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Autore: Nives_as_snow    10/02/2021    1 recensioni
Il professor Solo insegna Storia presso il blasonato Boston College.
Brillante ed acuto, viene tuttavia, descritto da alcuni colleghi e corsisti come un sadico, dispotico, egomaniaco.
La giovane insegnante di Psicologia Rey Palpatine è all'assegnazione della sua prima cattedra.
I consigli dei docenti sembrano interminabili e la vena polemica di Solo pare acuirsi, considerevolmente, nei confronti della nuova collega.
Tuttavia la giovane si dimostrerà all'altezza delle sfide che affronterà, dopo il trasferimento, da una tranquilla cittadina di provincia, alla metropoli più storica ed affascinante degli States.
Imperturbabile, all'apparenza, un'aura di compostezza la avvolge.
Suo malgrado, insieme al collega, porterà alla luce verità recondite.
I personaggi sono presi in prestito dall' universo Star Wars e le fan art presenti non sono di mia proprietà. Alcune aesthetics, sono state create da me.
La trama è completamente di mia invenzione e di mia proprietà. Ne è vietata la riproduzione, anche solo parziale, senza consenso della sottoscritta.
Genere: Avventura, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ahsoka Tano, Ben Solo/Kylo Ren, Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mistificazione

"A lungo ho atteso, giovane Solo!"

Da una poltrona voltata, con lo schienale rivolto all'ampia vetrata soleggiata, da dietro la scrivania del rettore, una voce nuova alle sue orecchie, lo accolse.

"A cosa devo questa convocazione?"

"Johnson mi ha parlato dell'arguzia e dell' abnegazione che contraddistingue il suo lavoro."

"Venga al dunque senatore, un uomo del suo calibro non si scomoda per complimentarsi con un docente sconosciuto, di un'università sull'altra costa."

Rise sommessamente, voltando lentamente lo schienale verso il suo interlocutore.

"Il suo nome la precede, Solo.
Perspicace, anche, una dote materna!"

Il docente assottigliò lo sguardo, fiero, riducendolo a due fessure, sugli occhi di ghiaccio del diplomatico.
Ne scrutò meticolosamente i lineamenti scavati dal tempo: il naso appuntito, il sorriso di circostanza che innalzava un angolo delle sottili labbra crepate, raggrizendogli una guancia e conferendogli un'aria serafica, sicura di sé.
Il contorno delle iridi arrossato, la mimica del volto, l'inflessione vocale, rivelavano molto di lui.
Prima tra tutte l'astuzia che traspariva, ad un occhio attento come quello di Ben Solo, nonostante il timbro volutamente mellifluo.

"L'ho vista in buona compagnia all'Opera. Lei e il cardinale Lorenzetti fate coppia fissa agli eventi?" Controbattè irriverente.

"Come lei tiene il piede in tutte le scarpe che le pare, professor Solo, comprese quelle di mia nipote!
Vi ho visti, fin troppo intimi, celati nel buio di una cortina che non è riuscita, tuttavia, ad eludere la mia vigile osservazione.
Vede, Solo, la piccola Rey è tutto ciò che ho al mondo e io sono altrettanto per lei.
Si dà il caso che sia felicemente fidanzata con un giovane valoroso, cui ne ho affidate le cure, in mia assenza."

"Il cane da guardia che la controlla per lei?" Ironizzò sprezzante, trattenendo il consueto languore nauseante che affiorava ogni qualvolta c'era di mezzo il pilota da strapazzo.

"Venire fino nel Vermont a tediare un uomo virtuoso e caritatevole come Lorenzetti, nel tentativo di conquistare le grazie di mia nipote?
Mi delude, Solo.
Lei è un uomo avveduto.
Rey è una ragazza troppo pura, non sa niente delle persone disposte a tutto pur di raggiungere i propri scopi."
Gli sibilò girandogli attorno come una fiera prima di sferrare l'attacco, nel gesto di  fregarsi le mani.

"Confermerà a Johnson di voler lasciare l'incarico entro lunedì mattina."

"Lei sottovaluta sua nipote, e me, e il rettore.
Questa conversazione non sta avendo luogo senatore, sarò io ad informare Johnson delle sue intimidazioni."

"Ha del fegato, devo ammetterlo, una dote ereditata da suo padre.
Nessuna intimidazione, io le ho solo dato un consiglio amichevole."

"Senatore!" Si congedò freddamente, stringendo forte le mani a pugno.

***

Negazione

Si destò di soprassalto, intorpidita, non aveva sentito la sveglia, un sasso!
Così era crollata, ed ora un terribile cerchio le stringeva le tempie doloranti, come in una morsa, a ricordarle che la notte – da bravi – si dorme piuttosto che fare bagordi.

Con una telefonata breve giustificò la sua assenza. Per motivi di salute, disse.
Grazie al cielo non aveva molte classi, un paio d’ore, niente di più.

Lui non c'era!
Corse fuori dal letto trascinandosi dietro la prima cosa capitata a tiro per coprirsi.
Andò verso l'armadio, il trolley, sparito!

"Maledizione!" Imprecò.

Chiamò un taxi e in men che non si dica si rimise in sesto e – con le cervella in fumo –  corse verso il Boston Logan.

"Non può andare più veloce? La prego!" Incalzò, Rey, il tassista che già metteva a repentaglio le loro vite, per poco, al limite massimo di velocità, con la strada ghiacciata dalla frezeeng rain, tipica del periodo.

Un telefono irraggiungibile, una ricerca affannosa per trovare le palazzine del gate per i voli verso la West Coast
Che indizio aveva?
Il solo intuito, che sperava non si facesse beffe di quanto bene lo conoscesse.
Terminal A, uscita B-22 per lo stato dell'Oregon, scalo per Portland.
Pensò che fosse già tardi, che avesse passato i controlli.

Corse, corse a perdifiato e non le importava di chi la stesse guardando, sapeva che doveva parere una svitata, ma l'unica cosa che voleva era trovarlo, in mezzo ai passeggeri di quella enorme sala d'attesa.

Con il telefono in una mano, provando e riprovando a comporre il suo numero, se pure invano, squillava a vuoto, o dava segreteria.

Fu una frazione di secondo, di lucidità, nel caos della sua mente, si sentì afferrare alle spalle – gli occhi arrossati che a stento trattenevano il pianto – quel tocco... tra mille l'avrebbe riconosciuto, avvolgente, protettivo.

Chiuse gli occhi, le lacrime precipitarono senza ritegno, non lo guardò neanche,
conosceva la via che conduceva alle sue labbra.
Lo strinse, come se non dovessero più separarsi.

"Non te ne andare, non di nuovo!"

"Rey, dovresti essere al lavoro, la tua vita è qui, adesso."

"Fammi venire con te."

"È folle Rey."

"Per questo devo! Prenderò qualche giorno, non mi sono mai assentata.
Solo io e te.
A casa, come ai vecchi tempi. Dimmi di sì."

Il problema non era tanto andarsene, in sé, ma averla lì, così vicina, tra le braccia, gli occhi da bambina imploranti.
Perché fino a che in quegli occhi non ci si fosse perso, poteva tentare la via più semplice, fuggire da lei senza affrontarla.
La donna cui aveva già consacrato tutto; anima, dignità, corpo, ragione, volontà.

***

Unione

Mancava da Lacey da fine Agosto.
Era estate e gli aceri che dalla sua finestra andavano fino a quella di camera di Poe erano ancora carichi quando li aveva salutati nostalgica.

Ora il freddo pungeva l'aria e, da dietro i vetri appannati, il lento, pigro grigiore dell'inverno li avvolgeva nel suo abbraccio scarno.

Lì in quella stanza, dove tutto era iniziato e niente sarebbe potuto finire.
Eterno – da sempre – come loro due.
Come il tempo che si dilatava all'infinito.

Acciambellata nel maglione oversize di lui, seduta gambe al mento, di fianco la finestra, guardava attraverso il vetro dei ricordi, disegnando con la punta del dito sulla condensa.
Ogni listello, ogni trave, ogni chiodo fissato alle pareti era intriso, zeppo di loro.

Della volta che, a diciannove anni, aveva trovato il coraggio di dichiararsi, folle di gelosia, per via dell'ennesima fidanzata bionda di lui.

Ricordava bene, come un ceffone in pieno viso, la delusione cocente ricevuta dal gentiluomo di fronte a lei – che gli si era offerta – e lui che, con garbo, l'aveva respinta.

E poi il primo bacio, casto, dolce, dopo una litigata amara, appena poche settimane dopo.

La sua prima volta.
Con lui.
In quel letto, dove mille volte si era addormentata.
Nella casa dove erano cresciuti.
Dopo parecchi mesi, nei quali, il bell'ufficiale aveva continuato a comportarsi come un cavaliere, fino a che lei non si fosse sentita pronta.

Tra quelle mura, si erano presi e lasciati, amati e allontanati.
Consolati, mille e una volta, dei dolori che la vita non aveva risparmiato a nessuno dei due.

Con la punta del naso umida, premuta sugli avambracci, lo guardava dormire.
Le spalle larghe, la pelle brunita, i grappoli d'uva nera che gli adornavano la fronte, le lunghe ciglia a custodire il sonno che lo avrebbe protetto da qualunque dolore.
E lei, così colpevole, lo aveva amato fino a rimanere senza forze, senza fiato.

Volse nuovamente gli occhi verso il cielo bianco, carico di neve, che di lì a poco avrebbe ammantato tutto con il suo candore.
Tratteneva strenuamente lacrime che minacciavano di irrompere, prepotenti, premendo sulla gola dolorante.
Poi lo sentì... la stava guardando da un po', in silenzio, da dietro le ciglia assonnate.

Andò verso di lei.
Ne osservò il corpo perfetto come quello di una divinità greca, la lampada sul comodino rilasciava giochi di luce sulla pelle tesa e luminosa.
Senza curarsi del freddo, né di essere davanti ad una finestra – e già che contava poco, appannata com'era – le posò un bacio tra i capelli.

"Scusa, ti ho disturbata."

Lo guardò meravigliata sorridendogli "Tu, nella tua stanza, mi chiedi scusa perché mi avresti disturbata?"
Allargò il maglione e ci infilò pure lui dentro.
"Vieni a scaldarti almeno."

"Da tre giorni interi non ho che la tua pelle come coperta, e va bene così" sorrise il tenente colonnello.

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"Eri così assorta... non volevo interrompere i tuoi pensieri e ti guardavo, perché sei bella e mi piace sempre guardarti, lo sai."

Lo abbracciò più forte scompigliandogli i capelli con una mano, mentre le dita dell'altra giocavano tirando e attorcigliando le ciocche dietro la nuca.
Era bellissimo, ne accarezzò, con le dita, ogni piega del volto, la fossetta sul mento, quelle laterali che gli venivano quando rideva, il filo di barba incolta che aveva fatto capolino dopo tre giorni nei quali, non si era usciti dal letto se non per mangiare e andare in bagno.
Il naso strofinato contro il suo così che potesse guardarlo negli occhi grandi, color nocciola. Delicata, con i polpastrelli gli sfiorava le ciglia, ne disegnava il profilo e quello delle sopracciglia folte.

"Come fai ad essere così perfetto? Spiegamelo."

"Sei tu che mi vedi nel modo in cui preferisci, non c'è niente di perfetto, Rey."

Si sfilò dal contatto pelle contro pelle, tornando a sedersi sul letto, avvolgendosi la coperta attorno.
Rimase qualche momento a testa bassa, lo sguardo fermo sulle assi del pavimento.

"Rey, sarebbe bello se il tempo si congelasse in questa bolla surreale, ma sappiamo bene che non è possibile." Tornò a fissare gli occhi, seri, in quelli di lei.
"Non possiamo risolvere sempre tutto così, lo sai anche tu."

"Perché no? È stato spiacevole? Non mi è parso." Obiettò candida.

"Perché è stucchevole e irreale!"

Si alzò avanzando di nuovo verso di lei, le prese la mano, gracile e fredda, tra le sue, calde.

"Dimmi solo una cosa, per favore... provi qualcosa per lui?" la voce tremante in un modo che non poteva dissimulare.

Una lama affilata la trapassò dividendole lo spirito dalle midolla Diretta, semplice, disarmante, cristallina qual'era.
Dovette distolgliere gli occhi da quelli attoniti e lucidi di lui, mentre l'aria le fiaccava i polmoni, pesante come un macigno, lasciandola senza respiro.

Quel silenzio assordante valse più che una risposta.

Poe raccolse anche l'altra mano di lei tra le sue. Congiungendole le portò alle labbra baciandone e ribaciandone le nocche delicate.
Lei respirò forte l'odore intenso, di mirra, dei suoi capelli, mentre cercava di nascondere le lacrime impazzite, tra i suoi ricci.

La abbracciò.
La sua voce le giunse così calma, balsamo sulle ferite.
Attraverso il palmo della mano, poggiata sul suo petto caldo, percepiva il battito del cuore e le braccia vigorose che ancora si facevano focolare, per lei.

"Sei confusa Rey, l'ho sentito dal primo momento che sono arrivato a Boston.
Una tempesta all'improvviso.
Non l'avevi previsto, in questo ti credo, ma non posso rimanere in balìa dei tuoi dubbi.
Fa male.
Mi logora dentro.
La gelosia finirebbe per distruggere tutto quello che di bello siamo l'uno per l'altra.
Quindi stavolta decido io per entrambi.
Non ho nessuna intenzione di arrendermi.
Vorrei proteggerti, non posso ogni volta, devi capire da sola.
Nel frattempo... io vivo."

Soffocava l'amarezza sulla sua spalla di lui, che cercava di calmarla carezzandole i capelli.

"Non fare così, non riesco a lasciarti andare in questo stato."

Tirò su col naso, si asciugò gli occhi tentando di fermare il fiume in piena dei sentimenti.

"Ma io, Poe, non ho deciso e non so niente eccetto che non voglio perderti. Non posso perderti."

"No Rey, tu hai paura!
Di intraprendere una strada che non conosci e non sai dove porta.
La donna che amo, ammiro e rispetto, però, ha sempre trovato il modo di essere onesta, anzitutto con sé stessa.
Il tempo darà tutte le risposte."

"Quindi... questo è un addio?" singhiozzò più forte.

"Mai! Non ti dirò mai addio, siamo uno nel cuore dell'altra, te lo ricordi?"

"Una promessa fatta per essere mantenuta, me lo ricordo."

Le baciò la fronte, rimasero stretti.
E il tempo ghignò loro contro, perché l'avevano giocato.
Ancora.
Mentre lui li separava, loro restavano.
Uniti.
Dentro.
Nel profondo.
Oltre l'amore fisico.

Say goodnight, not goodbye
You will never leave my heart behind
Like the path of a star
I'll be anywhere you are
In the spark that lies beneath the coals
In the secret place inside your soul
Keep my light, in your eyes
Say goodnight, not goodbye

Like a jewel, burried deep
Like a promise meant to keep
You are everything you want to be
So just let your heart reach out to me
Keep my light, in your eyes
Say goodnight, not goodbye

Bet Nielson Chapman

 

Come una promessa destinata a essere mantenuta.
Lascia solo che il tuo cuore mi raggiunga.
Conserva la mia luce nei tuoi occhi.

***

Cognizione

Il treno per Portland la riconduceva verso la strada dei doveri.
Mai, durante nessun tragitto, si era sentita più vuota.
Stavolta c'era qualcosa di diverso, la paura tangibile di un non ritorno.

All'andata aveva creduto fermamente di poter aggiustare tutto.
Si possono colmare davvero le infinite crepe di un cuore?

Non piu l'odore caldo, avvolgente del maglione del suo Poe a farle da cuscino, ma un vetro freddo contro la sua fronte stanca.

Come avrebbe dormito, da sola, con la presenza di quella terribile creatura che temeva di vedere spuntare da ogni angolo delle pareti di casa?

Era stato facile con lui accanto, ogni notte.
E adesso?
Ad ogni passo, il niente.

Non gliel'aveva raccontato.
L'ennesima questione taciuta.
Così come non gli aveva detto di aver dormito stretta a un altro – per la paura – certo.

Compose il numero di Rose una, due volte. Esitò. Ritentò. Rimise giù.
Patetica.
Era solo patetica!

Poco dopo il cellulare squillò, Rose la richiamava.
Pensò di non rispondere per non tediarla con le sue paturnie. Alla fine si decise.
Tentò di tergiversare, ma quando all'altro capo, l'amica, chiese diretta dove si trovasse, non poté più negare.

Come un fiume in piena le raccontò il pasticcio che aveva combinato, per l'ennesima volta.

"Un uomo Rose, lo capisci? Non è un ragazzo che possa stare dietro ai capricci di una indecisa.
Lo sai quanto l'ho fatto soffrire?
Non ha bisogno di me, ma mi ha aspettato, per così tanto. Lui per me c'è sempre stato ed io..."

"Non punirti Rey, la conosci anche tu la risposta, lui è Poe Dameron!"

***

Percezione

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Le giornate cominciavano ad allungarsi di un passetto per volta, ad ogni rotazione.
Erano passate da poco le 4.30 p.m. ed ancora i timidi raggi del sole giocavano a nascondino, tra luci ed ombre, sui mattoncini, dipingendoli  di una tonalità di rosso variabile.
Facevano poi capolino, tra i vialetti delle case di Beacon Hill, bussando ai lucernari delle porte e filtrando dai vetri.

Udì picchiare alla porta con un certo vigore.
Si affacciò e sulle prime non vide nessuno.
Da dietro la siepe, incerta, una sagoma esile che conosceva bene, si sporse un poco,  restando ai piedi dei pochi gradini, fino alla porta d'ingresso.

Se ne stava fissa, gli occhi grandi sgranati, imbambolati, spuntavano tra il cappello e uno sciarpone di lana, intrecciato e multicolore che le finiva sotto il naso, arrossato dal freddo, puntellato di lentiggini.

Le fece cenno di entrare.

Sfilò i guanti, per prima cosa, strofinando le mani, assaporando subito il piacevole tepore all'interno dell'appartamento.
Pulito, in perfetto ordine,  molto diverso dall'ultima volta che ci era stata, appena lui era tornato dall'Irlanda.

Posò sul sofà il resto della sua roba.
Restò così, tra il camino, che la scaldava alle spalle e l'immaginaria linea di confine tra lei e Solo: il divano, continuando ad osservarlo con la stessa espressione incerta di quando era arrivata.

Lui sedette appena, divaricando le braccia, poggiando i palmi sul grande tavolo da soggiorno e allungò le gambe in avanti incrociandole.
La guardava da sopra la punta del naso,
aspettando che si decidesse a dirle il motivo della sua visita, non ottenendo che silenzio, esordì per primo.

"Hai l'abitudine di piombare sempre senza preavviso?"

Rey sotterrò lo sguardo sotto le suole, dall'imbarazzo.

"Scusami, è che... Io, noi, dobbiamo parlare, Ben."
Di colpo mosse verso di lui gesticolando nervosa.

Lui si limitò a sollevare le sopracciglia in segno di assenso a quella richiesta che pareva tanto improrogabile.

"Quella... cosa, Ben... Che diavolo era? Non ne abbiamo più discusso dopo essere rientrati."

"Hai avuto da fare Miss.  Palpatine... Hai persino preso ferie..."

"Avevo una questione familiare da risolvere, a casa."

"A casa? Strano. Sai, tuo nonno ha chiesto di vedermi nei giorni in cui dici di aver avuto da sbrigare questioni familiari."

"A Lacey non ho solo mio nonno, e comunque che voleva da te?"

"Questo poi? Aspettavo che me lo dicessi tu."

"Non so di che parli, Ben."

"Ah no?" Si staccò dunque dal tavolo, facendosi, cautamente, più vicino a lei.
"Mentre sei corsa tra le braccia del tuo prode pilota a farti rincuorare, ho finito io il tuo soggiorno nel Vermont e sai? Ho scoperto qualcosa di interessante che scommetto tu sappia già."

Rey lo guardava stralunata, con un'espressione sbalordita in volto.

Si passò una mano nervosa tra i capelli, fermandola dietro la nuca, mentre prendeva un sospiro.
"Tu quindi non sai di chi era in compagnia, all'Opera, tuo nonno?"

Il viso di Rey si fece ancora più interrogativo.
"Sei stato da Lorenzetti? Era lui il cardinale che sedeva accanto a mio nonno?"

"È incredibile davvero, come tu provi a recitare la parte dell'ingenua, con me." sentenziò sempre piu irritato.

"Adesso smettila con i rebus Solo, mi hai stancata, vieni al punto!" tuonò lei.

"Perché sei venuta?" Le sibilò a un palmo dal viso, che potevano respirare l'uno l'odore dell'altra.

Gli occhi di Rey si fecero sfuggenti a cotanto ardore, "Te l'ho già detto, volevo parlare di quello che ci è successo nella Tomba."

"Il vero motivo!" mugghiò lui, più amaro e duro, serrando le labbra, per poi rilasciarle in un sibilo tremulo, quasi strisciante "Sei qui a chiarirti i dubbi?"

Lei tornò a fronteggiare i suoi occhi, fiera, se pure ferita dal tono acre della sua voce.

"Ne avremmo potuto parlare domani a lezione, che fretta avevi di precipitarti qui?"
incalzò sempre più vicino.

"Hai ragione lo sai? Non sarei mai dovuta venire. Che pretendevo da te?"

Di colpo si diresse verso il sofà afferrando le sue cose, ma dovette lasciarle cadere di malagrazia quando un braccio di lui le cinse la vita sottile traendola schiena al suo petto, mentre la mano robusta scivolava dal fianco fino sull'addome, dove se ne stava salda, pericolosamente, con le dita spalancate ed una presa ferrea che le contorse le viscere.

Lo sentì appoggiare il capo, al suo.
Respirarle, intenso, i capelli.

Come fosse una piuma, la voltò verso di sé, occhi negli occhi.
La mano, dalla vita sottile, era risalita lentamente, tracciando la scia di una carezza lieve, fino a fermarsi sulla guancia, che teneva teneramente nel palmo, mentre il pollice ne accarezzava lo zigomo delicato e l'angolo delle labbra.

Un attimo che immortala l'eternità,
prima che sprigioni in uno sfarfallio di
miriadi di coriandoli,
di luci, colori, sensazioni, emozioni,
diventando labbra, respiri, sospiri, fusione, unione.
Elettricità. Da un corpo all'altro.
Di due, uno.


 

Note dell'Autrice:

Bene ragazzi che dire?
Siamo ad una svolta di un certo rilievo.

Il nostro professore abbottonato, perde il senno e compie il misfatto, si lascia andare.

Una affranta Miss. Palpatine – per la recente ennesima falla, nel suo rapporto fatto di certezze incrollabili, ma instabili, quanto irrealizzabili a causa della lontananza, con l'uomo di sempre – non rifiuta l'impulsivo gesto del collega.

Che confusione ragazzi!
Non vorrei essere al suo po_____ ahaha se,se.
E chi non lo vorrebbe con due fustacchioni del genere.
Povera Rey, io sclererei.

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Frezeeng rain pioggia congelantesi o:
La pioggia sopraffusa è una precipitazione di gocce di pioggia che cadono da una nube aventi una temperatura superficiale sotto 0 °C. È spesso associata al gelicidio:

Le gocce a contatto col suolo formano depositi di ghiaccio (vetrone) o anche una mescolanza di acqua allo stato liquido e ghiaccio, con una temperatura di 0 °C.

La pioggia congelantesi è molto pericolosa, sia per chi guida che per chi è a piedi.

Non vi dico che scivolate.
Quello che ad occhio vi sembra un manto bagnato è ghiaccio.

Il video che ho inserito su Poe e Rey, non è farina del mio sacco, vi ho semplicemente sovrapposto la canzone che mi sembra perfetta per la loro storia.
Purtroppo non so editare, mi sarebbe tanto piaciuto realizzarne uno più lungo che comprendesse anche la seconda strofa, che merita davvero.
Anyway, let me know se vi piace almeno un po' ♥️.

A presto.

 

   
 
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