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Autore: Helen_Book    12/02/2021    0 recensioni
Eileen ha perso la voce e la capacità di trasformarsi. Sente di non aver nulla da offrire al proprio branco. L'incontro inaspettato con un lupo randagio cambierà totalmente la sua esistenza e la porterà ad addentrarsi nei più oscuri ricordi del suo passato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Due mani grandi strapparono Eileen dal sonno. La scossero così forte, da farle tremare i denti.

“Svegliati! È arrivato il tuo turno, Campanellino” riconobbe la voce della guardia, tutt’altro che amichevole.

Nonostante fosse ancora mezza addormentata, i suoi sensi ritornarono in funzione velocemente, pronti a reagire.

Sentiva la necessità di dover dormire, di recuperare le forze.

Venne tirata per il braccio, rischiando di cadere.

Solo in quel momento si accorse di avere in grembo il viso dell’amica. Durante la notte, si era appisolata sulla sua coscia.

Con la mano libera, appoggiò delicatamente la sua guancia sul pavimento, sperando non si svegliasse. Lei aveva bisogno di dormire più di chiunque altro.

Notò alcuni graffi sul viso che prima, al buio, le erano sfuggiti.

Avrà lottato come una leonessa.

Per la fretta, venne strattonata verso l’uscita della cella. La seconda guardia la aspettava in corridoio.

“Ora, da brava, indosserai questo” disse indicando un aggeggio di ferro che teneva in mano “è una precauzione, nulla di che.”

Non provò neanche a lottare. Doveva conservare le forze per dopo.

Subito la bendarono.

Le inserirono un collare e delle manette di ferro collegate da una catena. Eileen non aveva mai visto nulla del genere, ma supponeva servisse per impedirle di trasformarsi in lupo.

Ironia della sorte, con lei non correvano questo pericolo.

Sorrise amaramente, dentro di sé, mentre la scortavano al piano superiore, sballottolandola da una parte all’altra.

Non sapeva cosa aspettarsi. Uno dei due gemelli aveva parlato di una certa “Inquisizione” e di un “protocollo” da seguire. Sentiva che quella era la sua unica occasione di poter cambiare le cose.

Dopotutto, quelle persone sarebbero state curiose di capire chi fosse e cosa volesse.

Uscita dalle prigioni, riuscì a scorgere la luce attraverso la benda. L’odore di umidità venne sostituito da nuovi odori, molto più invitanti.

Lo stomaco brontolò in risposta.

Spero non succeda davanti agli altri, sarebbe piuttosto imbarazzante.

Data la situazione, l’imbarazzo sarebbe stato l’ultima delle sue preoccupazioni.

La guardia alla sua destra le prese il braccio, costringendola a fermarsi. La stretta fu così forte, tanto da mordersi il labbro per trattenere il dolore.

Come minimo mi avrà lasciato un altro livido.

Le slegarono la benda e la spinsero all’interno di una stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.

Aprì gli occhi con difficoltà, abituandosi all’intensità della luce.

La sala in cui si trovava era enorme ed estremamente elegante. Il soffitto altissimo e le finestre adornate da tende nere. Il pavimento a scacchiera e quattro caminetti accesi erano collocati ai lati della stanza, con lo scopo di riscaldare velocemente l’ambiente. Dal freddo della cella, al calore del fuoco, provò, dopo ore, una sensazione di sollievo.

Tuttavia, non abbassò la guardia.

Un uomo vestito completamente di nero, con i capelli legati da un nastro rosso, la barba lunga, ma curata, la guardava con estrema curiosità. Era seduto, le gambe accavallate e le braccia incrociate al petto.

“E quindi tu saresti qui per aiutarci” disse lui, facendola suonare più come un’affermazione che come una domanda.

Eileen alzò lo sguardo, cercando di non far trasparire alcun tipo di emozione. Annuì solennemente, provando a mantenere una postura dignitosa, nonostante il collare e le manette.

“E da dove provieni esattamente?” chiese l’uomo mantenendo un tono neutro. A differenza degli altri energumeni che aveva incontrato, lui appariva più gentile.

Forse c’è speranza, vedo la luce in fondo al tunnel.

La porta dietro di lei si spalancò e alcuni uomini entrarono nella stanza, ignorandola. Nel guardarli, si dimenticò di rispondere alla domanda che le era stata posta.

“Ragazzina, occhi a me” la incitò, schioccando le dita.

Di colpo, si girò ridando le spalle alla porta. Portò le mani alla gola, lasciando intendere la sua disabilità.

“Ah! Che disgrazia! Porremo subito rimedio a questo” si girò verso un altro uomo seduto al suo fianco e gli chiese: “Arthur sta arrivando? Odio le persone in ritardo.”

“Certo, ha avuto un contrattempo a scuola” lo tranquillizzò.

L’uomo che aveva di fronte era con molta probabilità il capobranco. Molte delle sedie intorno a lui erano vuote.

Il virus aveva beccato anche i piani alti. La malattia non guardava in faccia al ceto sociale o allo status, colpiva il ricco ed il povero.

Le ritornarono in mente tutte quelle persone malate che si trovavano in prigione. Il bambino con gli occhi color nocciola.

“Finalmente sei arrivato, grazie per averci degnato della tua presenza. Abbiamo bisogno di te” disse il capo, riferendosi al nuovo arrivato.

Prima ancora di vederlo, fu il suo inconfondibile odore che le inondò le narici. Non si azzardò a girarsi, i loro occhi si incontrarono solo dopo che ebbe preso posto.

Occhi color miele incatenati ai suoi verdi.

Vederlo lì in carne ed ossa, vivo e in ottima salute, la portava sull’orlo delle lacrime: lacrime di felicità.

Gli occhi leggermente spalancati e la rigidità della sua postura le facevano intendere che lui era sorpreso quanto lei di vederla.

“Arthur” disse il capo “questa ragazza non può parlare, aiutaci ad interpretare i suoi messaggi.”

Arthur? Aspetta, ma che significa?

Lo sguardo di Eileen si spostò da uno all’altro, cercando qualche tipo di spiegazione.

Si sentì una completa idiota.

Era corsa in soccorso di una persona di cui non conosceva neanche il vero nome, mettendo a rischio sia la sua vita che quella della sua amica.

“C-certo” rispose Roman/Arthur continuando a fissarla, come se avesse visto un fantasma.

Si riprese velocemente, ritrovando una certa compostezza.

“Dobbiamo toglierle le manette o non potrà comunicare” lo informò Roman/Arthur, evitando di guardarla.

“Va bene, ma devi promettermi che non ti trasformerai” disse l’uomo rivolgendosi a lei, con tono paterno.

Assentì, ancora traumatizzata dall’ultima rivelazione.

Era stanca, sporca, la sua amica era in pericolo di vita e anche lei. L’uomo che credeva fosse il suo compagno, non le aveva neanche rivelato il suo vero nome.

A malapena la guardava.

Era troppo da reggere per una persona sola.

Le gambe cedettero, ritrovandosi in ginocchio e addio alla sua dignità.

Due mani forti la sostennero per le spalle. Nonostante fosse sul punto di svenire, sapeva a chi appartenevano.

Era stato così veloce che non lo aveva sentito avvicinarsi.

“Ehi, ehi” le sussurrò “non è il momento di cedere.”

I loro visi a pochi centimetri di distanza, dopo così tanto tempo.

Riusciva a percepire il calore delle sue mani attraverso il maglione. Un brivido le attraversò la schiena, scuotendola da capo a piedi.

Era delusa e arrabbiata, ma non riusciva a rimanere indifferente alla sua presenza, al suo tocco.

“Portatele una coperta, sta morendo di freddo” gridò Roman/Arthur alle sue spalle.

“Ora ti libererò le mani e io rimarrò nelle vicinanze, va bene?” sussurrò dolcemente quelle parole appena percettibili.

Non aveva il coraggio di guardarlo.

In pochi secondi, il mondo le era crollato addosso.

Lo sentì trasalire quando si accorse della sua ferita alla testa.

Con gli occhi puntati sulle loro mani, osservava quelle di lui che, attraverso una piccola chiave, la liberavano dalle manette.

Impiegò qualche secondo in più perché le mani del ragazzo tremavano. Sembrava avere difficoltà a controllarsi, come se fosse sul punto di trasformarsi. I muscoli tesi delle mani portavano in superficie le venature del dorso.

Senza pensare se fosse la cosa appropriata da fare, Eileen sfiorò le sue dita con i polpastrelli, rischiando di essere scoperti. Doveva calmarlo e a quanto pare ci riuscì.

In risposta, il pollice di Roman/Arthur sfiorò impercettibilmente la piccola cordicella al polso che le aveva regalato.

Eileen sentiva che c’era qualcosa tra di loro, era innegabile. Non poteva essersi immaginata tutto.

Tuttavia, pretendeva delle risposte, voleva afferrarlo, scuoterlo e farlo rinsavire.

Voleva che fosse lui a dirle che quei giorni trascorsi insieme erano la verità. Voleva svegliarsi al suo fianco e tirare un sospiro di sollievo.

Invece, la realtà fu molto più dura di quanto si aspettasse.

D’un tratto, lo stomaco brontolò, ignorando il dissidio interiore che stava vivendo.

“Portatele qualcosa da bere e da mangiare” ordinò di nuovo Roman/Arthur.

Un uomo consegnò il necessario nelle mani del ragazzo, ancora inginocchiato accanto a lei. Le porse un tozzo di pane e un po’ d’acqua che accettò immediatamente.

Le sistemò una coperta di lana sulle spalle, e si allontanò, lasciandole dentro un vuoto incolmabile. 

“Perfetto, ora possiamo iniziare, sempre che Arthur non abbia altre richieste inappropriate” disse il capo guardandolo torvo.

“Capobranco, è possibile darle una sedia?” lo interruppe Roman/Arthur titubante “m-mi infastidisce vederla in ginocchio” si giustificò.

“Sì, sì va bene, basta che iniziamo” liquidò subito la questione con un gesto della mano.  

Una sedia si materializzò alle sue spalle e lentamente vi si accomodò. La testa continuava a girarle e tutto il corpo era scosso da brividi.

Strinse maggiormente la coperta a sé, bevve un sorso d’acqua e, riluttante, conservò il pane.

Nel vederlo, le era venuta subito l’acquolina in bocca.

Ci volle una grande forza di volontà per non divorare quel piccolo pezzo di pane.

Mala è debilitata, ne ha più bisogno lei di me. 

“Allora ragazzina, iniziamo dalle presentazioni: come ti chiami? Da quale branco provieni?” 

Si forzò ad alzare lo sguardo e ad ignorare Roman/Arthur che si trovava poco distante da lei.

Pian piano le mani iniziarono a muoversi.

Mi chiamo Bentlam. Non appartengo a nessun clan.

Eileen non desiderava mentire, era partita con l’intenzione di migliorare il rapporto tra i due branchi, aiutandoli. Tuttavia, le bugie presero forma spontaneamente.

“Si chiama Eileen e fa parte del branco dei Mei, nostri vicini” tradusse Roman/Arthur, riportando la verità.

A che gioco sta giocando?

I suoi occhi saettarono verso di lui, incenerendolo con lo sguardo. Aveva fatto saltare la sua copertura.

Brutto bastardo.

Per quanto poteva, rimase impassibile. Attendendo la prossima domanda.

“Bene, bene. Non mi sarei mai aspettato che i nostri cari vicini ci avrebbero mandato qualcuno ad aiutarci” commentò sarcastico il capo “però, è anche vero che non si sputa nel piatto in cui si mangia.”

Molti tra gli uomini intorno a lui concordarono, battendo la mano sul bracciolo.

Eileen gli osservava uno ad uno, provando a memorizzare i loro visi. Poteva sempre tornarle utile.

Nel farlo, si mosse con cautela. Alzare lo sguardo poteva essere colto come un gesto di sfida.

La prudenza veniva meno quando i suoi occhi verdi si scontravano con quelli color miele. Il suo cuore cercava una risposta, una ragione a quella situazione così assurda. 

Possibile che si fosse sbagliata così tanto nei suoi confronti?

Almeno non era l’unica a disagio.

Roman/Arthur la fissava intensamente, con la mascella serrata e i pugni chiusi. In piedi, dava le spalle ad alcuni di loro, nascondendo le sue emozioni.

“Se sei venuta ad aiutarci, ciò significa che sei un medico. La malattia si è diffusa nel vostro branco?”

Con maggiore sicurezza, mosse le mani.

Sì, da settimane ormai. Abbiamo saputo delle vostre difficoltà e ora mi trovo qui.

Roman/Arthur tradusse e, questa volta, alla lettera.

“Difficoltà?!” sorpreso il capo batté il pugno sul bracciolo della sedia, facendo sobbalzare parte dei presenti “come vi permettete a mettere in dubbio la nostra efficienza?”

Eileen non si aspettava un cambiamento così repentino, dava l’idea che fosse sul punto di trasformarsi.

“Capobranco, se mi è permesso intervenire” disse Roman/Arthur facendo un passo avanti “vorrei spendere una buona parola nei confronti del branco Mei. Nonostante si trovino in condizioni critiche, ci hanno mandato due dei loro medici.”

Il tono calmo e pacato di Roman/Arthur e il modo in cui stava gestendo la situazione, la colpirono. Sembrava tagliato per questo ruolo.

“Arthur, non hai tutti i torti, ma non possiamo dare nulla per scontato. Potrebbero essere qui per spiarci o rovinarci in qualche modo” affermò il capo non troppo convinto.

“Concordo, fidarsi è bene non fidarsi è meglio. Però sarebbe un peccato non cogliere l’occasione di sfruttare le loro conoscenze. Potrebbero tornarci utili, anche in futuro” il ragazzo non balbettò neanche una volta.

Le aveva dato le spalle, e gli occhi erano puntati tutti su di lui.

Eileen ebbe la possibilità di guardarlo con maggiore attenzione. Indossava abiti più eleganti, completamente neri. Sia gli indumenti che l’arredamento riprendevano quel colore.

I pantaloni gli fasciavano le cosce tornite e una giacca di pelle gli calzava alla perfezione, sopra un dolcevita. Tutto rigorosamente nero. Come una calamita, tutto di lui l’attirava, aveva voglia di toccarlo, di stringerlo a sé come aveva fatto settimane prima.

A differenza degli altri uomini, la carnagione di Roman/Arthur era più scura, color cannella. Mentre i capelli lunghi neri lo accumunavano al resto del gruppo. Anche il nastro rosso con cui li aveva legati sembrava essere un simbolo tipico del branco.

“Il tuo ragionamento non fa una piega. Qui c’è un bel po’ di lavoro da fare, quindi quattro mani in più fanno comodo” disse il capo compiaciuto di essere arrivato a quella conclusione “a patto che ve ne occuperete tu e tuo fratello, saranno sotto la vostra responsabilità” aggiunse rivolgendosi a Roman/Arthur.

“Posso occuparmene da solo, non ho bi-” si affrettò ad aggiungere il ragazzo, quando venne interrotto: “Ve la vedrete entrambi, due cervelli sono meglio di uno” terminò l’uomo, non ammettendo repliche.

Eileen si alzò in piedi, attirando su di sé l’attenzione.

Vi aiuterò a delle condizioni.

Muoveva le mani senza staccare gli occhi dal capobranco.

“Ha delle richieste da fare” tradusse Roman/Arthur sorpreso quanto il resto del clan.

Dovete liberare la mia amica in prigione e procurarle un letto caldo dove riposare. Se promettete di non farle del male, farò tutto ciò che volete.   

Roman/Arthur seguì quella danza di mani senza battere ciglio e tradusse, omettendo l’ultima parte del discorso.

Eileen non ne poteva più di essere censurata.

Batté il piede a terra e scoprì i denti verso il suo presunto compagno, comunicando il suo disappunto.

Alcune guardie si mossero verso di lei, pronte ad intervenire, mentre il ragazzo non si mosse di un millimetro.

Il respiro corto e la posizione assunta facevano presumere che lei fosse pronta ad attaccare.

Cosa le era saltato in mente?

Le ci vollero pochi secondi per realizzare ciò che aveva fatto. La sua aggressività era del tutto fuori luogo e inaspettata.

Arthur/Roman non osò fiatare, ma continuò a guardarla. Intensamente. 

“Cosa vuole? Cosa significa, Arthur?” chiese incuriosito e divertito allo stesso tempo il capobranco. 

“Vuole che venga fatto il prima possibile, la sua amica sta molto male” inventò lì su due piedi il ragazzo.

Eileen cercò di calmare la frustrazione, aveva voglia di gridare in faccia ad ognuno di quegli uomini che la consideravano un animale da circo.

Voleva gridare in faccia a Roman, o meglio, ad Arthur, e chiedergli cosa diavolo stesse facendo.

“Una cosa alla volta. Riportatela in prigione e verso sera, sarete scortate nella vostra stanza, senza attirare troppa attenzione. Mi raccomando.”

Il processo si era appena concluso.

Due guardie comparvero alle sue spalle e le rimisero le manette, togliendole la coperta di dosso.

“Lasciategliela” un ordine perentorio provenne dall’uomo che credeva essere il suo compagno.

Senza girarsi a guardarlo, uscì dalla stanza a testa alta.

Venne bendata di nuovo e in pochi minuti ritornò nella cella.

Una volta liberata da quell’aggeggio infernale, corse da Mala, toccandole la fronte.

Non scottava più come prima, ma le catene e le ferite sul viso non aiutavano la guarigione.

Prese la coperta e gliela avvolse intorno, creando un piccolo bozzolo.

In attesa che arrivasse la sera, si sedette per terra, poggiando la schiena e la testa al muro.

Elaborare le ultime ore era impossibile.

Per poco, davanti al branco dei Mavix, non aveva aggredito l’uomo per cui si era presa una bella cotta, di cui non sapeva neanche il nome. Si era invischiata in una missione suicida inutile. 

Idiota.

In tutto ciò, non riusciva neanche a controllare se stessa, le sue reazioni. Era spaventata da ciò che provava e da ciò che stava diventando.

Le sembrava tutto così surreale.

Svegliati, svegliati.

Un concentrato di emozioni contrastanti la colpì e le lacrime non si fecero attendere. Nascose il viso tra le braccia, da sola con il suo dolore.

Nel silenzio della prigione, un piccolo oggetto rotolò al suo fianco, attraverso le inferriate.

Sorpresa, si affacciò e vide il bambino dagli occhi color nocciola in piedi, le sbarre e il corridoio li separavano.  

Le indicò l’oggetto che ora si trovava vicino la sua coscia.

Il campanello che sua madre le aveva regalato era quasi ritornato come nuovo, tranne che per qualche piccola ammaccatura.

Lo aveva riaggiustato per lei.

Quel gesto la commosse, toccandole delle corde profonde.

Lo indossò senza esitare, nascondendolo nel maglione.

Una volta che rialzò la testa per ringraziarlo, era sparito.


Buonasera a tutti!

Scrivere questo capitolo è stato per me come andare sulle montagne russe. Ho cercato di esprimere al meglio le emozioni di Eileen, cercando di immedesimarmi in lei, chiedendomi ogni volta: "Io cosa avrei fatto al posto suo?" 

In più, ahimè, durante la stesura, non ero mai soddisfatta (e forse non lo sono neanche ora). Vista l'importanza di questo capitolo, volevo che fosse perfetto. Spero che, nonostante i difetti, lo abbiate apprezzato lo stesso. 

Al prossimo aggiornamento! 

Helen

  
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