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Autore: DarkWinter    29/01/2021    5 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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42. Questa Volta, per sempre
 
 
 
 
 
 
 
19.2 aspettava pazientemente che il sensore completasse la scansione delle sue impronte digitali artificiali.
Un androide dalle fattezze di un uomo basso, dal volto maligno, lo aspettava dietro le pesanti porte; camminarono insieme fino a raggiungere il seminterrato, in cui il supercomputer troneggiava di nuovo, come se fosse sempre stato lì.
“Sono più di uno, 19.2.”
“Sono quattro in tutto.”
19.2 lo sapeva, anche se aveva visto solo tre di loro.
Il vecchio risorto li attendeva seduto al supercomputer. “E voi due siete gli unici rimasti?”
“Affermativo,” informò 19.2, dando un’occhiata veloce ad uno dei suoi stinchi. “Gli altri sono stati eliminati.”
“Peccato. Un vero peccato.” Il vecchio premette un pulsante e un sarcofago nero scese dal soffitto, molleggiando sui suoi tubi d’ossigeno.
19.2 e 9 (colui che era stato modellato a partire dal Comandante Red) avevano visto il loro creatore lavorare intensamente, come una volta, eppure non conoscevano il piano fino in fondo.
Osservarono senza emozione il sarcofago aprirsi, la creazione emergere in un nuovo risveglio.
Il suo aspetto appariva lo stesso, ma questa volta la sua programmazione era basilare: il creatore aveva fretta e il risultato di quella rinascita precoce era stato un essere molto più rudimentale.
Nemmeno l’ombra della biologia complessa e sofisticata della prima volta, ma qualcosa di ancora più animalesco, con una mente poco sviluppata a confronto.
Niente trasformazioni in vista, poiché la nuova sua programmazione non prevedeva integrazione, ma solo smaltimento.
Era, insomma, una versione rozza e bruta di ciò che era stato, ma il creatore non aveva più in mente lo stesso sogno di grandezza: per la vendetta bastava la semplicità, anzi, era anche meglio.
Una delle funzioni del suo capolavoro era stata persino ottimizzata…
Gli androidi del Red Ribbon non potevano provare emozioni: tuttavia 9 sembrava cercare di districare dai suoi circuiti un’informazione sconosciuta, pesante, un input datogli dalla presenza della creazione dalla pelle screziata.
“Questa volta ho fatto in modo che non resti niente di ciò a cui egli si unisce,” disse il vecchio. “Non importa se organico, o inorganico. Ma devo vedere se funziona.”
19.2 non provò paura o pietà quando 9 indietreggiò rapidamente, seguendo un istinto più forte della programmazione.
19.2 sapeva che un sacrificio andava fatto: sarebbe stato o lui, o 9.
E per il dottore 9 non era mai stato importante, l’aveva smantellato lui stesso.
In piedi, col volto artificiale composto, 19.2 osservò il capolavoro mutilare 9 con un movimento della gamba, appena percettibile persino agli occhi del dottore.
Occhi che brillavano di vittoria nel vedere la nuova funzione in azione: il corpo fatto a pezzi di 9 sbattacchiò sul pavimento, prima di venire attirato come da una calamita contro il corpo della creazione. E allora, il metallo e tutte le componenti che fino a pochi secondi prima erano state un corpo si misero a fumare, si rammollirono, si dissolsero, si riassorbirono nella pelle della creazione.
Il dottore sorrise soddisfatto, il capolavoro lo seguì quando egli lasciò la stanza.
Il laboratorio era stato ristrutturato da Shenron com'era stato prima che venisse distrutto dagli amici di Son Goku.
Il vecchio vagò nelle sue camere sotterranee e ritrovò l’armadio, quello con i camici bianchi appesi e il cassetto traboccante di bustine gialle.
Recuperò il baule in cui aveva riposto gli indumenti che lui stesso aveva rimosso, e poi conservato come un trofeo. Erano gli unici che aveva tenuto.
Non dovette cercare a lungo per trovare quello di cui aveva bisogno.
Erano in quattro: i più urgenti erano due e il dottore non stava più nella pelle, perché oh sì, poteva andare peggio.
Così tanto peggio di quello che aveva fatto passare loro la prima volta.
Nonostante avesse dispiegato uno stormo di telecamere-insetti, non era riuscito a individuare dove si trovasse lui.
In ogni caso, era da lei che voleva andare per primo.
"Farsi inseminare...Deplorevole, mia cara. Quanto sei caduta in basso."
Quanto era caduto in basso anche lui: il creatore si sentiva sempre responsabile di qualsiasi bassezza le sue creazioni commettessero, ma poteva usare il tutto a suo vantaggio. E l'occasione perfetta sarebbe presto capitata.
A lei voleva togliere tutto, prima di toglierle la vita. A lui, il suo assassino, voleva infliggere momenti infiniti di tortura.
Voleva straziare la carne che lui stesso aveva rinforzato, voleva piegare la sua volontà e spezzare ogni vento di orgoglio, facendogli rivivere lo stesso terrore atavico che aveva provato la prima volta di fronte alla fine.
Terrore, tortura e poi uno smaltimento senza ritorno. E questa volta, il creatore sarebbe stato lì a guardare; questa volta, sarebbe stato per sempre.
Elettricità e nuova forza sfrigolarono dai palmi del dottor Gero, eccitato fin quasi all’orgasmo dai suoi pensieri.
Passò un indumento al suo capolavoro, sempre in piedi alle sue spalle.
"Cerca…"
Il mostro dilatò i buchi che aveva per naso, inspirò una grande boccata d’aria attraverso l’indumento; Gero guardò con soddisfazione le sue pupille verticali allargarsi e la sua testa scegliere trovare la direzione, come l’ago di una bussola.
 
/
 
Un mesetto era passato dal matrimonio. Gli sposi erano partiti per un paio di settimane verso uno dei primi posti che avevano visto come coppia, le scogliere friabili lambite dal freddo mare del Nord.
Diciotto e Crilin rividero la torre bianca, solitaria ed erosa da vento ed acqua, dentro cui avevano trovato una sfera del drago e anche il posto in cui il futuro era stato suggellato dalla loro prima unione.
Era stato solo due anni prima.
Diciotto era sempre la stessa ragazza, solo in una fase completamente diversa della sua vita.
Ora, a casa ad aspettarli c’era la loro piccola Marron: che il 31 di quel mese avrebbe spento la sua prima candelina.
Dopo il lusso dell’hotel Ryz, gli sposi avevano passato la luna di miele ad esplorare ulteriormente quella parte di mondo: due settimane in una casetta dipinta di blu a due passi dalla spiaggia, cieli stellati e tuffi da altezze che avrebbero fatto storcere il naso (o venire un ictus) ai turisti umani basic. Se solo ce ne fossero stati.
Contrariamente alla parte montuosa e rinomata, verso ovest, Il Nord-Est era già caduto in bassa stagione; per Diciotto e Crilin era meglio così.
“Scommetto che dagli zulù sono ancora pieni, invece.”
“Ma perchè li chiami così,” rise Crilin, chiudendo la porta della casetta non appena Diciotto fu uscita, con il loro unico bagaglio.
“Ormai è tradizione. E fa arrabbiare mio fratello.”
Crilin diede un’occhiata al contenuto della borsa di tela color giallo paglierino: era il regalo per il loro futuro nipotino, un tenero orsacchiotto grande quanto un marmocchio di sei mesi, con una copertina attaccata. 
Crilin si preparò a spiccare il volo verso Verny, tenendosi il cappello di paglia. “Sicura che tua mamma possa tenerci Marron altri due giorni?”
“Marron non è niente confronto a quello a cui è abituata,” tagliò corto Diciotto.
Kate l’aveva rassicurata giusto la sera prima, si era presa una piccola vacanza dal lavoro per poter passare del tempo con la bimba.
Diciassette e Carly avevano invitato i cognati casa loro, una volta finita la luna di miele; Diciotto ci era stata la volta in cui lei e Diciassette avevano litigato, ma nessuno dei due considerava quella una vera visita. La cyborg capì che era ansiosa di consegnare al gemello il regalo per il suo bambino.
 
 
 Crilin e Diciotto trovarono solo Carly, più rotonda e meno tesa del giorno del matrimonio; Diciassette sarebbe rincasato solo verso le 21, potevano iniziare la cena senza di lui.
La padrona di casa, la gatta Pencil e i cognati si sistemarono in giardino a bere limonata e a godersi fra le chiacchiere l’ultimo sole della stagione.
“Io ho sempre saputo che era una femmina,” rammentò Crilin. “Io e Diciotto non avevamo preferenze particolari, tu?”
“Io vorrei un maschietto,” disse Carly, in tutta onestà. Un maschietto che ereditasse  la bellezza che lei non poteva dare. Quando l’aveva detto a Lapis, lui le aveva risposto solo “Mah…”
“Di solito i maschi vogliono maschi; si illudono che così avranno la vita più facile.” puntualizzò Diciotto.
“Si illudono,” ripeté Carly, nella sua testa. Lapis diceva che non avrebbe voluto essere nei panni di Kate e passare quello che lui le aveva fatto passare. Non voleva trovarsi alle prese con un mini sé: meno aveva di lui, meglio era.
 
 
 Carly aveva mostrato la casa e la cameretta, ancora in fase di arredo.
Poi le due cognate erano rimaste un attimo sole. Diciotto guardava Carly fare smorfie, nel chinarsi a disporre il loro orsetto nel lettino ancora vuoto.
“Tutto bene?”
“Sì, certo.”
Carly era tutta un sorriso. Ma poi si sciolse dal nodo della cortesia e si lasciò cadere sulla sedia a dondolo, sconsolata.
“Sto prendendo delle pastiglie, mi danno la nausea, e il reflusso, e vattelapesca...Stavo meglio prima.”
Carly era stata speranzosa in vista dell’appuntamento della settimana precedente, quello per controllare il ferro;  tuttavia le cose non erano andate come sperava, anziché sparire la carenza si era evoluta in una leggera anemia.
Quante cose nella gravidanza di Diciotto non erano andate come lei si era aspettata!
“Oh poverina. Io sono stata torturata da quei sintomi,ti capisco.”
Diciotto non avrebbe mai immaginato che le sarebbero uscite parole di conforto così esplicite per la ragazza dai capelli rossi, la fidanzata storica di Lapis, rimasta in quella di Diciassette per miracolo.
E la sorpresa doveva essere stata ugualmente grande per Carly; Diciotto la vide cambiare faccia e ritrovare l'entusiasmo.
"Sai che ho iniziato a sentire i calci? Era ora...Sarà che il grasso attutisce."
Carly osservò Lazuli già sapendo, dallo sguardo di lei, di aver detto una puttanata. "Sono sempre a -3 kg, eppure vivo di patatine, hamburger, lasagne. Giuro! Chiedi a Lapis."
"Nessuno reagisce alla stessa maniera. Non devi giustificarti."
Il potere dell’empatia era sorprendente.
"Sai una cosa? Mi aspettavo di vedere qualcosa, ma non la mia intera pancia muoversi,” confessò Carly, ormai lanciata. Da quando il bambino aveva scalciato per la prima volta, non si era più fermato.
"Ehh, invece. Vedrai quando inizia a schiacciarti gli organi."
"Penso lo faccia già…"
I "guizzi di pesciolino” erano stati per Diciotto la cosa più bella del mondo, nonostante tutto.
Da allora, Marron era cresciuta così in fretta: Diciotto si ritrovava a pensare, ultimamente, che era stato facile difendere sua figlia quando ce l’aveva dentro.
Ci sarebbe sempre riuscita, ora che era esposta al mondo? Dopo tutta la merda che le era successa, dopo tutto quello che aveva sofferto, Diciotto aveva sempre paura che gliela portassero via.
 
 
/
 
Carly relativamente prossima al terzo trimestre non era la sola con la nausea: nel frattempo, in un minimarket di Saint-Paul, Elliott e Lillian guardavano divertiti la faccia schifata di Brent di fronte alla bottiglia di Malibu.
“Brrrr. Non riesco più a vederlo, nemmeno a pensarci, senza farmi salire la nausea."
“C'è da aspettarselo,” meditò Elliott, "Dopo la volta in cui siete tutti finiti in coma etilico."
Brent posò il liquore e consultò la sua ragazza, “Dovremmo rifare Halloween! Ma da te, quest'anno."
“Per vedere te che fai il pagliaccio e fare anche finta di conoscerti? No, grazie.”
Lillian era diventata improvvisamente acida.
“Ahhh, tipo quando ti ha detto ‘Lillian ti amoOoOo’ e si è buttato da...da cosa ti eri buttato, Bre?”
“Boh, il divano.”
“E questo e’ niente,” Elliott provocò Lillian. “Io ero l’unico sobrio, mi sa. Il tuo vichingo invece ha quasi inchiodato la tua amica Leni.”
Lillian si rivide la scena; Brent avrebbe voluto rimuovere.
"Ma...? Lo sai?"
"Tutti sanno."
"Comunque, Gontier, io ero sobrissima." Intervenne Lillian, pomposa.
"Uuuuuh!!"
Elliott la guardò come se gli avesse fatto una rivelazione. "Quindi non era l'alcol quando hai palpato la marmorea chiappa di Diciassette?"
"Cosa?!" 
A Brent saltò il cuore in gola: questa gli era nuova.
La conversazione non era più divertente per Lillian. "Pfff, ma dai! Fra tutti Diciassette? Vi pare? "
“Perché?" Provocò Brent. "È orrendo, Diciassette?”
“..B-bah!”
Perché Elliott non era stato fatto marcio, mezzo morto su qualche poltrona? A quel tempo non aveva ancora terminato la sua relazione decennale con la maria, a favore di Defiance De Villiers.
“Chissà che schifo le faccio io, allora…” valutò Elliott.
“Hai palpato Sev, Lillian, non negarlo; e Sev ha rifiutato le tue avances con un rutto atomico, quando tu lo stavi...iiiaahoii !"
Elliott aveva una bella voce da contralto: il cestino pieno di Lillian gli era appena capitato sulla parte più bassa della panza.
“Ma che davvero?" Brent, non sempre un grande ascoltatore, si mise a ridere in un modo che fece girare la gente nella corsia del minimarket.
"Yep, visto tutto; e anche sentito."
"E io dov'ero?... Aspè, non mi sono tappato Leni, vero?”
Il vichingo non aveva mai saputo cos'era successo dopo che si era addormentato sul pavimento di Elliott.
“Nah, sei crollato prima. Ti ho trovato di mattina, nel tuo vomito.”
“Ahh meno male! Altrimenti raga, vi immaginate che disagio? Tapparmela una sera a caso e poi ritrovarmela sul lavoro."
Lillian si incamminò, "True story."
“Quindi quest'anno Halloween da Lillian!"
"Ma se casa mia è un buco e la tua è enorme!"
"Da me, mai più.”
L'irremovibile paleontologo aveva passato la mattina del primo novembre a riordinare l'appartamento e a scrostare fluidi corporali da tavoli e pavimenti, con l'aiuto occasionale di John.
Dopo la trafila che Elliott le aveva appena rievocato, Lillian aveva ancora meno voglia di festeggiare a casa sua.
“Credevo Diciassette avesse pulito.”
Era curiosa di sapere cos'aveva fatto una volta sceso dalla jeep, dopo la loro famosa discussione.
“Mm no. Diciassette è apparso dalla porta alle 5 e mezza,” rammentò Elliott, come se fosse ieri. "Mi ha fissato, ha sboccato nel mio cactus e se n'è andato via di nuovo.”
Forse Lillian non avrebbe dovuto chiedere.
Brent si grattò la barba, “Ahh, ecco che fine ha fatto il cactus.”
Lo squillo del cellulare salvò Lillian dal disagio: erano i campeggiatori.
"Lavoro?"
Brent si sporse dalla spalla della sua ragazza, abbracciandole la vita.
"Yep, devo andare su a Neuve Ville."
 
 Era dall’inizio dell’estate che Lillian stava sorvegliando una piccola comunità nascosta nei boschi fra Noiresylve e Neuve Ville.
Erano forse una trentina di persone, la maggior parte erano uomini che partivano di mattina per andare al lavoro giù a Neuve o su a Noire, e tornavano alla sera. Quasi nessuno sapeva che erano lì, non facevano rumore, erano puliti, non accendevano nemmeno fuochi per non farsi scoprire.
L'ex ex top ranger Fabien si era imbattuto nel loro accampamento in una delle sue pattuglie, dopo che il suo pick-up si era fermato e uno di quei campeggiatori gliel’aveva fatto ripartire. Non sarebbe mai capitato lì, se non ce l'avessero portato.
“Prima abitavamo in zona, in case normali."
Il portavoce scelto del gruppo aveva spiegato che tutti loro svolgevano lì nel Nord-Ovest, costosa regione turistica, lavori stagionali che potevano pagare loro solo il vitto. D’inverno erano molti di meno, e usavano termosifoni elettrici.
Lillian e Fabien non erano principesse sul pisello, eppure si chiedevano come si potesse vivere così: soprattutto quando andava due cifre sotto zero, di solito cominciava a novembre.
“Siamo anelli deboli della società. Non possiamo permetterci i prezzi inflazionati degli affitti e così ci siamo arrangiati. Resteremo qui, fin quando qualche guardia forestale non ci denuncerà e saremo costretti ad abbandonare questo rifugio.”
I due ex top ne avevano parlato a John, chiedendogli di non diffondere troppo il verbo: se nessuno sapeva che fossero lì, ficcati dietro ad una scarpata, fuori mano dai sentieri battuti da turisti, animali e guardiaparco stessi, voleva dire che non davano fastidio.
Fabien, col suo pick-up resuscitato, aveva dovuto guidare per mezz’ora prima di rimettersi sulla strada provinciale da cui era venuto.
“Alla fine non sono elementi di disturbo, non saremo noi a rimuoverli.”
Fabien e Lillian non portavano niente a quel gruppo, né il gruppo chiedeva mai. Ciononostante avevano offerto i loro contatti e con essi la loro disponibilità:  erano isolati sul fianco della montagna, non si sapeva mai.
Lillian si era immaginata di passare la fine del pomeriggio da Brent, a provare la collana che Annelin Geirsson aveva fatto per lei, da mettere col suo vestito da vichinga; ma quando si presentò al l'accampamento, si era sentita addosso molte più di trenta paia d’occhi.
“Avevate detto che potevamo restare.”
Il portavoce dei campeggiatori le aveva dato un foglio stampato: copia-incolla della bibbia, sezione falò, campeggi e tutto, validato dal timbro ufficiale del RNP ma senza firma.
“Non abbiamo infranto regole. Non toglieteci la nostra casa.”
Lillian si sentì prudere le mani, vedendo chiaramente che qualcosa era stato fatto alle sue spalle.
“Chi vi ha detto di andare via?”
“Uno di voi, quello con i capelli scuri e lo chignon; ci ha minacciati di smantellare tutto e di chiamare la polizia."
Il portavoce abbassò lo sguardo, avvilito. "Ci ha chiamati pezzenti."
Lillian avvertì una fitta al fianco: era il dolore pungente del non avere più l'autorità che le serviva.
“Ma sei sicuro? Questo avviso ve l’ha dato il top ranger?” Chiuse gli occhi, inspirò. “Il mio superiore?”
“Chissà. Ha solo detto che era una guardia forestale.”
Lillian non sentiva più tutti gli occhi del gruppo su di lei, una volta che ebbe rabbia e cellulare a portata di mano.
Il campeggiatore osservò la guardia simpatica contrarre i suoi muscoli da scultura barocca, nel portarsi il cellulare all'orecchio; la sentirono lanciarsi in una serie di invettive con tono volutamente controllato.
"Dove sei, disgraziato, miserabile,ignorante,-...Noiresylve? Benone, scendi. Non me ne frega, DEVI SCENDERE ORA."
La guardarono concludere la telefonata e sedersi compostamente su una panchina.
 
 
 Poco dopo, il gruppo più Lillian reagì al rumore di una derapata che si udì fin da lì. In un tempo troppo breve per percorrere il sentiero, si videro arrivare un giovanotto con lo chignon e le fossette sulle guance.
Questi non li guardò di striscio, riservando solamente uno sguardo malizioso alla collega.
"Ti auguro che ti stia crollando il mondo addosso."
Lillian continuò l'assalto, "A me no, ma a loro sì! Brutto rottame."
"Vacci piano."
Da un momento all'altro i campeggiatori avevano visto il ragazzo cambiare occhi; si zittirono improvvisamente, forse senza nemmeno sapere perchè, ma Lillian non si scompose.
"Perchè devi essere crudele? Queste persone non hanno dove andare, con che coraggio?..."
Diciassette non aveva idea del motivo di tanto spregio; Lillian gli schiaffò il foglio spiegazzato in pieno petto.
Allora un membro del gruppo si fece avanti, squadrando Diciassette da capo a piedi.
"No guardia, lascialo in pace. In verità non l’abbiamo mai visto."
"Non è lui di cui parlavo," intervenne il portavoce.
Lillian era già convinta che dicessero il vero: non si poteva confondere Diciassette.
"Allora chi ha fatto 'sta carognata?”
“Quello che ci vuole sfrattare ha i capelli lunghi e scuri, sì, ma non è questo ragazzino: non ha i ricci.”
Lillian riuscì finalmente ad identificare il colpevole, "Cane rognoso!"
“Questo avviso avrebbe peso solo se l’avessi redatto io.”
Il cyborg appallottolò il foglio e il gruppo assistette ad un’incredibile autocombustione.
“Sborone…” Lillian guardò la carta incenerita cadergli di mano: era ancora furiosa, ma si sentiva sollevata.
“ll mio nome è Diciassette, qui comando io. E non ho problemi con voi."
Respiro collettivo di sollievo; alzata di occhi di Lillian, "No, il suo nome è Modesto."
“Allora su di te ci...contiamo." Rise un campeggiatore molto giovane. "E se torna l'altro?"
“Gli spacco la faccia.”
Diciassette notò che Lillian si era allontanata con passo pesante. E che, per una volta, non era colpa sua.
“O  sarà lei a farlo.”
Il top ranger rimase solamente ad osservarla, sospirando, con le mani in tasca.
"Forse dovresti andare a cercarla..." Gli suggerì in un sussurro il ragazzino.
E difatti la voce di Lillian risuonò presto dalla foresta.
"Sono arrabbiata, non vieni a cercarmi?!"
 
 
 
 In fila nel café di Neuve, Diciassette sospirava seccato. “Vaffanculo Lill, Bergman fa carognate e tu pensi subito a me.”
“Ha detto capelli-...credevo fossi tu."
"Perchè, di base, mi ritieni una carogna."
"No! Ora no."
Lillian si era pentita; il suo migliore amico era molte cose, ma non era una carogna.
"E prima lo pensavi?"
"Assolutamente."
Il risentimento era già svanito; Diciassette rise fra sé, "Mi devi delle scuse."
" 'Fanculo Sev, è colpa tua; la prossima volta non pettinarti come Joel."
Diciassette si tolse l'elastico, le ciocche drittissime gli ricaddero sotto le clavicole in tutto il loro pigro eccesso. "Toh, contenta?"
Lillian scelse di guardare altrove.
"Comunque li capisco, gli affitti qui stanno diventando proibitivi."
Diciassette prese senza voglia due tavolette di cioccolato dal bancone. "Sì, il mio è alto; ma dopotutto, faccio talmente tanti più soldi di te…"
"Hi guys!" Cinguettò il barista. "Ordine?" 
"Ehm...la cioccolata e due americano."
Lillian si alleggerì di una banconota, mettendosi in coda verso un'altra parte del bancone, “Che facevi su a Noiresylve?”
Diciassette le sembrava nervoso, non si era neanche dato il tempo di sedersi con lei: si era fatto fuori le tavolette di cioccolato in fretta, in piedi.
“Mezzo villaggio ha fatto baracca e burattini, sul serio. Presto Dubochet mi chiederà di salire a fare la guardia.”
A Noiresylve la gente si lamentava di incursioni paurose.
A Lillian venne da ridere: se solo Clémence Poyaz avesse alzato le chiappe con lo stesso zelo, quando tutti l’avevano avvertita della frana!
“Ho parlato con alcuni di loro, vedrò di cosa si tratta. Certo che quel villaggio è  veramente sfigato.”
Diciassette trangugiò in pochi sorsi il suo caffè ancora bollente; solo dopo si rese conto del nome scarabocchiato dal barista sul suo bicchiere. "Ma che ca-...?"
Lillian lo accolse con un sorriso sornione. “Buonasera, Settore.”
“Ignorante analfabeta, è una N...?" Diciassette sgranò gli occhi, con sincera sorpresa. “Ma sono ritardati?! Pure il numero sbagliato.”
“Ci sta!" Lillian rise sotto i baffi; quasi le piaceva quella storpiatura.
"Tu...sei tanto.” 
Settone sfoderò il sorriso da diavolo, sopracciglia-occhi-bocca. “Grazie.”
Lillian gli mostrò il nome scritto a pennarello sul proprio bicchiere, "...Tilia."
"Bel nome di merda."
Da che pulpito.
"A propisito: come chiamerai il settino o la carletta?”
Carly aveva stilato un elenco di nomi a tema natura. Diciassette non ci aveva ancora pensato bene, ma a entrambi piaceva l'idea di onorare il loro stile di vita; Carly si lamentava di non aver ancora trovato un nome da maschio che la convincesse pienamente, ma quello non era proprio un problema: Diciassette sperava fosse femmina.
 
 
 
/
 
La sera si preannunciava con un tramonto rosso ciclamino, riflettendosi in un bagliore contro il vetro della cucina di Kate.
Ronan stava caricando la lavastoviglie, ascoltando distrattamente la sua compagna al telefono.
"Puoi anche lasciarmela fino a domenica, se vuoi, mi diverto con lei. Domani? Va bene, Lazuli, vi aspetto. Buona serata. Saluta Lapis e Carly."
Ronan pensava che, in un mondo ideale,  sarebbe stato bello farsi una famiglia con Kate. La quale gli ricordava che alle soglie dei cinquanta il tempo di restare incinta era passato; era contenta così, come nonna.
Ma il produttore del podcast non si riteneva inferiore a colui che aveva giaciuto con Kate ventiquattrenne: aveva trovato soddisfazione nell'accudire Marron, le si era affezionata come se fosse sua, di sangue.
"Penso che per Marron, il nonno materno sarai solo ed unicamente tu," Kate gli appoggiò la testa sulla spalla, guardando insieme a lui il tramonto.
Ronan le baciò i capelli. "Sarebbe un onore…"
"In questa famiglia non si dà importanza al sangue."
Kate aveva smesso di credere che il sangue fosse il criterio più importante molti anni prima, prima che i suoi figli fossero anche solo un'idea.
Marron stava già dormendo da un pezzo, nella camera che Lazuli aveva occupato per i primi diciott'anni della sua vita.
Kate andò a controllarla ancora una volta, investita dalle reminiscenze vaporose dei suoi primi mesi come madre; i tempi in cui si svegliava di soprassalto e controllava febbrilmente le culle a fianco del suo letto, temendo che i bambini non respirassero.
Ma la stanza di Lazuli era una bolla perfetta di calma: le tende erano tirate con cura, la luce della sera filtrava serena dalle persiane e illuminava con un singolo raggio i ciuffetti di capelli perlescenti dentro alla culla.
La nipotina era calma rispetto a due gemelli, tuttavia Kate arrivava a fine giornata stravolta: quasi si addormentò nel guardare Marron che dormiva abbracciata alla calzina che si era tolta.
E nel torpore del loro sonno, nonna e nipote non videro la finestra.
Non videro che, a un metro dalla culla, delle gambe erano lentamente spuntate da dietro le tende; e che, con silenzio tombale, dei piedi avevano toccato il pavimento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Pensieri dell'autrice:
 
Un buon venerdì a tutti voi!
Siamo ormai oltre i 40 capitoli e sono onorata di avervi ancora qui.
Pochi capitolo fa avevo accennato al "figuro" (grazie Teo del neologismo) che vediamo qui in azione. E altri non è che il dottor Gero. Lo sapevate?
"Tutti sanno", cit. Elliott
(Tra l'altro che sessista Gero, si incavola solo con Diciotto perché ha procreato.)
È stato un capitolo ansioso che ho spezzato con momenti più leggeri, ho scritto di un momento di empatia fra cognate, della coppia Diciassette/Lillian 😂😂 scherzo!
Scherzo, ma mi piace la loro inconsapevole ambiguità, come se fossero una coppia mancata (e con questo non sto dicendo che lui lascerebbe Carly per Lillian. Spero abbiate colto il messaggio). Gli insulti di Lillian a Diciassette sono come le Pringles, uno tira l'altro!
Ora sappiamo che Diciassette vuole una femmina e Carly un maschio, secondo voi cos'è?
Sono anche curiosa di sapere di cosa pensate si tratti, il piano del dottore.
Vi do appuntamento a venerdì prossimo, con il capitolo "Il Ritorno dell'Incubo"😏
   
 
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