei. Mi sono fatto dare il numero di Luca, ma era occupato, e quando ho riprovato, non mi ha risposto nemmeno lui. L’ora di cena è arrivata e passata, e di te nemmeno l’ombra. – lo sento che mi guarda, ma io continuo ad osservare con immenso interesse il centrotavola di mia madre, fa un altro sospiro e continua - Poi lui ha chiamato tua madre, dicendogli che non saresti tornata, che dormivi fuori. Ho aspettato un po’ e ho scritto a Luca che quello era il mio numero, e se potevo chiamarlo senza che te ne accorgessi –
Mi sfugge uno sbuffo dal naso – ha detto che era Laura. Adesso che ci penso avrei dovuto capire che mi stava mentendo –
- non avercela con lui – lo difende Lorenzo
- no, certo – mormoro io, tornando di nuovo al meraviglioso centrotavola
- gli ho raccontato le cose come stavano e lui mi ha suggerito di aspettare stamattina. Mi ha detto quanto male sei stata e mi sono sentito davvero uno schifo… -
- sia lui che Laura ti hanno difeso tutta la sera, convincendomi ad ascoltare la tua versione –
- immagino che li dovrò ringraziare –
- dovresti, si –
A questo punto cala il silenzio e il gioco sta a me. Lui mi ha raccontato la sua versione ed io l’ho ascoltata.
- riesci a credermi? – mi domanda dopo che il mio mutismo prolungato.
Ma il punto non è credergli o no. Perché inventarsi tutto questo quando potrei smascherarlo facilmente chiedendo a mia madre o a Luca conferma delle sue dichiarazioni?
Il fatto è che Lorenzo mi ama. Me l’ha più o meno detto a parole e direi che le sue azioni parlino anche di più.
E io amo lui.
Tanto.
E abbiamo rischiato di rovinare tutto solo per mancanza di comunicazione. Di cui, e lo ammetto, la prima causa sono io. Dunque, tiriamo fuori tutto quello che ho da dire.
- Lorenzo – mi mordo il labbro dopo aver detto il suo nome e lui mi guarda in trepidante attesa – Lore, io ti amo – diretta e concisa.
Lui sgrana occhi e bocca, e io sorrido del fatto che sia davvero stupido che lui ne sia sorpreso.
– e ti credo. Ti ho già detto come mi sono sentita dopo il nostro… ehm… tentativo. E credimi, dopo quello che è successo da quando ho parlato con tuo fratello, sono certa che lo preferisco poco loquace come al solito. Se non fosse entrato nei particolari, se mi avesse semplicemente detto “no, non sono con Lorenzo” senza dirmi che tuo padre era via e che tu eri andato a casa di una ragazza, forse… beh forse non avrei pensato che tu fossi andato a cercare consolazione altrove –
Le mie parole attecchiscono con calma, o probabilmente Lorenzo era ancora shoccato dalla mia dichiarazione iniziale che il mio discorso successivo viene elaborato al rallentatore.
Quando finalmente realizza quale sia stato il mio pensiero, quasi scatta in piedi.
- che cosa? – esclama, mi verrebbe da dire disgustato all’idea – io… no! No, ma cosa stai dicendo? Ma per chi mi hai preso? Ele, ti prego… –
- siamo due stupidi, Lore – lo interrompo io, sorridendo mi alzo e gli tendo la mano affinchè faccia lo stesso – sarebbe bastato parlare chiaramente – proseguo, prima di abbracciarlo e affondare il viso sul suo petto
Mi stringe subito anche lui appoggiando una guancia sulla mia spalla.
- anche io ti amo, Ele – mi sussurra nell’orecchio.
Mi lascio sfuggire una risata e poi gli rispondo – lo so -.
Una citazione di uno dei suoi film preferiti, che lui coglie e poi ride con me.
 

 
 
Pranziamo insieme con quello che mi ha lasciato mia madre e poi ci piazziamo sul divano a vedere un film.
Io sono seduta con le gambe raccolte, e sul cuscino che ci ho appoggiato sopra, Lorenzo ha appoggiato la testa e si è disteso.
Gli sto accarezzando i capelli e all’ennesima mia domanda a cui non ottengo risposta, mi accorgo che si è addormentato.
Continuo con le mie coccole, mentre mi nasce un sorriso radioso.
Impreco quando il mio cellulare inizia a suonare e lo sveglia. Ormai il danno è fatto, e con delicatezza lo sposto per andare a rispondere.
La disturbatrice si rivela essere mia madre, a cui in effetti non ho più detto come è finita. Le racconto a grandi linee cosa i medici hanno detto a Lorenzo, e che abbiamo pranzato assieme qui a casa.
A quel punto mi pare di sentirla sospirare sollevata, e quasi timorosa mi pone la domanda successiva.
- Lorenzo si ferma anche a cena? –
Sorrido, guardando il ragazzo che si sta stropicciando gli occhi, ancora mezzo addormentato.
- si. Che devo prendere di spesa? –
Intenta a osservare Lorenzo, che mi guarda con un’espressione buffissima, non riesco a capire se l’urletto di gioia che ho sentito dall’altra parte del telefono c’è stato davvero o me lo sono solo immaginato.
Comunque mia madre mi detta un elenco di cose e io le chiedo per che ora torna.
- non credo prima delle 7.30. Lo sai che i primi giorni del mese sono sempre pieni in ufficio. Ricordati che alle 7 arriva il pulmino di Fabrizio a scuola, dovreste andarlo a prendere… a Lorenzo non scoccia, vero? –
- no. no, tranquilla. – la tranquillizzo mentre un’idea prende forma nella mia mente - Senti e se facciamo così: andiamo a prendere Fabrizio, e prendiamo una maxipizza per asporto? Così nessuno deve prendersi la briga di cucinare, e nel frattempo tu sarai a casa. Che dici? –
- mi sembra un’ottima idea. Tesoro devo andare, il capo mi guarda già male. – e riaggancia
Lorenzo intanto si è alzato e viene ad abbracciarmi da dietro, lasciandomi un bacio sul collo, che mi fa ridacchiare.
- era tua madre? –
Annuisco ed espongo anche a lui i programmi della cena, che lui approva, tra un bacio e l’altro, che vanno dalla mia mascella fino alla spalla.
- e cosa vorresti fare ora? – mi chiede
- questa piacevole tortura non mi dispiace affatto – mormoro io, inclinando la testa di lato, per concedergli più superficie.
Le sue mani vanno alle spalline del vestito, che abbassa con gesti lenti, mentre io sciolgo il fiocco che stringe il vestito sotto al seno e che, ora che le spalline sono giù, è l’unica cosa che tiene il vestito al suo posto.
Come abbasso le braccia, scivola giù silenzioso, lasciandomi in biancheria in un paio di secondi.
Lorenzo smette di baciarmi e mi fa girare verso di lui, ammirandomi nuovamente dall’alto in basso.
Mi riavvicino a lui, sfilandogli la maglia subito dopo che Lorenzo mi ha slacciato il reggiseno. Entrambi vanno ad aggiungersi al mucchietto del mio vestito, sul pavimento, e presto finiscono lì anche i suoi pantaloni.
Ci togliamo le mutande a vicenda e Lorenzo si siede sul divano, prendendomi per mano e facendomi sedere su di lui.
Mi solletica con una mano, mentre l’altra gioca con un mio capezzolo. Gli restituisco le carezze, gemendo piano quando fa entrare le dita.
Mi chino a baciarlo, sposto la mia mano, con lentezza. Il suo borbottio contrariato viene zittito dal mio bacio. Con la stessa lentezza faccio spostare anche la sua mano, e avvicino i nostri bacini.
Mi allontana quel poco che gli serve per guardarmi negli occhi, e trovare la conferma delle mie intenzioni. Mi bacia la fronte e poi mette le sue mani ai lati dei miei fianchi.
Sposta lo sguardo in basso e lo faccio anche io. Fa una leggera forza sui fianchi per direzionare i miei movimenti, e io lo assecondo.
Nel momento in cui lo punta sul mio ingresso, torna a guardarmi negli occhi.
Dopo un attimo mi stringe piano le mani sui fianchi e io intuisco cosa devo fare, e inizio a muovermi piano verso il basso.
Lo sento e fa male, ma non come quella sera. È un dolore quasi piacevole.
Non smetto di guardare Lorenzo negli occhi, e mi sembra che la pupilla si espanda sempre più a scapito dell’iride.
Mi attira a sé in un bacio, e con le braccia mi spinge ancora verso il basso. Quando non è possibile andare oltre, mi abbraccia stretto e poi porta le sue mani ai lati del mio viso.
- va… va tutto bene? – mi chiede a bassa voce
Io riesco solo ad annuire, ma questo gli basta. Mi bacia ancora e poi riporta le mani sui fianchi.
- ora… ora devo… uscire – mi dice, sospingendomi piano verso l’alto.
Non mi è chiara la cosa, ma mi fido di lui e di nuovo lo assecondo, anche quando alla fine mi sospinge di lato e si alza.
- dove… ? –
Ma capisco da sola dove sta andando, quando lo vedo tirare fuori un preservativo dal portafoglio.
Il seguito è decisamente più semplice. E più piacevole.
Ecco, diciamo che il termine giusto è soddisfacente.
 
Entrambi appagati, restiamo nudi a coccolarci per un po’ prima che io mi decida ad alzarmi per sistemare il mio soggiorno, onde evitare che sia palese quello che è appena successo.
- Ele? –
La voce di Lorenzo mi sembra tesa, e mi volto verso di lui perplessa.
Lui allunga le braccia verso di me, io gli prendo le mani e mi lascio attirare verso di lui, che è seduto sul divano.
- stai bene? È tutto… ok? –
Mi nasce subito un sorriso.
- sto una meraviglia – gli rispondo, ricordandomi perfettamente che è la stessa frase che gli ho detto quel giorno, ma il tono è completamente diverso.
Sorride anche lui, e dopo un ultimo bacio alla mia pancia, si riveste assieme a me ed insieme sistemiamo il tutto.
Apro anche le finestre, per far girare l’aria, ma poi capisco che l’odore che sento ce l’ho addosso.
Sa di me, sa di Lorenzo. Sa di noi.
È l’odore che non smetterei mai di voler annusare.
- perché non ti fai una doccia? Io… io intanto vado via un attimo –
- dove? Perché? – chiedo subito e lui mi circonda con le braccia.
Su di lui il nostro odore lo sento anche di più.
- era l’unico che avevo. – mi sussurra tra i capelli
- l’unico? Ma di cosa…? oh. – no ok, ho capito che intende.
- credo di non sbagliare nel volerne fare scorta – continua allontanandosi da me per guardarmi in volto, con un ghigno malizioso.
- e credi bene – gli confermo io, sfoggiando lo stesso sorriso.
   
 
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