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Autore: T612    05/02/2021    1 recensioni
2018 - 2023: Cinque ragazzini fuori dal comune che non sono gli Avengers, ma potrebbero diventarlo.
[Missing moments / Mama Nat / AU - Crossover Young Avengers: Elijah Bradley, Kate Bishop, Teddy Altman, William e Thomas Maximoff]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quel giorno il mondo non finì con un gran botto o con un sussurro a fil di voce,
ma piuttosto, con un urlo agonizzante alla volta portato via da una brezza grigiastra. 





 

CAPITOLO 1
_ 2018





 

L'autoradio trasmette un vecchio pezzo degli anni '70 che Faith canticchia a mezza voce spensierata, gli occhi rivolti al traffico del centro oltre il finestrino aperto e la mano che agita pigra il ventaglio con cui smuove l'aria tiepida di fine aprile. 

«Accendo l'aria condizionata se hai caldo, Nana.» propone Elijah di punto in bianco, il sudore che gli cola lungo la schiena e la speranza di ricevere un sì come risposta, le iridi nere che si scollano dal semaforo rosso e si spostano sulla nonna seduta al suo fianco. 

«Ho una certa età Eli, l'aria condizionata diretta non è l’ideale. Il ventaglio va benissimo.» sorride Faith con sguardo complice, i riccioli bianchi che le solleticano la pelle color caffè delle spalle ad avvalorare la propria tesi da ultrasettantenne, allungando poi le dita ad accendere l'impianto e rivolgendo i bocchettoni in direzione del nipote. «Bastava chiedere, sai? E poi non fa davvero così caldo, sei solo nervoso.»

«Odio guidare all’ora di punta, soprattutto in centro. Tutto qui.» spiega il ragazzo fremendo con il piede sul freno e tamburellando distratto contro il volante, ignorando lo stacchetto musicale radiofonico che segnala la fine della canzone e l’inizio delle news orarie, concentrandosi sul semaforo ora verde che gli permette di avanzare solamente di una cinquantina di metri prima di doversi fermare di nuovo, maledicendo in silenzio il fatto che la spesa mensile non era facilmente trasportabile in metropolitana. 

«Povero caro, la moglie deve essere preoccupata da morire.» commenta Faith con sincero sconforto, alludendo alla notizia appena passata per radio a cui Elijah non ha prestato minimamente attenzione, chiedendo una lecita spiegazione inarcando un sopracciglio. «Stark. L’attacco a Bleecker Street dell’altro giorno, i reporter dicono che non sanno ancora dove sia. La moglie deve essere preoccupata da morire.»

«Si sposano tra quattro mesi, Nana.» specifica Eli pignolo, l’immagine mentale dei titoli cubitali delle riviste patinate che gli attraversa la mente a tradimento sorprendendolo di conoscere certi gossip, prima di scoccare un’altra occhiata sbilenca all’espressione impensierita della nonna. «Ma una non ci fa l'abitudine? È Iron Man da dieci anni ormai…»

«No Eli, a questo genere di cose non ci si fa mai l'abitudine.» confessa Faith con la voce venata da un sentimento indefinito a metà tra un ricordo spiacevole ed una amara verità, scrollando la testa per scacciare l’ondata di momentanea tristezza, serrando il ventaglio di scatto e puntando lo sguardo sull’orologio digitale che lampeggia dal cruscotto. «Siamo in ritardo di mezz’ora, tuo nonno ormai avrà finito la visita cardiologica…»

«Siamo quasi arrivati, Nana. Eravamo d'accordo che ci aspettava in sala d'attesa, lo sa pure lui com'è il traffico a quest'ora.» la rassicura Elijah, confuso dal suo cambio repentino di umore, tornando a focalizzarsi sull’interminabile luce rossa con esasperazione montante. «Ma quanto dura questo semaforo?» 

«Dura quanto deve durare, che fretta hai?» indaga Faith tornando a farsi aria con il ventaglio, ormai rassegnata al traffico ed ora propensa a godersi la gita in auto con il nipote. «Stasera esci?»

«Mi trovo con Altman, andiamo al cinema.» confessa Elijah con una scrollata di spalle, ricalcolando nuovamente le tempistiche per riuscire a mettere qualcosa sotto i denti e farsi trovare davanti al multisala puntuale, consapevole di quanto il suo migliore amico odiasse i ritardatari – soprattutto se lui era famoso per il suoi "cinque minuti" dalla durata fluida e se entrambi aspettavano da mesi il film in questione, il che era un più che ottimo, futile motivo per sforzarsi di spaccare il minuto.

«Sicuro che esci con Teddy? E non con una ragazza?» indaga Faith sospettosa, ottenendo un’esclamazione risentita in risposta, roteando gli occhi divertita nel vedere le guance di Eli imporporasi per l’imbarazzo. «Che c'è? Tuo nonno l’ho conosciuto quando avevo anch’io diciassette anni e ci siamo sposati tre mesi dopo.» 

«Perchè era il ‘61 e ti aveva messa incinta di zio Josiah, Nana.» ribadisce Elijah con un verso di strizza, grattando per inserire la marcia nella fretta di partire quando scatta il verde, giusto in tempo per salvarlo da una discussione che di certo non vuole affrontare in quel preciso istante con sua nonna, immettendosi nell’incrocio. «E comunque asp-...»

«ELI, l'auto!» sbraita Faith perforandogli un timpano, gridando in preda al panico quando la macchina proveniente da sinistra sbuca dal nulla e centra in pieno la portiera di Elijah senza aver mai dato cenno di fermarsi. «L'au-...!» 

L’impatto è veloce, il mondo gira a ritmo con il testacoda e cala il sipario contro il palo della luce all’altro lato della strada – Eli quasi non se ne rende conto, nelle orecchie rimane solo il fischio stridente delle gomme contro l’asfalto prima di piombare nel vuoto buio dell’ignoto.  

 

***

 

Il getto dell'acqua calda è quasi rinvigorente, Kate sospira sollevata inclinando la testa verso il soffione a labbra socchiuse, sciogliendo i muscoli esausti dall'allenamento appena concluso – Avrebbe bisogno di una vacanza, andarsene dalla città per un paio di giorni, prendere il sole sulla riva di Ibiza--... 

«Katherine, l'acqua calda non dura in eterno, devo farmi anch'io la doccia!» sbraita Charlotte dall'altra parte dell'abitacolo, picchiando contro la porta invitandola a muoversi. «Avanti, Bishop!» 

Kate sbuffa, chiude il getto dell'acqua che ormai aveva esaurito il compito principale di risciacquarla dal sapone da almeno dieci minuti, infilandosi l'accappatoio ed avvolgendo i lunghi capelli corvini in un asciugamano. 

«Tutta tua tesoro, quante storie.» scherza ottenendo uno sguardo adirato quando Charlotte la sostituisce nell'abitacolo, ignorando le altre compagne di scherma che finiscono di agghindarsi davanti allo specchio, aprendo la propria borsa da allenamento procurandosi la biancheria intima ed avviandosi dietro uno dei paraventi per cambiarsi. 

«Stasera sei dei nostri, Lottie?» esclama Victoria di punto in bianco una volta smaltita la bolgia, spingendo Kate a sollevare gli occhi al cielo nell'udire la sua voce stridula alzarsi di qualche ottava per farsi sentire da Charlotte sopra il rumore dell'acqua corrente. «Jeremy dà una festa, i suoi sono fuori città.»

Erano rimaste solo loro tre in spogliatoio e, pur frequentando insieme la maggior parte dei corsi della Hawthorne Academy, Charlotte e Victoria preferivano ignorare di buon grado la presenza di Kate, per niente intenzionate ad estenderle l'invito, a discapito della educata amicizia che avevano finto reciprocamente negli ultimi tre anni, tra scuole superiori e college – forse Katherine era diventata troppo schietta e realista per risultare una buona amica o, semplicemente, da un anno a quella parte il suo entusiasmo verso i festini alcolici e le pasticche offerte da Jeremy avevano drasticamente perso tutta l'attrattiva che avevano un tempo. 

«Dici che mi sta meglio il vestito rosso di Valentino o quello nero di Gucci?» chiede Victoria con voce stridula, un conto in banca a sei zeri che definisce la sua persona in un modo che Kate spera in cuor proprio di non rispecchiare più, pregando silenziosamente che la ragazza si ferisca un occhio con il pennino del mascara solamente per dare un po' più di colore alla frivola discussione in corso. 

«Nel dubbio, Gucci.» replica Charlotte dall'abitacolo della doccia, spegnendo il getto d'acqua per applicare lo shampoo.

«Tu che hai intenzione di metterti?» indaga l'altra ragazza, mentre Kate finisce di acconciarsi i capelli in una treccia ed inizia a rivestirsi sforzandosi di non prestare loro più attenzione di quanta se ne meritino, considerato il loro pallido tentativo di farla ingelosire con la vana promessa di un invito ad una festa, sollevando lo sguardo confusa quando la risposta di Charlotte alla domanda dell'amica si rivela essere un barattolo rotolante di shampoo aperto. 

«Lottie? Va tutto bene?» indaga Victoria con voce tesa, raccogliendo il flacone da terra e chinandosi per scorgere i piedi dell'altra ragazza oltre la fessura alla base della porta. «Lottie?! Non è uno scherzo divertente Charlotte!» 

Kate, se fino a quel momento si era sforzata di ignorarle, prende in mano la situazione spalancando la porta della doccia rivelando un abitacolo vuoto, lo sguardo calamitato da un mucchietto di cenere bagnata che sta pian piano scendendo nello scolo, affrettandosi ad aprire la porta della seconda doccia trovandola anch'essa vuota. 

«È scomparsa nel nulla…» afferma Katherine dubbiosa, il cervello che si sforza di processare l'informazione e catalogarla in qualcosa di conosciuto per giustificare l'accaduto, mentre la parte irrazionale che tentava di reprimere sempre in pubblico inibisce il nervo che le collega la testa alla lingua, ragionando a voce alta. «È quello che deve essere successo a Stark.»

«Ma a chi importa di Tony Stark!» sbraita Victoria, mentre Kate serra la mandibola per impedirsi di insultarla, stringendo i pugni nell'udire il medesimo tono usato da suo padre un paio di giorni prima quando si era messo a denigrare Stark e "la sua banda" appena i media avevano comunicato la notizia dell'attacco a Bleecker Street. «Lottie, dove sei? Non è divertente. Lottie?!» 

La voce di Victoria sfuma nel panico mentre si ostina a mettere a soqquadro lo spogliatoio, lasciando Kate libera di andare in avanscoperta lungo i corridoi della palestra dell'Accademia, fregandosene altamente di girare per la scuola in jeans e reggiseno. C'è qualcosa di strano nell'aria, una sottospecie di fuoco impalpabile, una perdita di gas che densifica l’aria… ma manca l'odore acre delle fiamme e la puzza di fumo, nonostante la cenere non scarseggi lungo i pavimenti, mentre persone sempre più disperate e confuse gridano in lacrime di aver visto sgretolarsi in polvere tutti i mucchietti che fino a cinque minuti prima erano persone. 

Katherine Elizabeth Bishop ha fatto pace con la propria paura ancora un anno prima, ma in quel preciso istante, con la consapevolezza vivida a bruciarle il cervello che come esistono gli Avenger evidentemente esiste anche la possibilità che la gente si sgretoli in massa in cenere, la sua tempra di acciaio inizia pian piano a venir meno… ed eccola lì, la paura atavica che le mette in subbuglio lo stomaco, il sospetto corrosivo come acido che qualcosa di veramente brutto si stia verificando senza punto di non ritorno, precipitandosi nuovamente in spogliatoio ignorando Victoria rannicchiata sul pavimento in preda ad un attacco di panico, troppo occupata a placare il proprio cercando frenetica il cellulare e componendo il numero di sua madre. 

Risponde la segreteria telefonica… 

«Merda!» impreca con isteria crescente, cercando di contattare anche la sorella e suo padre ottenendo il medesimo risultato. «Merda, merda, merda!» 

I piedi si muovono prima che il cervello detti l'impulso, Kate afferra scarpe, maglietta e borsone alla velocità della luce, rivestendosi e correndo fuori con il cellulare incollato all'orecchio che ricompone ciclicamente i soliti tre numeri, macinando chilometri di corsa adrenalinica fino a casa ignorando a forza gli incidenti stradali, le sirene spiegate e la folla agitata ed urlante che la aggredisce lungo la strada in cerca di aiuto. 

Il cuore di Kate sembra debba schizzarle fuori dal petto dopo aver fatto quaranta piani di scale fino al proprio attico, spalancando la porta di casa ed iniziando a chiamare sua madre senza ricevere risposta… Kate trova le ceneri di Eleanor Bishop sparse sul tappeto persiano dell’ufficio di suo padre e, di fronte a quel cumulo di resti, lo stomaco della ragazza cede, chinandosi veloce sul cestino sotto la scrivania per ribellarsi.

Katherine sbatte violentemente la testa contro il bordo del tavolo quando sente la notifica di un messaggio, leggendo le due righe di testo in croce con cui Susan le comunica che sta bene e le consiglia caldamente di darsi una calmata con le telefonate, lamentandosi di averle intasato la segreteria telefonica – non ricambia la domanda, non le propone di raggiungerla, non mostra nemmeno un briciolo di affetto che in una circostanza del genere dovrebbe essere quasi scontato… al contrario, le chiede spiccia se per caso è riuscita a contattare loro madre, replicando con un freddo “ah” quando Kate le conferma i suoi peggiori timori. Non una parola di più, non una parola di meno. 

Kate scaraventa il cellulare dall’altra parte della stanza arrabbiata, mentre le lacrime iniziano a rigarle le guance quando svuota il portapenne abbandonato sopra la scrivania trasformandolo in un’urna improvvisata, affondando le dita tra le setole del tappeto iniziando a raccogliere i resti di sua madre.

Derek, da bravo padre modello, le recapita una mail due ore più tardi: ci tiene ad informare la figlia che lui e la compagna stanno bene, ma che non sarebbero comunque tornati dalla Florida prima del weekend… in un post scriptum ha pure il coraggio di specificare che della sua ex moglie può occuparsene lei, lasciando intendere che doveva aver telefonato almeno a Susan e i due si erano accordati in modo da prendere le dovute distanze dalla disgrazia, spacciando il menefreghismo per fragilità emotiva. 

Sono anni che Katherine si è ormai resa conto che c’è un’ipocrisia di fondo alla base della propria famiglia, a partire da suo padre che amava tanto riempirsi la bocca di bei sermoni sulla virtù di esserci sempre nel momento del bisogno, quando era il primo a venir meno al proprio editto… l'Apocalisse confermava solo un'amara verità: Kate è rimasta sola al mondo, ma forse "sola" lo è sempre stata ed è stanca – di loro, della sua reggia dorata, di tutto. 

 

***

 

Billy vede le loro ombre prima ancora di sentirli parlare, deglutisce a vuoto, serra gli occhi e si maledice in silenzio – Gli serviva davvero il libro di letteratura? Non poteva portarsi a casa i libri senza passare per l'armadietto? La risposta ad entrambe le domande retoriche è un sonoro e categorico "no". 

«Eisenhardt [1]!» si fa avanti John Kesler, afferrandolo per una spalla con una manata in segno di goliardica amicizia, scuotendolo dalla testa ai piedi facendo ridere i due galoppini che lo seguivano sempre come due dobermann a guinzaglio. «Ti ho visto entrare in biblioteca con Altman prima, non ho potuto fare a meno di venire a chiederti come procedono le cose con il fidanzatino!» 

Billy stringe i pugni, le spalle strette nella morsa di Kesler ed il suo sorriso smagliante a pochi centimetri dal suo volto – Basterebbe una testata decisa per fargli sparire quel ghigno dalla faccia… ma non ora, aspetta il momento giusto Billy. 

«Fidanzatino?» chiede fingendo di cadere dalle nuvole con una interpretazione da premio Oscar, godendosi l'espressione confusa sul volto di Kesler quando dubita per due secondi della sua stessa presa in giro, facendo sfoggio del suo invidiabile cervello delle dimensioni di una nocciolina nel non capire anche la più facile ironia. 

«Altman. Ma scusa, non state insieme? Credevo di sì.» si riprende John dalla battuta di arresto, stringendo ancora di più la morsa sulle spalle di Billy, la puzza di sudore post-allenamento che gli solletica le narici rivoltandogli ancora di più lo stomaco. 

«Se avere una "D" in matematica e chiedere delle ripetizioni ad un amico di mio fratello vuol dire uscire con qualcuno…» ironizza William nascondendosi dietro la propria corazza di sfacciataggine, contando con le dita fingendo di eseguire un rapido calcolo a mente. «Wow. Ho avuto ben tre fidanzati negli ultimi due anni di superiori!» 

Lo schianto contro l'anta chiusa dell'armadietto è scontata quanto prevedibile, sapeva che John gli reggeva il gioco fino ad un certo punto, dopo un paio di convenevoli goliardici evidentemente iniziavano a prudergli le mani e, stando ai loro trascorsi, Billy era inspiegabilmente il suo punching ball preferito. La testata e lo sgambetto invece, i piccoli stratagemmi per darsi alla fuga che gli aveva insegnato Tommy per difendersi dagli attacchi dei bulli, sono del tutto inaspettati e gli fruttano una corsa rocambolesca di una ventina di metri prima che uno dei gorilla lo plachi come se quella in corso fosse una partita di football invece di un pestaggio gratuito, facendo finire entrambi contro una seconda fila di armadietti. 

«Eisenhardt così non vale, ci togli tutto il divertimento.» lo schernisce Kesler strappandogli lo zaino dalle braccia, lasciando Billy sguarnito di una protezione alla pancia, ritrovandosi riverso a terra su un fianco, con la schiena addossata alla parete di metallo ed un troglodita che torreggia su di lui con intenzioni tutt'altro che amichevoli. «Oggi deve essere proprio la mia giornata fortunata, sai Eisenhardt? Trovarti tutto solo, senza tuo fratello, Altman o uno dei tuoi amici tra i piedi.»

Il calcio allo stomaco gli toglie la vista per qualche secondo, tante piccole stelline colorate esplodono nel retro delle palpebre di Billy, scardinando i cancelli della paura – atavica, indomita, elettrica

«Ma che-...?!» sbotta uno dei leccapiedi di Kesler, arretrando di un passo terrorizzato, guardando con occhi allucinati il punto in cui il suo compagno di merende si è appena dissolto in un mucchietto di cenere. «John…»

L'ovvia, sensata e giustificata reazione di Kesler è quella di issare Billy da terra, fargli sbattere la nuca contro le porte chiuse degli armadietti e chiedergli urlandogli in faccia cosa diavolo avesse fatto a David – Perché Billy aveva la vista a raggi laser di Superman per incenerire i suoi nemici, no? Avrebbe dovuto saperlo, dopo sedici anni nei panni di un misero essere umano, il corpo allampanato e la predisposizione ai guai era solamente una copertura per passare inosservato tra i corridoi di scuola. 

«Eisenhardt, che cosa diavolo hai fatto?!» sbraita Kesler alimentato da un panico crescente, guardando allucinato il corpo del secondo gorilla disintegrarsi in polvere a sua volta, premendo l'avambraccio contro la gola di Billy, come se le parole di ignota spiegazione potessero uscire con più facilità se incitate a forza. «Voi Sokoviani siete tutti scherzi della natura, eh?! Dimmi che cosa gli hai fatto!» 

«Non sono stato io! Non è colpa mia…!» cerca di difendersi William, il cuore che batte così veloce da fargli temere un infarto, la paura trasformata in terrore famelico che esplode dal fondo della pancia ed inghiotte qualunque cosa. «Ti prego lasciami andare, lasciami andare. "Lasciami andare"

L'aria elettrostatica esplode per davvero, divampa in una fiamma azzurra della stessa tonalità del gas dei fornelli… una sola scintilla per scatenare un incendio che scaturisce dalle mani di Billy, colpisce John alla pancia e lo sbalza all'altro lato del corridoio – niente vista laser recidiva nascosta per un decennio e mezzo, ma le dita magiche sono una novità che William scopre di dover tenere improvvisamente di conto. 

Kesler macina insulti rannicchiato sul pavimento, lo chiama "mostro" ed osa un segno della croce a cospetto di un qualcosa che nemmeno Billy capisce, prima di vederlo disintegrarsi in cenere a sua volta… ed ha paura, perché sembra che il mondo si sia appena svuotato di colpo e lui si fosse sentito in dovere di riempirlo, sprigionando scintille azzurre dalle dita senza aver prima letto il libretto delle istruzioni, chiedendosi se i resti polverosi cosparsi sul pavimento siano davvero colpa sua o meno – Sembra di sì, il fuoco brucia ed incenerisce, giusto? Le sue dita hanno appena finito di sparare delle fottute scintille dai polpastrelli! 

Billy arretra contro il muro di metallo, scivolando fino a terra coprendosi le orecchie con le mani, le pupille talmente dilatate da far inghiottire l’iride nocciola dal nero – Non è successo, non è successo, non è successo. 

«Non voglio stare qui, "voglio tornare a casa".» Billy supplica un'entità sconosciuta, chiudendo gli occhi abbagliato quando un lampo azzurro lo centra in pieno senza capirne la provenienza, riaprendo le iridi sulle rassicuranti pareti giallo crema della propria camera da letto… dall'altra parte di Manhattan, distante chilometri dal proprio zaino, abbandonato tra i corridoi di scuola in compagnia di tre mucchietti di cenere. 

Billy non riesce a muoversi, raggomitolato ai piedi del letto con ancora le mani a coprirsi le orecchie, come se l'energia scaturita dalle sue dita gli avesse staccato le batterie nascoste tra le scapole, costringendolo a subire il mondo in modalità risparmio energetico… il telefono di casa suona, ma non ha la forza di alzarsi e rispondere, come se gli avessero segato le gambe in due impedendogli di camminare, rabbrividendo all'idea della suoneria della Marcia Imperiale installata nel suo cellulare che tuona incontrastata tra i corridoi vuoti della scuola, dettando una sentenza di morte che da figurata è diventata effettiva.

Billy non ha la più pallida idea di quanto tempo sia passato, il tempo scorre fluido, interrompendosi, riavvolgendosi, balzando in avanti a scatti… e all’improvviso sua madre spalanca la porta della sua camera in uno sprazzo di routine effimero, ma invece di intimargli di fare un po’ di ordine o scendere a preparare la tavola per cena, si inginocchia ai suoi piedi e gli getta le braccia al collo, il petto scosso dai singhiozzi mentre gli sussurra all’orecchio che non riesce a mettersi in comunicazione con suo padre, sforzandosi di pensare positivo illudendosi che l'uomo non può contattarli o raggiungerli perchè l’intera isola deve aver iniziato a riversarsi negli ospedali in massa chiedendo assistenza medica quando la gente aveva cominciato a sparire – quindi almeno la cenere non è stata davvero colpa sua, in teoria. 

«Billy, ti prego, dì qualcosa...» sussurra Rebecca Kaplan sconvolta, la voce che riecheggia nella gola cavernosa ruvida come carta vetrata, mentre dita nervose gli pettinano i riccioli corvini in una coccola volta a rassicurarlo. «Tesoro...»

Billy ci prova ad articolare un verso, uno qualsiasi, ma le sue corde vocali non emettono nessun suono... si limita a stringere la sua madre adottiva tra le braccia, trovando in lei un salvagente per portarsi a galla, lontano dai flutti torbidi dello shock e della paura. È in quel momento che si rende conto di non avere il cellulare in tasca, sprigionando una seconda ondata di terrore puro, costringendo la propria voce a formulare le sole due sillabe che lo separano dal precipizio affacciato sulla follia più profonda.

«Tommy...?» gracchia Billy artigliando le spalle di sua madre, lasciando in sospeso il resto della frase, rifiutandosi di trarne le peggiori conclusioni – Tommy è vivo? Sta bene? Dov’è? Quando gli racconterà cosa è successo, lo definirà anche lui “mostro”? O lo difenderà a spada tratta come ha sempre fatto, anche quando il mondo si era rivelato essere un luogo freddo e spaventoso?

Ma Rebecca lo fissa in silenzio, il medesimo dubbio a turbarla e nessuna certezza ad alimentarla – Fa che non sia morto. Fa che non sia morto. Fa che non sia morto.

 

***

 

Teddy salta i tre gradini del vialetto di accesso con un balzo, stacca il moschettone con appese tutte le chiavi utili dal passante dei jeans e sblocca il chiavistello, aprendo la porta di casa con una leggera spinta.

«Ma’, sono a casa!» urla in direzione della tromba delle scale, scalciando le sneakers addosso alla scarpiera e perdendo zaino e giubbotto in jeans sullo schienale del divano, virando poi in direzione della cucina puntando al frigorifero.

«Bentornato tesoro, com’è andata oggi a scuola?» replica la voce argentea di sua madre dal piano superiore, ormai chiusa nel suo studio da due giorni a portarsi avanti con il lavoro per chissà quale consegna inderogabile per zio Talos – Teddy ha il vago sospetto che il sovraccarico di scartoffie riguardi un piano di emergenza per far fronte alla minaccia aliena segnalata all’ufficio dello SWORD due giorni prima, ma non ne è del tutto certo. Dopotutto sua madre non parlava mai del suo lavoro segretissimo, ripeteva sempre che per lui l’ignoranza era la miglior protezione, ribadendogli che doveva aspettare almeno i ventun anni prima di essere reso partecipe ai "problemi dei grandi".

«Tutto bene, ho un saggio da preparare nel weekend, ma mi sono già preso avanti oggi in biblioteca.» grida Teddy per farsi sentire al piano superiore, riponendo la tanica di succo d’arancia nello sportello del frigorifero, cercando poi una fetta di pane ed il barattolo di marmellata nella credenza lì a fianco. «Preparo un sandwich anche per te, Ma’? Almeno facciamo merenda insieme!» 

«Sì, prepara. Ti aspetto su!» ribatte Anelle dall’ufficio, una nota dolce screziata da una virgola di colpa nel non essere una madre presente quanto vorrebbe – non che avessero alternative, Teddy sapeva che il lavoro di sua madre era fondamentale per la sopravvivenza della loro specie, soprattutto in terra straniera. Le case di accoglienza non erano mai abbastanza, le rotte interplanetarie non erano ancora del tutto efficienti e le stazioni, anche se costantemente sorvegliate, non erano di certo il luogo più sicuro del mondo.

«Come sta Billy? L’ha passato l’ultimo test di algebra?» indaga Anelle appena Teddy varca la soglia dello studio, reclinando lo schienale della sedia dopo aver accettato di buon grado il sandwich ed il bicchiere di succo, scostando una seconda sedia con la punta del piede scalzo in un invito al figlio di sedersi e farle compagnia per un po' – Anelle poteva essere una madre poco presente fisicamente, ma nessuno avrebbe mai avuto da ridire sulla sua costante e tenera volontà di tenersi aggiornata sulla vita del figlio. 

«Ha preso “B-”, siamo entrambi molto contenti del risultato.» conferma Teddy con una scrollata di spalle, chinandosi a posare un bacio sulla guancia rosata della madre, ottenendo un occhiolino ed una scompigliata di capelli biondo cenere in risposta. «Giornata di conferenze? A casa mi fa strano vederti con questo aspetto.»

«Lo sai meglio di me che non dobbiamo spaventare i Sapiens, Theodore.» ribadisce sua madre, svicolando con lo sguardo ed accigliandosi mentre cerca un argomento con cui cambiare discorso – per Anelle la condizione di rifugiati era uno stigma che poteva costantemente ritorcersi contro di loro, eleggendo l'adattamento ad un valore fondamentale, nonostante nel caso di Teddy la metà di corredo genetico umano ereditato da suo padre gli garantiva un aspetto che apriva tutte le porte del mondo dei Sapiens. «La prossima partita di campionato quand’è? Potrei liberarmi giusto il tempo per venire a fare il tifo dagli spalti.»

«Tra due settimane, giochiamo in casa.» conferma Teddy addentando il sandwich e reclinando a sua volta lo schienale della sedia, puntando lo sguardo all’orologio appeso alla parete facendo un breve calcolo delle tempistiche. «La caldaia è accesa? Vorrei farmi una doccia prima di andare al cinema.» 

«Cosa andate a vedere di bello?» chiede Anelle curiosa, dopo un breve cenno del capo che conferma la presenza di acqua calda.

«"Hunting Hydra" [2]. Vado con Eli, sai che lui ha un debole per questo genere di cose.» replica Teddy celando un mezzo sorriso nello sguardo, evitando di fremere di eccitazione all’idea che dopo quattro anni la Paramount era finalmente riuscita a raccogliere abbastanza dati ed interviste per rendere partecipe il grande pubblico di ciò che era realmente accaduto a Washington DC quando lo SHIELD era stato smantellato – Eli aveva fin troppe aspettative in merito al film, sperava ingenuamente che la gente la piantasse di insultare gratuitamente il Team del Capitano per le scelte attuate, mentre Teddy era semplicemente curioso di vedere quanta verità trapelasse dalla finzione su pellicola. «Hanno scelto Emily Blunt per interpretare la Vedova Nera, lei da sola mi sembra una più che ottima motivazione per pagare il prezzo del biglietto.»

Anelle ride di gusto sorvolando sulla mezza verità espressa dal figlio, venendo però distratta dal trillo di una notifica che le modifica il sorriso, incurvando gli angoli della bocca in una smorfia impensierita… un segnale che Teddy conosce fin troppo bene, deducendo che il suo tempo libero in compagnia della madre doveva essere appena terminato, alzandosi in piedi raccogliendo i bicchieri ed i due tovaglioli, pulendo la porzione di scrivania sporcata.

«Mi dispiace tesoro… sai, il lavoro--...» cerca di giustificarsi Anelle prima di venir presa in contropiede da un colpo di tosse che le scuote la cassa toracica, chinandosi in avanti afferrando il bordo del tavolo per reggersi, perdendo la concentrazione e la presa sul travestimento lasciando trasparire il colorito verdastro dell’incarnato. 

«Ma’...?» chiede preoccupato Theodore, abbandonando nuovamente sul ripiano i due bicchieri, precipitandosi incontro alla madre per fornirle aiuto, trovandosi a distanza ravvicinata con il suo labbro inferiore tremante color verde scuro. «Ma’?! Che succede…?»

«Dorrek...» sibila Anelle con una tacca di disperazione nella voce, scivolando nel suo nome da Skrull riservando al figlio uno sguardo di puro panico prima di dissolversi in cenere.

No. Non è successo. Non può essere successo… perché è risolvibile, no? 

L’istinto suggerisce a Teddy che l’incidente deve essere collegato all’attacco di Bleeker Street, quello per cui sua madre stava lavorando, quello di cui lui non sa assolutamente nulla se non quello che i telegiornali avevano condiviso perchè loro due non ne avevano mai parlato… ma zio Talos doveva sapere, qualunque altra persona al di là del monitor doveva sapere. Le dita di Teddy corrono veloci sui tasti del PC, sbloccando lo schermo inserendo le password di accesso, ritrovandosi davanti al dilemma linguistico di non aver mai voluto imparare la propria lingua natia, fronteggiando un alfabeto che non conosce minimamente e gli preclude ogni possibilità di contatto con la propria razza.

Impreca, con il panico crescente che inizia a comprimergli i polmoni in una morsa spiacevole, cercando invano di ricordarsi tutti i passaggi collaudati per mettersi in salvo dalle situazioni d’emergenza… ma quella che si ritrova a fronteggiare ora non è compatibile con nessuna delle famose “eventualità” per cui Teddy si era esercitato con sua madre in tutti i suoi diciassette anni di vita, afferrando il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans con dita tremanti, componendo il numero di zio Talos cercando di mantenere i nervi saldi con scarsi risultati di successo.

Risponde la segreteria telefonica…

No. Non è successo. Non può essere successo… ma la linea telefonica squilla a vuoto per innumerevoli volte, mentre il caos del vicinato inizia pian piano a filtrare dalle finestre, spingendo la bolla di panico nel petto di Teddy ad ingrandirsi fino ad inglobarlo – no, non può cedere al panico. Non così, non adesso.

Theodore inizia a contare le assi del pavimento per tranquillizzarsi, sforzandosi di non perdere il controllo ed iniziare a delirare definitivamente, calmandosi quel poco che permette al suo cervello di razionalizzare i pensieri e dedurre chi poteva essere il suo secondo contatto di emergenza in un momento simile se Anelle e zio Talos non erano reperibili – suo padre era morto da anni, lo SHIELD era stato smantellato, lo SWORD era talmente segreto da non avere un numero reperibile da Google, il computer ed il cellulare di sua madre erano impostati in una lingua a lui sconosciuta e la carenza di parenti in vita lo costringeva a ripiegare nella cerchia degli amici, ovvero la famiglia che lui si era scelto e probabilmente era attualmente reperibile quanto la propria. 

Elijah. Chiama Eli… questa volta deve rispondere. 

La linea telefonica squilla a vuoto per sette volte, mentre Teddy si aggrappa all’ultimo brandello di sanità mentale che gli rimane, passando dalle assi del pavimento al contare il “bip” della linea telefonica prima che scatti la segreteria. 

Le sue gambe alla fine cedono, Teddy frana incontro al pavimento ed abbandona definitivamente le speranze alla trentesima telefonata, rassegnandosi ad attendere che qualcuno lo contatti o passi a prelevarlo… perchè qualcuno doveva pur arrivare a prelevarlo, no? Un Agente dello SWORD, zio Talos, chiunque… ma tutto tace, e non è normale. Non crede lo sia, almeno… l’unico messaggio che ha ricevuto proviene dal cellulare di sua madre in una lingua che non comprende, riconoscendo però un paio di simboli grafici per farsi una vaga idea di quello che ai suoi occhi sembra un avviso di estrazione da verificarsi in un periodo di tempo non meglio precisato. Prova a comporre quel numero per chiamare chiunque gli abbia inviato il messaggio, ma nessuno gli dà risposta all’altro capo della linea, lasciando cadere il tentativo nel vuoto.

Teddy aspetta, conta altre quarantatre volte le assi del pavimento, ventisette volte le travi del soffitto e quindici volte le frange del tappeto… sobbalzando quando le note della sigla dei Pokemon riempiono il silenzio, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano mentre si precipita in direzione del proprio cellulare lanciato all’altro capo della stanza in uno dei suoi momenti di disperazione profonda che l'avevano colto in precedenza, leggendo sollevato il nome di Elijah sullo schermo prima di far scorrere il polpastrello sull’icona verde.

«Teddy, ci sei?» esordisce una voce dall’altro lato della linea, riconoscendo il nonno di quest’ultimo con un secondo di ritardo. «Tu e la mamma state bene?»

«No...» gracchia Teddy in risposta, le corde vocali che traballano ancora per via del pianto, correndo con lo sguardo al cielo blu notte che si vede dalla finestra, rendendosi conto che il tempo trascorso è decisamente di più di quello che ipotizzava. «La mamma… lei si è… dissolta. Sono solo, non riesco a chiamare nessuno e fuori c’è il finimondo.»

«Dammi l’indirizzo di casa, vengo a prenderti.» afferma Isaiah dall’altro capo della linea, usando un tono di voce talmente caldo e rassicurante che Teddy avverte l’istinto di seguire ogni sua singola direttiva con la consapevolezza che tutto andrà per il meglio ora che un adulto è a conoscenza della sua sopravvivenza. 

Ci vuole un'altra mezz'ora, ma quando gli apre la porta di casa Teddy si rifugia di corsa nel suo abbraccio e, a discapito dei suoi settant’anni inoltrati, Isaiah non fa nemmeno una piega quando il ragazzo si lascia andare di peso in quel contatto.

«Andrà tutto bene, figliolo. Ci sono qui io ora.»

«Elijah…?» chiede Teddy confuso, rendendosi conto – dopo diversi minuti carichi di confusione emotiva – della stranezza del non aver potuto parlare direttamente con il proprio migliore amico, spalancando gli occhi azzurro-verdi pensando subito al peggio. «Isaiah… Eli--...»

«Lui e Faith hanno avuto un incidente, mia moglie è fuori pericolo, Eli è stato operato e l'hanno portato in terapia intensiva… ha perso parecchio sangue, in ospedale c’è il disastro.» liquida il discorso l’uomo con un resoconto oltremodo brutale, sciogliendo l’abbraccio ed indicando con lo sguardo la garza e lo scotch che gli blocca parzialmente la mobilità di entrambi i gomiti, per poi sollevare un'enorme mano color caffè per scompigliargli i capelli biondo cenere in un gesto rassicurante. «Mi hanno prelevato qualche litro per fargli un paio di trasfusioni, Eli si rimetterà in sesto… ed andrà tutto per il meglio, okay?»

Teddy annuisce, e per assurdo non mette in discussione il fatto di credergli.

 

***

 

Le ruote dello skate mangiano sempre più metri d'asfalto a velocità crescente mentre Thomas Eisenhardt, zaino in spalla e stomaco che brontola in anticipo per la cena, si diverte a schivare all'ultimo minuto i pedoni intenti a portare a spasso il cane o a fare jogging – insulti gratuiti garantiti, tanto quanto la scarica di adrenalina che si nasconde effimera dietro alla bravata di spaventare gli sconosciuti perché forse lui sfreccia troppo veloce lungo i marciapiedi. 

Tommy non ha motivo di correre se non per il gusto di farlo, dopotutto i suoi programmi per la serata non prevedevano granché, c’era solo la mezza idea di raggiungere Casa Kaplan per vedere come se la cavava il suo gemello dopo essersi dato alla macchia per un intero giorno e mezzo, tra impegni scolastici ed altro… magari poteva rimediare una fetta della famosa crostata di Rebecca Kaplan, oltre alla classica partita a Cluedo del giovedì sera – Tommy non ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura, che la "serata dei giochi" sotto sotto gli piaceva, era più divertente lasciare Billy sulle spine e convincerlo che lui si sacrificasse per bontà d'animo, ricavandone poi un qualche tipo di guadagno. Di solito era un burrito offerto a pranzo mentre tornavano a casa da scuola, ma Thomas non era il tipo di persona in grado di lamentarsi delle proprie piccole conquiste. 

I colpi di batteria dei Rolling Stones che gli tuonano nei timpani vengono interrotti dal suono di una notifica quando il cellulare si ricollega finalmente al 4G dopo essere uscito dalla metropolitana, ma Tommy la ignora, sistemandosi meglio gli auricolari ed aggiungendo un grado di difficoltà all'impresa mettendosi in testa di schivare i sporadici "ostacoli" sul marciapiede a ritmo con le note incalzanti di "Paint in black", bilanciando il proprio peso sullo skate ignorando pure la voce esasperata del buonsenso – incarnata da Nonna Magda [1], pace all'anima sua – che gli intima di piantarla di fare il fenomeno in pieno centro abitato, ribadendo che in quel modo poteva ferire accidentalmente qualcuno, o peggio, le stringhe delle sue Vans consumate e perennemente slacciate potevano incepparsi tra le ruote dello skate facendogli eseguire un perfetto volo d'angelo incontro al marciapiede. 

Semplicemente la ignora, estinguendo la vocina alzando il volume della musica. 

…I wanna see it painted, painted black… 

Tommy compie una virata stretta a canzone quasi finita con tempismo perfetto, curva a gomito per svoltare nella propria via di casa, mentre la signora Jackson si porta veloce sul ciglio della strada salutandolo in modo colorito con un gestaccio per averle tagliato la strada, cercandola con la coda dell'occhio per replicare un cenno di scuse...

…Black as night, black as coal… 

… ma la signora Jackson si sgretola nel nulla a metà dell'ennesimo insulto, lasciando dietro di sé una polvere nerastra che si mescola alle foglie secche che ricoprono il marciapiede sul quale Thomas sta correndo, piantando il tallone a terra in risposta con una precipitosità tale da rischiare di farsi male per davvero, convincendosi che quello appena visto sia solo un brutto scherzo dettato dalla luce del sole.

...I wanna see the sun blotted out from the sky…

Thomas strappa via gli auricolari dalle orecchie, cercando di focalizzarsi su ciò che lo circonda invece di attraversare il paesaggio con una colonna sonora sotto le suole dei piedi, notando come il signor Jackson si precipiti fuori di casa a sua volta, lo sguardo allucinato che si perde a metà strada quando la gamba su cui sta caricando il peso scompare, infrangendosi anch’egli sull’erba tagliata di fresco con una spolverata di cenere. 

Tommy non è sicuro di aver davvero capito cosa stia succedendo, o meglio, il suo cervello si rifiuta di comprendere che i suoi dirimpettai si siano appena dissolti nell’aria, ricordandogli terribilmente la grafica anni ‘90 dei videogiochi che piacevano tanto a Teddy, quelli dove il nemico sconfitto si disintegrava in una manciata di pixel e scompariva dal monitor per consentire all’eroe di andare avanti… ma Thomas non crede proprio di essere un eroe, tantomeno di vivere in un videogioco – a malapena crede di iniziare a capire cosa stia succedendo quando, sfilando il cellulare dalla tasca vede il “leggo dopo” di Billy in risposta al suo tweet inviatogli un quarto d'ora prima quando lui si trovava ancora in metropolitana. Il post in questione rinviava ad un articolo del New York Bulletin, dove il giornalista di turno speculava su una seconda invasione aliena a New York definendo “astronave” la ciambella volante apparsa sopra Bleeker Street due giorni prima, a differenza del Daily Bugle che aveva preteso di placare gli animi delle masse descrivendo la navicella come un drone particolarmente elaborato di produzione Stark Industries.

“Invasione aliena” diventa un mantra da ripetere ad oltranza nella mente di Tommy, realizzando con orrore crescente che la famiglia Jackson non è stata la sola a venire cancellata via dall’esistenza, mentre urla e latrati di cani e gatti si levano dagli usci dell’intero vicinato, chiedendo con grida sempre più esasperate chi è rimasto e se c’è qualcuno a cui chiedere aiuto… ed i piedi di Thomas tornano sullo skate prima che il suo cervello inceppato detti l’impulso, non tanto per correre a casa e scoprire il destino dei suoi genitori adottivi, ma per soddisfare l’impellente bisogno di darsi alla fuga dal luogo del misfatto.

La porta di casa sbatte contro il muro, restituendo un eco assordante che si propaga per un altro paio di volte prima di scemare nel silenzio più assoluto, mentre il cuore di Tommy inizia a pompare adrenalina convertendola in panico quando non vede i genitori da nessuna parte, iniziando ad urlare i loro nomi nella speranza di ricevere in cambio una risposta, cercandoli frenetico in ogni angolo della casa con risultati nulli. Il sangue pulsa sempre più veloce nelle sue vene, levando un canto disperato che scardina ogni legge del buonsenso continuando ad urlare "mamma" e "papà" fino a perdere il fiato, raggiungendo un punto di non ritorno spalancando definitivamente i cancelli della paura – atavica, indomita, elettrica

«Mamma!» urla la propria voce al piano superiore, spingendo Thomas a bloccarsi sul posto studiando confuso le mura dello scantinato, respirando aria statica che gli fa prudere il naso e gli rizza i corti capelli biondi sulla nuca, abbassando lo sguardo sui propri calzini bucati chiedendosi quando di preciso ha perso le scarpe lungo il tragitto. «Ma che…»

Tommy ritrova la scarpa sinistra in salotto e la destra in bagno al secondo piano, sollevando lo sguardo nocciola sul proprio volto riflesso allo specchio, osservando confuso i ricci biondo platino sparati in ogni direzione come se avesse appena fatto i 200 km/h a bordo di una decappottabile… e quella che sta sperimentando crede sia la stessa lucida pazzia che aveva provato di fronte allo schermo della TV tre anni prima, permettendo al flash di una saetta azzurrina di balzargli a tradimento nella mente, ripercorrendo con essa le strade acciottolate del suo paese natale prima di vederlo precipitare giù dal cielo [1]. Il fratello gemello della Strega Scarlatta era morto a Sokovia, i giornalisti dicevano che sapesse correre più veloce del vento, ma l’unica prova tangibile erano immagini di repertorio caricate su YouTube a posteriori… le stesse che aveva visto a ripetizione subito dopo i servizi TG su Ultron, quelle che avevano alimentato le chiacchiere con Billy per mesi interi – Thomas davvero non capisce, crede di star impazzendo, scendendo i diciassette gradini che lo separano dalla cucina in un secondo netto a conferma alle proprie strampalate teorie… distraendosi, ritornando con la mente ai binari iniziali quando mette piede in cucina ed avverte un fortissimo odore di gas, trovando finalmente i resti di sua madre davanti ai fornelli e quelli di suo padre sull’unica sedia scostata dal tavolo, davanti ad una copia cartacea intonsa del New York Bulletin dove scrivevano di come l’attacco a Bleeker Street fosse solo l’inizio di un qualcosa molto più grande di tutti loro. 

Il cervello di Thomas si spegne, l’ultimo neurone rimasto gli ordina di chiudere la manopola del gas e di aprire le finestre prima di far esplodere la casa e tramutarsi anch’esso in cenere, per poi aggrapparsi al davanzale respirando aria pulita a grosse boccate, il sapore della bile sul fondo della bocca ed una paura atavica che gli impedisce di fronteggiare i cumuli di resti sparsi sul pavimento in gres… mentre quell’unico neurone che gli è rimasto impazzisce di colpo, sbatacchiando contro le pareti della scatola cranica attivando diecimila allarmi diversi, ma tutti che urlano “Billy” ad accomunarli – Billy è vivo? Sta bene? Dov’è? Dev’essere spaventato a morte e Tommy non è lì con lui a proteggerlo, ad impedirgli di rinchiudersi nella sua bolla fatta di panico… perchè è più facile concentrarsi sul presunto e probabile panico crescente di William che affrontare il proprio.

Tommy tasta le tasche dei jeans cercando il cellulare, rendendosi conto di averlo perso per strada nella sua corsa rocambolesca su e giù per le scale, obbligandosi a chiudere gli occhi e raggiungere il salotto a tentoni pur di non vedere nuovamente lo scempio cosparso sul pavimento della cucina, afferrando la cornetta del fisso componendo l’unico numero che conosce a memoria… ma il telefono di Casa Kaplan squilla a vuoto, la linea si interrompe più volte di quanto sia lecito, rinunciando ad aspettare di ricevere un segnale di vita all’altro capo della cornetta, decidendo su due piedi di fare l’unica cosa che a quanto sembra gli riesce talmente bene da aver preso il sopravvento cibandosi del suo panico.

Thomas ha l’accortezza di allacciarsi per bene le Vans prima di lanciarsi in strada e correre, il mondo di colpo sembra andare a rallenty, battendo i talloni sul selciato a ritmo con il suo cuore in fibrillazione, facendo scattare istantanee vuote ad un paio di autovelox lungo il tragitto e fermandosi solamente una volta giunto davanti alla porta di casa Kaplan – vagamente a corto di fiato, i muscoli delle gambe che bruciano, gli occhi che lacrimano, i timpani lesionati che colano sangue dai padiglioni auricolari e le suole delle scarpe perse ad una altezza imprecisata nei trentasette chilometri che separano la sua casa a Springfield da quella del gemello a Manhattan. Il ronzio persistente impedisce a Thomas di concentrarsi, arrancando malfermo fino alla porta di casa Kaplan in preda alle vertigini, battendo il pugno con forza sulla superficie di legno nella speranza che qualcuno lo senta e non lo lasci lì in balia della sordità semi-completa.

Tommy quasi inciampa sui propri piedi quando Rebecca, la sua "mamma numero due", gli apre la porta di casa con le lacrime agli occhi che gli fanno temere subito il peggio, osservando confuso le labbra della donna muoversi senza però udirne il suono, basandosi sulle vibrazioni della sua gola premuta contro l’incavo del collo di Tommy per decifrare il messaggio una volta che Rebecca si solleva sulle punte dei piedi e lo trascina giù in un abbraccio stronca-fiato.

«…--liam erava--... in pens-...ro, per fort…na tu sta--...e-ne.» afferma la donna tra i singhiozzi, l’udito ovattato di Tommy che pian piano torna a collaborare, sciogliendo la presa quando capta alcune delle lettere che compongono il nome del fratello, specchiandosi negli occhi castani di Rebecca con sguardo allucinato. «Di so--...illy è di sopra.»

Non se lo fa ripetere due volte, Thomas perde ufficialmente le carcasse delle scarpe ancora ancorate ai suoi piedi mentre corre ad andatura “umana” su per le scale, spalancando la porta della camera di Billy trovandolo raggomitolato ai piedi del letto, ridotto ad una zazzera di riccioli corvini ed uno sguardo spaventato che lo spiano dalla gabbia formata dai suoi stessi arti, balzando di colpo in piedi e gettandogli le braccia al collo con la pretesa di non lasciarlo più andare, finendo entrambi sul parquet in un intrico confuso di braccia e gambe alimentato dal sollievo totalizzante di vedere la rispettiva "metà" viva, vegeta e complessivamente illesa [*].

«Sta-...e-ne.» sussurra Billy al suo orecchio, la voce roca recepita a colpi da Thomas, il ronzio ancora insistente ad assillargli i timpani. «Ho comb--...ato un ca--ino… mi… mi è suc--essa una cosa.» 

«A parte la gente dissolta in cenere?» chiede Tommy, riuscendo a percepire le proprie parole grazie al vibrato della gola, staccandosi dall'abbraccio cercando lo sguardo limpido color nocciola del fratello. 

«A parte la gente dissolta in cenere.» conferma reticente William, lo sguardo che fugge all'angolo della stanza, riportato sul viso di Tommy con un buffetto leggero sulla guancia. 

«Anche a me.» si confessa Thomas, indicando distrattamente il sangue incrostato sui lobi, spingendo Billy a sfiorargli timoroso un orecchio guardandolo preoccupato, prima di abbassarlo in contemplazione dei calzini bucati talmente ridotti male da essere cestinabili. «Cose… strane

«Tommy…» esordisce William, il panico montante che gli dilata le pupille fino all'inverosimile, illuminando il nero con una flebile scintilla azzurra. «Tu stai… "non voglio che tu stia male"

Il mondo smette di ondeggiare all'improvviso, al punto che Thomas crolla in avanti stordito nel ritornare a percepire tutti quei rumori che il ronzio copriva, sollevando lo sguardo sull'espressione di puro panico che deforma i lineamenti del fratello – Okay, lui corre veloce, William sa pronunciare gli incantesimi. È normale, esistono gli Avengers, esistono gli alieni, esiste la possibilità che loro due abbiano i superpoteri. È normale, principalmente perché in un momento come quello non c'è davvero spazio per la paura. 

Thomas agisce d'impulso agguantando le mani di Billy con la sinistra, costringendolo ad un secondo abbraccio con la mano destra premuta a forza contro la nuca, premendo prima il pollice, poi l'indice e così via fino al mignolo come faceva Nonna quando erano più piccoli e se li stringeva entrambi addosso per scacciare via la loro paura dei temporali. 

«Va tutto bene, okay?» afferma Thomas con tono di voce perentorio, scendendo con la mano tra le scapole di Billy intimandogli di respirare a ritmo con lui, dandogli il tempo continuando a premere ritmicamente i polpastrelli contro la pelle del fratello. «Stiamo bene, siamo insieme… va tutto bene, e non è un problema. Okay?» 

«Okay.» 

 

***

 

Natasha Romanov non è religiosa, aveva smesso di credere sia in Dio che a Baba Jaga più o meno nello stesso periodo, quando aveva scoperto sulla propria pelle fino a che punto poteva spingersi la crudeltà umana… ma negli ultimi venticinque giorni, che le piacesse ammetterlo a sé stessa o meno, nei momenti di dormiveglia spesi sul divano si era ingenuamente ritrovata ad invocare una divinità qualsiasi perché la guidasse con determinazione mordente ad una soluzione. Totale, parziale, marginale non le importava… era arrivata al punto di sperare in un miracolo purché le consentisse di distogliere lo sguardo dagli schermi in costante aggiornamento, i quali riportavano giornalmente con massacrante puntualità i registri dei censimenti, facendo lievitare il numero dei Dissolti ad una cifra che le rivoltava sempre di più lo stomaco di ora in ora. 

Trovare il Giardino si rivela inutile, braccare Thanos pure… ed alla fine tutto ciò che le rimane è una testa mozzata, un pugno di cenere ed un mare di disperazione. 

Natasha semplicemente non ce la fa a fronteggiare lo sguardo di Tony quando rimettono piede sulla Terra, ma ciò non le impedisce di vedere la curva tesa delle sue labbra irrigidirsi ancora di più ed ingoiare un groppo in gola collettivo che tutti speravano invano di sciogliere… e forse sarà infantile, ma girare i tacchi di fronte alle proprie responsabilità mancate e scappare dai propri fallimenti infranti sul pavimento come schegge di vetro acuminate è la sensazione più liberatoria che Natasha abbia mai provato negli ultimi ventisette giorni da miserabile reietta. 

Una campana che avverte solo lei nella propria testa batte una condanna autoinflitta, fugge dalla mano timida di Steve che si allunga nella sua direzione in cerca di reciproco conforto, scegliendo per una volta i propri cocci invece di quelli degli altri – scappa, si lascia alle spalle musi lunghi ed urla pacate, alimentate da una disperazione profonda quanto l'oceano di lacrime che lei per prima aveva ostinatamente trattenuto di fronte al suo pubblico durante il viaggio di ritorno… perché il dolore che prova è una scheggia di adamantio incastonata irreversibilmente nel suo cuore fatto di ghiaccio, quel tipo di dolore vietato agli amici e men che meno consentito alla famiglia che si era scelta e costruita – Lei è fatta di ghiaccio, i ragazzi non sono ancora andati fuori di testa perché lei è fatta di ghiaccio e tale deve rimanere. 

Natasha quasi scoppia a ridere isterica quando, una volta chiusa la porta della camera alle spalle, concede alla propria mente di assillarla con il pensiero morboso che la sua intera esistenza può riassumersi come l'insieme di scelte sbagliate in situazioni avverse e decisioni discutibili in tempistiche opinabili. 

Hai quello che hai quando ce l'hai… 

Il suo stesso dogma perde di significato, si spezza in due e marcisce incompleto sul fondo della scatola cranica, sigillando oltre il muro dell'Oblio la piccola parte di sé a cui nell'ultimo paio d'anni aveva concesso di esistere, di crescere, di evolversi nella versione migliore di sé stessa, la stessa che aveva mantenuto i suoi nervi saldi e le aveva impedito di disperarsi in precedenza… ma ora che rimangono solo ceneri e silenzio non vede alternative se non quella di lasciarsi andare, affondando nella vasca d'acqua bollente nella speranza di sciogliere il blocco di ghiaccio che le comprime il petto, liberando la scheggia di adamantio incastonata a pochi centimetri dal suo cuore permettendole di perforarlo. Natasha non è sicura di volere un cuore, se ciò significa essere sopraffatta da tutto ciò che credeva a portata di mano ed ora non può più avere. 

Hai quello che hai quando ce l'hai… e nonostante tutto, abbiamo sempre la Luna. 

Ma la Luna è un disco freddo distante anni luce a malapena visibile dietro le nuvole, illuminando d'argento i resti di ceneri insanguinate che conferiscono all'Universo morente un vago sentore di stantio, di vecchio, di polvere. 

Ciò che rimane è cenere e sangue… e Natasha si fa piccola piccola sul fondo della vasca, grattandosi via lo sporco rosso-nerastro che a quanto pare è insolubile in acqua, scorticandosi la pelle pur di smacchiare la propria coscienza dai peccati che si sono incollati sotto le proprie suole in tutti i suoi anni di dura sopravvivenza – come orfana, come Zarina mancata, come Vedova, come Vendicatrice e, soprattutto, come Natalia

La Nota Rossa ricomincia a grondare sangue implacabile, di ogni razza e colore. 







 

Note:

[*] L'illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] La modifica più invasiva nei background dei PG è quella attuata su William Kaplan e Thomas Shepherd, i figli di Wanda e Visione, di cui abbiamo un assaggino in "WandaVision" e che per ovvi motivi hanno trascorsi leggermente diversi da quelli cinematografici e fumettistici per fare in modo di attribuire loro 16 anni nel 2018. 

Tento di riassumervi la dinamica fumettistica canonica: Wanda si prende incinta dei gemelli grazie ad un paio di frammenti d'anima rubati inconsapevolmente a Mefisto (o Devil) e, quando quest'ultimo se ne rende conto e riassorbe i corpi fisici dei gemelli in sè, le anime dei due “traslano” nel corpo del figlio dei Kaplan e del figlio degli Shepherd. Le due "reincarnazioni" si conoscono nel vero senso della parola e si identificano come fratelli solo una volta diventati adolescenti, quando si manifestano i poteri, Billy si unisce agli YA e tutti insieme appassionatamente liberano Tommy dal Penitenziario per Mutanti quasi per sbaglio e lo "adottano" all'interno del gruppo – non ci è dato sapere se l'anima preesistente nel corpo-ospite venga distrutta o si fonda con quella dei gemelli, come si ignora il perché i due siano la copia carbone dell'altro (capelli a parte) nonostante provengano da due famiglie diverse con corredi genetici diversi. 

Ora, dopo aver appurato che quelli della Marvel si calano più di qualche acido per partorire certe idee malsane, vi spiego come ho rimaneggiato la faccenda per darle un minimo di senso, avvalendomi dell’albero genealogico della Casata di Magneto: Erik Lehnsherr (nato Magnus “Max” Eisenhardt) si è sposato con Magda, la fidanzata gitana internata ad Auschwitz con lui, che lo abbandona appena si rende conto della condotta violenta e vendicativa che assume Erik nei confronti delle SS del Campo – Magneto scoprirà che Magda era incinta dei Gemelli ai tempi della fuga quando quest’ultimi da adulti si uniscono al Hellfire Club, i quali però si presentano come Maximoff perchè la madre biologica muore poco dopo il parto e vengono affidati alla coppia di gitani da cui prendono il cognome. 

Tornando a noi, facciamo finta che Thomas e William sono orfani di madre, non hanno mai avuto un padre, sono cresciuti con Nonna Magda fino ai sette anni e sono stati adottati rispettivamente dai Shepherd e dai Kaplan alla morte di quest'ultima.

[2] Il titolo della pellicola è stato gentilmente offerto dal catalogo film visibile in “Far From Home”, mentre Emily Blunt si è seriamente litigata il ruolo della Vedova Nera con Scarlett Johansson ai tempi del lontano 2010. Ci tengo a far notare che nell’MCU i supereroi hanno la stessa risonanza mediatica di un politico o di una stella del cinema, quindi non sorprendetevi più di tanto se cito gratuitamente interviste, copertine patinate, servizi TG, merchandise, film e fumetti sul loro conto, dato che sono degli effettivi inside-joke ed easter-egg presenti nei fumetti “reali” stessi.

   
 
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