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Autore: Artemys22    03/02/2021    0 recensioni
Il viso di Vanya si gelò in un grido senza fiato e sena voce.
(Ricorda-)
Era andato.
E improvvisamente non riusciva più a ricordare per quale motivo si sentisse così sconvolta. Non era del tutto sicura di cosa stesse facendo lì, comunque - seduta in un angolo buio, tutta sola?
Confusa, Vanya si rimise sulle sue gambe tremolanti. Aveva camminato nel sonno?
L'aria sapeva di fulmine. Come di elettricità.
Che strano.
//L'esistenza di Cinque è essa stessa un paradosso; il tempo si deve sistemare in qualche modo.
Solo poche cose sono certe nell'universo, e una di queste è che i frateli Hargreeves non possono prendersi una pausa.
In questa versione gli Hargreeves tornano nel 2019 da Dallas, ma non c'è nessuna Sparrow Academy; trovano le cose esattamente come le hanno lasciate. Beh, più o meno. Si vedrà...
Genere: Angst, Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Diego Hargreeves / Kraken / Numero 2, Five, Klaus Hargreeves / Medium / Numero 4, Vanya Hargreeves / Violino Bianco / Numero 7
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'universo è grande.

È vasto e complicato e ridicolo.

E a volte, molto raramente,

cose impossibili semplicemente accadono

e noi li chiamiamo miracoli.
 

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Lila aprì gli occhi.

Era buio all'inizio, nella casa vuota che conosceva così bene.

Giaceva sul pavimento della casa dei suoi genitori, proprio sul punto in cui li aveva visti morire.

E la donna sapeva che qualcosa non andava.

Lo sapeva, perché ricordava cosa aveva fatto.

(Oh, no.)

"Cazzo", sputò frustrata.

(Che cosa ho fatto?)

"Stupida" mormorò Lila, inciampando sui suoi piedi. "Stupida, stupida, stupida."

Dov'era comunque?

Forse era in Paradiso – se le fosse stato permesso di entrarci.

No. Inferno, allora.

Non importava. Ciò che importava era che aveva fatto un enorme casino, e se l'era addossato.

Lila sapeva che non avrebbe mai dovuto perdere il controllo.

Si sedette, chiuse gli occhi.

Aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita ad infiltrarsi nelle vite dei suoi genitori. Li aveva visti incontrarsi, li aveva guardati innamorarsi, era diventata loro amica.

Era andata in spiaggia con loro. Li aveva aiutati con i loro studi. Si era fatta un partner per qualche anno.

Non era durata. Le sue relazioni non duravano mai a lungo.

E di chi era colpa?

Lila lasciò un respiro tremante, una lacrima calda rotolò lungo la sua guancia. L'asciugò velocemente, infuriata.

Perché continuava a fare casini?

Non era stata capace di salvarli.

Dopo che sua madre rimase incinta della bambina che sarebbe diventata lei, si era allontanata da loro. Li visitava sempre meno.

Ma almeno Lila era riuscita a conoscerli. Non aveva intenzione di tornare là.

Non poteva farci niente.

Lila aveva visto Cinque guardare ai suoi genitori imploranti e piangenti che si contorcevano sul pavimento. Quelle persone, quelle brave persone, non lo meritavano.

Non c'era nulla negli occhi di Cinque. Nessuna emozione.

Gelo.

Lila non poteva accettarlo. Semplicemente non poteva – c'era stato un tempo in cui sarebbe stata capace di perdonarlo, ma quella persona era bella che andata.

Le gambe di Lila si mossero d'istinto. Avrebbe attaccato Cinque. Non aveva intenzione di ucciderlo.

Lila a malapena ricordava cosa fosse successo dopo.

Il mondo era stato inghiottito dal blu. L'odore pesante di fumo e fulmini era ancora nelle sue narici.

Cominciò a rendersi conto che avrebbe potuto avere rotto il tempo per sempre.

Handler. Cinque. Lei.

Tutti e tre erano così intimamente coinvolti nel tenere insieme la linea temporale, che un paradosso di quel calibro avrebbe sicuramente...

Lila chiuse gli occhi dalla vergogna.

Ho fatto un casino.

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La prima cosa che pensò Klaus fu che doveva essere morto.

La linea temporale aveva finalmente fatto kaboom, ed erano tutti spacciati. Addio mondo, e tutto il resto.

Quando furono passati alcuni momenti, Klaus realizzò che poteva, in effetti, muovere i suoi piedi. E le sue dita.

E infine riuscì a racimolare abbastanza forza per aprire gli occhi.

C'era polvere fra i capelli di Klaus, sugli occhi, la bocca, e tossì pateticamente, il suo sapore ristagnante sulla lingua.

"Ehilà?" sussurrò, gli occhi iniziavano a lacrimare.

Che è successo?

"Vanny?" tossì Klaus prendendo sua sorella per una spalla. Lei giaceva a terra, a faccia in giù, circondata da macerie.

L'intero edificio era collassato su di loro.

"Klaus?" qualcuno emerse, incespicando, dall'oscurità.

Diego. C'era uno squarcio sanguinante sulla sua fronte e zoppicava, ma per il resto sembrava stare bene.

Vanya gemette rinvenendo, le mani fragili volarono istantaneamente a reggersi la testa.

"Sono qui", Klaus cercò di calmarla ma non era sicuro che lo sentisse.

"Cos'è successo?" gli occhi di Diego erano spalancati e guizzavano nella stanza.

Era difficile vedere fra la polvere e lo sporco, ma Klaus poteva dire che tutto ciò che rimaneva della spa fossero rovine.

"Non ne ho idea", fiatò. "Dov'è Luther? E Allison?"

Diego guardò oltre la sua spalla. Una montagna di detriti li separavano dallo spazio dov'era collocata la vasca di deprivazione sensoriale.

"Dobbiamo uscire di qui" tossì Diego. "Vanya?"

Cadde in ginocchio stringendo la spalla di sua sorella. A Klaus fece male il cuore quando un piccolo grido le uscì dalle labbra.

"Che-" mormorò, i suoi occhi finalmente aperti. "Cosa?"

"Non lo sappiamo, ma dobbiamo andarcene da qui" grugnì Diego.

Klaus sentì urlare al di fuori.

Si allarmò quando Vanya si alzò improvvisamente in piedi e inciampò sui suoi passi. Le sanguinava il naso e probabilmente aveva una commozione cerebrale visto il disorientamento e l'evidente bernoccolo in testa, ma Klaus rimase sorpreso di vedere che i suoi occhi mutarono in una rabbiosa tonalità di bianco.

Le sue mani piccole diressero una raffica di energia al muro più vicino, cancellandolo completamente dall'esistenza.

Vanya emise un sospiro, i suoi occhi si oscurarono.

"Grazie, Vanny", Klaus deglutì accompagnandola fuori.

I tre uscirono e si gelarono in un silenzio attonito.

"Porcadiquellaputtana", disse infine, gli occhi scandagliavano la scena terrificante.

Annientamento.

Era l'unico modo in cui Klaus potesse descriverla.

Apocalittica, addirittura, pensò istericamente.

Il vento era caldo sul suo volto.

La loro città era stata separata in due, e loro erano proprio nel mezzo dell'incrocio. Sotto i loro piedi, il terreno era coperto da uno strato bianco di ceneri e macerie.

Fiocchi di cenere cadevano dal cielo. Il tanfo di bruciato gli pizzicò la gola.

Una netta linea annerita divideva le strade in due, e continuava fin dove potevano arrivare gli occhi di Klaus. Il terreno era sotto uno strato di neve e ghiaccio. La brina ricopriva ogni edificio collassato, ogni lampione contorto, ogni filo d'erba.

I palazzi erano in fiamme. Le persone si rimescolavano nelle strade in preda al panico. Una madre cullava il suo bambino, che aveva una ferita sanguinante sulla testa piccola.

La polvere era ovunque. Non un singolo edificio era stato risparmiato dalla distruzione.

L'opprimente sensazione della morte irrequieta fluttuava nell'aria come un velo pesante, e poteva già vedere i fantasmi emergere dai palazzi caduti.

Per una volta, Klaus era senza parole.

"Dobbiamo trovare gli altri", mormorò finalmente Vanya. Era più pallida del solito e dondolava leggermente sui suoi piedi.

"Aspetta", Diego alzò una mano. "Lo sentite?"

Le sopracciglia di Klaus schizzarono in alto.

Fra i lamenti lontani, sentì una debole voce che chiamava.

Come se venisse da sottoterra.

Diego fu il primo a muoversi. Corse verso la pila di macerie che una volta erano la spa, cercando di trovare un'apertura sulla stanza dove si trovava la vasca di deprivazione sensoriale.

"Vanya?" chiese, gli occhi scuri tremavano verso la sorella.

"Non lo so, forse non dovresti-" iniziò Klaus, guardandola con compassione. Aveva avuto una commozione, senza alcun dubbio.

"È ok", Vanya lo interruppe e fece alcuni passi traballanti in avanti. Diego si ritrasse dal suo raggio d'azione e da quello che poteva dire Klaus, era pronto ad afferrarla nel momento in cui sarebbe sembrata poter collassare.

Il pallore della loro sorella divenne bianco, e i suoi dolci occhi marroni si tinsero d'argento.

Un forte gemito metallico fece coprire le orecchie a Klaus con un sussulto. Le mani di Vanya erano tirate in avanti, e il potere invisibile che irradiava da lei spostava le macerie dal suo cammino. Pezzi di pavimento, muri e tetti dell'edificio erano crollati.

"Sono qua sotto", mormorò realizzando, fissando il buco spalancato nel terreno. Quello che prima erano le fondamenta della spa, ora poteva essere la tomba di Allison, Luther e la dottoressa Cameron.

Una mano faceva capolino da sotto un pezzo di muro.

"Di qua!" Diego la vide per primo. Vanya mosse la sua con determinazione, e le rovine furono sollevate.

La dottoressa Cameron giaceva là, faccia a terra, il corpo contorto in posizioni innaturali.

A Klaus non servì voltarla per sapere che era morta.

Conosceva la morte fin troppo bene.

"Oh, Dio", mormorò Diego, la testa bassa.

Klaus ritrovò la voce. "Luther? Allison?"

Un suono ovattato gli giunse da sotto di loro.

"Sono sepolti qui sotto", si forzò a dire.

"Fatevi da parte" la voce di Vanya fece un'eco innaturale, e lo sguardo freddo nei suoi occhi argentei gli faceva ancora correre i brividi lungo la schiena.

"Aspetta, no", latrò Diego. "Se sono qui sotto, potresti accidentalmente schiacciarli muovendo le macerie."

Gli occhi di Vanya tornarono scuri, e la sua pelle tornò lentamente alla normalità. Annuì riluttante.

"Cosa facciamo?" Klaus deglutì nervosamente.

Diego si chinò premendo un orecchio contro la superficie polverosa. "Riesco a sentire qualcosa", disse con la gola secca.

Klaus portò le mani a coppa intorno alla bocca. "Allison?" gridò. "Luther!"

Con loro sorpresa, sentirono una risposta appena udibile. Era così ovattata che Klaus non poteva nemmeno dire di chi fosse la voce.

"Ok, ecco cosa faremo", Diego si schiarì la voce alzando la testa. I suoi occhi erano cerchiati di rosso sia a causa delle lacrime per ciò che era successo, sia a causa della polvere che li invadeva, ma lo sguardo in esso era a dir poco determinato.

"Dobbiamo tirarli fuori lentamente, quindi Vanya", Diego voltò lo sguardo verso la donna fragile. "Dovrai fare molta attenzione. Io e Klaus aiuteremo a scavare se riusciamo."

"Se non dovessi sentirti bene, dovresti, sai", aggiunse velocemente Klaus. "Fermarti."

Sembrava che Vanya lo avesse a malapena sentito, annuendo invece a Diego. "Posso farlo."

Prese un respiro profondo, chinandosi lentamente a terra. Chiuse gli occhi.

Per un momento fu perfettamente tranquillo. Quando Vanya iniziò a brillare di nuovo, un rombo grave tuonò dal terreno.

I suoi poteri non cessavano mai di sorprendere Klaus. Eccola lì, la fragile, silenziosa ragazza, loro sorella.

Klaus era così orgoglioso di lei.

I frammenti dell'edificio si spostarono lentamente.

"Quanto in profondità pensi che siano?" chiese nervoso Diego.

Klaus sentì gli occhi di suo fratello su di lui.

Improvvisamente, Vanya ondeggiò di lato, barcollando mentre cercava di recuperare l'equilibrio. Un campanello d'allarme risuonò nella testa di Klaus quando notò gocce di sangue caderle dal naso.

Diego l'afferrò.

"Vanya?" chiese Klaus con voce sottile, prendendo una mano gelata fra le sue. I suoi occhi argentei tornarono al loro colore naturale, color cioccolato, e sembravano completamente esausti.

"Non può continuare", mormorò Diego, imprecando con voce greve.

"Posso farlo", insistette Vanya spingendo da parte le mani sopra di lei.

"Prima lasciami provare una cosa", Klaus deglutì. Il pensiero gli fluttuava in mente ormai da un po' di tempo. Ignorò gli sguardi interrogativi dei suoi fratelli, concentrandosi invece sul velo di morte sospeso sulla città.

Era soffocante, lasciare entrare tutto. Aveva tenuto a bada il fetore di morte con successo fin lì, ma ora Klaus lo lasciava entrare.

La morte era attratta da lui come una falena da una fiamma.

Non lo avrebbe semplicemente lasciato da solo.

I poteri di Klaus sfrigolarono quando comandò loro di obbedire al suo volere. Stava diventando estremamente più facile controllarli, probabilmente il risultato del suo lungo periodo di sobrietà.

Ci fu un respiro fresco sul suo volto.

Era un uomo alto, forse sui trenta, con un'evidente ammaccatura al cranio. Klaus mandò giù, annuendo. Un altro fantasma apparì dietro di lui, una donna che sembrava aver perso l'intera mascella. Klaus rabbrividì appena ma decise che quello non era il momento per affrontare la sua onnipresente paura dei morti.

L'energia dentro di lui si tendeva e gemeva, scivolando lungo le vene delle sue mani, quando costrinse ancora più fantasmi fuori dal velo nel mondo fisico. Klaus morse forte, guidando gli spiriti verso le macerie cadute.

Loro presero insieme le rocce, sollevandole senza una parola.

Venti fantasmi che lavoravano insieme erano meglio di tre umani.

Beh, due, dato che Vanya non era nemmeno nelle condizioni di stare in piedi

Beh, in realtà solo uno, dato che Klaus non era abbastanza forte da spostare uno qualunque di quei pesi.

"Wow", esalò Diego guardando i fantasmi lavorare. Più il tempo passava, più Klaus si sentiva nauseato.

Alzò lo sguardo al cielo incenerito. Lo spesso strato di nubi e cenere coprivano il sole. Come fossero stati sotto una gigantesca ombra.

Prese un profondo respiro tremolante. Klaus poteva fisicamente sentire la sua forza consumarsi, le ultime stille della sua energia cadono nel nulla come gocce d'acqua che viaggiano lungo il finestrino di una machina in autostrada.

Doveva fermarsi.

Klaus rilasciò gli spiriti che aveva evocato e l'unico motivo per cui non rovinò al suolo fu il fatto che Diego lo prese per un braccio e lo sorresse con una presa ferma.

"Stai bene?" chiese, preoccupato.

No.

"Sì, sto bene", sospirò adagiandosi sulle ginocchia. "È il meglio che so fare per ora."

"Ragazzi!" gridò Vanya. Klaus alzò la testa di scatto.

Era abbastanza fiducioso che non si sarebbe accasciato subito, quindi camminò verso le rovine dov'era Vanya.

Un debole, tremolante, ma inconfondibilmente udibile 'ehilà' li chiamò da sotto le rocce e i polverosi pezzi di attrezzature rotte e cemento.

"Allison?" il cuore di Klaus saltò in anticipo, artigliandosi alla speranza di vedere sua sorella viva come un'ancora di salvezza.

Si trovava in profondità – almeno quattro metri sotto di loro.

"Allison!" la voce di Vanya si ruppe chiamandola. "Stai bene?"

Klaus poté sentirla tossire da sotto il suolo. "Io e Luther stiamo entrambi bene. Siamo solo incastrati."

L'uomo si ritrovò a ringraziare la bambina in Paradiso. A ringraziarla per aver preservato le vite dei suoi fratelli ancora per un po'.

Forse abbastanza per dare loro più tempo per salvare il mondo.

"Cosa facciamo adesso?" inghiottì Vanya, i suoi occhi vagavano sui suoi fratelli.

Klaus era perplesso.

"Cos'è successo?" Diego pose la domanda che si stavano chiedendo tutti.

"Fine del mondo?" suggerì Klaus guardandosi intorno nella soffocante tempesta di calore e polvere. Udì urli di guerra da lontano.

"Klaus, Vanya", la voce di Allison li raggiunse di nuovo. Suonava fragile, ma contemporaneamente manteneva il suo tipico tono testardo. "Abbiamo bisogno anche dei vostri ricordi. Credo davvero che siamo vicini."

Diego scosse lentamente la testa. "La tua amica dottoressa è morta. Mi dispiace, Allison."

Lei rimase in silenzio, ma Klaus poté percepire il suo dolore. Turbinò in alto e lo raggiunse, lo soffocò come se qualcuno gli avesse avvolto una sciarpa intorno al collo e avesse iniziato a stringere.

"Ci inventeremo qualcosa", iniziò piano Klaus. "Ha ragione. Dobbiamo finirla. È l'unica possibilità che abbiamo."

"E se non funziona?" Diego alzò le sopracciglia.

Klaus avrebbe preferito non pensare agli 'e se', ma suo fratello glielo stava rendendo davvero difficile.

"Beh, allora siamo splendidamente fottuti."

È questo che vuoi sentire?

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"Come lo facciamo?" chiese piano Vanya. Sedeva a gambe incrociate di fronte a Klaus, che rispecchiava la sua posizione. Avevano trovato un angolo tranquillo nella città fantasma che era stata New York City.

Diego era rimasto indietro con Luther e Allison, lavorando senza sosta per liberarli dalla loro prigione. E questo l'aveva lasciata con terrificanti domande che aleggiavano nella sua testa.

Come avrebbe ricordato Cinque?

E avrebbe almeno aiutato in alcun modo?

Tutto questo stava almeno facendo qualcosa?

Era finalmente la fine?

"Vanya."

Una voce penetrò i suoi oscuri pensieri, chiara come il sole. Aprì gli occhi sorpresa. Quella non era la voce di Klaus.

Quello era...

(Harlan.)

Vide il suo cane prima di vedere lui. Il collie corse verso di lei con gli occhi brillanti, abbaiando in saluto come fossero vecchi amici.

A Klaus cadde la mascella. "Un cane?"

Gli occhi di Vanya pizzicavano. Il suo sorriso si allargò. "È Harlan", riuscì a dire debolmente.

"Il cane è Harlan?" fece suo fratello, gli occhi spalancati.

Lei scosse la testa sorridendo.

La vecchia figura barbuta di un uomo apparve dal fondo del vicolo ombroso e pieno di polvere in cui sedevano.

"Credo che a voi due possa servire aiuto."

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Klaus non sapeva molto del ragazzino a cui Vanya aveva badato durante la sua permanenza alla fattoria di Sissy, ma sapeva che condividevano un legame speciale.

Averlo lì, ora, nel momento del bisogno, mentre il tempo si disfaceva tutt'intorno a loro...

Dal canto suo, era stato nientemeno che un miracolo. E di solito, i miracoli non accadevano. Non nella sua vita.

Klaus osservò Vanya abbracciare Harlan, e lui le colpì lentamente la schiena.

"Non abbiamo un secondo da perdere", la sua voce risuonava serena nella sua testa. "Klaus, tu per primo."

Il suo buon umore precipitò all'istante.

Sarebbe stato ben lontano dal piacevole.

"Sono pronto", deglutì.

(Non sono pronto.)

 

 

"Chiudi gli occhi."

Klaus lo fece.

"Conta fino a cento."

Klaus lo fece.

"Ascolta il rumore del tuo cuore che batte."

Klaus lo fece.

Attese che il suono ritmico del battito del suo cuore venisse interrotto dalla voce di Harlan nuovamente, ma non accadde.

Klaus aveva la scomoda sensazione di essere guardato, ma si rifiutò di aprire gli occhi.

Invece, contò i suoi respiri.

Arrivò a cento.

Qualcuno sussurrava il suo nome.

Non era Harlan.

Klaus avvertì le sue mani farsi sudate mentre un brivido gli risalì la spina dorsale.

C'era qualcuno lì con lui. Dentro la sua stessa testa.

"Papà?" tentò, fissando il buio.

(No. Non è lui.)

Era qualcosa di molto più sinistro.

Klaus sentì qualcosa arrivargli incontro dall'abisso.

Qualcuno, piuttosto.

Klaus lo ricordava. Erano gli occhi.

C'erano voluti anni di terapia per dimenticare quegli occhi.

Le iridi erano nere come la pece. Completamente prive di luce – come quelli di un grande squalo bianco. Gli trapanavano l'anima, divorando voracemente l'innocenza che vedevano, e Klaus si sentiva come se stesse annegando.

Sentì le sue stesse grida di aiuto.

"Klaus. Hey. Sono io."

Il suo cuore saltò un battito. Poi un altro.

"Cinque?"

"Sì. Scusa se ci ho messo tanto. Ho cercato il film che volevi, ma non l'ho trovato. Mi dispiace. Ho preso questo invece."

Klaus vide il volto di suo fratello nel buio, illuminato dai raggi della torcia. Il film che aveva rubato era Edward mani di forbice. Gli occhi verdi di Cinque scrutarono Klaus dall'alto in basso, osservando preoccupati la sua figura tremante.

(È... davvero bello vederti.)

Il lettore multimediale tascabile di Cinque tornava utile in quei tempi. Klaus si concentrò sul piccolo schermo invece che sulle vuote, fredde pareti del mausoleo.

"Grazie per essere venuto, Cinque", sussurrò Klaus, un groppo pesante cresceva nel suo petto.

"Sempre."

"Bene. Trova qualcos'altro. Non fermarti finché non ricordi tutto."

Klaus aveva quasi dimenticato di stare cercando ricordi.

"Ho ingoiato un seme di mela!" si sentì tossire.

"Oh mio Dio", sussultò Diego. "Lo sai che ti crescerà nello stomaco, vero?"

"Non è vero!" udì una voce che sapeva appartenere a Cinque. "Servirebbero acqua, terreno, luce solare e ossigeno."

"Beh, Klaus respira, ed è ossigeno", Diego lo guardò pensieroso. "Beve l'acqua. Fatto. Ogni volta che apre bocca, la luce entra. Fatto. E invece del terreno, userà semplicemente le sue interiora!"

"È per questo che vi serviva il mio aiuto per passare il test di biologia che papà ci ha fatto fare-"

Klaus sorrise affettuosamente.

Ma non era di questo che aveva bisogno.

Seduto al buio, sentì una musica.

Era Vanya che suonava il suo violino. Il suono era debole, la melodia smorzata dal muro frapposto tra lei e Klaus.

Stava seduto per terra, ai piedi del suo letto, guardando dritto in avanti e ascoltando il violino.

Klaus era triste. Non ricordò perché, inizialmente.

Udì un suono acuto come di strappo, uno che aveva già dimenticato.

Come avrebbe potuto dimenticare quel suono?

Era Cinque. I suoi poteri facevano sempre quel rumore buffo ogni volta che li usava.

Il ragazzo sedette accanto a lui, uno sguardo interrogativo negli occhi.

Cinque aveva sempre capito i suoi fratelli meglio degli altri. "Cosa c'è che non va?"

Klaus gli lanciò un'occhiata con nonchalanche. "Lascia stare."

"No. Dimmi."

Sospirò. "Qual è il punto?"

"Sei scosso. Magari posso aiutare."

Klaus chiuse gli occhi, un sorriso gli si dipingeva in volto. Sì, era Cinque. Conosceva quel ragazzino come il palmo della sua mano. Meglio di quanto conoscesse se stesso.

"Ho visto questo... cane. Quando stavamo tornando dalla missione oggi. Sembrava vecchio e malato, e come se fosse ferito. Volevo fermarmi e aiutarlo, ma papà non me lo ha permesso. Ha detto che c'erano cose migliori da fare con il mio tempo."

Klaus deglutì. Si ricordò del piccolo patetico episodio – il cane era vecchio, il suo pelo era intriso di sporcizia e i suoi occhietti luccicanti lo fissavano.

Aiutami, pregavano.

Cinque rimase silenzioso per un po', guardando il suo orologio. "Andiamo allora."

Klaus si accigliò. "Come?"

"Per quanto ne sanno mamma e papà, stiamo dormendo adesso. Su, forza. Andiamo a cercare il cane."

"Sul serio?"

"Shh", Cinque lo zittì rapidamente.

"Scusa."

I due ragazzi sgattaiolarono nel corridoio. Probabilmente anche Pogo stava già dormendo, e la mamma sarebbe stata nel suo solito posto, a guardare i quadri.

Papà sarebbe stato nel suo studio.

I loro passi non fecero rumore. Cinque recuperò un paio di torce dallo sgabuzzino al piano di sotto, e invece di usare la porta principale, uscirono dalla finestra che dava sul giardino.

La pioggia battente si era placata in una pioggerella costante.

"Dove l'hai visto?" chiese Cinque mentre si arrampicavano dall'altra parte della recinzione che circondava casa loro.

"Era in un vicolo. Tipo a un miglio da qui, credo."

"Meglio andare, allora."

 

(Oh. Ti prego, torna. Ti prego, stai bene.)

 

Gli occhi di Klaus pungevano.

 

Ricordava. Ricordava tutto.

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La pelle sui palmi di Diego era rotta e sanguinante dagli angoli ruvidi delle rocce che aveva spostato. Il suoi muscoli dolevano.

Allison e Luther erano ancora bloccati. E avevano bisogno di lui.

Diego pregò che Vanya e Klaus potessero finire quello che avevano iniziato, e magari sistemare questo incubo.

Un grido selvaggio arrivò dalle vicinanze – molto più vicino di quanto Diego trovasse sicuro.

Poi un altro.

Tirò su col naso, gli occhi rastrellavano la polvere.

Poi li vide.

"Fottutamente grandioso", imprecò Diego, decisamente incazzato a causa dell'esaurimento sia mentale che fisico.

"Proprio quello che ci serviva. Siano maledetti gli Indiani sopra ogni cosa."

Si nascose dietro la roccia più vicina e disse ad Allison e Luther di fare silenzio mentre passavano.

Gli occhi di Diego seguirono gli uomini con lance ed archi, vestiti in pelli di animali e le piume nei capelli.

Che momento per essere vivi, pensò.

"Diego", la voce di Luther sibilò da sotto di lui.

"Shhh", lo zittì.

"Diego."

"Cosa?"

"Allison è diventata una bambina."

Diego fece fatica a stare dietro a quello che Luther stava dicendo, mentre il gruppo di Indiani che strisciavano intorno a pochi passi da lui iniziavano a scontrarsi con i soldati dell'armata continentale, che era appena apparsa dal nulla.

Che momento per essere vivi, davvero.

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A Vanya faceva male la testa, ma la voce di Harlan nel suo cranio era come una secchiata d'acqua fresca sulla pelle, rinvigorente.

"Il tuo legame con Cinque è più forte di quello di chiunque altro. Se qualcuno può aprire la fessura fra la realtà e ciò che è stato dimenticato, sei tu."

Vanya prese le sue parole e ci si aggrappò, le tenne strette contro il suo cuore impazzito.

I suoi fratelli contavano su di lei. Contavano sul fatto che lei potesse in qualche modo riportare indietro loro fratello.

Era nuovo per lei. Per tutta la vita era stata costretta a sentirsi insignificante. Come se non importasse cosa facesse, cosa pensasse, o cosa volesse.

Non più.

Vanya si morse il labbro e cercò di rilassare i muscoli tesi.

Si concentrò su regolare il battito irrequieto del suo cuore.

"Scopri cosa significava lui per te."

(Non mi ricordo neanche che faccia ha.)

La consapevolezza le fece pulsare dolorosamente il cuore nel petto.

"Vanya. Tu devi ricordare."

Trasse conforto dalla sua voce e ingoiò una boccata d'aria.

Poteva farcela.

Vanya cercò di pensare a una melodia – qualcosa che faceva spesso quando aveva attacchi di panico. Merry go round of life fu il primo pezzo a venirle in mente. Lo mormorò nella sua testa, impedendo ai suoi pensieri di divagare.

Vanya sentì il suo cuore rallentare. Il suo battito si fece pigro.

Il tocco del cane di Harlan sulla sua mano le diede conforto.

(Non sei più da sola, Vanya.)

Era vero.

Vanya aprì gli occhi. I suoi fratelli erano tutti riuniti per il pasto. Sedeva davanti a suo padre.

C'era silenzio.

Sembravano tutti così giovani. Non dovevano avere più di tredici anni.

Vanya sussultò al rumore improvviso di un coltello piantato nel tavolo. Girò la testa per vedere un ragazzino seduto accanto a lei.

Capelli scuri, zigomi prominenti, occhi verdi scintillanti di sfida.

Ma certo. Avrebbe riconosciuto quel volto ovunque.

Era Cinque. Il fratello che c'era sempre stato per lei. Che sedeva nella sua stanza e le teneva la mano ogni qualvolta il padre diceva qualcosa che la faceva piangere. Che ascoltava ogni nuovo brano musicale che imparava. Che la stava a sentire quando aveva bisogno di parlare con qualcuno.

Oh, dio.

La bile le risalì in gola.

(Come ho potuto dimenticare?)

(Come ho potuto?)

"Voglio viaggiare nel tempo!"

"No."

Vanya sentì la vecchia, familiare ansia raggiungere il suo picco nel petto mentre seguiva con gli occhi suo fratello. Sapevano tutti che non era una buona idea fare a testate con papà, ma Cinque l'aveva sempre fatto più di tutti loro.

Li guardò discutere. Guardò come i suoi occhi guizzarono per incontrare i suoi, cercò di scuotere leggermente la testa, lo pregò senza parole di fare marcia indietro.

Non lo fece.

"Numero Cinque!"

Quando la diga dei suoi ricordi fu aperta, non ci fu modo di fermarli.

Nessun modo di fermare i suoi ricordi, le notti insonni ad aspettare e sperare per il suo ritorno.

Dopo che Cinque se ne andò, Vanya era rimasta sola.

Tanto, tanto sola.

Condivideva la casa con altre nove persone, eppure era sicura di essere la persona più sola del mondo.

Dopo che Cinque se ne andò.

(Perché te ne sei andato?)

Il petto di Vanya doleva per la forza dei singhiozzi. Non poteva fermarli.

Da qualche parte in lontananza sentiva la voce di Klaus, parlava in un tono pacato e calmante, le mani prendevano le sue.

"Vanya, non abbiamo tempo!"

Ricordava la rabbia.

"Perché mi ascolterai."

Ricordava il sangue.

"Mi devi un favore, sorella."

Lui sorrideva.

Ricordava l'amore.

 

Vanya sussultò in cerca di aria. Batté rapidamente le palpebre nell'oscurità, aspettando che gli occhi si abituassero al cambio di scenario, lontano dai colori sgargianti nella sua testa.

Lo sentì. Il suono le ricordava elettricità difettosa.

Vania si voltò. Era così piccolo, così fragile.

E i suoi occhi. Dio, i suoi occhi.

Luce blu danzava nelle loro profondità, ancora incapaci di celare il dolore e la sconfitta.

"Tu mi conosci."

Sembrava così sollevato.

(Ti conosco.)

"Il tempo sta solo provando a sistemarsi. Mi sta... cancellando."

(No, no, no.)

Nulla. La sua testa urlava.

(Non puoi fermarlo?)

I suoi polmoni si rifiutarono di espandersi.

"Mi dimenticherai."

(No, non lo farò. Non lo farò. Non lo farò, non lo farò, non lo farò-)

"Vanya, lo farai."

(Ti prego, non andare.)

"Ricorda."

(Ricordo.)

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Cinque aveva nuotato dentro e fuori il flusso di coscienza per quello che presumeva essere un lungo tempo. La sua linea temporale non doveva essere molto lontana dall'essere cancellata.

Non doveva mancare molto, ormai. Presto se ne sarebbe andato.

Almeno era quello che sperava. Non c'era motivo di esistere così.

Non era altro che l'ombra di un ricordo.

Cinque non era sicuro se fosse mai tecnicamente esistito.

(Penso. Dunque sono.)

Giusto?

La sua esistenza era diventata di una sfumatura fangosa di grigio. E così sedette nei polverosi resti di una camera che un tempo era sua.

Aspettando.

Che cosa?

Risoluzione? Morte? La liberazione dal suo tormento?

Chi lo sapeva.

Giunse al termine quando una luce blu inondò la stanza, spazzando via il grigio infinito.

Cinque aprì gli occhi.

Stava succedendo qualcosa.

Confuso, si guardò intorno per vedere da dove venisse la luce.

Oh, quella familiare luce blu elettrico. Pensava di non vederla mai più.

La porta della sua stanza era aperta.

Cinque si mise in piedi e camminò fino alla porta che prima era il passaggio per un abisso infinito.

Quel che vide allora fu molto per il suo cervello da elaborare.

L'abisso era ancora lì. Ancora soffocante con la sua presenza, spingendosi dai lati, minacciando di divorare ogni cosa nelle fauci del vuoto.

Ma proprio davanti a lui, fluttuante nell'abisso e disteso attraverso di esso, fino a perdita d'occhio, v'era qualcos'altro.

Era come una galassia fatta di filamenti vivi, palpitanti. Stranamente, ricordavano a Cinque delle meduse, fluttuanti nel vasto vuoto dell'oceano infinito, bellissimo e fragile e alieno.

Cinque sapeva cos'era. Ovviamente lo sapeva.

Non si sarebbe mai sognato di vedere il vortice del tempo come una manifestazione fisica dal momento che non doveva essere possibile.

Tante cose sembravano non avere senso in quei giorni.

Era piuttosto bello, pensò Cinque.

Ma c'era anche qualcosa di sbagliato in esso. Le estremità dei sottili filamenti brillanti di energia sembravano decomporsi, scurendosi rapidamente.

Cinque richiamò alla memoria una cosa che gli aveva detto Klaus al telefono.

La linea temporale sta collassando. Hai sentito, Cinque? Il mondo finisce di nuovo.

(Sì. Ho sentito.)

Crederlo ed effettivamente vederlo accadere davanti ai suoi occhi erano due cose diverse.

La luce blu emanata dai ciuffi di energia sfarfallava in alcuni punti.

("Cinque, stai... sfarfallando.")

Era ciò che gli aveva detto Vanya quando era scomparso all'inizio.

Come e perché quella porta era aperta?

E come poteva essere così vicino al vortice temporale da poterlo quasi toccare?

Cinque deglutì, un brivido corse lungo la schiena.

Come sarebbe stato toccare il tempo? Sapeva che il suo corpo era capace di manipolarlo, correrci attraverso come passeggero.

Ma questa era una situazione innaturale. Non doveva accadere. Mai.

Era... apocalittico.

Un'idea pazza gli balenò in mente.

Un'idea che più probabilmente lo avrebbe finito una volta e per tutte. O, se era fortunato... avrebbe solo potuto funzionare.

Cosa c'era nel corpo di Cinque che lo rendeva suscettibile al tempo? Cos'era che lo rendeva capace di fare le cose che faceva?

Per alcuni secondi, fu quasi deluso che loro padre non avesse ritenuto necessario condurre esperimenti genetici o altrimenti dissezionarli.

Cinque strinse i pugni.

(Cosa dovrei fare, Dolores?)

Gli mancava terribilmente. Si chiese cosa stesse facendo in quel momento.

Probabilmente si godeva la compagnia delle sue amiche. Indossava qualche nuovo adorabile abito che le stava alla perfezione. Silenziosamente giudicava i passanti. Si chiese... anche Dolores lo aveva dimenticato?

Cosa avrebbe detto se fosse stata lì con lui?

Cinque guardò il vortie davanti a lui, trattenendo il respiro.

Passò una breve eternità, e semplicemente lo guardò. Così splendido, così volatile.

Doveva andare.

Cinque era terrorizzato, ma lo fece comunque.

Saltò di testa nella vorticosa corrente blu.

Il suo ultimo pensiero fu per Dolores.

(Dio, non vedo l'ora di rivederla.)

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Era il 1993. Londra Est.

La residenza apparteneva a Ronnie e Anita Gill.

Il ricordo era stato precedentemente confuso nella sua mente. Represso in fondo, come la maggiore parte dei suoi successi. Gli piaceva distaccarsi dagli orrori che la Commissione gli aveva fatto commettere.

(Dio. Le cose che ho fatto.)

Non era mai stato quello che intendeva diventare.

Cinque si rivide estrarre la pistola. Vide Handler aspettare nella macchina fuori.

Sapeva cosa sarebbe successo dopo. Avrebbe premuto il grilletto, ucciso entrambi all'istante.

Solo... che non lo fece.

Qualcuno fece irruzione dalla porta, e Cinque si guardò voltarsi scioccato.

Lila.

Sembrava più vecchia. Molto più vecchia. Doveva essere sui cinquanta. Aveva una brutta cicatrice su un occhio, e i suoi capelli erano raccolti in una lunga coda disordinata.

I suoi occhi ardevano di dolore e rabbia.

Balzò in avanti e calciò il vecchio uomo allo stomaco.

Inciampando, cercando di adattarsi alla nuova inaspettata svolta degli aventi, Cinque riprese l'equilibrio e sparò un colpo nella sua direzione generale.

Lila era veloce. Cinque non mancava spesso il colpo.

Cinque saltò per mettere distanza fra i due – per avere una migliore possibilità di mirare bene a lei e colpirla.

Lila copiò la sua abilità. Apparve dietro di lui.

Cinque estrasse un coltello.

Riuscì a ferirla a un braccio.

Cinque mirò alla gola. Lila rifletté il suo attacco con un forte pugno allo stomaco.

Prese il manico del coltello, cogliendo la piccola frazione di un'opportunità.

Il coltello affondò nel cuore di Cinque.

Ci fu silenzio. Lila lo guardò scioccata.

Non aveva intenzione di fare questo.

Cinque cadde al suolo senza tante cerimonie.

Il suo sangue era talmente scuro da sembrare nero.

Handler irruppe dalla porta.

Una bambina aprì la porta dello stanzino dietro la quale si nascondeva.

Una luce blu inglobò la scena, divorando tutto nel suo cammino.

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Il tempo era un elemento delicato. Non era fatto per giocarci.

Questa era la radice del problema, realizzò Cinque. Un paradosso così grande da spazzare via chiunque coinvolgesse, causando così una reazione a catena. Se non c'era nessuna Handler, nessun Cinque, nessuna Lila, ovunque nella linea temporale...

Sarebbe collassato tutto. Senza i pilastri di supporto che una volta reggevano la fragile struttura del tempo, andava tutto a scatafascio.

(Adesso capisco.)

Ma Cinque poteva sistemarlo, giusto?

La linea temporale aveva rimosso tre persone. Tre persone importanti. Non sarebbe dovuta rimanere memoria di loro.

Solo che c'era. Cinque era lì, Dio sapeva come. La tempesta del vortice non lo aveva ancora distrutto.

C'era ancora una possibilità.

Il ricordo di Handler e Lila sarebbe dovuto essere sufficiente per riportarle indietro. Si ricordava di loro. Doveva bastare, no?

Cinque era una creatura del tempo. Il suo corpo era in grado di viaggiare attraverso ogni possibile istanza temporale. Dove voleva nel mondo. Quando voleva nella storia. Quando voleva nel futuro.

Cinque poteva esistere ovunque contemporaneamente.

Il vortice lo aveva accolto come un vecchio amico. Indossava bene il tempo.

Handler vi apparteneva.

I filamenti anneriti tornarono pian piano blu.

Lila vi apparteneva.

E Cinque...

Anche Cinque vi apparteneva.

Era quasi magico. Il modo in cui il tempo gli obbediva come un segugio addestrato.

Non aveva mani, niente dita. Niente gambe.

Il tempo stesso era il suo corpo.

La linea temporale, precedentemente trivellata di buchi come un favo, si stava riempiendo mentre le persone mancanti tornavano al loro posto.

Un ricordo era tutto quello che serviva. Qualcuno che ricordasse.

Cinque trovò la sua famiglia. Erano nei guai – l'ultimo posto in cui li trovò era una New York divisa in due, con l'apocalisse da un ramo abortito del tempo da una parte, e l'Era glaciale dall'altra.

Poteva distendere i filamenti con il solo pensiero. E ben presto, il tempo stava quasi distendendosi da solo.

Serviva soltanto un cenno nella giusta direzione.

Cinque esitò un momento. I suoi fratelli. Non avrebbero apprezzato che gli venissero rubati i ricordi.

Doveva essere concesso loro di conservarli.

Questo ramo del tempo non era stato scritto, così Cinque strappò per loro un portale nel tessuto temporale. Tutto quello che dovevano fare era saltarci attraverso.

Cinque si assicurò che arrivassero sani e salvi.

Niente più sangue.

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Vanya non ci credeva. Un'improvvisa risata senza fiato le sfuggì dal petto. Un luminoso portale blu si era aperto al limitare del vicolo.

Cinque ne sarebbe uscito. Vero?

Doveva farlo.

"Quella porta non è per Cinque", le disse Harlan dolcemente. "Quella è per voi."

"Per noi?" ripeté Vanya, confusa. Scambiò uno sguardo con Klaus, la sua esitazione rispecchiava quella nei suoi occhi.

"Vi porterà a casa. Lo prometto."

È da pazzi, pensò Vanya.

Ma come poteva non fidarsi di Harlan?

Klaus avvolse la mano intorno alla sua senza parole.

"Insieme", mimò. I suoi occhi verdi erano dolci. Gentili.

Vanya sorrise, un senso di gratitudine le riempiva il cuore. Raramente il mondo era stato gentile con lei.

(Grazie.)

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Cinque si assicurò che la linea temporale sulla quale aveva lavorato duramente per preservarla fosse sul suo giusto percorso. Aveva quasi rischiato di spedire i suoi fratelli in una linea temporale in cui loro padre aveva adottato un mucchio di bambini diversi e li aveva chiamati Sparrow Academy.

Sarebbe stato un errore madornale.

Il flusso del tempo nel vortice si era ridotto da una furiosa tempesta ad una calma corrente.

Proprio come doveva essere.

Ma prima che potesse tornare a casa, c'era un'altra cosa che doveva fare.

Londra Est, 1993. Cinque trovò se stesso nel vicolo ciottolato, proprio di fronte alla porta che conduceva alla residenza dei Gill.

Provò a materializzarsi, ma il meglio che riuscì a fare fu una vaga figura di ragazzino interamente consistente di energia blu. Sarebbe andato bene.

Lila apparve da dietro l'angolo. Sudava, correndo verso la porta come se la sua vita fosse dipesa da questo.

I suoi occhi atterrarono sulla massa di luce che le bloccava la strada. Si fermò.

Cinque allungò un braccio verso di lei. Vide la sua luce riflessa nei suoi enormi occhi scuri.

Nessuno di noi dovrebbe essere qui.

Cinque la portò in un luogo che sperava di non dover più visitare.

La prigione dove la Commissione teneva tutti i terroristi del tempo non era un luogo felice. Massima sicurezza era un termine eufemistico per quel posto.

Solo essere lì metteva Cinque a disagio. Aveva messo un sacco di persone dietro le sbarre.

Cinque congelò il tempo per tutti tranne due guardie, che stavano di guardia al blocco Uno.

Lo fissarono con occhi enormi e terrorizzati, osservando la sua forma luminosa allarmati.

"Questa è la persona responsabile del più recete, e più severo caso di terrorismo temporale nella storia della Commissione", la voce di Cinque suonava distorta alle sue stesse orecchie. "Ogni singolo direttore confermerà la mia storia. Chiedete. Rinchiudetela."

Le guardie non proferirono parola, ma dopo alcuni secondi di contemplazione, iniziarono ad annuire furiosamente. Cinque volle che il flusso del tempo tornasse alla normalità, e così fu.

Lila batté le palpebre rapidamente, voltando la testa da una parte all'altra in confusione.

Fissò l'apparizione di fronte a lei a bocca aperta. Lasciò addirittura che gli uomini l'ammanettassero.

Il lavoro di Cinque era finito. La linea temporale sarebbe stata bene adesso.

Poteva finalmente tornare a casa.

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Era il 7 Aprile.

Vanya si ritrovò nel salotto soleggiato all'accademia.

Luther, Diego, Allison e Klaus erano tutti lì con lei. Si guardarono l'un l'altro, confusi e in allerta, ma... speranzosi.

Vanya la vedeva nei loro occhi.

Speranza.

Cos'era successo? Era tutto ok?

"Ce l'abbiamo fatta?" Diego fu il primo a parlare.

"Dev'essere così", Luther rise nervosamente. "Voglio dire, Allison è tornata normale."

"Tornata normale?" lei alzò un sopracciglio. "Che vuoi dire?"

"Uhm", Luther sembrava leggermente costipato. "Eri diventata una bambina."

"Cosa?"

"Ragazzi!" gridò Klaus. "Dobbiamo averlo sistemato! Ricordiamo Cinque, e ora tutto sembra di nuovo normale."

"Sono d'accordo" mormorò Vanya, sbirciando il cielo dalla finestra più vicina. "Niente pterodattili."

"Ok", annuì Allison. "Allora... dov'è Cinque?"

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Cinque aprì gli occhi di scatto, e respirò pesantemente mentre riconosceva l'ambiente circostante.

(Oh, Dio, no. Per favore, no.)

L'ansia schizzò nel suo petto con forza soffocante.

Non quella stanza. Tutto ma non quella maledetta stanza. Si era perso in quella stanza.

Ma... c'era la luce del sole. Filtrava all'interno dalla piccola finestra. I raggi illuminavano metà del telefono sciolto appeso al muro.

(Io... ce l'ho fatta?)

Cinque si mise in piedi, poggiò la mano tremante sulla maniglia.

(Ce l'ho fatta, non è vero?)

Aprì la porta.

Un'onda di sollievo lo investì con una forza talmente travolgente che dovette fare un passo indietro e reggersi sulle ginocchia.

Cinque rimase lì. Solo respirando.

Per curiosità, provò di nuovo a piegare il tempo al suo volere. Era stato così semplice, così naturale quando era un tutt'uno con il vortice.

Ora? Niente.

Le redini del flusso temporale non appartenevano a nessuno.

E Cinque era a casa.

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La domanda di Allison galleggiò per aria.

Dov'era Cinque?

"Proviamo in camera sua, magari?" suggerì Klaus con voce tremante.

Vanya non si sentiva a suo agio con il fatto che il loro fratello perduto non si vedesse da nessuna parte.

Sicuramente doveva essere lì. Sicuramente avevano sistemato tutto ora.

Sicuramente stava bene.

(Ti prego. Fa che sia ok.)

"C'è nessuno?"

Il suo cuore mancò un battito.

La voce era debole, veniva dalla direzione della scalinata principale. Probabilmente dal secondo piano.

Eppure, il riconoscimento e il sollievo riscaldò i loro volti con sorrisi luminosi. Vanya fu la prima a correre attraverso la porta.

Inondando l'atrio, si affacciarono sulle scale in anticipo.

Vanya non si azzardava a battere ciglio. Aveva il sole negli occhi, ma non le importava.

(Avanti, Cinque.)

E poi lo videro. Tutto pelle e ossa, grandi occhi verdi, pelle pallida, un ciuffo di capelli scuri. Proprio come il giorno in cui scomparve.

(Grazie. Grazie, grazie, grazie. Chiunque si occupi dei miracoli, grazie.)

Cinque sorrise. Vanya singhiozzò quando lo schiacciante senso di sollievo la investì, e fece un passo avanti.

Cinque fu più veloce. Saltando per azzerare lo spazio fra loro, avvolse le braccia intorno a lei, e lei poté sentirlo proprio lì, e lui stava bene e respirava ed era così, così reale-

Sentì Klaus e Allison unirsi all'abbraccio, sentì i battiti dei loro cuori contro il suo corpo, e presto li raggiunsero le braccia forti e ferme di Luther e Diego.

Vanya seppellì il volto nell'incavo del collo di Cinque e non lo lasciò andare.

"Non farlo mai più", soffiò. "Hai capito?"

"Non lo farò."

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Klaus non era stato così felice per molto, molto tempo.

Stavano tutti bene. Erano a casa. Cinque era proprio lì, e sentiva il suo corpo contro il suo.

Reale, vivo, salvo.

Ma quando mai queste cose duravano, comunque?

Successe molto in fretta. Klaus riuscì a malapena a sentire qualcosa, ma si artigliò il petto in confusione lo stesso.

Non sentì niente quando cadde a terra.

Era una sensazione stranamente familiare. Non si sentiva così intorpidito da lungo tempo.

Klaus era confuso. Poteva sentire Allison urlare qualcosa, Diego scuoterlo, ma registrava tutto a malapena.

L'oscurità lo inghiottì, accogliendolo come fosse un vecchio amico.

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Klaus si trovava in una spiaggia.

Batté le ciglia confuso, guardando i gabbiani volare sulla sua testa nel limpido cielo blu.

Era il paradiso?

"Ciao, di nuovo", lo salutò una voce.

Klaus si alzò veloce, scrollandosi la sabbia dai vestiti. "Che cosa vuoi?"

Osservò sospettoso la ragazzina.

"Volevo parlarti", gli rispose con un'alzata di spalle.

"Ho un telefono, sai", mormorò lui imbronciandosi. "Non c'è bisogno di uccidermi ogni volta che vuoi chiacchierare."

La bambina agitò una mano. "Volevo ringraziarvi. Per aver preservato la linea temporale. Sarebbe stato... alquanto spiacevole se la mia creazione fosse stata annullata in quel modo."

Klaus si accigliò interrogativamente. "Ma eri d'accordo per le altre due apocalissi? E perché prendere me? Ho cinque fratelli!"

"Un'apocalisse è diverso dalla distruzione dell'intero flusso del tempo", rispose, alzando il mento. "Avrei potuto sistemarlo da sola, ma ero... indaffarata."

"Indaffarata..." ripeté Klaus beffardo, ma trattenne la lingua. "Sì. Nessun problema."

"E ho scelto te perché abbiamo una storia", alzò le spalle. "Niente di personale. Non mi piaci tu nello specifico, o niente del genere."

"Oh, grazie."

"Comunque", si schiarì la gola lei, imbastendo un sorriso. "Ho sentito che è comune nella razza umana dimostrare gratitudine in forma di un presente."

Klaus strinse gli occhi. Quello non se lo sarebbe di certo aspettato.

"... Sì?"

"Beh, desidero darvi un regalo. Uno che faccia sentire apprezzata tutta la tua famiglia", la bambina parlò velocemente. "Qualcosa del genere. Cosa vorresti?"

"Possiamo avere qualsiasi cosa?"

"Qualsiasi cosa."

Klaus deglutì nervosamente. Perché doveva essere lui in una situazione come quella? Le grandi decisioni non erano il suo forte, e certamente non voleva prendere decisioni per la sua intera famiglia.

Pensò di chiedere niente più apocalissi. Pensò di chiedere di essere tutti felici per il resto delle loro vite. Magari che tutti trovassero l'amore.

Nessuna di esse sembrava giusta.

"Allora?" chiese impaziente la ragazzina.

"Ben."

"Scusa?"

"Ben. Nostro fratello. Puoi riportarlo in vita?" Klaus la guardò dritto negli occhi.

I suoi occhi sembravano appartenere ad un umano, ma più lui guardava, più incongruenze scorgeva. Segreti e antica saggezza più profondi degli oceani nuotavano in essi, guardandogli attraverso. Soprattutto, mancavano di compassione. Mancavano di calore.

"Perché?" chiese lei infine. "Voglio dire... Posso, ma potrei chiedere il motivo?"

Klaus era sconcertato. "Cosa vuol dire, perché? È nostro fratello. È morto quando aveva quattordici anni poi ha passato il decennio successivo a seguirmi in giro come fantasma. Meritava di più."

"Meritava di più", ripeté lei, ma non sembrava che avesse capito cosa intendesse.

Klaus fece una pausa, inspirando a fondo. "Lo rivoglio indietro perché è mio fratello e gli voglio bene."

"Gli vuoi bene", disse lentamente la bambina, come testando le parole nella sua bocca. "Amore."

"Sai cos'è l'amore?" chiese Klaus. Era quasi certo di sapere la risposta.

La ragazzina lo guardò con espressione interrogativa ma non rispose.

"Klaus?"

(Oh.)

Chiuse gli occhi per mezzo secondo, grato di poter sentire di nuovo la sua voce.

"Ehilà, Ben."

Klaus si girò. Suo fratello stava in piedi davanti ai suoi occhi, indosso la giacca di pelle, suo marchio di fabbrica, gli occhi si guardavano intorno sulla spiaggia confusi.

"Uhm... sei morto anche tu?"

"Nah, nah", scosse la testa. "Solo in visita."

"Quanto è passato per te?" chiese Ben a disagio.

"Vediamo – è il 7 Aprile. Circa le due e un quarto del pomeriggio, se non erro", mormorò Klaus, rifiutandosi di chiudere gli occhi davanti a Ben.

Il momento non sarebbe durato. Avrebbe resistito fintanto che avrebbe potuto. Non si sarebbe perso un secondo.

"Cinque è stato cancellato dalla linea temporale, il che ha causato un'altra apocalisse", Klaus alzò le spalle. "Ma è a posto adesso. Lo abbiamo riportato indietro. Sembra che abbiamo sistemato le cose."

"Fico", annuì Ben, spostando il peso da un piede all'altro. "Cosa ci facciamo qui?"

"Chiedilo a lei", Klaus fece un ceno verso la bambina, che portò lo sguardo su Ben.

Ci fu un momento di silenzio, mentre i fratelli aspettavano che lei parlasse.

"Vorresti essere di nuovo vivo?" chiese infine. Ben sgranò gli occhi.

"Uh", balbettò, apparentemente faticando a trovare una risposta appropriata.

Per favore, di' di sì, pregò Klaus mentalmente. Ben ricambiò il suo sguardo, gli fece un piccolo sorriso.

"Cioè... Suppongo."

"È un sì?" la bambina iniziò a suonare impaziente.

"Uhm... sì?"

"Grande. È deciso allora."

Schioccò le dita. La spiaggia scomparve.

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"Non sta respirando!"

"Non sta succedendo davvero-"

"Dobbiamo iniziare le compressioni-"

"Il cuore si è fermato!"

Klaus annaspò, gli occhi spalancati.

Si scontrò con le tracce di lacrime, i volti confusi dei suoi fratelli su di lui. Vanya lo fissava con uno sguardo distrutto, le ciglia incollate dalle lacrime.

Gli spezzò il cuore.

"Cosa-"

"Woah", Klaus si sentiva la gola secca. "Ragazzi, non indovinerete mai cos'è appena successo."

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"Sicuro di stare bene?" Cinque si accigliò vedendo Klaus leggermente stordito, il quale ricambiò lo sguardo.

"Io? Sto bene. Tu piuttosto?"

"Sì, sto bene."

"Klaus!" Diego gli afferrò le spalle e lo fece girare finché non furono faccia a faccia. I suoi occhi erano induriti di preoccupazione.

"Che è successo?" chiese, lento e chiaro.

Klaus prese un respiro profondo. "Dio voleva parlare con me. Era grata perché abbiamo impedito che il flusso temporale esplodesse, e voleva farci un regalo."

Ciò che seguì furono forse i dieci secondi di silenzio più imbarazzanti della vita di Klaus.

"Vuoi dirci che hai parlato con Dio?"

"Lei?"

"Quale regalo?"

Klaus li zittì furiosamente. "Silenzio! Il punto è che ha detto che poteva darci qualsiasi cosa. Così ho chiesto di ridarci indietro Ben."

"Sei pazzo," disse Luther con fare ovvio, come se fosse appena giunto alla conclusione.

"Non scherzare" mormorò Cinque.

"Sei fuori, fratello", Diego scosse lentamente la testa.

Klaus era, certamente, abituato al fatto che i suoi fratelli non prendessero sul serio una parola di quello che diceva. Non poteva proprio biasimarli – il più delle volte sparava cazzate – ma quando si trattava delle sue abilità, tendeva a dire la verità.

Non era colpa sua se aveva una relazione ridicolosamente intima con l'aldilà.

"Ok, quindi dov'è?" Allison alzò un sopracciglio. "Ci ha dato indietro Ben. Dov'è?"

Questa era totalmente un'altra domanda.

Klaus temette all'improvviso di riavere Ben come un quattordicenne.

"Oh, mio Dio" esalò. "Voi pensate che potrebbe essere nella sua tomba?"

"Seppellito vivo?" a Vanya cadde la mascella.

"Ragazzi, andiamo", sbuffò Luther. "Voglio dire, è ridicolo."

Allison incrociò le braccia. "Più ridicolo di tutto quello che abbiamo passato?"

La discussione fu interrotta dal campanello alla porta.

"Vado io" mormorò Diego, camminando a tutta velocità verso l'ingresso. "Sì?"

Klaus si accigliò, cercando di afferrare un indizio su chiunque fosse alla porta.

"Salve! Ho una lettera qui indirizzata a gli Hargreeves?"

La curiosità ufficialmente impennata, Klaus si fece vicino. L'uomo alla porta era alto, calvo e sembrava venire dalle Poste.

Il resto dei fratelli lo seguì velocemente, osservando diffidenti il postino mentre tirava fuori una busta.

"Sì, siamo noi", disse lentamente Luther.

"Woah", fiatò l'uomo, sembrando quasi stordito. "Abbiamo scommesso all'ufficio sul fatto che voi foste davvero qui. Questa busta è un po' una leggenda da noi. Uh, firmi qui, prego."

Diego scarabocchiò la sua firma sul modulo che gli passò l'uomo e accettò la busta con mani leggermente tremanti.

"Quella lettera è stata in nostro possesso dal 1963. Sono ben cinquantasei anni!" ridacchiò nervosamente. "Ci è arrivata con delle chiare istruzioni. Di consegnarla a questo indirizzo, in questo esatto momento. Roba da non credere."

"Davvero", osservò Klaus, studiando la busta ancora fra le mani del fratello.

"Bene, allora vado", il postino annuì imbarazzato. "Smitty mi deve venti dollari!"

Con quello, la porta si chiuse.

Diego non fece una mossa per aprire la busta, così Allison gliela strappò di mano.

Klaus le si strinse vicino mentre la apriva, gli occhi divorarono la calligrafia ordinata.

"Leggila ad alta voce!" richiese Vanya, e Allison si schiarì la gola.

 

"Sono Ben. Spero che questa lettera vi raggiunga. Se no, credo di essere fottuto per bene.

So che probabilmente Klaus vi ha deto cos'è successo. So anche che avete la tendenza a non credergli. Sta dicendo la verità questa volta – sono vivo.

Il punto è che sono tornato nel posto in cui ho avuto il mio ultimo pensiero conscio. Mi sono svegliato nell'edificio incasinato dell'FBI. La data era il 23 Novembre, 1963. Sfortunatamente, ero circondato da agenti molto arrabbiati.

Non è molto bello spuntare dal nulla, senza preavviso in una struttura governativa dove la morte di numerosi agenti era avvenuta appena un giorno prima.

Quindi comunque... sono scappato. Mentre scrivo questa lettera, sono le 6:37 di sera, del 25 Novembre nel 1963.

Sono andato avanti e mi sono nascosto a casa di Ray Chestnut. Scusa, Allison.

Lui onestamente pensava di aver visto l'ultimo di noi ormai. Era ancora più confuso perché gli ho detto di essere il fratello morto.

Perciò sì, sono un po' nei guai qui. Mi stanno cercando, e non sono sicuro quanto a lungo posso nascondermi. Per favore, sbrigatevi.

Sinceramente; Ben."

 

Klaus fissò la lettera.

(Porca troia.)

Cinque parlò per primo. "Qualcuno è pronto per un altro viaggio nel tempo?"

 

 

Nota del traduttore:

Ed eccoci giunti alla fine! Devo scusarmi, dato che ci ho messo davvero una vita a tradurre dall'uscita effettiva del capitolo su ao3. Ma ho delle ottime ragioni (il laboratorio, gli esami, Netflix...).
Mi ha fatto sudare sette camicie, più che altro perché è il capitolo più lungo in assoluto. Ma infine ce l'ho fatta!
Spero che il viaggio sia piaciuto a tutti voi come è piaciuto a me. Dalla regia mi dicono che c'è la possibilità di un seguito (che ci sta, vedendo il finale aperto), perciò... resterò sintonizzata :)

 

   
 
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