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Autore: AleeraRedwoods    10/02/2021    3 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-L'Alfiere del Cielo-



    Una voce dolce, eterea e fredda come l’argento le martellava in testa e Sillen aveva tutta l’impressione di averla già sentita.
    Brandelli di una storia. La sua storia.
    “Tu sei nata per una ragione…”
    Immagini di una vita passata e futura le passarono davanti agli occhi: c’era morte, c’era amore e c’era speranza. 

    “Tu sei nata per una ragione. Una maledizione… Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo. Dannata per l’eternità…”
    Le immagini scorrevano veloci e la Stella non riusciva più a distinguerne le forme.
    “Scenderai in battaglia. Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo. Sei maledetta… Riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia. La Stella dei Valar si è svegliata. La tua maledizione…”
    Le faceva male, voleva fuggire ma non poteva: perché stava accadendo, era già accaduto, e non avrebbe più potuto impedirlo.
    “Riunirai i Popoli Liberi. La Stella dei Valar porterà la pace e porterà il dolore. Dannata per l’eternità, porterai dolore… Tu sei nata per una ragione. Svegliati. Maledetta… Svegliati. SVEGLIATI!


    Sillen mosse appena le dita, tastando un terreno ghiaioso, freddo e ruvido sotto i polpastrelli. 
    Rabbia.
    Poco altro riusciva a provare, in quell’istante.
    Non seppe dire se le voci appena udite fossero reali o meno. In ogni caso, non le sarebbe importato.
    Era riversa faccia a terra e i suoi lunghi capelli le erano rimasti schiacciati sotto il busto, tirandole la cute dolorosamente. Si sforzò di tossire, il respiro ridotto a un rantolo sgradevole.
    Affondò ancora le dita nella ghiaia, avvertendo il gelo irradiarsi lungo il polso, negli avambracci, fino alle spalle indolenzite. Solo allora, la stella si accorse di non sentire più le gambe. Aprì gli occhi di scatto, agitandosi sul terreno come un pesce fuor d’acqua: si puntellò a fatica sui gomiti e voltò la testa, per constatare se le sue gambe fossero ancora al loro posto. Lo erano, solo immerse nell’acqua gelata.
    Sospirando di sollievo, Sillen si decise a reagire, girandosi con un lamento di dolore e strisciando fuori dallo scuro e freddo lago sotterraneo dov’era caduta.
    Cercò nel buio, con lo sguardo offuscato e le ciocche bagnate a sferzarle il collo. -T-Thranduil?- Il ricordo del sibilo glaciale della lama che si conficcava nel ventre dell’elfo le diede le vertigini e urlò più forte, tossendo altra acqua: -Thranduil! Manke naa lle!? (dove sei!?)-
    Sperò con tutta sé stessa che la lieve corrente del lago avesse spinto anch’egli a riva, in salvo. Sempre che fosse ancora vivo.
    Il terrore rischiò di pietrificarla sul posto ma la stella scrollò la testa con forza. La rabbia era tale da sopraffarla persino in quel momento. Strofinò le gambe con le mani, con gesti carichi di urgenza e, senza nemmeno attendere che i suoi muscoli si liberassero del tutto dal gelo, si sollevò in piedi, arrancando sulla ghiaia.
    La riva era ingombra di sassi ricoperti di melma, rocce viscide e pezzi di legno ormai marciti, che rendevano l’aria stessa satura d’un odore acre e stantio, tanto intenso da darle il voltastomaco.
    Chiamò ancora il nome dell’elfo, mentre la sua voce si perdeva in echi infiniti sopra di lei, nell’immensità ignota del sottosuolo.
    Incespicò, cadendo a carponi, le lacrime che avevano da tempo cominciato a rigarle il viso sporco. Thranduil l’aveva salvata. Era stato ferito per colpa della sua inettitudine. 
    No, perché prendersi la colpa ancora una volta?
    Lei ci aveva provato. Ci aveva persino creduto.
    Invece era tutto crollato, rotto, a causa del suo destino maledetto.
    Le voci dei Valar ancora mormoravano dentro di lei, facendola tremare: -Non voglio! Non deve essere lui il prezzo da pagare, io lo impedirò!- Scosse la testa, cercando dentro di sé l’ultimo briciolo di determinazione rimasto.
    Doveva trovare Thranduil ad ogni costo. Strinse i pugni, facendosi forza per rimettersi in piedi: -Thranduil!-
    Quando infine sollevò lo sguardo dinanzi a sé, Sillen si bloccò, il fiato sospeso. Incontrò gli occhi di luce di quell’altra, immobile e circondata da un’aura minacciosamente carica di energia distruttiva. Era a pochi metri da lei, silenziosa, accovacciata contro un grosso masso.
    Accanto al corpo inerme del Re degli Elfi.
    La paura animò le membra della stella come una scarica elettrica, spingendola a lanciarsi in avanti senza un attimo di esitazione. Le sue mani si chiusero attorno al primo bastone che riuscirono ad afferrare e corse con falcate instabili e disperate verso di loro: -STA LONTANA DA LUI!- Urlò, fendendo l’aria con quella ridicola arma improvvisata. 
    Quell’altra balzò via senza sforzo, atterrando una ventina di piedi più distante. Rimase immobile, con fare intimidatorio ma, stranamente, pareva non essere intenzionata a contrattaccare.
    Sillen si frappose tra lei e l’elfo, privo di coscienza: -Non osare avvicinarti!- L’avvertì, tremante, per quanto insulse potessero sembrare le sue minacce. Se avesse voluto, quell’altra avrebbe potuto gettarla al centro del lago con un unico manrovescio, si disse.
    Ma ciò non accadde e per parecchi secondi le due rimasero a fissarsi, immobili. Meglio così, Sillen non aveva tempo per affrontare i suoi incubi adesso.
    Accertatasi che il suo inquietante doppione fosse ancora deciso a rimanere dov’era, Sillen si voltò velocemente, inginocchiandosi di fianco al Re degli Elfi. -Thranduil!- Quando riconobbe i lineamenti del viso affilato di lui, la stella sussultò, portandosi una mano alle labbra: il lato sinistro era terribilmente sfregiato, solcato da profonde e frastagliate cicatrici argentee. Ma erano troppo singolari e antiche per appartenere a quel tempo.
    Con il cuore stretto in una morsa, Sillen spostò lo sguardo e scostò il mantello pregno d’acqua, avvolto intorno al corpo dell’elfo. Adocchiò subito la ferita e voltò la testa di scatto, cercando di non svenire. Era una brutta ferita e sanguinava ancora, nonostante i bordi arrossati e lividi si fossero ormai incrostati malamente. Dovevano essere passate ore, dalla loro caduta.
    Tuttavia, dopo una rapida analisi, Sillen sospirò profondamente, tremando per il sollievo. Thranduil era un combattente esperto ed estremamente agile: nonostante fosse accaduto tutto in una manciata di secondi, era riuscito a scostarsi giusto in tempo, in modo che la lama lo trapassasse senza però intaccare i suoi organi interni. Sillen soffocò i singhiozzi e si chinò sul suo viso dalle metà discordanti, baciandogli la fronte bollente a causa della febbre: -Bravo, bravo, bravo-
    Quando fu sicura che il tremore delle proprie mani non rappresentasse un ostacolo, scostò gli abiti dell’elfo, tirando su con il naso: -Starai meglio. Ora ti medicherò e la febbre scenderà, vedrai.- Lo rassicurò, senza curarsi che Thranduil fosse ancora incosciente e non potesse sentirla.
    Con gesti veloci, radunò i bastoncini più asciutti, accendendo a fatica un piccolo fuoco. Soffiò più volte, tentando di animare la timida fiamma pur riscuotendo ben poco successo e imprecò, proprio com’era solito fare Glorfindel. Doveva sterilizzare la ferita o l’infezione non si sarebbe arrestata.
    Tastò tra le vesti di lui, cercando nelle tasche nascoste qualcosa che potesse tornarle utile. Finché le sue dita infreddolite non incontrarono una consistenza insolita, all’altezza della cinta del Re: un sacchettino di morbida tela scura.
    Sillen lo studiò velocemente, lanciando uno sguardo sospettoso verso quell’altra. Era ancora immobile, intenta a osservarla, silenziosa e sinistra come la personificazione stessa della paura. Tuttavia, il suo comportamento era diverso dal solito, estraneo. Pareva quasi avesse sorvegliato l’elfo, in tutto quel tempo. Ad ogni modo, se avesse voluto far loro del male, pensò la stella, l’avrebbe già fatto.
    Il sacchettino del Re conteneva un’erba scura e profumata, simile all’athelas, e una piccola scintilla di speranza animò la stella. Non poté fare altro che tentare e prese a masticare le foglie con cura, come aveva visto fare a Galion durante la battaglia. Lasciò che l’erba agisse il più possibile nella ferita, tamponando il viso dell’elfo con un lembo di stoffa.
    Incredibilmente, l’emorragia si arrestò in breve tempo e persino la pelle attorno alla ferità cominciò a sembrare meno livida. Sillen fissò quel rapido e miracoloso cambiamento, gli occhi sgranati dalla sorpresa.
    Poi ricordò: aveva già sentito il profumo di quell’erba. Rivide Thranduil nella sua stanza, a Minas Tirith, intento a medicarla e non riuscì a trattenere oltre le lacrime: -Sei uno stupido. Un vero stupido, Thranduil.- Pianse, stringendogli la mano e portandosela al petto. Riversò fuori di sé tutta la paura, l’angoscia e la stanchezza, esasperata.
    Voleva solo tornare a casa con l’elfo che amava, al sicuro, nelle incantevoli sale del Reame Boscoso.
    Nel silenzio, solo gli occhi luminosi di quell’altra disturbavano il suo momento di intimo sfogo. Almeno, così pensava.
    -Che sentimentale. Il mondo non è cambiato, nemmeno dopo Tre Ere.-
    Sillen s’irrigidì di colpo, udendo quelle parole. Si voltò di scatto verso quell’altra, convinta che fosse stata lei a parlare.
    Invece, non incontrò il suo sguardo di luce: ella fissava il buio oltre le rocce della sponda, tesa.
    -Mi era parso di sentire una puzza familiare.-
    Ancora una volta, la voce estranea serpeggiò tra le rocce e la ghiaia, fendendo il vuoto come lo schiocco di una frusta. E altrettanto sferzante fu l’ironia che tinse il suo tono: -Credevo di essere abbastanza fortunato da non rivedere mai più una stella in vita mia.-
    Sillen si tirò in piedi, all’erta: -C-chi c’è?!-
    -Ho preferito passare secoli in questo lugubre posto, piuttosto che sopportare la presenza di voialtre ed ecco che me ne cade una dal cielo.-
    Quella voce non era comparabile a nulla che Sillen avesse mai udito. Sembrava alta e chiara, eppure non produceva eco. Indefinita, senza caratteristiche descrivibili o sesso, sfiorava la mente prima che l’orecchio potesse udirla. E, nonostante tutto, era estremamente espressiva.
    -Fatti vedere!- Esclamò la stella, scrutando nel buio. -Mi è un po’ difficile. Sai com’è, non ho estremità utili allo scopo di camminare.- Sillen aggrottò le sopracciglia, sospettosa.
    Doveva scoprire a chi diamine appartenesse quella voce ma non voleva lasciare il fianco dell'elfo.
    Suo malgrado, tornò a rivolgersi a quell’altra, come a capire quale azione fosse meglio intraprendere. Questa rimase immobile, fissando il buio: a quanto pareva, lei aveva già individuato la fonte di quella voce ma non sembrava aver voglia di andare a controllare da sé.
    Con un respiro profondo, Sillen tirò fuori il pugnale dallo stivale, stringendolo decisa. S’incamminò nella direzione dello sguardo di quell’altra e soppresse un brivido quando si ritrovò a superarla. Ancora una volta, ella non si mosse, per nulla intenzionata ad abbandonare il suo ruolo di spettatrice.
    Lontana dalla luce del fuoco, Sillen cominciò ad abituarsi all’oscurità, distinguendo le forme attorno a lei. E si accorse di un bagliore tra esse. -Mostrati e dimmi il tuo nome!- Balzò, fingendosi più sicura di quanto non fosse.
    Tuttavia, si arrestò all’istante, trattenendo di colpo il respiro: non era una persona, era un’alabarda. La stella ne aveva viste tante, nelle armerie e nei campi di allenamento, ma nulla che potesse paragonarsi a quell’enorme arma dall’aspetto inverosimile. Era rivolta al contrario, le lame verso il basso, come fosse caduta dall’alto per poi rimanere maldestramente conficcata nella pietra. L’asta era spessa e liscia, di un materiale sconosciuto e scuro come l’onice, interamente solcato da spirali di mithril purissimo.
    Sillen ne percorse la lunghezza con lo sguardo, la bocca schiusa per la sorpresa: l’estremità finale pareva appuntita e terribilmente affilata e dal lato opposto, impiantata nella roccia quasi vi si fosse fusa, brillava la testa dell’arma. La punta dell’asta era lunga e sottile come il fuso di un arcolaio e le due lame opposte, simili a quelle di un’immensa ascia, si profilavano con curve tanto micidiali quanto eleganti e manieriste. Ed era più alta della stella di quasi due teste.
    Sillen la fissò con sgomento, incredula e cominciò a realizzare.
    Quell’alabarda brillava debolmente ma emanava un’aura tanto potente da sovrastare qualsiasi altra energia attorno. Immersa dentro essa come in una bolla densa, la stella nemmeno se n’era resa conto: -L’Alfiere del Cielo…- Sussurrò, la gola secca.
    Dunque, ciò che le stelle avevano forgiato per distruggere le catene di Morgoth e liberare l’astro del Sole altro non era che un’alabarda!
    Cadendo nel lago sotterraneo, l’avevano finalmente trovata.
    -E tu sei la Stella dei Valar. Ti hanno mai detto che fissare è scortese?- Ribatté l’Alfiere, riscuotendo la giovane dalla sua contemplazione. -C-come?-
    -Oh, cielo. Ne hanno mandata una sorda. Quasi non mi sorprende.- Sillen aprì la bocca, sconvolta. L’Alfiere aveva una sua… coscienza. Di sicuro aveva un certo personalino. Ed era stato lui a parlarle, prima.
    Sillen sentì il proprio animo agitarsi, così vicino all’arma divina. Le parve di conoscerla da sempre, come l’avesse già incontrata in un vecchio sogno, o in un sogno nel sogno. E il pizzicore sulla sua nuca era ormai diventato un vero e proprio dolore pulsante.
    La presenza che la chiamava da Ovest, dunque, era sempre stata l’alabarda divina.
    Allungò una mano, cercando di sfiorare quella superficie sconvolgente ma la voce dell’Alfiere la fermò: -Fossi in te non lo farei. Ti ucciderei ancor prima che le tue dita mi tocchino.- La stella si tirò indietro, spaventata. Avvertiva il potere soverchiante dell’alabarda ma pareva quasi… soffocato nella pietra. Dava l’impressione che, una volta estratta da essa, l’arma potesse esplodere.
    -Sono Sillen.- Si presentò lei, senza avere alcuna idea su cos’altro dire. L’Alfiere del Cielo brillò leggermente, mentre una familiare luce bianca danzava su e giù in tutta la sua lunghezza:
-Sì, ci ero arrivato da solo.- Sillen balbettò: -M-mi conosci?-
    -Perché sei qui? Non hai una mitica battaglia da combattere, lassù in superficie?- Tagliò corto, l’arma. Sillen strinse le labbra, raddrizzando le spalle: -Non è andata secondo i piani.- Ammise.
    L’alabarda tacque per un po’, poi sembrò tremare lievemente. Stava ridendo? -Vedo. Il tuo amante è ferito e tu… Tu ti sei separata dal tuo potere.- L’altra strinse automaticamente il ciondolo viola, intuendo cosa l’arma avesse scorto: -L’ho perduto per salvare una vita.-
    -Perduto… Se la metti così.- Sillen si irrigidì, sondando quelle parole sprezzanti e intrise di sarcasmo. Quel tono la faceva sentire una stupida, un’ingenua bambina: -So che ci sono degli equilibri che non possono essere intaccati. Una vita in cambio del mio potere. Così doveva andare e così è andata.-
    -Come sei saggia.-
    -C’è qualcosa che mi sfugge?- Sibilò lei, tra i denti, oltremodo spazientita. L’Alfiere brillò debolmente, espressivo persino senza possedere espressione: -Puoi dirlo forte. Per esempio, ti ricordo che sei una stella, come tutte le altre tue sorelle nate da Elentári. Non è così facile far sparire per sempre un potere come il tuo. Soprattutto per un’insulsa vita mortale, figuriamoci.-
    La giovane ridusse gli occhi a due fessure: -Come sai che stiamo combattendo una battaglia? E io non ho mai detto che la vita che ho salvato è mortale.- Si mise sulla difensiva, stringendo il pugnale pur apparendo estremamente ridicola, difronte a quell’immensa arma.
    Questa, infatti, non si lasciò nemmeno scalfire: -Conosco ogni cosa che accade nella Terra di Mezzo, poiché tutto riverbera nel suolo ed io ne assorbo ogni più piccolo movimento. Saprei dirti quanti cadaveri marciano verso Gondor, quanti pesci sguazzano nel Brandivino e quante foglie si posano sulla terra bruna di Eryn Lasgalen.- Esordì, tronfio ed altezzoso.
    Sillen sgranò gli occhi, interiorizzando quella rivelazione. Quindi, l’Alfiere sapeva anche perché lei e i suoi compagni si trovavano lì, stava solo bluffando. E si era tradito.
    -Sai tante cose sul mio potere.-
    -Ovviamente. So della profezia, della battaglia, dei tuoi amici alleati e persino del tuo amato elfo.- Lei si avvolse le braccia attorno al corpo, come se temesse che l’Alfiere riuscisse addirittura a leggerle l’animo: -E sai della natura delle stelle, coloro che ti hanno creato.- Con quelle parole, Sillen sapeva di ergersi impudentemente sopra di lui, come creatura appartenente a quella stirpe senza la quale l’Alfiere stesso non avrebbe mai visto la luce.
    Come si aspettava, la cosa non piacque affatto all’arma divina, che tintinnò contro la roccia: -Come quelle che ho disprezzato e dalle quali sono fuggito.- Sillen distolse lo sguardo, cercando di moderare la propria arroganza.
    Ricordava bene la storia raccontata dai suoi compagni ma non aveva compreso che fosse un odio profondo a legare l’alabarda alle stelle: -Credevo che il tuo risentimento fosse rivolto all’astro della Luna, colui che non volle più brandirti.- Osservò la luce dell’Alfiere farsi più scura, quasi livida: -Non vedo perché dovrei portare avanti questa conversazione con te.-
    -Non ti sei sentito solo, durante queste lunghe Ere?- Cambiare argomento era più saggio che provocare l’arma, pensò Sillen.
    Sarebbe arrivata al punto percorrendo un’altra strada.
    -No. Il passare del tempo è relativo, per me.-
    -Perché non hai mai cercato di uscire da qui?-
    -Per fare cosa? Vendicarmi? Non m’interessa, preferisco guardare il mondo sgretolarsi da solo senza bisogno del mio aiuto.-
    -Credi saresti… malvagio?- A quella domanda, l’alabarda si zittì.
    Parve pensarci su per un po’, come a misurare ogni virgola della propria risposta: -No.- Dichiarò, infine: -Credo sarebbe spinto alla malvagità chi tenti di utilizzare il mio potere. Ma io sono un’arma e come tale non rispondo delle azioni che il mio portatore compie attraverso me. Piuttosto, se dovessi agire di mia iniziativa, non ci penserei due volte a spazzare via quelle deboli e patetiche stelle che non sono state capaci nemmeno di distruggermi.-
    Sillen sentì il proprio cuore mancare un battito. Ecco il rimorso che divorava la luce dell’Alfiere del Cielo: non era solo contrariato dalla debolezza di Tilion ma odiava le stelle perché esse lo avevano abbandonato a sé stesso, nonostante fosse una loro creazione. Una loro responsabilità.
    -Posso persino dire di capirlo.- Mormorò, stringendo il ciondolo in mithril.
    Rimasero entrambi in silenzio, quasi rispettando i sentimenti silenziosi che stavano condividendo. Quello era un mondo dalle regole davvero ingiuste, pensò lei.
    Tuttavia, sapeva che l’Alfiere non avrebbe retto il gioco ancora per molto e lei doveva sbrigarsi a portare a termine il compito per cui aveva intrapreso quel viaggio o Thranduil non avrebbe ricevuto le cure di cui aveva bisogno.
    -Alfiere del Cielo, io sono una stella. Non ero ancora nata quando le mie sorelle ti hanno abbandonato ma ora sono qui, per scusarmi a nome di tutte loro. E ti chiedo di aiutarci.- Si avvicinò di un passo, decisa e sincera. Ma la voce sprezzante dell’arma la colpì come uno schiaffo in pieno viso: -Sì, certo. Che pensiero gentile.-
    -Ti prego, ascoltami! Pallando usa i frammenti del Palantir e noi non sappiamo come-
    -E tu credevi che, chiedendomelo per favore, mi sarei immolato per la tua bella causa? No, grazie, Stella dei Valar.-
    Sillen rimase con le mani a mezz’aria, incredula. -T-tu hai liberato Arien dalle catene di Melkor, quel giorno!- L’Alfiere sfrigolò, come fa la pancetta sulla padella ardente: -Non ricordarmelo.- La rimbeccò, seccamente.
    La stella indicò la superficie, senza lasciarsi intimorire: -Oggi come allora, il Male avanza e si comporterà in modo ingiusto e sbagliato, ferendo gli innocenti!-
    -Non mi sono preoccupato di mali ben peggiori del tuo, credimi. E comunque la Terra di Mezzo è ancora tutta intera. O pressappoco.-[1] La prese in giro lui, ironico.
    -Hai liberato il Sole, è stato un atto di Giustizia! Non è per questo che sei stato creato? Perché rimani indifferente, adesso?!-
    -Proprio tu mi chiedi perché?- La zittì l’Alfiere, alzando il tono della sua innaturale voce. Sillen fece un passo indietro, instabile sotto quell’energia in fermento. -Io non ho chiesto di essere creato. E guarda caso nessuno mi ha domandato cosa ne pensassi, prima di darmi un preciso compito. Oh, ma tu lo sai, hai detto. Sai cosa si prova. Allora alza i tacchi ed esci da queste Miniere, va’ a morire nel modo che ritieni più giusto ma lasciami in pace. Dannati i Nani e le loro gallerie, e dannato quello Stregone Bianco e la sua lingua lunga. Stavo così bene da solo.-
    La stella sentì la rabbia montarle nel petto. Lui aveva ragione, lei sapeva bene cosa volesse dire nascere per perseguire un unico ed inevitabile destino: -Ma io sono arrivata sino a qui, nonostante tutto. E non ho intenzione di rinunciare.- Tremò, stringendo i pugni e fissando gli occhi d’ametista sull’onice lucida dell’Alfiere.
    -Sei più testarda di quell’Istar tutto pulito. Anche se finirai per andartene a mani vuote come lui.-
-Tu mi hai chiamata! Non negarlo, ti ho sentito, nella mia testa! Come vorresti spiegare questo legame che ci unisce?- Tentò, sperando che quel singolare senso di familiarità avesse avvolto anche l’arma.
    -Non ho fatto niente del genere.- E quel tono aveva tutta l’aria di essere una menzogna bella e buona.
    -Io sono destinata a te, perché non lo vuoi ammettere?-
    -Buon per te, sai quanto m’interessa.-
    Prima che Sillen potesse ribattere ancora, l’Alfiere parve perdere la pazienza: -Dimentichi che io so già tutto di te, Sillen. Anche se mi fossi simpatica, stupida ragazzina, ora come ora non sei in grado di gestire te stessa. Come diamine credi di poter reggere il confronto con il mio potere?-
    -So di non esserne degna. Glorfindel ti brandirà!- L’alabarda tremò ancora, in quella sua strana risata: -Già, il Vanyar fuori controllo. Forse lui potrebbe estrarmi ma dubito fortemente che resisterebbe alla mia energia. Lo consumerei nell’oscurità del suo stesso animo prima ancora di giungere a Gondor.-
    Il suo tono irriverente lasciò la stella ancor più furiosa ed esasperata. -Cosa devo fare, allora?- Chiese, il tono supplice maldestramente celato dietro una maschera di stizza. L’arma divina nemmeno ci fece caso: -Non è un mio problema. Prendi i tuoi amici, il tuo Re elfico e vattene. Non sono precipitato su questa Terra per fare da balia a un gruppetto di poveri imbecilli, tutti contenti di combattere per quei simpatici Valar che tanto amano. Se non vuoi che vi disintegri qui, vedi di sbrigarti.-
    -Non me ne andrò!-
    -Quanta… arroganza!- Le inveì contro, la voce esasperata dell’arma. Sillen si coprì le orecchie, scossa da brividi gelidi, ma non accennò ad indietreggiare.
    -Guardati. Non sei diversa da tutte le altre stupide cocciute stelle. Persino dopo una separazione non ti rassegni!-
    -S-separazione?- Balbettò lei, aggrottando le sopracciglia.
    L’Alfiere baluginò lievemente, illuminando un po’ di più quello scarno spazio tra le rocce: -Lascia perdere.-
    -Cosa intendi per separazione?- Insistette Sillen, con l’acuta sensazione di aver appena scoperto qualcosa di fondamentale.
    L’alabarda rimase qualche secondo in silenzio, come se stesse riflettendo: -Sono quasi tentato di lasciarti nell’ignoranza… Nella tua immensa intelligenza, non ti sei mai chiesta chi diamine sia quella cosa che ti segue?- Sillen si voltò quel tanto che bastava per notare la presenza di quell’altra, poco lontano da loro. Sentì il proprio cervello scricchiolare, nel tentativo di capire.
    Lei si era separata?… Si era separata dal suo potere. Separata.
    Sgranò gli occhi, avvertendo il peso di quella scoperta schiacciarla. Stupida, pensò. Non poteva essere più ovvio: la forza sovrumana, gli occhi di luce. 
    Quell’altra era il suo stesso potere.
    -Ha cercato di uccidermi.- Farfugliò, portandosi una mano alla testa, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello impassibile di quell’altra. L’Alfiere del Cielo parve quasi sbuffare: -Beh anche se fosse, credi non avesse le sue buone ragioni, Stella dei Valar? Hai posto dei singoli individui al di sopra del tuo compito, del tuo destino. Dunque, il tuo potere divino si è trovato in difficoltà, diviso tra ciò per cui era nato e i tuoi stessi sentimenti.-
    Sillen scosse la testa, incredula, ma le parole dell’arma acquistavano consistenza, dentro di lei.
    -Il tuo potere è legato intrinsecamente al tuo destino. Rifiutandolo, hai rifiutato anche il compito che ti è stato assegnato, ciò per cui sei venuta al mondo. Così, il tuo potere tradito ha generato in sé odio e rancore.- Le rinfacciò l’alabarda, con tono grave.
    Sillen si appoggiò alla parete di pietra, instabile sulle gambe ormai tremanti. Ricordò quella notte, sulle mura di Minas Tirith, e le parole che aveva pronunciato le riverberarono nella mente: “Io non ti voglio e mai più ti vorrò, uccidimi pure ma salvalo! Se non lo salvi sarò io ad ucciderti, lo giuro!” Era ancora una volta colpa sua?
    Strinse i pugni, respirando a fondo: quella cosa aveva tentato di ucciderla più volte e c’era quasi riuscita. Ci sarebbe riuscita, anzi, se non fosse stato per l’intervento dei suoi compagni. Come poteva essere parte di lei?
    Il vuoto dentro il suo corpo risuonava sordo, assorbendo quell’informazione assurda. -Io non lo sapevo…- Mormorò, distrutta. Quell’altra rimase immobile a fissarla, come sempre, indifferente ad ogni sua parola.
    -Se il tuo potere ha tentato di ucciderti, è perché non puoi esistere senza esso. Mi sembra logico. Ed equo.- Concluse, piccato, l’Alfiere del Cielo.
    Sillen sentì le forze abbandonarla e credette di svenire. Si appoggiò alla parete dietro di sé, stringendosi le braccia attorno al corpo come per impedirgli di cadere in pezzi.
    Com’era potuto accadere tutto questo?
    L’Alfiere aveva negato loro il suo aiuto, come aveva fatto con Gandalf trent’anni prima. E se l’Istar non era riuscito a imporsi, chi di loro avrebbe potuto? Cosa poteva fare lei, ridotta in quel modo? Con una parte di sé lì accanto, pronta a ucciderla?
    Il suo sguardo si posò sull’elfo ancora steso sulla riva, inerme. Per cosa aveva combattuto, sino a quel momento? Non per lei, non per il suo ambizioso potere. Aveva combattuto per coloro che amava. Se doveva morire, allora voleva scegliere lei come.
    E, di sicuro, non sarebbe stato in modo tanto ridicolo.
    Tirò un pugno violento contro la roccia, lasciandosi ad un urlo di frustrazione. L’Alfiere tremò nel suo nascondiglio, turbato:
-Sillen, ascoltami.-
    -No!- Gridò lei. -Ascolta tu! Sono stanca di sentirmi dire cosa posso o non posso fare, io devo tornare a Minas Tirith! E NON LO FARÒ A MANI VUOTE!- Si lanciò sull’alabarda, furente e determinata ma la voce di questa la bloccò, quasi terrorizzata:
-FERMA, stai facendo proprio quello che i Valar desiderano, stupida!-
    Sillen arrestò il suo slancio, distendendo il viso in un’espressione sorpresa. L’Alfiere quasi sospirò di sollievo: -È la profezia.- La stella strinse i denti, impaziente: -Spiegati.-
-Non capisci? Io sto cercando di lasciarti libera, ragazzina!-
-Allora spiegami cosa sta succedendo e permettimi di capire!- Lo aggredì, nonostante il suo corpo vuoto dolesse terribilmente, dinanzi all’energia dell’arma.
    Questa parlò con tono quasi forzato: -Dovrai affrontare una prova per vincere il Male. E se vincerai e porterai la Pace, dovrai pagare un caro prezzo.- Sillen inclinò la testa: -Lo so bene. Cos’ha a che fare con te?-
    -Perché sentivi la mia voce? Perché sei caduta in questo lago? Perché sei stata tu a trovarmi?- Sillen lanciò uno sguardo al Re degli Elfi: -Thranduil è stato ferito. Credevo fosse lui il prezzo da pagare per portare la Pace… in qualche modo.- L’Alfiere brillò, attirando nuovamente su di sé la sua attenzione: -I Valar non hanno influenza sul destino delle creature viventi, poiché esse possiedono il libero arbitrio. Non potevano sapere che l’elfo si sarebbe sacrificato per te. No, la profezia è chiara e non si può raggirare: sarai tu stessa a pagare il prezzo, Sillen.-
    Lei lo fissò, senza capire: -C-come?-
    -Il tuo potere ha smesso di attaccarti, da quando sei qui. Non è forse vero?- Sillen annuì, attenta. -Non aspetta altro che tu scelga di brandirmi. Così, lo riassorbirai nuovamente, tornerai a realizzare la profezia, e con essa il destino che vi è… che ti è stato imposto.- Le rivelò, tristemente.
    Lei lasciò cadere a terra il pugnale, che aveva stretto tanto da ferirsi i palmi: -In che modo?-
    -Se mi brandirai, assorbirai tutto il mio potere e diventeremo un’unica entità. Sono creato per questo, per servire gli astri e le stelle. Nessun altro essere può farlo, per questo sappiamo che entrambi eravamo destinati ad incontrarci. Per questo mi sei familiare quanto io lo sono a te. Ma questa tua scelta, comporterebbe la tua inadeguatezza a rimanere nella Terra di Mezzo.- Sillen annuì, comprendendo quella motivazione: -Perché Bene e Male devono essere in equilibrio.-
    -Un Bene troppo grande, porterà un Male altrettanto grande. Per proteggere gli abitanti di questo mondo, dovremo tornare nel firmamento, senza poter fare ritorno. Esiliati per l’eternità.-
    La stella sentì gli occhi riempirsi di lacrime: -Perché mi dici queste cose?-
    -Perché né io né te vogliamo rispettare il volere altrui. I Valar hanno sottovalutato il nostro libero arbitrio. Sai di avere tanto da perdere.- La sua luce sfiorò il corpo del Re degli Elfi, come per dimostrarle la verità insita nelle sue parole. -Quindi, ora sai. Compi la tua scelta, Stella dei Valar. Puoi fonderti con il tuo potere, estrarmi e tornare ad essere chi sei destinata ad essere, per vincere la guerra ed eliminare il Male. Oppure, puoi scegliere di combattere la tua nemesi, tornare a Minas Tirith con l’elfo che ami, da umana, e plasmare il tuo futuro… Lasciare che la storia compia il suo corso da sola, senza alcun destino scritto, fino al momento in cui la morte verrà a prenderti. Tutto ciò che dobbiamo decidere è cosa fare col tempo che ci viene dato.-[2]
    Sillen interiorizzò quelle parole, cauta.
    Era arrabbiata, così arrabbiata. Come potevano i Valar averla creata con il semplice scopo di compiere quell’impresa, sapendo che il suo destino l’avrebbe costretta ad abbandonare chi amava?
    Se erano così buoni e magnanimi, come potevano farle così male? Forse, sarebbe stato meglio non provare alcun sentimento. L’avevano creata male. Avevano sbagliato.
    E adesso, lei sapeva che scelta compiere.
    Guardò l’Alfiere del Cielo e, solennemente, s’inchinò: -Grazie, compagno. Le mie sorelle sono state ingiuste con te. Non meritano il tuo perdono.- Non aggiunse altro, poiché sapeva di compiere il volere di entrambi, adesso.
    Con un respiro profondo, diede le spalle all’Alfiere del Cielo, allontanandosi dalla sua familiare luce.

    Quando fu vicina al fuoco, Sillen abbassò lo sguardo sull’elfo che amava, lasciando che la consapevolezza di ciò che aveva appena compiuto l’assalisse: -Perdonami, Thranduil.- Affondò le dita nei capelli e li tirò indietro, fissando il vuoto e il buio con il crescente peso della libertà a stritolarle lo stomaco.
    Pensò a tutti i suoi amici, ad Elessar, a Legolas, alla Principessa Miniel e mai come in quell’istante comprese quanto il suo fallimento fosse grave. Ma la sensazione di tornare a respirare come dopo una lunga apnea le dava ancora le vertigini.
    Era libera. Poteva rimanere con lui, con loro.
    Avrebbe indossato la sua armatura e avrebbero combattuto con gli Uomini liberi di Gondor, con tutti gli orgogliosi popoli pronti a morire per la loro Terra.
    Sarebbe vissuta da donna libera. O morta, da donna libera.
    Avrebbe scelto lei. Sorrise, portandosi le mani sul cuore.
    Fu solo per caso, lasciando vagare lo sguardo offuscato dalle lacrime, che Sillen si rese conto che quell’altra non era più al suo posto. Confusa, la stella volse la testa da una parte all’altra, sperando di non vederla mai più: -Ma dove-
    Prima che potesse rendersene conto, sentì il proprio corpo volare all’indietro e un dolore lancinante le trafisse lo stomaco. Cadde di schiena nella ghiaia, parecchi piedi lontana dal fuoco.
    Si girò a fatica su un lato, scossa dai conati e si ritrovò a vomitare sangue. Nemmeno ebbe il tempo di chiedersi cosa fosse accaduto che un altro colpo la investì, questa volta un calcio dritto all’addome. Rotolò malamente, finendo per sbattere contro un grosso masso nero. Sentì le ossa scricchiolare, il collo dolere per il contraccolpo. Provò a muoversi ma un peso la bloccò al suolo, salendo cavalcioni su di lei.
    Sillen sentì ogni fibra del proprio corpo tremare quando quell’altra le strattonò i capelli, avvicinando il proprio viso al suo: -Sono la tua maledizione. A causa del tuo fallimento, sarai dannata per l’eternità e porterai dolore e morte sul tuo cammino. Hai vissuto maledetta. E sarai maledetta per sempre.-
    La giovane ascoltò quelle parole, quelle stesse parole che aveva udito ancor prima di svegliarsi, dopo la caduta. Quelle stesse parole che l’avevano accompagnata per tutta la sua breve vita. La stessa voce distorta che aveva udito nella sua testa per tante volte e che, adesso, la stava condannando.
    Lo aveva già visto, questo momento.
    Non aveva capito, allora. Ma adesso, era tutto più chiaro.
    E si sentì sollevata.
    Fissò gli occhi di luce del suo doppione e, forse a causa del dolore o della confusione, l’unica cosa che riuscì a pensare fu: “Perdonami, Stella dei Valar”. Poi quell’altra le lasciò i capelli e, con impietosa decisione, le assestò un pugno in pieno viso.
    Sillen sentì le ossa del naso scricchiolare pericolosamente e vide il sangue sporcare le nocche di ferro dell’altra. Un altro colpo granitico e fu il turno dello zigomo. Ancora, e questa volta furono le labbra a spaccarsi, bruciando come il fuoco. E poi ancora, ancora. Il tempo era scandito solo dal debole crepitare del fuoco e dal terribile suono dei tonfi che colpiscono la ghiaia sottostante, senza che né la vittima, né la carnefice emettessero un singolo singulto. 
    Quell’altra si fermò solo quando il viso tumefatto di Sillen fu ridotto ad una maschera di sangue brillante. La giovane respirava a fatica, mentre il dolore insopportabile le stordiva i sensi. Aspettò che i suoi occhi si riaprissero, nonostante il sangue e le ferite, senza fretta.
    Ora sapeva cosa fare, non aveva più paura.
    Fissò quell’altra con espressione grave e rantolò: -Ora conosco la verità. E non esistono scuse per quello che ti ho fatto. Ma se tu sei stata parte di me, sai che non rimpiango una singola azione.
    Quell’altra distolse lo sguardo, per la prima volta da quando aveva coscienza fuori dal corpo della stella. Sillen si fermò solo per sputare sangue: -Mi dispiace, per ciò che ti è accaduto. Questa maledizione è tanto mia quanto tua, ora riesco capirlo. Scusami, se non ti sono stata vicina.-
    L’altra parve tremare, sopra di lei, come se quelle parole l’avessero colpita in pieno viso al pari dei suoi pugni sul volto di Sillen. Tuttavia, la stella continuò, ferma e sicura: -Se vorrai uccidermi, combatterò contro di te. Non ho paura di morire, dovresti saperlo. In caso contrario, puoi andare dove preferisci, adesso. Io non impugnerò comunque l’Alfiere del Cielo, poiché rispetto la sua libera scelta. E la mia.- Annunciò, solenne.
    -Anche se non potrai perseguire il nostro destino, ti auguro di trovare un posto nel mondo e forse, un giorno, esisterà qualcuno pronto ad accoglierti come io non ho saputo fare.- Detto ciò, lanciò uno sguardo all’Alfiere del Cielo e, per l’ultima volta, cercò gli occhi di luce che un tempo le appartenevano: -Grazie per tutto.- 
    Quell’altra rimase immobile per un po’, come a decidere cosa fare. Poi, con lentezza quasi abbattuta, si alzò e le diede le spalle. Andò a sedersi sulla pietra fredda, poco distante dall’Alfiere del Cielo: il suo corpo cominciò ad aderire alla roccia fino a che non ne fu quasi del tutto inglobato. Solo il suo viso affiorava, come un rilievo estremamente realistico.
    Infine, ella chiuse gli occhi di luce, addormentandosi per sempre nelle profondità della terra. In attesa.
    Sillen lasciò che la consapevolezza di ciò che era appena accaduto la riempisse come un’onda benefica, respirando a fondo.
    Era tutto finito, finalmente. Un pezzo di sé se n’era andato ma non si era mai sentita tanto leggera.
    Si alzò a fatica, tamponando il sangue che le gocciolava dalla bocca, dal naso, dalle sopracciglia. Si trascinò fino al lago e si pulì a lungo, lavando via tutto. Tutto quanto. Forse aveva bisogno di qualche punto di sutura ma non erano ferite mortali. Doveva solo farsi rimettere a posto le ossa del naso, forse, anche se non era in grado di capire come e dove fosse rotto.
    Tornò al fianco di Thranduil, ravvivando il piccolo fuoco. La pianta medicinale aveva ormai perso le sue proprietà ma la ferita era migliorata moltissimo e Sillen poté bendarla senza aver bisogno di cauterizzarla. Raccolse un po’ d’acqua, bevendo avidamente e tentando di darne un po’ anche all’elfo.
    Sfinita, stravolta, dolorante e confusa, la stella cominciò a vacillare. Aveva un sonno tremendo, aveva fame e il piccolo fuoco non riscaldava quanto avrebbe voluto. Non le rimase altro da fare che attendere il risveglio del Re degli Elfi, pronta a tornare a Minas Tirith.


 
**

    Thranduil si portò una mano al ventre, contraendo i muscoli del viso in una smorfia di stizza e dolore. Tastò la fasciatura, tendendo l’udito fine: sentiva il lieve andirivieni dell’acqua, il gocciolare della condensa sulle rocce e, chiaro e meravigliosamente vicino, il respiro regolare della stella.
    Socchiuse gli occhi, incontrando le lunghe ombre della grotta sotterranea, a malapena illuminate dal debole fuoco che sfrigolava accanto a loro.
    L’ultima cosa che ricordava era il viso sorpreso di Sillen, mentre una lama affondava nel suo corpo fin troppo vicino ai suoi punti vitali. Per fortuna, non era uno sprovveduto alle prime armi.
    Voltò la testa, allungando automaticamente una mano non appena il suo sguardo si posò sulla giovane addormentata, che gli dava le spalle. La familiare sensazione di fresco e sollievo al ventre gli diede la conferma che ella aveva ben saputo come occuparsi di quella ferita, lasciando che la Radice del Sole e il suo sangue elfico facessero il resto.
    Si tirò a sedere, lentamente, accertandosi della propria condizione e Sillen si svegliò all’istante, quasi avesse avvertito quel cambiamento. -Stai bene?- Esclamò, ancor prima di tirarsi a sedere. Il Re annuì, muovendo e flettendo le estremità: -Sto bene.-
    Quando vide la stella in volto però, sgranò gli occhi e lei si affrettò a sollevare le mani, come in un gesto di difesa: -Sto bene anche io! È una storia lunga ma adesso non abbiamo tempo per questo.- Poi aggrottò le sopracciglia doloranti, in un’espressione confusa, tanto che l’elfo si riscosse dalla sua sorpresa: -Sillen?-
    Lei scosse la testa, stringendo le labbra tagliate: -Perdonami, va davvero tutto bene. Solo che il tuo viso era diverso, mentre eri incosciente.- Thranduil storse la bocca, intuendo quanto era accaduto.
    Una delle tante fortune che portava l’essere un Re elfico antico e potente, era proprio saper celare quegli sgradevoli inconvenienti: -Si tratta di vecchie ferite. Di un’altra vita, quasi.- Concluse.
    Lei annuì, avvicinandosi carponi: -Le tieni nascoste con la magia?- Chiese, arrivandogli davanti e controllando per l’ennesima volta che la fasciatura fosse ben fissata. Il Sindar sorrise, osservando le sue mani dorate tremare appena al contatto con la sua pelle d’alabastro: -Più o meno. È una cosa da Elfi.- Sillen lasciò le bende solo per gettargli le braccia al collo.
    Aveva bisogno di raccontargli tutto, di ascoltare le sue opinioni, persino i suoi rimproveri. Ma soprattutto, voleva uscire dalle Miniere e sentire il sole sulla pelle. -Mi hai spaventata.- Mormorò, strofinando il viso innaturalmente gelido sulla sua guancia calda. Thranduil la strinse a sua volta, sospirando. Già, erano stati dannatamente fortunati a cadere in acqua.
    -Thranduil, c’è una cosa che devi sapere.- Dichiarò poi, la stella. Si scostò per guardarlo in viso, cercando i suoi occhi adamantini:
-Ho trovato l’Alfiere del Cielo.- L’elfo schiuse le labbra, interdetto: -Qui?- Lei annuì, torturandosi le dita con gesti nervosi: -E non è tutto. Io-
    -Sapevo che non potevate essere morti!- La voce possente di Thorin III Elminpietra riecheggiò nella grotta, facendoli sobbalzare. -Siete qui!- Esclamò Sillen, voltandosi verso di lui e sentendo il sollievo invaderla quando anche Glorfindel entrò nella grotta.
    -Vi abbiamo cercato dappertutto. L’elfo pervertito ha addirittura buttato giù un paio di gallerie, non so se mi spiego.- Bofonchiò il Re sotto la Montagna, sollevando gli occhi al cielo.
    Era visibilmente esausto, disordinato e ricoperto di terra e melma dalla testa ai piedi ma portava ancora fieramente la propria ascia sulla spalla. -Avete eliminato i Goblin e gli Orchi?- Chiese Sillen, ripensando a quante creature avevano dovuto fronteggiare. -Niente di serio, per noi erano una sciocchezza. Non è vero folletto? ... Folletto?-
    I tre compagni si voltarono verso Glorfindel, che ancora non aveva parlato. Forse nemmeno li aveva ascoltati, perché dava loro le spalle, rivolto verso la lieve luce dell’Alfiere del Cielo.
    Sillen si tirò subito in piedi, nervosa: -Glorfindel. Dobbiamo parlare.-
    -Lo avete trovato.- Sorrise lui, gli occhi incatenati all’alabarda: -È davvero formidabile…- Fece un passo in avanti ma Sillen si costrinse a correre, frapponendosi tra lui e l’arma. Per la prima volta, l’elfo dorato abbassò lo sguardo su di lei e rimase pietrificato: -Che cosa diamine ti è successo?-
    -Se mi ascolterai, te lo dirò. Ma ora vieni via, non puoi stare qui.- Quelle parole infastidirono il Vanyar, che sollevò un sopracciglio: -Che vorresti dire?-
    -L’Alfiere del Cielo non può essere estratto.- Glorfindel sorrise, posandole una mano sulla spalla: -Questo lo deciderò io.- E fece per scansarla, se non fosse stato per la stretta disperata della stella, che accolse la sua mano pallida tra le proprie.
    -Glorfindel, non puoi resistere al suo potere. L’ha detto chiaramente, nessuno oltre agli abitanti del Cielo può brandirlo! Moriresti!- Gli strinse la mano più forte e, subito, l’energia dell’elfo dorato prese ad agitarsi, impedendogli di distogliere lo sguardo dai suoi occhi ametistini: -Lasciami, Sillen. Sono l’ultimo Vanyar rimasto su questa Terra. Sono l’unico che può estrarlo e lo farò.-
    -Devi credermi, finirà per sopraffarti!- Lo pregò lei, supplice.
    Glorfindel contenne a fatica il proprio potere, in procinto di riversarsi nuovamente su di lei quasi vi fosse costretto: -Devo farlo. Devo essere più forte.- Sibilò, strattonando violentemente il braccio per sottrarsi alla sua stretta.
    Sillen perse l’equilibrio e cadde a terra, sgranando gli occhi per la sorpresa. Era la prima volta che Glorfindel la spingeva via.
    La prima volta che la trattava in modo così brusco.
    Stava per accadere qualcosa di molto, molto brutto. L’elfo dorato arrivò davanti all’Alfiere, sorridendo pericolosamente: -Bene, Alfiere del Cielo. A noi due.-
    -Fermati, Vanyar. Nessuno può estrarmi e sperare di rimanere in vita. Perderai te stesso, se oserai toccarmi.- Gli intimò l’arma.
    L’elfo non parve minimamente sorpreso nel sentirlo parlare nella propria mente: -Io non ho intenzione di perdere un’occasione come questa.- Thranduil si tirò in piedi: -Glorfindel, non devi farlo.- Ma l’antico elfo aveva preso una decisione.
    L’aveva presa molto tempo prima di quel momento.
    Con un gesto proprio del più sdegnoso degli dei, afferrò con forza il manico dell’alabarda, frantumando la roccia che la teneva intrappolata.
    Che la teneva sigillata da oltre Tre Ere.
    E una raffica spaventosa di potere divino investì tutti i presenti.
    Glorfindel si trovò invaso dalla forza immensa dell’Alfiere del Cielo, vacillando sulle proprie gambe. Era pesantissimo, bruciava come il sole e lo stava piegando. Ma non aveva intenzione di sottomettersi.
    Nel bel mezzo del vortice, lottò con tutto il suo potere per acquisire il controllo, stringendo la lunga asta con entrambe le mani. Faceva davvero male, dannazione. Pazienza, non poteva fare più male che essere uno stupido burattino dei Valar.
    E, senza ombra di dubbio, era meglio che sopportare la bruciante sconfitta contro il giovane Re Thranduil.
    L’Alfiere del Cielo rise, nelle sue mani, tremando come un essere vivo: -Povero vecchio resuscitato… Ti fa male perdere l’unica cosa che tu abbia mai desiderato. Non è così?- La sconvolgente forza dell’alabarda lo schiacciò più forte, tanto che i piedi dell’elfo finirono per sprofondare nel terreno con un boato violento.
    -Fai silenzio, brutto scarto di ferraglia.- Gemette il Vanyar, pur capendo quanto ancora l’arma potesse accrescere il proprio potere. Non poteva competere.
    -L’hai capito adesso? Il tuo stesso essere si piegherà alla mia aura e tutta la tua luce scomparirà. Non puoi più evitarlo. E non c’è nessuno in grado di salvarti.- Glorfindel spalancò gli occhi, avvolto dal terrore. Sentì l’oscurità della grotta attirare tutti i sentimenti prepotenti e corrotti che gli avevano invaso la mente per troppi secoli: -Resta fuori dalla mia testa!- Soffiò, cercando di respingere l’Alfiere. Ma questo era ormai penetrato troppo in profondità.
    Sillen si riparò il viso con le braccia, urlando per sovrastare il vortice di energie in tempesta: -Glorfindel, lascialo!- Il suono della sua voce scivolò dentro l’elfo come pece infiammabile, tendendolo oltre il sopportabile.
    Non riusciva a contenerlo, a contenersi. Desiderava solo una cosa: voleva eliminare chi lo minacciava tanto impudentemente. Infatti, fissò gli occhi dorati sull’unico individuo che riusciva a vedere chiaramente, il suo unico obbiettivo. -Thranduil…- Sibilò, permettendo all’energia dell’arma di penetrare in ogni suo muscolo, sostituendosi a quella dorata e piena di luce.
    Se solo il Re degli Elfi avesse tenuto la stella nel proprio reame.
    Se solo lui l’avesse nascosta.
    Lo odiava. Lo odiava perché possedeva la stella.
    Perché era libero come lui non sarebbe mai stato.
    Sillen sgranò gli occhi, seguendo il suo sguardo allucinato: -C-cosa vuoi fare, Glorfindel?!- Thranduil si irrigidì, leggendo nello sguardo dell’elfo tutte le emozioni che stava provando. Le assorbì tutte, le comprese una ad una, sino in fondo. E fece male.
    Il Vanyar era rimasto al suo fianco per molto tempo, in passato, e Thranduil, da lui aveva imparato molte cose. Soprattutto, aveva scoperto del suo triste fato: un Vanyar solitario rispedito nella Terra di Mezzo per servire i Re e le Regine che quivi si sarebbero susseguiti. Un essere senza un posto per sé, appartenente a niente. Una vittima di crudeli giochi di potere, tra Bene e Male.
    Glorfindel era spaventato. E solo. Solo da tutta la vita, incompreso, isolato. Persino biasimato. E arrabbiato.
    Esasperato, furioso, affamato.
    Il Re degli Elfi sorrise mestamente davanti allo sguardo vuoto dell’amico, pregno di dolore, esausto: -Non mi farai del male. Dopotutto, sei come un fratello per me.-
    Glorfindel si raddrizzò, come un automa, puntando l’enorme arma verso di lui: -Fai silenzio.-

    Thorin si parò allora difronte all’elfo dorato, incredulo: -Elfo pervertito, che cosa stai facendo!? Dannato, molla quel coso!- Strinse la propria ascia, indeciso su come agire e spaventato dallo sguardo inquietante del compagno.
    Sillen vide l’Alfiere del Cielo brillare intensamente, mentre l’elfo lo puntava implacabile contro Thranduil.
    Fece l’unica cosa possibile: si lanciò su di lui, sull’arma, stringendone l’asta con tutte le sue forze.
    In quello stesso istante, quell’altra spalancò gli occhi di luce, tremando nel suo involucro di pietra. L’Alfiere del Cielo soppresse il proprio attacco, costernato: -Stupida ragazzina! Tu sei umana, morirai!-
    Sillen sentì le spirali di mithril dell’arma bruciarle la pelle dei palmi come ferri incandescenti ma fece forza, le lacrime agli occhi: -GLORFINDEL SMETTILA!- L’elfo ringhiava, troppo sopraffatto per impedire a sé stesso di desiderare di eliminare il proprio avversario. -Tu sei più forte, io lo so!- Gridò lei, cercando di avvicinare le proprie mani alle sue.
    Sperava davvero che l’energia dell’elfo rispondesse di nuovo ma lui parve accorgersene e si spostò quel tanto che bastava per evitarlo: -Non toccarmi! Non ti permetto di controllarmi, è tutta colpa tua!- Le urlò in faccia. Lei non lo lasciò per un solo istante, nonostante ormai avesse la pelle delle mani e delle braccia completamente bruciata, piagata.
    Non riuscì a trattenersi oltre e gridò dal dolore, spingendo Thranduil a lanciarsi verso di loro.
    No, lui doveva stare lontano! -Thorin, fermalo!- Urlò Sillen, spaventata. Il nano riuscì a bloccare l’elfo ferito solo per qualche secondo ma Thranduil non aveva intenzione di rimanere a guardare.
    La stella tremò nel profondo: se Thranduil si fosse avvicinato, sarebbe morto. E lui non poteva morire. Fissò gli occhi di ametista sull’Alfiere del Cielo, stringendo la presa delle dita incenerite: -Io ti brandisco!- Gli fece, parlando solo a lui. L’alabarda fremette: -Non dirlo.-
    Lei cercò il viso pietrificato di quell’altra, che adesso puntava gli occhi verso di loro: -Sei parte di me, lo sei sempre stata. Non puoi lasciare che lui muoia!- La implorò, tra le lacrime.
    Sapeva, per una volta, di non aver bisogno di aggiungere altro. Quell’altra aveva impedito a Thranduil la caduta, fino a che non era stata certa che non vi fosse pericolo. Quell’altra lo aveva vegliato mentre egli era ferito e incosciente. Quell’altra, e ne era totalmente sicura, lo amava tanto quanto lei.
    A Sillen bastò tendere una mano: il suo potere la toccò appena e fluì dentro di lei, combaciando con ogni anfratto della sua anima come il più incredibile e complicato incastro mai creato. In un istante, la pelle ferita della Stella dei Valar si rimarginò, i tagli scomparvero, la stanchezza si dissolse.
    Sillen avvertì il vuoto del suo corpo venire prepotentemente invaso dall’onda in piena, mentre la luce divina delle stelle tornava a riscaldarla. La collana dalla pietra viola brillò con violenza, sollevandosi dal petto forte e vivo della stella e questa, con l’espressione più severa che mai, aprì gli occhi di luce sull’elfo davanti a sé.
    L’Alfiere del Cielo pulsò dolorosamente e Sillen lo strinse e lo tirò via dalle mani dell’elfo dorato, come strappandolo dalle deboli mani di un bambino. Glorfindel cadde all’indietro, cozzando contro il suolo come un manichino senza vita.
    -Alla fine, abbiamo solo perso tempo in chiacchiere, non è così?- Le chiese l’Alfiere, il tono sprezzante ma stranamente tinto da un più lieve sarcasmo. Sillen guardò Glorfindel, poi Thorin III, che accorreva ad accertarsi delle condizioni del compagno.
    Infine, fissò gli occhi di ghiaccio del Re degli Elfi e una lacrima di luce le sfuggì dalle ciglia nere: -Questa è stata una mia scelta.-



 
 
[1] L’Alfiere del Cielo è caduto sulla Terra di Mezzo ancor prima dell’arrivo degli Elfi… diciamo che ne ha davvero viste di peggiori, prima del caro Pallando XD
 
[2] Questa è una citazione del personaggio di Gandalf: la frase su cui ho costruito tutta questa contorta storia sulla libertà di scelta, sull’imposizione sull’altrui volontà e sul desiderio d’indipendenza. <3


N.D.A

Ciao! Arrivo con un poco di ritardo ma ci sono eheh

Capitolo luuuuungo e tosto, anche questa volta come molte altre volte XD

Spero che si sia capito il senso, più che altro ahahaha
La situazione della Stella doveva trovare una sua risoluzione, no? Nel bene e nel male. Insomma, spero solo che sia arrivato il messaggio T^T

Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete qualche domanda non esitate a chiedere!!

Vi mando un caloroso abbraccio,
Aleera
 
P.S!!!! Non pubblicherò altri capitoli fino a metà Marzo T-T

Ahimé, la Tesi va finita e ormai manca poco. Devo eliminare il resto e, come dice Deadpool, “facciamolo alla vecchia maniera: con due katana (il mio incredibile pc e la brutta-cattiva bibliografia) e il massimo sforzo.” XD
Ci risentiamo amicii <3
   
 
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