Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Vento di Fata    08/02/2021    0 recensioni
[AU!] [Akuroku, accenni di Zemyx, XemSai, KaiXion, background VanVen]
"Sono tutti quel tipo di bambini che gli insegnanti definiscono “problematici” o “disagiati”, e forse è questo che li ha fatti avvicinare, come un branco di cani randagi che si raduna per difendersi contro il mondo e per leccarsi le ferite dopo ogni battaglia.
Alle volte Roxas, con i vestiti di seconda mano che ha troppa paura di sporcare e la cartella di scuola nuova e un fratello che gli vuole bene che lo aspetta a casa, si sente un pesce fuor d’acqua, sembra sempre che ci sia qualcosa che li divide, una consapevolezza che non riesce a comprendere, qualcosa che non li fa avvicinare. Ma in fondo gli piacciono quella nuova vita e quegli amici, anche se ogni tanto sente Ventus che torna tardi dal secondo lavoro e piange in salotto, quando crede che sia lui che Vanitas stiano dormendo."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Saix, Xion
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note dell’autore: per l’ultima volta, questa è la playlist della fanfiction. Le canzoni per l’epilogo partono da “Touch” e finiscono con “Wild Heart”.
 
They boarded up the windows and the doors to my house
No one will ever read the letters or the lies that I told
From the years I was changed
By crooked hearts
Why did they have to go and do us like that?
Why did they have to go and run from the dream far away

Were we there? Was I brave?

To think everything must die
For anyone to matter
Got to find any way to your wild heart

I will find any way to your wild heart


- Wild Heart, Bleachers
 
Well everything has changed, and now it's only you that matters
 
 
Quando Roxas aveva sette anni, Ventus gli aveva detto che Vanitas era il suo ragazzo. Si erano seduti in camera di Ven, la porta chiusa e un piatto di pane e marmellata per terra in mezzo a loro, e mentre Roxas lo guardava con il visetto sporco di briciole Ventus gli aveva detto che il ragazzo gentile con cui uscivano sempre dopo la scuola, che comprava a Roxas il gelato tutti i giorni e aveva la moto “ultrastellare” su cui lo aveva portato a fare un giro una volta, era il suo fidanzato.
Di quel giorno Roxas ricorda bene di essere stato prima stupito, poi arrabbiato perché credeva che volesse dire che Vanitas lo trattava male – i loro genitori erano fidanzati dopotutto, no? – e poi, mentre Ven gli spiegava meglio la cosa, ricorda di essere stato felice. E Ventus sembrava felice anche lui, mentre parlava, con il sorriso sulle labbra anche se aveva un occhio nero e fuori dalla porta c’erano i loro genitori che urlavano.
Allora perché adesso si sente così?
Roxas cerca di inghiottire il nodo alla gola. Si sta preparando per uscire, Vanitas è sul tappeto che gioca distrattamente con il gatto e Ventus legge sul divano. Fuori c’è un acquazzone estivo in piena regola, e le gocce battono sulle finestre con la stessa forza del cuore di Roxas in quel momento.
«Vi devo dire una cosa.» dice, cerca di sembrare neutro, magari disinvolto, ma invece suona come un idiota. Vanitas alza lo sguardo e alza un sopracciglio interrogativo.
«Che succede?» chiede Ven, mettendo giù il libro.
Roxas si morde la punta della lingua e giocherella con le chiavi di casa. Lui non ci sa parlare con la gente, dannazione. In quello sono sempre stati bravi Axel e Demyx, non lui.
«Sei etero» spara Vanitas, un sorriso di presa in giro sulle labbra. «ti sei fidanzato in segreto. Hai ucciso qualcuno.»
Roxas riesce a strozzare fuori una risata. «Sono etero.»
«Lo sapevo!» esclama Ventus, unendosi alla pantomima. «Lo sapevo che c’era qualcosa di strano ultimamente.»
Roxas stringe il portachiavi abbastanza forte che la plastica scricchiola sotto le sue dita. «No, idioti. Ho un ragazzo.»
C’è un momento di silenzio.
«Beh, era anche ora che uscissi dal celibato» è il commento immediato di Vanitas, e che gli guadagna una pedata sulla nuca da Ventus. «Leva quel piede, Venty-Wenty! Sto scherzando!»
«Hai la sensibilità di una mazza da baseball, Vani. Sono diciotto anni che te lo ripeto e ancora non lo hai capito.» lo riprende Ventus, togliendo il piede dalla nuca del fidanzato e alzandosi per avvicinarsi a Roxas. Gli fa un sorriso e gli arruffa i capelli, facendogli sfuggire uno sbuffo e un mezzo sorriso. «Sono felice per te, Rox. Chi è il fortunato?» dice, e Roxas immediatamente sente lo stomaco sprofondare. Gli viene in mente il loro litigio, il modo in cui Ven aveva gridato, la rabbia nella sua voce e anche la delusione. Potrebbe essere sul punto di deluderlo di nuovo. Come può farlo una seconda volta?
Ormai è tardi.
«Lo conoscete già...» dice quasi distrattamente, sottovoce, e guarda da un’altra parte, per non vederli, per non vedere la loro delusione quando aprirà di nuovo la bocca. «...è Lea.»
Il passo indietro che fa Ventus basta a trasformare il principio di panico che Roxas sente in una morsa che inizia a stringergli il cuore e i polmoni. Stringe il portachiavi a forma di panda fino a farsi diventare le nocche bianche, ancora si rifiuta di guardarli, sente il rumore del sangue nelle orecchie e la forza con cui il suo cuore batte all’impazzata. Idiota. Idiota.
«Dici sul serio?» chiede Ventus, e la sua voce è sorpresa. «credevo che fosse sparito.»
Roxas scuote la testa, cerca di parlare attraverso la matassa di filo spinato che sente nel petto. «Non... non è sparito. Mi ha cercato un anno dopo essere uscito, a ottobre, e ci siamo... riavvicinati, ecco.»
«E tu non ci hai detto nulla?» stavolta Ventus non sembra solo sorpreso, ma anche ferito. Roxas si forza di alzare lo sguardo verso di lui, e ha gli occhi spalancati, blu come i suoi, con la stessa espressione di tanti anni prima. Vanitas si è alzato dal tappeto e gli è andato a poggiare una mano sul braccio, stringendo quel tanto che basta da fargli sentire che è lì con lui. «Rox, perché non ce lo hai detto? Quel ragazzo-»
«Perché sapevo che avresti reagito così» lo interrompe Roxas, sputando le parole come se gli facessero del male fisico. Forse è davvero così. «Perché sapevo che sareste stati arrabbiati e delusi, e che avreste pensato che fossi impazzito e mi avreste detto di smettere di parlargli.»
Vanitas fa un sospiro, poi lascia andare Ventus e si siede su una delle sedie, poggiando i gomiti sul tavolo. «Siediti e raccontaci tutto.» dice. È calmo, come sempre, e Ventus di riflesso sembra calmarsi un po’ anche lui. E Roxas lascia le chiavi, e il cappotto che aveva mezzo indossato, si siede, prende un respiro, chiude gli occhi per un attimo e vuota il sacco, si fissa ostinatamente le unghie delle mani strette in grembo e racconta di quando ha rivisto Axel, di ciò che si sono detti, del pugno, del nome, delle lettere, delle scuse e di come si fosse sentito come se finalmente un vuoto si fosse colmato. Racconta di quando sono andati a Land of Departure e del suo compleanno, tralascia i dettagli che vuole tenere per sé, ma per ogni parola che dice sembra che il muro tra quelle che letteralmente sono due vite separate che aveva costruito lui stesso piano piano si disfi, mattone per mattone. E quando finisce di parlare gli sembra di stare in piedi tra quei mattoni, a guardare quelle due vite che finalmente sono unite, e pensa perché non l’ho fatto prima?
«Lo so che non vi fidate di lui per quello che è successo prima» conclude infine, lo sguardo ancora fisso sulle sue mani, senza il coraggio di alzarlo. «ma Axel sta facendo l’impossibile per migliorare. È già una persona dieci volte migliore di quella che conoscevate, e ci tiene davvero a quello che c’è tra di noi, e io vorrei tanto che voi provaste a dargli una seconda possibilità.»
Il silenzio che segue quando Roxas finisce di parlare è pesante come una montagna. Quando alza lo sguardo, Ventus lo sta guardando come se lo vedesse per la prima volta, Vanitas invece ha un’espressione pensierosa in faccia. «Rox...» dice Ventus, infine, le mani anche lui strette in grembo in un gesto identico a quello di Roxas. «Tu sei sicuro di quello che stai dicendo, non è vero? Non... stai dicendo qualcosa che non pensi, vero?»
Roxas scuote la testa. «Ven, per favore...»                                         
«Ti ha ferito già una volta, Rox, come puoi essere così certo che non lo farà di nuovo?» Ventus non sembra arrabbiato, non più, solo triste.
«Non posso esserne certo... ma mi fido di lui, Ventus.» Roxas si zittisce dopo quella frase, perché non sa più cosa dire, non ha più armi per difendere sé stesso e Axel, può solo sperare che Ventus capisca. Suo fratello si alza e si avvicina a lui, e Roxas pensa per un attimo che voglia andarsene prima di trovarsi stretto in un abbraccio che quasi gli fa scricchiolare le ossa. Resta un attimo immobile, stupito, prima di sentire finalmente ogni pesantezza nel cuore sciogliersi e ricambiare l’abbraccio, gli occhi che pizzicano per la voglia di piangere.
Ven lo stringe forte, come per paura che scappi, e Roxas sente che gli poggia il mento sulla testa. «Non posso prometterti di cambiare opinione dalla sera alla mattina, Rox» dice, «ma se sei veramente sicuro di tutto questo, allora... possiamo provare, sia io che Vani.»
Roxas annuisce, sentendosi pericolosamente vicino alle lacrime – di nuovo. «Mi basta questo, Ven.»
Axel lo chiama mentre è ancora abbracciato a Ventus, dopo che in qualche momento si è unito anche Vanitas, e dopo quelle che gli sembrano delle ore. Roxas lancia un’occhiata al telefono, poi ai suoi fratelli, che gli fanno un cenno con la testa. «Finalmente rispondi, biondo! Ti aspetto da quaranta minuti sotto la pioggia, lo sai?» è l’esclamazione di Axel non appena Roxas risponde. Si lascia sfuggire un piccolo sorriso istintivamente, poi torna subito serio.
«Scusami Ax... ho avuto un contrattempo» spiega. «E... potresti venire a casa mia?»
«Verrei volentieri, Rox, ma non ci sono i tuoi fratelli a casa?» la voce di Axel cambia subito tono, diventando quasi preoccupata. «È successo qualcosa?»
Roxas guarda di nuovo Ventus, poi prende un piccolo respiro. «Sì, è successo qualcosa. Gli detto di tutto.»
Silenzio. Poi... «Ah.» commenta Axel. «Sicuro che se vengo ne esco vivo? Vorrei morire in modo più glorioso che ucciso dal fratello iperprotettivo del mio fidanzato.»
Malgrado la tensione, Roxas sbuffa una risata. «Vedi di arrivare e basta.»
Va esattamente come ci si aspetterebbe: non appena Axel mette piede in casa sembra quasi rimpicciolirsi sotto lo sguardo di Ventus e Vanitas e Roxas subito si allontana dal fratello e, ignorandoli, abbraccia Axel come fa sempre per salutarlo, gli sorride attraverso l’ansia e lo prende per mano.
È Vanitas che cerca di tenere le cose civili, dopo averli fatti sedere – non appena Axel si siede, dritto come un fuso, su una delle sedie del salotto Roxas ne tira una vicino e si siede accanto a lui, le gambe incrociate e la mano stretta saldamente in quella di Axel appoggiata sul suo ginocchio, rivolgendo uno sguardo a Ventus come a sfidarlo a dire qualcosa – inizia a chiedergli cose normali, che lavoro fa adesso e dove vive, e lui mentre risponde ha la voce che trema per il nervosismo, il palmo della sua mano contro quello di Roxas è sudato e se si voltasse Roxas è sicuro che vedrebbe la vena sul suo collo pulsare al ritmo del suo battito impazzito.
Per tutto il tempo Roxas tiene lo sguardo fisso su Ventus, che non ha ancora detto una parola, e forse è il silenzio che più spaventa Roxas e lo rende ansioso.
Quando gli argomenti più triviali sono finiti, è chiaro che Vanitas stesse solo cercando di prendere tempo, cercando di far sentire Axel meno a disagio, perché non appena finisce di parlare Ventus attacca subito: «Perché non hai risposto a Roxas in tutti quegli anni?» chiede a bruciapelo, gli occhi fissi su Axel, freddo come l’acciaio.
La stretta di Axel sulla mano di Roxas aumenta di nuovo, al punto da far sentire quasi una punta di dolore alle sue dita e torna a raddrizzarsi. Si tormenta per qualche secondo il labbro inferiore, pensandoci su, fa un respiro e risponde. «Perché non sapevo con che faccia avrei potuto scrivergli, dopo aver saputo di quanta sofferenza gli ho causato» dice, volutamente piano, dando l’impressione di una tranquillità che in realtà non ha; «e realizzare a pieno il tipo di giri in cui mi ero andato a cacciare e quanto danno avrei potuto fare a Roxas se avessi finito per trascinarlo con me, mi ha solo aiutato a decidere che fosse meglio sparire dalla sua vita e da quella di tutti gli altri.»
«Però poi hai cambiato idea.» Ventus non molla, lo disseziona con lo sguardo come farebbe un chirurgo con un cadavere, ogni parola pensata e ripensata. «E sei tornato pur sapendo quanto male avrebbe fatto a Roxas rivederti, dopo aver passato sette anni a cercare di andare avanti.»
«Chiamatelo egoismo se volete. Sapevo che non sarebbe stato contento di rivedermi e ci ho pensato e ripensato per almeno sei mesi dell’anno in cui sono stato fuori prima di tornare, ma sentivo che era qualcosa che andava fatto. Per dare una chiusura a quella pagina della nostra vita, di cui avevo bisogno io ma ancora di più Roxas, perché lo conoscevo bene e sapevo che in fondo non si sarebbe mai dato pace a meno che non mi fossi fatto avanti io.»
Roxas lancia un’occhiata ad Axel, sorpreso da quelle parole. Quei dettagli, quei pensieri di Axel, erano stati un mistero anche per lui e forse non ha mai chiesto per paura, o per evitare di toccare ferite ancora aperte. Vanitas sembra sorpreso dalla sincerità di Axel, mentre Ventus resta impassibile. «Invece la chiusura non c’è stata.» commenta.
Axel scuote la testa, la stretta sulla mano di Roxas che sembra quasi stringersi e rilassarsi ritmicamente, come un battito. «C’è stata per ciò che è successo prima, e io mi sarei accontentato di quello, ma è stato Roxas a voler ricominciare. Non mi ha perdonato subito, ma ha voluto darmi una seconda possibilità quando niente lo obbligava a farlo.» spiega, sincero, il cuore in mano. Per Roxas, solo per lui. «Così come voi non siete obbligati a darmene una adesso.»
«Quello che vogliamo sapere prima di arrivarci, Axel» interviene Vanitas, quasi gentilmente in contrasto con la freddezza di Ventus, «è quali intenzioni tu abbia con Roxas, e con questa... relazione che avete.»
«Non ho altre intenzioni se non quella di renderlo felice finché vorrà avermi accanto» risponde immediatamente Axel, improvvisamente sicuro, come se la risposta a quella domanda fosse ovvia e se la fosse preparata da sempre. «Niente di più, niente di meno. È tutto quello che posso dargli con più sincerità possibile.»
La stretta di Axel è più forte, adesso. È come uno strano specchio, nota Roxas. Vanitas, allo stesso modo di Roxas, tiene una mano a Ventus, le loro dita intrecciate in maniera identica a quelle di Roxas con Axel, gli occhi che ogni tanto vanno a guardarlo come ad assicurarsi che stia bene. Sono così simili, Roxas si ritrova a pensare, ma c’è mai stata tanta differenza?
«Quando tu e Roxas eravate piccoli,» commenta all’improvviso Ventus; «Roxas mi raccontava spesso di quanto facile fosse trovarti a fare a botte. Spero che sia un’abitudine che riservi unicamente ai teppisti per strada.»
È la cosa peggiore che potesse dire. Roxas lo capisce subito, sia dal modo in cui Axel si raddrizza improvvisamente come colpito da una scarica elettrica, sia dall’espressione dei suoi occhi, che prima si spalancano e poi diventano bui, duri. La sua mano stringe quella di Roxas fino a sbiancare, e Roxas stringe di rimando. «Ven, stai zitto.» sibila.
«I miei genitori hanno picchiato me e mio fratello abbastanza volte da permetterci di capire la differenza tra violenza e amore,» dice Axel, mortalmente serio, ogni nervosismo scomparso, freddo come il ghiaccio. «e l’unica cosa che non posso accettare è che crediate che toccherei Roxas anche solo per sbaglio. Non sarò la persona che speravate di vedere accanto a lui, ma non sono una bestia.» abbassa gli occhi, diventando fragile come vetro nel giro di un secondo. «Io non sono come loro.» conclude, a voce talmente bassa che forse lo sente solo Roxas.
Ignorando Ventus, che è sbiancato a sua volta, Roxas si volta verso Axel, sorridendogli nonostante l’ansia. «Lo sappiamo, Ax» lo rassicura a voce bassa.
«Io...» Ventus sembra quasi vacillare in quel momento. «Dio... non immaginavo che-»
«Penso che questo sia un esempio di quanto poco conosciamo di lui, Ven» interviene Vanitas, «tranne quello che abbiamo sentito dire o visto.» dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, rivolge lo sguardo verso Axel, il viso sempre serio. «Roxas ci ha chiesto di darti una seconda possibilità, e noi ci fidiamo del suo giudizio e siamo disposti a dartela, se ti dimostrerai degno della fiducia che Roxas ripone in te.»
Axel annuisce con un gesto brusco, ancora rigido dall’affermazione di Ventus. «Grazie» dice, la voce nervosa e gli occhi ancora bassi. Roxas lo guarda, la preoccupazione che inizia ad appesantirgli il cuore, e vorrebbe solo abbracciarlo e scacciare qualsiasi pensiero che gli sta passando per la testa in quel momento.
Il silenzio cade per degli agonizzanti minuti, finché Ventus non prende un respiro ricomponendosi. «Mi dispiace di aver insinuato una cosa del genere. Non immaginavo che anche tu avessi certe esperienze alle spalle.»
«Posso immaginare» risponde Axel, cercando in ogni modo di mantenersi civile.
La tensione c’è ancora, tutti possono sentirla, ma non più rivolta a un estraneo in casa. Vanitas guarda Axel, poi Roxas, infine si lascia sfuggire l’ombra di un sorriso. «Direi che per oggi l’interrogatorio è finito.» dice, cercando di scherzare, e strappando un sorriso nervoso ad Axel. «Mi dispiace se ti abbiamo messo troppo a disagio.»
«Non c’è problema.» Axel si volta verso Roxas, senza lasciare la stretta sulla sua mano. «Sei ancora dell’umore di uscire?» chiede.
Roxas guarda Vanitas e Ventus, che sembra sul punto di dire qualcosa ma quando alla fine chiude gli occhi e gli fa un cenno affermativo con la testa, Roxas non se lo fa ripetere due volte.
Non appena sono fuori dal cancello Roxas getta le braccia al collo di Axel e lo stringe forte, sentendolo il suo respiro tremare e il suo cuore galoppare, poi lui lo stringe di rimando, appoggiando il mento sulla sua spalla. Restano così per un minuto che sembra durare un’eternità, poi Axel chiede sottovoce, la voce poco più di un respiro: «Tu non pensi che potrei mai farti del male, non è vero?»
«Mai, Axel» risponde immediatamente Roxas, allontanandosi quello che basta da poter accarezzare il viso di Axel con la mano. «Tu non sei come loro, è chiaro? Ven ha detto una cazzata, e lo abbiamo capito tutti.» riesce a sorridergli, cercando di farlo sentire almeno un minimo tranquillo. L’ansia non è sparita, così come la tensione che è sicuro resterà per un bel po’ di tempo, ma Roxas sa che anche Axel in quel momento si sente mille volte più leggero.
Axel annuisce, incerto, un re sbattuto sulla scacchiera. Gli tiene la mano nella sua, accarezzandone il dorso con il pollice, prima di sollevarla al viso e lasciargli un piccolo bacio sulle nocche. «Non so come ho fatto a meritarti.» confessa.
Roxas gli sorride, e tanto gli basta.
 
«Che è quel livido sulla gamba, Rox?» chiede Xion, sdraiata come un gatto al sole sul suo asciugamano di Hello Kitty accanto a Kairi che sta in mezzo a lei e Naminé e dorme della grossa. Roxas, seduto sul suo asciugamano con il quaderno in mano e un paio di occhiali da sole eccessivamente pacchiani per proteggersi dal sole che batte come un martello, si guarda il ginocchio scoperto dai pantaloni del costume da bagno, colorato da un livido viola e blu, e sbuffa una risata.
«Axel mi ha buttato giù dal letto» spiega, lanciando un’occhiataccia ad Axel, che sta giocando col cane di Isa e Xemnas lanciando un frisbee nell’acqua e aspettando che vada a riprenderlo. «con una bella ginocchiata in pancia.» conclude, alzando la voce al punto di gridare, in modo che lo senta. Il suddetto si gira dal bagnasciuga, illuminato dalla luce del sole, i capelli legati in uno chignon che lascia sfuggire delle ciocche intorno al volto, e gli fa una boccaccia, probabilmente senza nemmeno capire di cosa stiano parlando.
Xion ride rauca e si mette a sedere. «Dio li fa e poi li accoppia» commenta, spostandosi dalla pancia il braccio di Kairi che continua tranquillamente a dormire, l’altro braccio intorno alle spalle di Naminé.
L’idea di andare in spiaggia era stata di Demyx, che con pochi giri di telefonate aveva convinto – o meglio, costretto facendo leva sul senso di colpa – tutti ad accettare. Sarebbe stata la prima volta da quasi dieci anni che sarebbero stati tutti insieme, e se il pensiero da una parte ha reso Roxas emozionato e felice, dall’altra ha sentito l’ansia disturbarlo come sempre: il dubbio che forse sono tutti troppo cambiati, che non sia più nulla come prima.
Ovvio che non sarà come prima, idiota. Aveva pensato Roxas lungo il tragitto, giocando con la collana che porta al collo, gli angoli che gli punzecchiavano le dita, ma non per questo vuol dire che non sarete più amici. Lancia un’occhiata a Xion, che crede di essere subdola negli sguardi che rivolge a Kairi, e sente un piccolo sorriso aprirglisi sul volto. Per una volta, il cambiamento non gli sembra troppo brutto.
È in quel momento che Demyx grida dal pontile: «Roxas! Roxas vieni a farci una foto!». È in piedi insieme a Zexion, Ienzo, e in qualche modo è riuscito a convincere anche Isa ad abbandonare il suo fidanzato per unirsi a loro. «Riesci a scattarla mentre saltiamo?» chiede non appena Roxas si avvicina, polaroid stravecchia alla mano e seguito da Xion.
«Hai troppa fiducia nelle mie abilità di fotografo, Dem, io te lo dico» lo avverte Roxas, entrando comunque nell’acqua fino a che non gli arriva alla vita ed è posizionato abbastanza bene da fare la foto, mentre Xion coglie la palla al balzo e sale anche lei sul pontile, la maglia troppo grande dei Metallica che svolazza al vento. «Saltate quando volete, signori.»
«Ehi, aspettate!» grida Axel, accortosi di ciò che sta succedendo, arrivando di corsa seguito dal cane. «Cosa fate le foto senza di me?» chiede, quasi offeso.
«Ti stavi divertendo così tanto con Nobody, non volevamo disturbarti» gli risponde Isa, un sorriso pieno di presa in giro sul volto. Nobody uggiola a sentire il suo nome e con un balzo è accanto a Isa, alzandosi su due zampe e appoggiando quelle davanti sul suo fianco, senza apparentemente rendersi conto di essere un Malamute di cinquanta chili e che Isa ha più o meno la stessa fisicità di Axel, quindi di un ramoscello secco.
Roxas ride mentre scatta la foto di Isa che cade rovinosamente in mare grazie alla spinta del suo cane, seguito da Demyx, Ienzo, Axel, Zexion e Xion, che si gettano subito dopo di lui con un grido collettivo.
È strano essere di nuovo insieme dopo così tanti anni, realizza Roxas. In quei momenti sembra quasi che non sia cambiato niente, che siano ancora ragazzini, ma poi basta uno sguardo più attento, ai capelli cresciuti di Naminé, all’anello al dito di Isa, Zexion e Demyx che si tengono per mano, Xion che parla di Kairi come se avesse appeso la luna, Ienzo che parla sempre più apertamente, e si accorge di quanto in realtà tutto sia cambiato.
L’unica cosa che non è cambiata sono i sorrisi, le battute, la familiarità del loro gruppo sgangherato che tale è rimasto attraverso gli anni, ed è quella la cosa più importante.
«Rox-aaaaaaahs!» grida Axel riemergendo dall’acqua vicino a lui e prendendolo improvvisamente da sotto le gambe, sollevando come una principessa. «Manchi tu a fare il tuffo!»
«Ma che- Axel se lo fai giuro che ti ammazzo!» urla di rimando Roxas, scalciando disperatamente mentre il rosso ride come unica risposta, esce dall’acqua e lo porta sul pontile. Axel si scambia un sorrisetto d’intesa con Xion, che gli sfila la polaroid dalle mani per tenerla lontana dall’acqua di mare, e si mette sull’orlo della passerella, sorridendo con fare sornione a Roxas. «Ti raso a zero mentre dormi, rosso schifoso- CAZZO!» senza preavviso Axel lo lascia andare, facendolo finire in acqua con un botto decisamente forte. Roxas annaspa e si dimena un po’ sott’acqua, l’acqua salata che gli brucia il naso e le orecchie, prima di ricordarsi le – poche – lezioni di nuoto che ha fatto alle medie e riemergere sputacchiando, guardando da dietro la frangia bagnata Axel che sta morendo dal ridere, lo stronzo.
«Questa me la paghi, Garland!» grida Roxas, furioso, e Axel ride ancora più forte perché con i capelli fradici e appiattiti contro la testa, la frangia negli occhi e l’espressione incattivita sembra un gatto arrabbiato, difficilissimo da prendere sul serio anche quando Roxas esce dall’acqua e inizia a inseguirlo, gridandogli dietro insulti a non finire.
Il pomeriggio sembra passare nel giro di pochissimo, e quando inizia a calare la sera Demyx convince tutti a radunarsi in cerchio intorno a un fuoco che solo lui e Axel sanno come hanno prodotto, e Roxas preferisce non chiedere. Demyx è seduto praticamente addosso a Zexion, la chitarra in mano che strimpella una versione molto più accordata di quanto Roxas ricordasse di Don’t You Worry Child, Ienzo e Naminè stanno parlando fitto fitto davanti all’album da disegno di lei, Xion e Kairi giocano a carte, mentre Isa è seduto in mezzo alle gambe di Xemnas con Nobody accoccolato addosso, che ancora non sembra rendersi conto della sua stazza. Axel invece è sdraiato a pancia in giù con la testa appoggiata sulle gambe di Roxas, contento di lasciarsi usare come tavolino mentre Roxas scrive.
Demyx continua a suonare e Axel a dormire, mentre Roxas si perde nella storia, solo il suono della chitarra, del mare e del fuoco intorno a lui. È strano quel silenzio, quella calma. Anche da bambini, la calma non c’era mai stata davvero: erano tutti attenti, tutti pronti nel caso dovessero tornare a casa, dovessero nascondere le sigarette, scappare dai bulli o dai loro genitori. Adesso quella sensazione di urgenza, come se tutto stesse per andare male, è sparita.
Il tramonto inizia a scomparire nel mare, e Demyx si schiarisce la voce. «Avete presente le cose che vi ho detto di portare?» dice, lasciando da parte la chitarra. Roxas fa un cenno con la testa, imitato dagli altri. Quando li aveva avvisati della sua idea di andare al mare, Demyx aveva chiesto loro di portarsi qualcosa di cui volessero liberarsi. Vedrete quando sarà il momento, aveva detto. «Bene, spero che siano tutte cose infiammabili, perché stiamo per bruciarle!»
«Per quanto sia un’aspirante piromane e dare fuoco alle cose mi dia un piacere indescrivibile, Dem, come mai dovremmo bruciarle?» chiede Xion, girandosi insieme a Kairi verso di lui, tenendo le carte in mano per evitare che gliele veda.
«Dovrebbe essere qualcosa di terapeutico, credo» spiega Ienzo al posto di Demyx. «Bruciando qualcosa che per te rappresenta il passato o qualcosa che vuoi dimenticare significa lasciare andare quel ricordo e aprirsi a un nuovo capitolo della propria vita.»
Axel ridacchia. «Bello, hai studiato quello all’università, Ienzo?» dice senza cattiveria nella voce.
«Almeno qualcuno qui studia, rosso» commenta Isa grattando le orecchie a Nobody, serio come la morte.
«Ah ah ah, molto simpatico, Ize.»
Si avvicinano tutti un po’ di più al fuoco, frugandosi nelle tasche e nelle borse per trovare ciò che si sono portati. Il primo è proprio Demyx, che prende un plettro di plastica e lo getta nel fuoco senza dire una parola, e dopo un po’ Ienzo butta quello che sembra un pacchetto di sigarette, seguito da Zexion che invece teneva in mano una lettera ancora sigillata.
Xion e Naminé, insieme, lanciano nel fuoco un fiocco rosso, e Isa un elastico per capelli macchiato e rovinato. Axel da uno sguardo a Roxas. «Foglio e penna, prego» chiede. Roxas gli lancia un’occhiata perplessa, ma strappa dal quaderno una pagina e gliela porge insieme alla sua penna. Axel prende entrambe, appoggia il foglio sul ginocchio e scrive a caratteri grandi e svolazzanti, con un ghirigoro alla fine, un nome di tre lettere. Dopo di che, ripiega il foglio e lo getta nel falò. «A mai più rivederci.» dice sottovoce.
Resta solo Roxas, che ha preso dallo zaino un quaderno nero, dalla copertina rigida, con un titolo scritto in pennarello indelebile dorato sbiadito dagli anni di usura. Isa lo nota e alza un sopracciglio verso di lui, come a chiedergli se è sicuro. Lo hanno riconosciuto tutti, quel quaderno, ma Roxas non ci pensa due volte e lo lancia tra le fiamme, guardando mentre prende fuoco e le pagine iniziano ad annerire e bruciare. E guardandolo bruciare si rende conto che è come se si stesse distruggendo un mondo intero fatto di parole non dette e cose non fatte, in cui viveva attraverso quei sette avventurieri che aveva inventato, pur di non affrontare in volto ciò che lo circondava.
Ma adesso non gli servono più.
«Devo dire che hai ragione, Dem, mi sento più leggera» commenta Xion, le gambe incrociate, Kairi accanto a lei che guarda il fuoco.
«Visto? Miscredenti» dice Demyx sorridendo, riprendendo in mano la chitarra. E il momento di raccoglimento finisce come era iniziato, Demyx riprende a strimpellare una canzone che Roxas non conosce, Isa ritorna a sedersi vicino a Xemnas e Nobody gli si sdraia sulle gambe muovendo pigramente la coda, Xion si appoggia a Kairi sbadigliando e socchiudendo gli occhi rivolti al falò, Naminé disegna insieme a Ienzo, Axel torna a sdraiarsi e appoggia nuovamente la testa sulle gambe di Roxas, che inizia distrattamente ad accarezzargli i capelli.
Nel fuoco, tra le spirali di fumo, la sua storia ormai finita continua a bruciare.
 
La periferia di World That Never Was è sempre sporca, grigia e piena di smog.
Roxas ci ritorna poche settimane prima di compiere ventidue anni. È sempre estate, fa sempre un caldo infernale e il sudore gli appiccica sempre i capelli contro il collo, ma il cielo stavolta è chiaro e senza nuvole. Tiene le mani nelle tasche dei pantaloni, mastica una cicca, e guarda il parchetto del quartiere, circondato da transenne e praticamente raso al suolo.
«Ci costruiranno un altro condominio, da quel che ho capito.» lo informa Axel, raggiungendolo mentre scarta il pacchetto di sigarette che si è andato a comprare mentre Roxas camminava in giro. Gli fa un sorriso stanco – invece di dormire per recuperare il sonno perso con un turno di notte al bar, ha comunque voluto accompagnarlo fino a lì per la visita da Aerith, e poi, quando Roxas ha avuto un’illuminazione improvvisa, fino al loro vecchio quartiere. «Tanto non è che aiutasse molto al decoro pubblico, visto che cadeva a pezzi da prima che arrivassi tu.»
Roxas fa un cenno col capo e accetta la sigaretta spenta che Axel gli porge, sputando la cicca in favore di stringere tra i denti il filtro. Nonostante non possa fumare, la sensazione della sigaretta sotto gli incisivi gli procura ancora un senso di calma, come stringere un antistress o premersi le unghie nelle punture di zanzara come faceva da bambino. «Non ti manca, a volte?» chiede, voltandosi verso Axel.
«Cosa, essere costantemente fumato dall’età di quattordici anni e con un incontro di boxe che mi aspettava a casa ogni sera? Nah. Passo volentieri, biondo.» risponde tranquillo Axel, sbuffando un po’ di fumo come a sottolineare il concetto.
«Non intendevo questo, idiota.»
«E allora che volevi dire?»
«Intendo... quando il mondo iniziava e finiva qui» spiega Roxas, tornando a guardare il parco. «Era tutto più piccolo e facile da capire qui dentro, ed eravamo tutti insieme. Sognavamo di andarcene, sì... ma intanto tutto il nostro universo era a portata di mano.»
Axel, quando Roxas si volta di nuovo, lo guarda come se avesse iniziato a parlare al contrario, ma dopo poco la sua espressione si addolcisce e gli fa un piccolo sorriso. «Penso di capire. Anche a me ogni tanto manca essere piccolo» dice, rigirandosi la sigaretta tra le dita. «almeno da ragazzini ancora potevamo convincerci che la vita non fosse uno schifo.»
«Già...» Roxas mordicchia un’altra volta il filtro della sigaretta, le mani di nuovo nelle tasche dei pantaloni. Se chiudesse gli occhi e si concentrasse, probabilmente sarebbe come essere tornato indietro nel tempo. Vedrebbe Demyx che suona la chitarra e Xion che lo insulta perché sbaglia gli accordi, Zexion che cerca di nascondere il fatto che non riesce a staccare gli occhi da Demyx, Ienzo e Isa che leggono nel loro angolino, Lea che disegna e fuma seduto sull’altalena. «Sarebbe bello se fosse stato vero.»
Nella sua mente l’immagine sarebbe ripulita e vista con una lente rosa: Lea e Isa senza i lividi, Xion con i capelli legati e i vestiti che le piacciono e Demyx che sorride davvero. E Roxas sa che per quanto sia bello, non è la verità di ciò che erano.
«Una delle cose più dolorose quando sei un adulto che ha passato lo schifo che abbiamo passato noi,» dice improvvisamente Axel. Non guarda più Roxas, ma ha anche lui rivolto il viso verso il parco. «è accettare che nessuno verrà a salvarti. Tuo fratello, il suo fidanzato, la tua terapista, non potranno darti l’aiuto di cui avevi bisogno da piccolo. Io non posso rendere tutto migliore con un bacio, per quanto mi piacerebbe. Con i nostri amici possiamo supportarci e volerci bene a vicenda ma non possiamo far tornare indietro l’orologio per nessuno, non possiamo ridarci gli anni che abbiamo perso.»
Roxas resta per un po’ in silenzio, guarda Axel che continua a non incontrare il suo sguardo. Stringe i pugni nelle tasche, sentendosi i palmi sudare non solo per il caldo. «Parli come se fosse per esperienza.» commenta infine.
«Non hai idea di quante volte io abbia sognato di tornare indietro e cambiare tutto. Di risparmiare a me e Isa tutte le botte... di avere il coraggio di fare qualcosa di veramente utile.» Axel prende un’altra boccata dalla sigaretta e osserva il fumo sparire quando espira. «Ma nessuno può tornare da quel ragazzino spaventato e confuso che hai nascosto nel cuore e abbracciarlo e dirgli che va tutto bene. Devi essere tu davanti allo specchio a prenderlo per mano e dirgli che è finita, e a sfogare finalmente tutto il dolore e le lacrime. E fa schifo. Ma un giorno, probabilmente molto lontano, sono certo che smetterà di fare così male.»
Roxas fa un piccolo cenno di assenso, e quando sente la mano di Axel stringergli con delicatezza il gomito china la testa di lato, appoggiandola sulla sua spalla. «Immagino tu abbia ragione.» sussurra.
Restano così per un po’, guardando insieme il parco che per anni è stato il loro rifugio, la loro casa. Ma adesso non è più casa. Adesso la loro casa è in altri posti, dove c’è il sole e ci sono le persone a cui vogliono bene. Casa forse, sono sempre stati loro sette. Alla fine, Axel getta a terra il mozzicone e lo spegne con la punta della scarpa, afferrando la mano di Roxas.
«Andiamo a casa, Rox. Non c’è più niente per noi qui.»
La sensazione delle dita di Axel intrecciate alle sue, del metallo dei suoi anelli, basta a farlo scuotere.
Roxas si gira e lo segue, e non si volta più indietro.
 
«Posso restare?» chiede Roxas, seduto sul letto di Axel in una delle sue felpe in cui sembra annegare, un album di foto nuovo di zecca appoggiato sulle gambe incrociate.
«Finché vuoi, biondo.» risponde lui, mentre recupera una foto da una cartelletta verde e gliela passa.
Roxas nella foto ha appena quindici anni è abbracciato ad Axel, illuminati dal tramonto di Twilight Town, due ragazzini idioti e innamorati. Attaccato sullo spazio bianco del cartoncino, Roxas aveva scritto in pennarello blu mi manchi.
«Per sempre?» chiede all’improvviso, quasi sottovoce.
Axel gli sorride e lo guarda come se fosse la luna in persona. «Per sempre.»
 

Hello there. Ci siamo quindi, Spirals è ufficialmente finita. Con quasi un mese di ritardo, ma comunque.
È la prima volta che termino una storia al cento per cento, di solito già entro il secondo/terzo capitolo mi ero annoiat* o avevo iniziato qualcos’altro, invece questa volta sono riuscito a portare a termine, in modo più o meno soddisfacente, Spirals. E ne sono felice, perché questa storia è un piccolo tesoro che probabilmente terrò sempre nel mio cuore.
Ringrazio tutti voi che avete letto silenziosamente la storia, chi l’ha recensita e chi l’ha seguita, grazie di aver avuto la pazienza di leggere questa pazzia e di aspettare i miei aggiornamenti anche quando si sono fatti attendere. Un grazie specialissimo a quell’angelo di Sel, senza i cui consigli e incoraggiamenti non sarei riuscito ad andare avanti più del terzo capitolo. So che mi leggi!
Insomma, grazie davvero. Spero di essere stato all’altezza delle vostre aspettative, e se mi rivedrete in questo fandom spererò di continuare a esserlo.
Detto questo vi saluto, spero che abbiate gradito l’epilogo e se lo avete fatto vi invito a lasciare una recensione per dirmi cosa ne pensate, anche le critiche se costruttive sono ben accette.
See you on the flip side.
Vento di Fata

 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Vento di Fata