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Autore: margheritanikolaevna    06/02/2021    4 recensioni
In questi giorni inizia il Carnevale e io...inizio la mia fic sul Carnevale. :)
I Mandaloriani, almeno quelli più intransigenti, nascondono il viso 365 giorni all'anno, gli altri soltanto in occasioni particolari.
Però nella notte più magica dell'anno, sul pianeta più magico dell'intera Galassia, non sapere esattamente chi si nasconde sotto la maschera al tuo fianco può provocare singolari conseguenze.
P.S. giusto perchè lo sappiate: il costume da Mandaloriano è uno dei più gettonati questa stagione!!! ULTIMO CAPITOLO
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Baby Yoda/Il Bambino, Carasynthia Dune, Din Djarin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO DUE
 
Le quart d’heure de passion
 
L’elegante edificio affacciato sulla laguna splendeva, illuminato da decine e decine di candele e fiaccole accese.
 “Accidenti!” esclamò Greef abbagliato, sporgendosi appena e facendo così oscillare per un istante l’imbarcazione - nera, sinuosa, proprio come le ombre che si allungavano tra gli archi gotici delle facciate - che li stava accompagnando alla festa; il Mandaloriano, al contrario, era più che convinto che uno come lui si sarebbe sentito a disagio in un posto tanto raffinato.
A un tratto da una calle laterale cominciarono a diffondersi le dolci e incantate note di un’orchestra di archi, accompagnata dalla delicata voce di un clarinetto.
 
E lucevan le stelle e olezzava la terra, stridea l'uscio dell'orto e un passo sfiorava la rena.
Entrava ella, fragrante, mi cadea fra le braccia.
 
Il tenore mugghiava, vibrando e sospirando.
 
Oh! dolci baci, o languide carezze, mentr’ io fremente le belle forme disciogliea dai veli![1]
 
I due uomini avvezzi a ogni pericolo restarono per un attimo incantati: la musica entrava dentro di loro come un coltello nel burro, aprendoli dolcemente.
La voce struggente del pittore Cavaradossi si fondeva con quella appassionata dei violini e si innalzava - pensarono, gli occhi pieni di meraviglia, pieni di riflessi come la laguna - verso la luna come il fantasma di un’epoca irrimediabilmente trascorsa, lontana ormai eppure infinitamente cara e incantevole.
 
*****
 
La sala dove si svolgeva la festa era ampia e riccamente arredata; dall’alto soffitto pendevano scintillanti lampadari di cristallo, la cui luce dorata si rifletteva sul lucido pavimento di marmo grigio-bianco.
Alle pareti antiche consolle di legno dorato, arricchite da delicate volute di stucco, sostenevano grandi specchi che riflettevano e rifrangevano le immagini, scomponendole in un caleidoscopio vorticoso di colori.
Ovunque, fiori dalle forme incredibili e candele riempivano l’aria dei loro effluvi caldi e profumati.
La serata era al culmine e il salone affollato di persone eleganti e sorridenti, avvolte in sontuosi costumi d’epoca rutilanti di sete, broccati, damasco e pizzi.
Tra gli uomini abbondavano neri velluti, mantelli orlati di pelliccia e copricapi di fogge che i due non avevano mai visto; le donne, fasciate in abiti colorati e luccicanti di gioielli, rivaleggiavano con lo splendore sgargiante dei fiori.
Nel vociare allegro si confondevano - notarono – tante lingue diverse che non riuscirono a riconoscere.
L’orchestra, formata da una decina di Bith, pareva calda come una notte d’estate nonostante fuori la temperatura dovesse essere ormai sotto lo zero; i cacciatori di taglie notarono che i musicisti indossavano complicate parrucche bianche a boccoli a coprire parzialmente i glabri testoni e sontuosi abiti tutti pizzi e alamari dorati.
A un tratto, un uomo massiccio con una maschera nera e dorata si fece largo al centro della sala e annunciò che le luci sarebbero state spente prima per cinque minuti, poi per dieci e infine per quindici minuti nel bel mezzo del ballo. Senza alcun preavviso e quando al maestro cerimoniere sarebbe piaciuto.
“Scegliete attentamente i vostri compagni” disse con la sua voce potente “per il quart d’heure de passion!”.
Disse proprio così e sebbene Mando non avesse mai sentito quella lingua prima di allora non gli fu difficile capire che la serata si annunciava più interessante del previsto.  
Nell’improvvisa agitazione, nel trambusto generale, perse di vista Greef, confuso nella folla mascherata; si guardò intorno allora, cercando di individuare – in mezzo a quell’allegra moltitudine variopinta – un costume nero, sexy e antiquato.
 
*****
Xander Biggs imprecò sottovoce e accelerò il passo: era in mostruoso ritardo!
Sapeva che May lo stava aspettando (e che odiava aspettare), ma…accidenti! usare l’evacuatore con quella dannata ferraglia addosso si era rivelata una faccenda tutt’altro che semplice.
Chissà come cavolo facevano i Mandaloriani, quelli veri, considerò distrattamente.
A un tratto, si accorse che di fronte a lui c’era un tipo immobile, in mezzo alla strada, che gli bloccava il passaggio.
Si spostò di lato, ma quello lo imitò per non lasciarlo andare avanti.
Alzò lo sguardo e, alla fioca luce di un lampione, si accorse che era decisamente un brutto personaggio: alto, massiccio e con lunghi tentacoli che gli coprivano a metà la faccia.
Era certamente un Quarren. Uno molto poco amichevole.
“Fermati, Mandaloriano!” esclamò, levando un braccio verso di lui.
Xander si bloccò, trattenendo il respiro.
Che mai poteva volere quel tipaccio da uno come lui?
“Tre mesi fa, sulla Luna di Trask tu hai ucciso i miei cugini” continuò il marinaio, la voce fremente di rabbia[2].
“E noi adesso uccideremo te!”.
Il ragazzo arretrò, perché dall’oscurità erano emersi altri Quarren che in un istante l’avevano circondato.
“A-aspettate…” balbettò, armeggiando con le dita tremanti per levarsi il casco.
“C’è un equivoco, io non…”
Non riuscì a completare la frase, perché in un istante gli furono addosso.
Nello stesso momento, alla festa, May Frayn - in piedi accanto a una finestra - si mordicchiava nervosamente le labbra, guardandosi intorno infastidita.
 
*****
Il Mandaloriano continuò a gironzolare attraverso i saloni affrescati, spiando con attenzione ogni costume che potesse essere qualificato come “nero, sexy e antiquato”.
A un tratto, individuò la sua amica che, con aria apparentemente indifferente, se ne stava immobile vicino a una finestra e si guardava intorno; evidentemente, pensò l’uomo quando vide che non lo salutò e non gli andò incontro, non voleva tradirsi e fingeva di non conoscerlo.
Le andò incontro, le prese la mano e l’attirò verso di lui.
“Hai visto?” le sussurrò all’orecchio “Ero sicuro che ti avrei riconosciuta!”
La dama nera gli rivolse un’occhiata interrogativa, ma fu solo un istante.
Gli sorrise e lo seguì in mezzo alla sala già affollata.
Cominciò il ballo e dopo pochi istanti si spensero le luci.
Il cacciatore di taglie udì qualche risatina soffocata, una donna lanciò un gridolino isterico e una voca maschile, indignata, sbraitò qualcosa in una lingua che non conosceva. 
Il ballo continuò nel buio, mentre lui tentava disperatamente di concentrarsi sui passi e sulla musica e di ignorare che intorno a loro l’atmosfera si stava pian piano surriscaldando.
Già - considerò con un mezzo sorriso - le maschere davano alla gente un senso di libertà che trasformava anche le persone più raffinate in animali famelici: non vedeva a un palmo dal suo naso, eppure non era difficile immaginare intorno a lui le mani che correvano sotto i sontuosi abiti d’epoca e toccavano ciò che volevano toccare, le ginocchia che si intrecciavano, i respiri che diventavano affannosi.
La sua dama si stringeva contro di lui, appoggiandovisi con tutto il corpo tanto che - nonostante l’armatura - poteva sentire la curva morbida dei seni che premevano contro il suo petto, l’odore inebriante della sua pelle, un come di patchouli…strano, pensò confusamente, che non ci avesse mai fatto caso prima.
Le luci si riaccesero e l’uomo notò che tutti avevano un’aria un po’ sconvolta; alcune facce sembravano infuocate, altre invece pallidissime. Un severo Mon Calamaro aveva la parrucca bianca di traverso, l’abito lungo di un’elegante dama Gungan era visibilmente spiegazzato.   
L’aria s’era fatta soffocante, elettrica, quasi animalesca. 
E nello stesso tempo - rifletté - c’era però una facciata di raffinatezza da mantenere, di formalità e di eleganza persino. 
Qualcuno, turbato, lasciava il salone; altri, invece, parevano come sospesi in attesa di una tempesta, altri ancora aspettavano con uno strano scintillio negli occhi.
Il Mandaloriano si guardò intorno, si piegò sull’amica e le chiese in un soffio “Pensi che qualcuno si metterà a gridare o perderà il controllo?”.
Forse io potrei.
Lei però non rispose, seguitando solo a sorridergli.
La musica proseguì e dopo pochi minuti le luci si spensero di nuovo.
La stessa voce sonora di prima disse: “Questo è il quart d’heure de passion, signori e signore, adesso vi verranno concessi dieci minuti. Poi quindici”.
Tra gli ospiti mascherati si levarono piccole grida soffocate, una voce femminile protestò debolmente.
La dama nera a un tratto piegò la testa, si avvicinò al suo compagno e gli lasciò cadere un bacio sul collo, l’unica parte che il suo elmo lasciava scoperta; le sue labbra erano leggere, eppure ardenti, e lui ebbe la sensazione che dove si erano posate gli avessero lasciato un’impronta bruciante.   
Poi, senza una parola, cominciò a morderlo sul collo, forte, tanto che lui sentì i suoi denti serrarsi dove palpitavano le vene.
Si schiacciò contro di lui e gli si strusciò addosso.
Il cacciatore di taglie chiuse gli occhi ed ebbe la sensazione di barcollare per l’emozione, di essere trasportato da un’onda di desiderio che s’innalzava da tutto ciò che lo circondava: la città, la notte, le luci, la musica e gli altri ballerini.
Quando si riaccesero di nuovo le luci, il disordine e la confusione apparvero ancora più grandi. 
“Si trasformerà in un’orgia…” pensò. 
La gente, nei suoi sontuosi costumi colorati, si guardava intorno con occhi dilatati: parevano abbacinati dalla luce improvvisa, ma in realtà ciò che li abbagliava era il tumulto del loro sangue.
Le maschere, la febbre dei sensi annullavano le distinzioni, i pregiudizi e i ruoli. 
Guardò Cara, considerando che attraverso la complessa maschera che aveva scelto quella sera non riusciva a distinguere nemmeno il colore dei suoi occhi…quello non lo vedeva, ma sentiva su di sé il suo sguardo ardente, come drogato.
Si erano già spinti più in là di dove avrebbe consigliato loro il buon senso e comprese che, se fosse rimasto, le cose avrebbero preso una direzione che non era sicuro di voler prendere.
In fondo, perché complicare il loro rapporto rischiando di farla soffrire, di non riuscire - nella sua vita già così complicata e rischiosa - a metterla al primo posto come avrebbe meritato?   
“Meglio andare prima del prossimo black-out” disse, allora, con un tono carezzevole che sperava mitigasse la delusione della ragazza.
Ma lei annuì, sorridendo con quelle stesse labbra rosse che solo qualche istante prima parevano volergli succhiare via l’anima dal corpo.  
 
*****
Il Mandaloriano prese per mano la dama nera e uscì con lei sulla veranda, una specie di bovindo le cui ampie finestre si affacciavano direttamente sulla laguna, deciso a ritrovare quanto prima Greef e a concludere la serata in maniera decisamente tranquilla.
Il freddo improvviso lo calmò; si fermò un istante, spingendo lo sguardo verso l’orizzonte marino.
Era una notte di cristallo e di ghiaccio: ebbene non tirasse nemmeno un alito di vento, l’aria limpida pareva attraversata da innumerevoli lame aguzze che segnavano la pelle, irrigidivano i muscoli e trasformavano il fiato in sbuffi di vapore biancastro.
Nel cielo insolitamente terso brillava solo una pallida falce di luna; l’atmosfera gelida e immobile rimandava i suoni, anche i più lontani, con impressionante chiarezza. 
Spostò lo sguardo sull’amica che adesso pareva distante, gli occhi perduti verso la notte luminosa. 
Con una fitta di delusione, considerò che non c’era voluto poi molto a smorzare l’improvviso entusiasmo di Cara: evidentemente il suo fascino perdeva colpi, o magari era solo troppo tempo che non si trovava più in una situazione del genere.
Già - sospirò - era decisamente passato troppo tempo.
Quel che non si aspettava fu che la sensuale Medea, cogliendolo di sorpresa, lo spingesse con forza contro la parete.
“Ma…” tentò una debole protesta però la dama, ormai vicinissima, lo fissò per un istante e gli fece segno di tacere; gli si avvicinò ancora, seguitando a fissarlo da dietro l’elegante volto di cartapesta, le labbra appena dischiuse senza parlare, bruciandolo con l’alito del suo desiderio. 
Sorrise di una lenta, carminia, malìa.
Il guerriero inarcò la schiena, con l’unico risultato che il suo corpo venne ad aderire ancor di più con quello di lei; la donna, che pareva sapere esattamente cosa fare, sganciò le cinghie molto lentamente e lui avvertì le sue mani che aprivano ogni fibbia e lo toccavano piano, poco a poco, e la sua bocca che lo baciava e lo toccava.
Facendogli un po’ male con i denti, riempiendolo di sensazioni per tutto il corpo, sciogliendo ogni nodo di tensione, dissolvendolo ogni resistenza.
Nonostante tutto il metallo che aveva addosso, avvertiva il calore della sua pelle, sentiva il suo respiro e il suo odore gli riempiva le narici.
A un tratto quasi senza toccarlo, solo sfiorandolo (e con questo, eccitandolo) slacciò la fibbia della cintura, aprì i pantaloni e tirò giù la lampo[3].
Sentiva il suo sguardo, carico di eccitazione, posarsi su di lui con tanta insistenza che gli sembrava quasi di avvertirne il tocco sulla pelle nuda. 
Ansimò, sentendo che stava per perdere il controllo; non avrebbe voluto lasciarsi andare, ma l’abilità delle sue carezze - e la passione che sembrava guidarle - e l’assurdità della situazione cospiravano a eccitarlo senza che lui stesso riuscisse a spiegarsene la ragione e anzi contro ogni valida ragione.
In fondo, come aveva già capito, era passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che si era trovato in una situazione del genere.
Istintivamente chiuse gli occhi e trattenne il respiro, quando lei si chinò su di lui e il suo tocco divenne più insistente.
Contrasse i muscoli dell’addome in uno spasmo perché la sua lingua era agile e veloce come un pugnale e lo tormentava allo stesso modo, lasciandolo senza fiato.
C’era qualcosa di struggente nelle sue carezze, in quelle mani che percorrevano tutto il suo corpo, che scivolavano su di lui lasciandogli segni profondi e facendolo vibrare dalla testa ai piedi. 
Sollevato per una volta dalla necessità di decidere, si concesse il lusso di smettere di pensare a quanto fosse folle quella situazione. 
Si concentrò soltanto sul piacere che lo avvolgeva in spirali incandescenti, con sempre maggiore durata e intensità, lasciandolo fluttuare in un mondo oscuro, lasciandogli sentire solo la pelle soffice che vibrava. 
E ogni tocco, che era felicità.  
 
[1] Ovviamente non è IG-D’Alessio, ma la “Tosca” di G. Puccini. Immaginiamola cantata da Pavarotti.  
[2] Il riferimento è agli avvenimenti dell’episodio n. 11 “L’Erede”
[3] Non sono riuscita a immaginare cosa indossino i Mandaloriani sotto l’armatura (boxer, mutande della salute, slip, perizoma, tanga? Niente?) e quindi sono rimasta sul vago.
  
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