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Autore: ely_trev    03/02/2021    0 recensioni
Improvvisamente sento di aver perso la mia identità e sono sola in quella stanza così impersonale, in compagnia solo di un passato che, per sua natura, è destinato a non esserci più. Ho sempre pensato che le persone siano la somma delle esperienze vissute e allora perché io, nonostante sia circondata da una montagna di ricordi, mi sento vuota come se fossi un contenitore di cartone pronto per essere gettato via? Cosa sono diventata oggi? Chi sono?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1995-1998
Con l’inizio delle superiori, io e Marco scegliamo la stessa scuola, io perché era la tipologia che volevo frequentare ed era vicino a casa e lui perché era vicino a casa e voleva stare con me.
Ovviamente finiamo in due sezioni diverse. Classico.
Non ci sto e chiedo un cambio di sezione. Me lo concedono due giorni dopo l’inizio della scuola. Pericolo scampato. Il sodalizio continua, più forte di prima.
Alla fine del primo anno nasce mio nipote Leonardo ed è un cambiamento per tutti. Io frequento indistintamente Marco e Alessandro, che generalmente si alternano nel farmi compagnia, anche se capita che si incontrano a casa. L’arrivo di Leonardo cambia gli orari di tutti perché i compiti devono essere finiti prima dell’uscita del bambino dall’asilo; quindi, Marco ha tempo fino alle cinque del pomeriggio e Alessandro, di solito, arriva subito dopo. Questa era l’organizzazione standard. Ma ce la caviamo bene. Per tutto il secondo anno di liceo siamo fortissimi. La nostra “organizzazione a delinquere” (così la chiamavo) a suon di due commenti al brano di epica fatti Marco e due esercizi di matematica fatti da me funziona che è una meraviglia. I voti sono perfetti. E il bambino sempre preso puntuale dall’asilo, di solito in compagnia di zio Sanno, Alessandro, amato da Leonardo e dall’intera scuola per la sua simpatia. Resta anche il tempo per vedersi questa o quella puntata di un telefilm.
Alla fine del terzo anno Alessandro trasloca in un’altra città. La mia compagnia, insieme al nipotino che cresceva, resta solo Marco, che, giorno dopo giorno, silenziosamente, si fa sempre più importante.
Marco mi ha insegnato a leggere. Non letteralmente, ovvio. Mi ha insegnato a leggere perché è stato colui che mi ha fatto scoprire il lato divertente della lettura. E poi della scrittura. Cosa che io odiavo. Non l’ha fatto consapevolmente, ma l’ha fatto. Io dicevo sempre, come Pieraccioni nel suo film: x sta a y come io sto a me. La matematica è bella perché è certa. Con la matematica non corro il rischio di sbagliare e di venire giudicata male perché la risposta è quella e solo quella. Scrivere è mettersi in gioco e mettersi in gioco è rischioso. Ma, dopo aver conosciuto Marco, ho conosciuto questo nuovo modo di comunicare. Non sono ancora pronta a condividerlo, ma intanto cerco di imparare ad usarlo. E non è poco.
Marco è diventato, piano piano, una spalla certa su cui appoggiarsi. Siamo ragazzini e litighiamo di continuo, ci insultiamo, mi nego al telefono, arrivo addirittura a staccare la cornetta del telefono di casa pur di non parlargli, ma so che lui c’è. E lui sa che, in fondo, anch’io ci sono.
Marco è una di quelle persone con cui mi vedrei ancora un domani.
   
 
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