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Autore: DarkWinter    04/02/2021    5 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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43. Il Ritorno dell'Incubo
 
 
 
 
 
Diciotto aveva lasciato lo chalet di Verny piena di voglia di rivedere la sua bambina. Ma solo poco dopo, sorvolando Central City e arrivando infine al quartiere residenziale di Kate, quella vecchia sensazione terribile, la morsa allo stomaco, era ritornata dal nulla e si era chiusa sulla sua gioia come mandibole di squalo.
Non si udivano sirene; le luci rosse e blu di parecchie volanti lampeggiavano attorno alla casa di Kate.
Diciotto corse veloce, Ronan le venne incontro non appena la vide: aveva il fiatone, il suo viso e le sue sclere erano rossi.
“Lazuli, Lazuli. Tua madre e Marron sono sparite.”
Le disse in fretta che aveva voluto chiamare subito lei e Lapis, ma che la polizia l’aveva fermato per interrogarlo.
Ronan aveva visto Kate prima che lei andasse a controllare Marron, l’aveva attesa a letto fin quando il sonno non l’aveva vinto; la mattina seguente, tutto quello che aveva trovato nella camera di Lazuli era stata una finestra leggermente aperta.
“Pensavo che si fosse addormentata con la bambina, non volevo disturbarle. Avrei dovuto andare prima. Avrei dovuto…”
“Ronan, non è colpa tua.”
Crilin era sopraggiunto, nel frattempo. Meno male, perché Diciotto non voleva nemmeno sentire il resoconto dell’accaduto; non era in grado di consolare ed ascoltare.
“Abbiamo trovato questo, nella stanza.”
Un poliziotto mostrò a Diciotto e Crilin un sacchetto trasparente per le prove, in cui la scientifica aveva inserito qualcosa.
Una bustina gialla.
Tutti avvertirono improvvisamente un gran calore, si trovarono in difficoltà a mettere a fuoco i contorni di Diciotto: l’aria stessa, intorno a lei, sembrava rovente.
“Signorina Lang, dobbiamo farle alcune domande,” un poliziotto si avvicinò a Lazuli. “Dobbiamo avvertire il signor Lang.”
“Ma è qui,” disse un collega.
“No, il figlio."
Diciotto rivolse uno sguardo lampo ai poliziotti, “Voi non farete niente.”
Costoro erano tipi duri che non si lasciavano dire cosa fare, eppure nel vedere lo sguardo di Lazuli Lang, occhi così chiari da essere più inquietanti che belli, si bloccarono.
Non si seppero spiegare come mai le obbedirono seduta stante.
 
 La sua Marron non era lì; Diciotto era una mamma che non aveva più trovato la sua bambina, perché gliel'avevano presa.
Agli occhi dei poliziotti Diciotto era stata calma, perfettamente gelida, ma dentro gridava; gli occhi dardeggiavano lungo il viale, analizzando ogni centimetro cubo di realtà. Nella confusione che dilagava da dentro a fuori di lei, lo sguardo di Diciotto cadde sull’imboccatura ombrosa di un sentiero. Qualcosa di bianco, che si rivelò essere una faccia, fece un giro quasi completo: 19.2 si accertò che la creatura ibrida davanti a lui fosse proprio n°18 e quando lo seppe sparì su nel cielo, come un razzo; la cyborg lo seguì senza pensarci.
“Diciotto! Aspettami!”
Ma Crilin non li seguì mai: la furia con cui Diciotto si era alzata in volo aveva creato una raffica, e la raffica aveva sollevato le volanti della polizia in una specie di tornado; il compito di proteggere una casa dai veicoli in caduta ricadde su di lui.
 
 
 
 
Diciotto non riconosceva l’angolo di mondo verso cui 19.2 aveva cominciato a scendere.
Non c’era niente intorno a loro ma lande desolate, pietraie e, più lontano, mare color d’acciaio.
19.2 aspettava che lei lo seguisse camminando, mantenendosi sempre a distanza di sicurezza da lei.
Silenzioso, imperturbabile.
il cuore le pulsava nella testa, in gola, ma
nonostante il non sapere dove fosse sua figlia (e anche sua madre) la dilaniasse, Diciotto non voleva dargli la soddisfazione di sentirla implorare.
19.2 si addentrò in una galleria di roccia, Diciotto riconobbe tutto d’un tratto il labirinto di grotte intorno a sé, quello in cui aveva incontrato l'androide per la prima volta.
Lo strazio si sospese per un momento, Diciotto udì un flebile pianto.
Il pianto di Marron.
In quello stesso momento una presa delicata, ma durissima, si impossessò di Diciotto, bloccò la sua corsa verso Marron.
No! Diciotto andare da loro!
Doveva trovarle, doveva vederle: Marron doveva rimanere forte per lei.
Perchè le sembrava che, invece, la sua bambina piangesse sempre più piano?
 
 
Fiaccato dal repentino salasso, il corpo della cyborg si era rilassato fra le braccia del dottore: Gero gioiva nel percepire  un'ingente quantità d’energia fluire in lui, attraverso i suoi palmi.
I bottoni assorbi-energia erano una delle poche cose che avevano funzionato senza intoppi, quando si era scontrato con gli alleati di Son Goku. Adesso era tornato forte abbastanza da riuscire a usarli su 18: tuttavia, egli intuiva di avere una finestra di tempo limitata, prima che il reattore le mandasse in circolo una nuova, massiccia dose di ki artificiale.
Gero voleva certamente che lei fosse cosciente, quando avrebbe ferito a morte le due umane a cui voleva tanto bene; ma prima di darle il colpo di grazia, era smanioso di riuscire a varcare quella soglia oltre cui non si era spinto prima.
Lasciò che 18 cadesse supina, ascoltò il gemito che emise nel suo stato forzato di fragile veglia.
Gero inspirò: il corpo del cyborg femmina era quello che aveva conosciuto meglio; nelle pause dal lavoro di ristrutturazione, aveva passato lunghi momenti seduto su una sedia a contemplarlo.
Molte volte la sua mano era stata avida e le dita nodose avevano accarezzato, penetrato, ma le labbra di Gero non avevano mai sfiorato la sua bocca e il suo seno.
 
Una spossatezza indicibile le teneva il corpo inchiodato al suolo; le sue membra erano di pietra, pesanti e immobili, il sentirsi senza energie le fiaccava anche la mente.
Le sembrò di essere la spettatrice di un film, la sua vita, nel vedere Gero incombere su di lei e sedersi sul suo bacino. Diciotto udiva suoni secchi, qualcosa che si strappa: fece fatica a rendersi conto conto che era la sua maglietta.
Le mani di Gero tiravano la stoffa e lei si sentiva già nuda.
Diciotto lottò per tenere quel volto lontano dalla propria pelle, ma il dottore bandì quella resistenza, i palmi delle mani gli sfrigolarono.
"18, mia bellissima creazione, non ti vergogni?"
Una scossa elettrica spremette il fiato dai polmoni di Diciotto, schiacciò la sua testa all'indietro, la fece rimbalzare convulsamente.
Diciotto gridava senza controllo, strilli di puro dolore fisico come mai si era sentita emettere.
Non sapeva che quelle scosse interferivano con uno dei pochi elementi meccanici nel suo corpo: il dispositivo di disattivazione, inserito fra le sue vertebre.
Quando lo shock cessò, Diciotto rimase completamente esaurita; le sembrò di non avere più ossa.
Gero accarezzò la punta bruciata di una ciocca di capelli. "Non ti vergogni di esserti lasciata fecondare da un triste omuncolo?"
Marron piangeva, non capendo cosa stava succedendo, scioccata nel vedere la sua mamma inanimata saltare e rimbalzare.
L'omaccione bianco che la teneva stretta ora non era la nonna.
Era bagnata, aveva fatto la pipì.
Gero poteva ignorare quel pianto lagnoso, ma non i due pugnali piantati nella sua schiena: gli occhi della madre, legata e imbavagliata.
Lei era così uguale al n°17, Gero percepiva tutto lo sfotto, tutto lo schifo che lei provava per lui.
Doveva essere un comportamento innato che la donna non sapeva manco di avere.
Per Gero, quell'atteggiamento della madre era lo stesso contro cui lui aveva lottato, e mai sradicato dai figli.
I Lang lo disprezzavano; lui non era degno di loro.
 
 
Come osava Gero parlare così del suo compagno di vita? Diciotto non poteva difendersi ma dentro di lei la rabbia cresceva: si sarebbe unita a quella che già c'era e quando questa polveriera fosse scoppiata, l'esplosione sarebbe stata grandiosa.
Il pianto di Marron le era arrivato alle orecchie da lontano, per un momento aveva sospeso la tortura. Diciotto si alzò a sedere, senza dire una parola, colpendo il suo aggressore con una testata.
Quando Gero si rese conto che non vedeva più  da un occhio, un altro shock mozzò il respiro a Diciotto.
Il dottore sorrideva di piacere, nel vederla impazzire dal dolore.
“Lazuli! Basta, per carità!”
Totalmente ignorata da 19.2, Kate gemeva dietro al bavaglio, tirava le corde che le legavano i polsi a terra; corde che non le permettevano altro che un tocco veloce alla fondina segreta legata alla sua schiena.
Quel pazzo aveva osato avvicinarsi a lei e al suo sangue con le sue mani plebee e Kate ne era indignata, ma la cruda realtà era che non c'erano speranze: le avrebbe uccise tutte e tre e lei non avrebbe potuto impedirlo, perché era debole.
Le corde erano troppo strette, il tempo per fare qualcosa di rilevante era sempre meno. Kate si guardò i pollici con rammarico, con il brivido di chi sa che l'unica via d’uscita è quella che passa attraverso il dolore.
Come suo figlio, Kathryn Lang era una che si lanciava nella fossa del leone senza rimpianti, o forse senza calcolare il leone.
Forse Lapis non era solo come il padre e aveva anche qualcosa di lei, dentro (fuori, era parecchio ovvio).
Guardare Marron e Lazuli, e pensare a Lapis, diede a quella mamma innamorata tutto il coraggio di cui aveva bisogno.
Kate aveva premuto il grilletto una volta sola, in una fase della sua esistenza così lontana che era ormai un'altra vita. Tuttavia, questa volta sarebbe stato facile.
Kate lasciò che il suo panico completasse la sua metamorfosi in rabbia feroce; fece un sospiro, preparandosi a spezzare le sue stesse ossa.
 
 
 Il vecchio Gero si era sempre ritenuto troppo in alto per quello. Ma 18 era inerme, quella era la sua opportunità e lui non era più lo stesso. Ormai tutto quello che voleva era fare il peggio per vendicarsi.
Gero diede un ultimo strattone alla maglia di 18, si accinse a fare lo stesso coi pantaloni.
La creazione lottò per coprirsi il seno dal ruvido viso, gemette nella sua impotenza, si contorse per liberarsi da quel corpo invasore; non le rimaneva altra difesa che il suo disprezzo.
“Shhhhh”  Gero intimava prepotente, leccandole con fretta collo e orecchie. Baciava il suo viso e mordeva il suo petto con la premura frettolosa dell'amante che ancora esita, ma era disturbato costantemente dai pianti della piccola Marron.
Pianti a pieni polmoni che creavano confusione e lo frastornavano, impedendogli di assaporare in tutta serenità il suo bottino.
"Falla stare zitta!”
Andò da 19.2 e prese Marron per i capelli, per pura rabbia.
“Stai zitta, non ti sopporto più! Zitta!"
Gero era di spalle, ubriaco di se stesso, quasi isterico: non vide che l'altra umana si stava lanciando verso di lui, pronta a fare ciò di cui nemmeno lei si credeva capace.
Gero aveva dato a 19.2 il comando di rimanere immobile con in braccio la bambina: e intanto Kate avanzava a grandi falcate, stringendo una pistola fra i pollici spezzati.
La madre si abbassò il bavaglio e sfidò Gero con voce bassa e carica di ira, guerra e amore assoluto. Una voce che Diciotto non aveva mai sentito uscire da lei.
"Mia figlia e mia nipote no, bastardo."
Un getto d'acqua super pressurizzato scaturì dalla pistola della Capsule Corp., colpendo il dottore con abbastanza forza da portarsi via tutta la sua scapola e spaccare la roccia dietro di lui.
Un grande caos di polvere, roccia e vapore calò nella caverna come un sipario, solo 19.2 intervenì buttando Kate contro una dura parete.
L'androide procedette a scannerizzare il polverone, alla ricerca del suo padrone, ma quella che si trovò davanti fu 18. Gli occhi duri e la bocca serrata, aveva un volto da vero terminator.
19.2 percepì il suo braccio, ora una gigantesca ascia nera, scendere inesorabile come la mannaia di un macellaio.
Diciotto spaccò 19.2 a metà, ansimò di fronte i suoi resti: la sola vista di Gero che toccava Marron, e di Kate che interveniva per lei aveva aveva ravvivato il fuoco nel suo cuore e l’energia nel suo corpo.
La forza di Diciotto era così grande, molto più grande di quello che Gero poteva arginare.
 
 
Non avendo modo di percepire dove sua moglie e l’androide fossero andati, Crilin aveva fatto la sola cosa che gli era parsa sensata: era andato da Sedici a casa dei Weiss, poi entrambi si erano diretti a nord.
"Dobbiamo andare a prendere Hacchan. E Diciassette."
“No, Crilin. Andiamo da Diciotto ora.”
Il miglior giudizio di Sedici aveva permesso a Crilin di raggiungere le grotte proprio mentre 19.2 si stava ricomponendo: Sedici lo colpì con una sfera d'energia che bruciò ogni suo frammento.
Non appena vide n°16 e Crilin, Gero fuggì ancora una volta il campo di battaglia.
Volava tutto storto, dopo che Kate e la sua pistola gli avevano portato via un pezzo di busto. Sedici caricò il suo pugno e lo spedì, veloce come un missile, sulla traiettoria di Gero.
Ma il dottore fu troppo veloce; Sedici richiamò indietro il pugno e guardò Crilin stringere Marron, e Diciotto sollevare da terra la donna che assomigliava a lei e Diciassette.
Vide che lo scheletro di quest'ultima presentava varie fratture: le mani, un braccio, le costole.
 
 
 
/
 
Sembrava che Noiresylve dovesse sempre produrre grane nelle giornate più spettacolari.
La mattinata era splendida, una di quelle che abbelliscono il mondo.
La staccionata che bordava la strada di Noiresylve non era stata completata e Diciassette si era preso la briga di legare i paletti con fil di ferro.
Lavorava appoggiato al prato odoroso, lasciando che il sole irrorasse i suoi zigomi di qualche ultima efelide estiva.
Che peccato, non si era portato neanche una birra per celebrare la bellezza della giornata.
Il messaggio di Lillian lo interrupe.
 
Io sono già su a Chantey. Vieni?
 
Lillian, a Chantey?
Sarebbe stato interessante se ci avesse portato delle birre.
Diciassette era rimasto a digitare una risposta con il fil di ferro in bocca; si ricordò di tranciarne un pezzo con un morso preciso.
"Ma sei matto? Ti romperai i denti."
Una voce gli entrò da un orecchio e gli uscì dall'altro. Diciassette vide con la coda dell'occhio una ragazzetta, lì sola.
"Almeno me li rifaccio."
Tutti nel RNP sapevano che il top ranger era strano, ma non avevano mai visto fino a che punto.
Diciassette scelse di ignorare la sua sigola compagnia, ma presto il brusio intorno a lui lo indusse a voltarsi.
E quello che vide fu la totalità dei noiresylvani in procinto di cominciare un esodo, chi a piedi e chi in macchina.
Una macchina passò impolverando tutti, Diciassette l'afferrò per il paraurti e il guidatore si sporse dal finestrino, pigiando forte il clacson.
"Che hai fatto alla mia macchina?"
"Niente. Dove andate?"
La ragazzetta assunse una postura da generale, il petto gonfio d'orgoglio a due centimetri da quello del top ranger.
"Fai lo splendido, Edward denti di forbice, ma non sai che stiamo andando via dalla cosa?"
Diciassette ridacchiò; che delle mattane stavano succedendo lì l, lo sapeva eccome. "Quale cosa?"
"La cosa!"
L'avevano vista; di notte, nelle strade.
"Non accendiamo più la luce..."
"Che vita è questa? Ce ne andiamo."
Diciassette si stava spazientendo; pensando che sicuramente Lillian stava guardando, balzò poco più in alto sulla montagna e tornò con un enorme parallelogramma arrugginito (una vecchia barriera anti-massi).
"Buona fortuna!"
Parecchie facce lunghe lo videro piantarlo con forza nella strada dai fianchi scoscesi, impedendo qualsiasi tipo di andirivieni.
 
 
Lillian aveva udito gli schiamazzi fin su alla casotta.
"Ma se davvero stanno scappando, non li avrai mica intrappolati?"
"Se hanno voglia, possono comunque passare a piedi. Ho solo complicato loro la vita."
Nessuno aveva chiesto a Lillian di seguire Diciassette lì.
"Scusa, io ero qui quando il primo casino con la frana è successo. Quindi devo essere testimone anche di questo."
Diciassette non aveva voglia di interagire con lei. Qualcosa l'aveva reso nervoso, ancora una volta. Forse era il non sapere cosa.
Nel dubbio, si era proposto di restare alla casotta fino a sera tardi e c'era della legna da raccogliere per la stufa.
"Io comincio ad andare."
Lillian gli rispose dalla minuscola cameretta, "Ti raggiungo subito."
L'essere lì all'insaputa di John le dava il brivido dell'avventura, come quando era ancora top ranger e metteva il capo ranger davanti al fatto compiuto.
Scarponi allacciati, Lillian scostò la tenda dalla finestra e ammirò il cielo d'agosto.
"Che meraviglia. Cosa mai potrà succedere in una giornata così?" Energizzata, Lillian balzò verso la porta; ma all'ultimo momento, prima di chiuderla, le sembrò di percepire un movimento.
Uno sventolare lieve, un moto impresso nei suoi occhi.
"Settone?"
Nessuna risposta dalla casotta.
Lillian alzò la voce, "Diciassette?"
Tornò verso la finestra, allungando la mano...
Fu allora che una strana sagoma si profilò dietro la tenda, fuori dalla finestra. Senza un suono, i contorni di una testa biforcuta e di due mani si appoggiarono al vetro, il vetro si crepò dove fu toccato.
Lillian lanciò un urlo e si scapicollò fuori, nella corsa più disperata della sua vita. Correva senza direzione fra i boschi intorno a Chantey, col fuoco nei muscoli, continuando a guardarsi alle spalle.
La corsa si arrestò solo quando Lillian si scontrò con qualcosa, esalando un lamento nel rimbalzare a terra.
La ranger si sentì afferrare per le spalle, gridò e lottò, poi si rese conto conto che si era imbattuta in Diciassette.
"Lill? Che modi. Sembri impazzita."
Gli aveva fatto cadere di mano la pila di legni che aveva raccolto per la stufa...
“Diciassette!”
Lillian inspirava grandi boccate d'aria, una mano che tentava di arginare i suoi rantoli, “C’era una cosa! Nella casotta…"
“Hai un fucile e sei corsa via?”
“C’ERA UNA COSA!” pianse Lillian, non riuscendo più a controllarsi, trovando assurdo che le prime parole che il cyborg le aveva detto fossero “hai un fucile”.
Diciassette sbuffò scocciato, imponendosi indifferenza verso l'udire la definizione la cosa anche da Lillian.
Lillian emise un altro gemito strozzato e istintivamente prese Diciassette, se lo trascinò in un’altra corsa sfrenata.
Diciassette stava pensando a quali nomignoli irrisori dare a Lillian per filarsela dalla cosa invece che comportarsi da buona ranger, quando udì.
Diciassette non poteva percepire ki, ma poteva udire.
E quel passo lontano, da qualche parte nel bosco, era chiarissimo alle sue orecchie e alla sua memoria.
Il passo risuonava lontano, ma non lo sarebbe stato per molto.
Diciassette afferrò Lillian e si appostò con lei sotto un piccolo dislivello del terreno, riparato da una tettoia di radici secolari. Era quasi una grotta, un posto secluso.
“Non parlare.” Diciassette ordinò a denti serrati, premendo una mano sulla bocca di Lillian.
Adesso i passi erano udibili anche a lei. Chiunque fosse, non stava avendo cura di tendere un’imboscata e non farsi sentire.
Lillian ansimava e iperventilava, con le prime lacrime agli occhi; si strinse a Diciassette, mentre i passi attutiti dal tappeto di aghi di pino si aggiravano, avanti e indietro.
Facendole segno di continuare a tacere, Diciassette usò la mano libera per stendere una pellicola all’entrata del nascondiglio.
Tap, tap. Ormai la cosa doveva essere in piedi sul bordo del dislivello. Poteva anche essere lo spettro della morte stessa, dal sudario nero, lo scudo verde li avrebbe protetti.
Cyborg e umana restarono con il fiato sospeso, fin quando i passi si fecero più lontani.
Diciassette non tolse la barriera, e ne furono grati…
“Uaaaah! Oddio!”
Lillian urlò a squarciagola quando una specie di anguilla dalla testa acuminata si puntellò contro la barriera, che ogni volta che veniva colpita emetteva un suono magnetico.
La cosa che li stava attaccando faceva ribrezzo a Lillian, per quel poco che vedeva, eppure non riusciva a non guardare.
Diciassette invece non guardava; teneva la mano alzata, come a mantenere il suo campo di forza, e il sopracciglio rivolto al suolo. I suoi occhi erano bassi, come indifferenti al dardo che voleva colpire loro.
Tutto quello che sperava era che lo scudo non fallisse, che non si incrinasse.
Lillian continuava a piangere e ad urlare.
E infine l’attacco cessò, i passi si allontanarono.
“Merda! Cazzo!”
Sull'orlo di una crisi di nervi, Lillian cercò calore e conforto tra le braccia di Diciassette.
Ma egli era muto, spento, un braccio mollemente appoggiato a lei.
Sembrava che in quel momento non ci fosse alcuna comunicazione possibile con lui.
Diciassette la nemesi era stato inespugnabile, ma Diciassette l'amico aveva le emozioni scritte in faccia.
In quel momento sembrava regredito a colui che Lilian aveva incontrato due anni prima, un messaggio da decodificare; e lei ne aveva perduto la chiave.
“Diciassette, cos’hai? Cos’era?”
Diciassette alzò il mento, come per darsi un tono, pronunciando con timbro chiaro “Niente. Non era niente.”
Ma Lillian non si calmò, ancora concentrata sul proprio spavento. E quando le lacrime cominciarono ad esaurirsi, lo sgomento fu ancora più grande: allora, solo allora, Lillian si accorse che la maglia del top ranger era fradicia di sudore.
Ancora più della sua.
Il suo amico cyborg era quasi invincibile, le aveva una volta detto di "aver paura di molte cose" praticamente solo per compatirla.
E ora Diciassette respirava appena, più per inerzia che per bisogno di ossigeno.
Lillian gli mise una mano sulla schiena: ciò che stava percorrendo con violenza il suo intero corpo non era una corrente leggera, come da freddo o anche da ansia.
Quello era PANICO.
Diciassette stava tremando.
 
 
 
 
 
"Cazzo...ma cosa cazzo era…"
Lillian continuava a girare per la casotta, imprecando, con le mani fra i capelli, febbricitante. Riempì due tazze d'acqua del rubinetto, bevve e tornò da Diciassette.
Lo guardò mandare giù con fastidio un sorso di circostanza.
"Cosa facciamo, top ranger?"
Diciassette non poteva dichiarare che fosse quello: non poteva essere certo al 100%, ma al pensiero si sentiva morire.
Lillian doveva lanciare un'allerta catastrofe, non importava quale.
"Tu, fai il tuo lavoro; mantieni l'ordine, lancia le sirene, dì a tutti di barricarsi in casa,..."
Diciassette voleva dimostrare a Lillian di avere la situazione era sotto controllo, ma l'ansia stringeva e stringeva, se la sentiva salire in gola.
Lillian, che non era nata ieri, capì che toccava a lei aiutarlo; gli circondò i polsi con le dita, tentando di sentire le sue pulsazioni, ma Diciassette rifiutò il contatto con lei.
"Odio vomitare; mi viene da vomitare."
"Ma va', stai tranquillo. Respira, per favore."
Lillian sfiorò e osservò le mani di Diciassette, in quel momento fu scioccata dal contrasto fra la sua pelle che non poteva ferirsi e le emozioni taglienti dentro di lui.
Esattamente come lei stessa, Diciassette non stava morendo: era solo un attacco di panico, di cui il top ranger aveva evidente vergogna.
"Senti un po', Settone," Lillian riuscì a strappargli un debole sorriso, "Farò come hai detto. E tu?"
"Io andrò a cercare mia sorella."
Doveva avvertirla, la vita di Diciotto era tanto in pericolo quanto la sua.
Ma prima doveva fare qualcosa di ancora più urgente; doveva salvare la sua Carly.
 
 
 
 Diciassette non fece in tempo ad entrare nello chalet. Un uomo sconosciuto l’aspettava fuori dalla porta, lo guardava come se avesse qualcosa di disperato da dirgli ma volesse ancora accertarsi della sua identità.
Il suo corpo era quadrato, la sua fronte chiodata e la sua mascella erano quadrate. Era un androide.
"N°17,” Hacchan dichiarò a bruciapelo.“Il dottor Gero è tornato. N°18 è stata attaccata.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Pensieri dell’autrice:
 
 
Well…non c’è molto da dire, a parte che spero che abbiate odiato Gero! E’ dall’inizio della storia che penso che doveva essere lui il vero cattivo (e personalmente trovo che Gero sia un cattivo coi fiocchi: mastermind, perverso, malato, ambizioso). Credo che ormai tutti sappiate cos’è la cosa 😊
Questo capitolo e i due che seguono sono stati elaborati e rielaborati fino all’ultimo, perché mai prima d’ora mi sono trovata così in difficoltà nel rendere qualcosa. Per cui, ho dovuto accantonare la mia attività di lettrice per questa settimana, ho letto meno del solito, per cui dico ai miei autori preferiti, aspettatemi!
CI rivediamo venerdì prossimo (ho pubblicato prima, questa settimana, per questione di comodità), con il capitolo Fare Qualsiasi cosa per Amore.
Buon fine settimana a tutti!
 
 
 
 
   
 
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