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Autore: T612    12/02/2021    1 recensioni
2018 - 2023: Cinque ragazzini fuori dal comune che non sono gli Avengers, ma potrebbero diventarlo.
[Missing moments / Mama Nat / AU - Crossover Young Avengers: Elijah Bradley, Kate Bishop, Teddy Altman, William e Thomas Maximoff]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 2
_ 2019





 

«Torni per cena?» la voce di Isaiah è come una lama ghiacciata che trafigge Eli tra le scapole, inchiodandolo sulla soglia con le chiavi di casa ancora in mano ed un aria furtiva che gli calza addosso come un vestito troppo largo – non era bravo in quel genere di cose, a volte si chiedeva perchè si ostinasse a sfidare l’udito ipersviluppato del nonno in quel modo.

«Non lo so, dipende dall’evolversi della serata.» azzarda una scusa Eli, grattandosi nervosamente il retro della nuca rasata, vacillando con il sorriso quando incappa negli occhi neri senza fondo del nonno. «Non dire a Nana dove vado.»

«Glielo dico se torni di nuovo alle tre di notte ricoperto di lividi e con le ossa rotte… sai quali sono i patti, Elijah.» infierisce Isaiah con tono paternalistico, sorvolando sulla alzata di spalle del nipote e sospirando rassegnato davanti al suo sguardo determinato profondo quanto il proprio. «E comunque tutti questi elaborati sotterfugi sono inutili, Faith lo sa, non è stupida… e detto francamente, nessuno ti ha chiesto di farlo Eli.»

«Bobo, il mondo è andato a catafascio… io--...» Elijah tenta invano di formulare l’ennesima spiegazione, perdendo il filo della frase quando Isaiah gli volta le spalle e lo liquida con un cenno della mano, risparmiandosi dal principio una strigliata che sapevano entrambi sarebbe entrata per un orecchio ed uscita dall’altro.

«Dico solo che non sei tenuto a farlo. Vorrei risparmiare alla nonna un paio di infarti, tutto qui.» afferma Isaiah con la voce venata da una consapevolezza colpevole, la stessa che gli impediva di metterlo in castigo a discapito dei suoi diciotto anni perchè lui per primo, a quell’età, si era ingenuamente venduto per gli stessi ideali. «Almeno sai se Theodore torna per cena?»

«Gli scrivo un messaggio, gli dico di avvisare.» afferma Elijah annuendo con il capo, intascando finalmente le chiavi e chiudendosi la porta di casa alle spalle, avviandosi poi in direzione della metropolitana. 

Eli non ricorda esattamente quando ha iniziato a dare per scontate le storie di suo nonno, a smettere di credere ed interrogarsi su quei dettagli che da piccolo gli suonavano sospetti… forse aveva smesso una volta compiuti otto anni, quando sua madre gli aveva preparato una valigia e l’aveva spedito nel Bronx a vivere con i nonni materni sfruttando la scusa del suo trasferimento in Arizona, ritenendolo un cambiamento troppo radicale e convincendo Eli che inserirlo in un'altra scuola all'altro capo del Paese con il rischio di venire licenziata dopo le prime settimane di prova al nuovo impiego era un azzardo che economicamente non potevano affrontare – Elijah doveva ammettere che per un bel po' era stata una bugia convincente, ma dopo mesi di assenze diventati anni aveva dovuto ricredersi quando la nonna gli aveva detto che Sarah Gail si era risposata e che, se lui voleva, poteva portarlo fino a Phoenix per conoscere la sua sorellastra appena nata. A conti fatti sua madre non aveva avuto nemmeno il coraggio di chiamarlo di persona per avvisarlo del matrimonio, ed Elijah si era sentito in diritto di non provare nemmeno un briciolo di colpa quando si era rifiutato di conoscere Stephanie. Era stata la sua sorellastra a contattarlo una settimana dopo la Decimazione, lei ed il patrigno stavano "bene", Sarah Gail… no – Elijah si era rifiutato categoricamente di piangerla, dopotutto lui aveva ben altri problemi a cui pensare. 

Le spunte blu su whatsapp lo avvisano che Teddy ha visualizzato il messaggio, aspettando il tempo necessario all'amico per digitare una risposta, bloccando lo schermo davanti ad un abitudinario "Ceno dai Kaplan, avviso io Faith" seguito dall'emoji di un pollice in su come rafforzativo al concetto – Elijah si è ormai convinto che sia questione di giorni prima che il suo migliore amico lo prenda da parte e lo informi che lui e Billy sono diventati ufficialmente una coppia, supposizione presumibilmente corretta fondata sullo scambio sempre più frequente di sguardi con gli occhi a cuoricino quando i due non pensavano di essere visti. Il fatto che Faith avesse liberato la stanza di zio Josiah apposta per Teddy non aveva fatto altro che aumentare le occasioni di Elijah per studiare il comportamento del proprio migliore amico – l'aria trasognata, il "pin" dei messaggi a notte fonda quando Teddy si dimenticava la suoneria del cellulare accesa, le partite alla Playstation con Thomas che sempre più spesso diventano una scusa per vedere il gemello di quest'ultimo. Se la reazione di Elijah alla Decimazione era stata isolarsi, quella di Teddy si era rivelata diametralmente opposta, aggrappandosi agli amici trasformandoli in un surrogato di ciò che aveva perso, ma conservando un occhio di riguardo per Billy Eisenhardt – il quale negli ultimi mesi aveva avuto una vertiginosa escalation da simpatia, interesse, amicizia ed infine attrazione… si mangiano con gli occhi quei due, perfino i suoi nonni aspettavano il lieto annuncio ed Eli continuava tuttora a non capacitarsi della loro mentalità così aperta. 

In realtà non dovrebbe sorprendersi più di tanto, considerati tutti i tabù di famiglia che erano venuti alla luce dopo l'incidente – l'amore era facile da razionalizzare se messo a confronto con super soldati, mutanti ed alieni… a tratti era l'unico fattore rassicurante perché comune denominatore in tutte le specie. 

Elijah, prima della Decimazione, aveva sempre pensato che Isaiah fosse vecchio, ma non si era mai soffermato a calcolare una età precisa da attribuirgli – Faith era del '44, nella sua testa Bobo doveva avere solo un paio di anni in più della donna, quindi per Eli era stata una doccia gelata scoprire che i due anni che credeva in realtà erano venti. Da quel "piccolo" dettaglio in poi le deduzioni seguenti erano state orribilmente facili – l'invecchiamento rallentato, la salute di ferro, la prestanza fisica, l'insonnia cronica e la fame insaziabile… tutte caratteristiche che in Sarah Gail e zio Josiah si erano tradotte in personalità mattiniere, affamate e particolarmente atletiche. Di colpo i biglietti di auguri natalizi spediti dal Signor Grant della 1472 Broadway [1], i racconti sul 107esimo e l'apprensione per gli Accordi di Sokovia e l'attentato a Vienna avevano trovato il loro posto nel grande schema delle cose. Quando la verità gli era piovuta addosso, Elijah si era sentito tradito nel scoprire quanto poco si fidasse Bobo della sua riservatezza… assaporando il gusto dolceamaro del raziocinio disperato quando il nonno si era concesso ad una spiegazione per far fronte alla serie di "anomalie" che si erano palesate in Eli una volta dimesso dal ricovero, scoprendo finalmente cosa fosse la "Decimazione" di cui tutti parlavano, spiegandogli che dal suo punto di vista donargli un litro e mezzo di sangue dopato era meglio di vederlo morire sul tavolo operatorio. 

Il gesto amorevolmente rischioso tuttavia non cambiava la spiazzante verità di fondo: Isaiah Bradley era il Paziente Zero, l'unica cavia sopravvissuta su centinaia reclutata dall'SSR per conto del Dottor Abraham Erskine, il "fortunato" senza danni collaterali gravi, lo stesso disgraziato che era stato catalogato come "punto di svolta" in laboratorio prima di venir cancellato dai libri di storia con un accordo di riservatezza che aveva fatto in modo di insabbiare l'intero accaduto. Gli storici preferivano sorvolare sulla sfuriata di Rogers quando aveva scoperto che il suo "salto nel buio" era stato già calcolato e testato a discapito delle vite di tanti altri innocenti, vedendosi negata la richiesta di un posto negli Howlings Commando per Isaiah dal Colonnello Philips in persona per timore che qualcuno di "non convenzionale" potesse oscurare il Capitano – Azzano, da quel punto di vista, era stata un ottima scusa per congedare il Soldato Semplice Bradley ed il restante 107esimo reggimento senza troppo clamore ed Isaiah, più per sopravvivenza ad un mondo che palesemente gli remava contro che altro, aveva assecondato gli ordini del Colonnello ed aveva fatto in modo di far perdere le proprie tracce a chiunque osasse cercarlo. 

I reali termini del congedo, quelli intuibili e mai messi per iscritto, avevano incattivito Isaiah in modi che Elijah capiva fin troppo bene… ma qualcuno con le sue attuali capacità era in dovere di far qualcosa, soprattutto se Spidey e soci erano spariti dalla circolazione – Bobo si era convinto che il nipote non si rendeva davvero conto di cosa comportava fare da vigilante lungo le strade della Grande Mela, ma dopo la Decimazione Eli aveva trovato una vera e propria ragione di esistere nel riempire i vuoti lasciati dalla cenere, raddrizzando torti di ogni genere. Elijah in quei mesi aveva imparato a tirare dritto senza porsi interrogativi esistenziali, convincendosi che ciò che faceva era qualcosa di necessario – per lui, per gli sconosciuti, per riequilibrare la bilancia cosmica –, crogiolandosi nell'illusione che il mondo fosse pronto per accogliere a braccia aperte e farsi aiutare da un… – Capitan America gli sembra utopico –… un "Bucky" che non fosse bianco, adulto e con un certo tipo di esperienza alle spalle. Ne ha bisogno, il resto sono solo chiacchiere. 

Forse se Eli fosse davvero convinto delle proprie illusioni non uscirebbe di casa con un passamontagna in tasca da usare come maschera nel momento del bisogno, non si getterebbe in situazioni ingestibili che prevedevano una denuncia anonima al 911 per il proprio operato eseguito con successo, fruttandogli collateralmente parecchie contusioni e qualche osso rotto riparato nel giro di una lunga dormita ristoratrice. Forse, ad essere davvero convinto delle proprie azioni, troverebbe il coraggio di parlarne con Nana ed opporsi a Bobo, confessandogli che il suo idolo non è mai stato Rogers ma Isaiah stesso… ma con i "forse" Elijah non va proprio da nessuna parte, anzi, si perde in un bicchiere d'acqua mentre cerca di spingere in avanti da solo un mondo arenato in dune grigiastre. 

 

***

 

«Sei sicuro che sia una buona idea?» chiede Elijah titubante, scoccandogli uno sguardo in tralice che dà ancora spazio ad un ripensamento. 

«Da qualche parte dovremo pur cominciare, no?» sospira Theodore sciogliendo la presa di ferro intorno alle chiavi della propria Volvo scassata che tiene in mano, rilasciando la tensione avvertendo il leggero pizzicore del segno rossastro inciso sul palmo, staccandosi dalla portiera dell'auto a cui è puntellato con un colpo di reni, avviandosi a passo deciso verso la porta della sua "prossimamente ex" casa. 

Teddy non varca la soglia della propria abitazione da un anno e mezzo ormai, da quando Isaiah era giunto a raccoglierlo dal pavimento e se l'era trascinato in ospedale – Theodore aveva passato interi giorni in sala d'attesa rifiutandosi di lasciare il capezzale di Elijah, cedendo al pianto quando il proprio migliore amico aveva inspiegabilmente aperto gli occhi per puro miracolo, autoproclamandosi sua personale guardia del corpo per tutto il periodo della degenza. Faith gli aveva liberato la vecchia stanza di Josiah comandando a bacchetta Isaiah, implacabile nonostante la gamba interamente ingessata ed il tutore al braccio, coordinando anche l'astellimento degli spazi quando l'uomo aveva chiesto a Teddy le chiavi di casa e si era incaricato personalmente del trasloco, come se quella serie di gentilezze fossero la prassi più naturale al mondo – era stato sempre Isaiah a raccogliere le ceneri di Anelle e prendere accordi con gli agenti del Damage Control, organizzando la veglia funebre e procurandosi i documenti necessari per impedire a Teddy di venir smistato in uno dei tanti centri accoglienza per orfani spuntati come funghi dopo la Decimazione, proteggendolo sotto il tetto sicuro di Casa Bradley. 

Teddy aveva apprezzato infinitamente il fatto che il giorno dell'inaugurazione del Memoriale di New York erano tutti e tre presenti al suo fianco, Eli gli aveva pure restituito il favore come guardia del corpo reggendolo in piedi quando era giunto il momento di rintracciare i gemelli Eisenhardt tra la bolgia, convincendo la solitaria Signora Kaplan ad unirsi a loro per una cioccolata calda, spezzando la tensione della giornata fin troppo carica di condoglianze di circostanza – la conversazione titubante davanti alla bevanda ci aveva messo un po' ad ingranare, sbloccandosi gradualmente quando William aveva preso coraggio puntando il dito sull'espressione tesa dipinta sul volto di Rogers, che in cima al palco vicino al Sindaco sembrava dimostrare tutti gli anni che si portava effettivamente sulle spalle, seguito a ruota dall'osservazione di Elijah in merito alle mani di Stark irrequiete che si allentavano ritmicamente i polsini della camicia con discrezione per tutta la durata della cerimonia, sedando un malcelato impulso di darsi alla fuga senza guardarsi indietro nemmeno una volta, entrambi sorvegliati a vista rispettivamente da Romanov e Rhodes per garantire il proseguimento della commemorazione senza intoppi non richiesti. Parlare degli Avengers in quei termini aveva sempre un ché di triste e deprimente, scoprirli umani era stata una bella batosta per tutta la metà di popolazione mondiale rimasta… anche se Teddy, nel vederli abbattuti, si era sentito meglio nel saperli tutti nella stessa barca – non aveva avuto il coraggio di esprimere il proprio pensiero ad alta voce, ma aveva il vago sentore che per chiunque altro il sentimento predominante fosse lo stesso. 

«Va bene, allora iniziamo.» concede Elijah seguendolo a ruota lungo il vialetto di entrata, con lo scotch per pacchi e gli scatoloni componibili sotto braccio. 

Teddy scosta il portoncino per dar spazio di manovra all'amico, soffermandosi ad osservare la polvere che ricopre i mobili, strofinandosi il naso irritato dal pulviscolo e dall'odore da chiuso… e la situazione è tosta, assopendo l'istinto di darsela a gambe, focalizzandosi sullo sguardo incerto di Eli che lo studia in silenzio a qualche metro di distanza. 

«Sai che non ti obbliga nessuno, vero? Possiamo tornare a casa e tornare quando ti senti… pronto.» si offre nuovamente Elijah, posando gli scatoloni a terra, annuendo al cenno della mano di Teddy quando declina l'offerta. «Va bene, come vuoi… come ci organizziamo?» 

Theodore lo osserva vacuo, dando voce al pilota automatico che suggerisce un "sono aperto a suggerimenti" incolore, ritrovandosi in mano uno scatolone e portando i propri piedi in salotto seguendo le direttive di Elijah, iniziando a riporre i libri disposti negli scaffali nella scatola – come inizio non è malvagio, la libreria è una modifica talmente marginale da essere catalogata dal suo cervello come transitoria. 

Era stata una idea di Faith quella di svuotare la propria abitazione trasformando l'azione in una elaborazione del lutto fisica, risparmiando sulla ditta di traslochi prima di mettere la casa in vendita all'asta, proposta subito appoggiata da Isaiah, il quale aveva rilanciato con il suggerimento di investire i soldi, fino a quel momento devoluti all'affitto dell'immobile, in un box magazzino dove accatastare tutti gli oggetti che Teddy desiderava tenere, risparmiandogli il cruccio di dover decidere troppe cose in un momento solo – Elijah, d'altro canto, si era limitato a ricordargli che il mercoledì era il suo pomeriggio libero dagli impegni scolastici di ogni tipo, rendendo implicita la sua ovvia partecipazione alla dinamica. 

«Ma tu sei davvero sicuro di non avere nient'altro di meglio da fare? Ci diplomiamo tra meno di un mese, non hai niente da studiare?» chiede Theodore a bruciapelo al terzo mercoledì di fila in cui Elijah sale sul sedile del passeggero, le chiavi del box magazzino in tasca ed altri scatoloni componibili stivati nel bagagliaio. 

«Ted, sei il mio migliore amico. Il mio unico amico.» ribatte spigliato Elijah con sguardo color ebano, allacciandosi la cintura ed intrecciando le mani in grembo. «Se non lo faccio per te, per chi altro dovrei farlo?» 

La domanda retorica si riversa su Theodore con lo stesso sconcerto di una doccia gelata, accantonando a forza il quesito morboso sul come trascorresse davvero il tempo libero Elijah quando non era in sua compagnia – sa che Faith era preoccupata per il nipote, temeva che Eli non socializzasse abbastanza, a discapito dell'impegno scolastico e i turni al bar per raccattare qualche spicciolo, o le occasionali serate in cui Teddy lo trascinava a forza dai gemelli per una partita alla Playstation, un binge-watching su Netflix o una pizza. 

«Giusto, chissà perché me lo chiedo.» cerca di sdrammatizzare Theodore, girando la chiave nel quadrante della Volvo avviando il motore, sorvolando sulla tensione latente che irrigidisce le spalle di Eli nel sentire il brontolio dell'auto in funzione. «Piuttosto, quand'è che ti decidi a riprendere in mano la macchina?»

«La metropolitana è una scelta pratica ed ecosostenibile.» sorride sfrontato l'amico, scrollando le spalle con noncuranza ed evitando a piè pari l'implicita frecciatina al fatto che dopo l'incidente l'auto di Faith era finita dal rottamatore ed Eli aveva opportunamente perso la patente "in giro".

Theodore rinuncia in partenza alla discussione, liquidando l'argomento con un cenno della mano prima di portarla sul retro del poggiatesta di Elijah, inserendo la retromarcia ed uscendo dal garage. 

Il pomeriggio trascorre lento, scandito dai viaggi su e giù per le scale per depositare gli scatoloni nel bagagliaio, stivando oggetti di ogni tipo – vestiti, soprammobili, libri, fotografie, le calamite appese al frigo raffiguranti tutti i luoghi visitati da Anelle per lavoro –, sbiadendo l'ombra del lutto nel semplice gesto di spostare gli averi da un luogo ad un altro, inscatolando ed etichettando con essi anche quei sentimenti che fino a quel momento erano creduti incomprensibili. 

«Ehi Ted, puoi venire qui un attimo?» Theodore si sente chiamare da Elijah, scendendo dalla sedia usata per raggiungere la mensola più alta nella cabina armadio di Anelle, sporgendosi oltre la soglia dello studio di sua madre, individuando l'amico davanti lo scaffale principale con uno scatolone vuoto a fianco, steso sul pavimento sommerso da taccuini e fascicoli di ogni tipo. «Stavo dividendo i taccuini per tipo ed argomento, ma certi sono scritti in… arabo? Tua madre parlava anche l'arabo?» 

«Non ne ho idea, può essere… lavora-... lavorava per l'ufficio esteri.» corregge il tiro Teddy, accartocciando la lingua contro il palato nel obbligarsi a coniugare il tempo verbale al passato, allungando una mano verso il fascicolo tra le mani di Elijah. «Dà qua, fa vedere.»

Il respiro di Theodore si interrompe di colpo, riconoscendo la lingua Skrull nei caratteri stampati, sollevando allarmato lo sguardo sullo scaffale ricolmo di verbali in alfabeto alieno riguardanti tutte le Missioni terminate da Anelle – evidentemente un comune hard disk di backup era troppo complesso, avrebbe dovuto immaginare che sua madre ne teneva una copia cartacea in casa per ogni evenienza. 

«Eli… lascia stare, di questi me ne occupo io che-...» esordisce con titubanza Teddy, avanzando con forse troppa precipitosità verso lo scatolone ai piedi di Elijah, attirandosi addosso uno sguardo carico di sospetto. 

«… che tu sai l'arabo? Dai, fammi-...» conclude Eli al suo posto con un sorriso ironico impresso sulle labbra, congelando i lineamenti all'improvviso quanto posa lo sguardo sulla carta intestata del primo fascicolo che prende in mano, ancora intestardito a rendersi utile e riconoscendo malauguratamente il logo dello SWORD sulla cima del foglio, iniziando a boccheggiare a vuoto gettando Theodore nel panico, il quale si precipita a strappargli via dalle mani il plico di documenti con violenza finendo addosso alla mensola adiacente, seminando sul pavimento i portafoto con un fragore di vetri infranti assordante. «Ted…?»

«Non è successo niente.» arranca una scusa Theodore, inginocchiandosi tra le schegge di vetro iniziando a raccoglierle, pretendendo di ignorare la scoperta con ottusa convinzione nonostante il danno fosse ormai fatto, ferendosi un palmo nella foga che spilla macchie di sangue nerastro. «Merda.»

«Ti sei tagliato? Fammi dare un’occhiata…» si fa avanti Eli sporgendosi nella sua direzione, spalancando lo sguardo allarmato quando nota il colore insolito del sangue che cola dalle dita dell'amico, scorgendo una trasparenza verdastra nella pelle sfregiata che pian piano inizia a rimarginarsi autonomamente. «Theodore…» 

Teddy, invece di arrancare una scusa o tentare una articolata spiegazione, si ritrova ad iperventilare, spaventato dalla possibile reazione di Eli nel scoprire la sua vera natura – Hai mantenuto il segreto per anni, non puoi aver commesso un passo falso così clamoroso… e se Elijah fugge? Se Faith e Isaiah lo sbattono fuori di casa? O peggio, se qualcuno viene a conoscenza della presenza di alieni nel Paese? L'ultima volta non l'hanno presa bene, il Congresso ha deciso di sganciare una testata nucleare su Manhattan per sbarazzarsi del problema.

«Teddy. Ehi, Theodore.» lo tranquillizza Eli portando le mani alla sua nuca, inchiodando gli occhi color ebano nelle sue iridi azzurro-verdi. «Respira, va tutto bene. Dai, uno..

Elijah inizia a contare a voce alta, arrivando alla quarantatreesima inspirazione prima di vedere il fiato di Theodore stabilizzarsi, aspettando un tempo che reputa consono prima di chiedergli gentilmente una spiegazione… e Teddy racconta, di zio Talos, di Carol Danvers e di Nick Fury, dello SWORD. Di New York, di come sua madre l'avesse portato in salvo dai Chitauri spacciandosi per una di loro, di come i geni di suo padre all'apparenza lo facessero sembrare un comune Sapiens quando in realtà non lo era. 

«Oh. Okay.» afferma infine Elijah a confessione conclusa, generando un'espressione di puro sconcerto nei lineamenti di Theodore. 

«"Okay"?» ribadisce stupito Teddy, incapace di metabolizzare il risvolto inaspettato della conversazione, scandagliando lo sguardo, la postura ed il sorriso di Eli in cerca di un qualsiasi cenno che tradisse la sua tranquillità, trovandone nessuno. «Hai sbattuto la testa, Elijah?»

«No, sto benissimo Dorrek.» ironizza Eli calcando la voce sul suo vero nome, permettendo a Teddy di vedere le sue pupille illuminarsi con una scintilla giocosa, promettendo di dargli il tormento in futuro aggiungendo "Dorrek" ai nomi detestabili con cui poteva appellarlo oltre a "Rufus". «Theodore Rufus Dorrek Altman, alla faccia dei nomi chilometrici da principe.»

«Ecco, lo sapevo… non mi piace quel nome.» replica Teddy incolore, astenendosi dal commentare la situazione. 

«Okay, scusami… ma di preciso che sai fare?» chiede Eli curioso, strabuzzando gli occhi quando la pelle ed i muscoli di Teddy si contraggono e si squagliano, riaggregandosi nella copia carbone dei connotati di Elijah. «OH mio… sei la mia copia esatta.»

«No, qualche dettaglio va sempre perso. Non mi piace cambiare forma, in modo così evidente almeno.» spiega Teddy con una scrollata di spalle, indicandosi distrattamente le iridi marrone scuro di due tonalità più chiare rispetto a quelle dell'amico e la sua fila di piercing rimasti su entrambe le orecchie invece di lasciare spazio al semplice anellino d'oro che pende dal lobo sinistro di Eli. «È ancora tutto "okay"?» 

«Lo è se smetti di parlare con la mia voce, mi metti i brividi.» ribatte Elijah aspettando pazientemente che la pelle di Teddy si schiarisca, gli rispunti la zazzera di capelli biondi sul capo e gli occhi tornino color acquamarina prima di interrogarlo con un "meglio?" incerto. «Molto… senza offesa, ma l'idea che tu possa-… indossare la mia faccia mi fa sentire a disagio.»

«La faccia di chiunque altro va bene invece?» chiede Theodore con innocenza, tastando guardingo il terreno prima di sbilanciarsi ed esporsi troppo. 

«Dovrei forse dedurre che questa non è la tua?» lo osserva confuso Elijah, indicando a spanne i suoi capelli biondi, la mascella squadrata e le spalle larghe, assottigliando lo sguardo quando il ragazzo fugge con le iridi in un'altra direzione. «Theodore

«È un concetto relativo, sai?» si stringe tra le spalle Teddy, prendendo a morsi la confessione di aver abusato delle proprie capacità dopo New York, seguendo la convinzione fuorviante che piacere alle persone fosse un scalino subito sotto al farsi degli amici… prima degli Accordi almeno, quando si era ufficialmente reso conto che i suoi cosiddetti "amici" lo prendevano in giro per il suo interesse in qualcosa che non fosse il basket o le cheerleader, iniziando a tagliare i ponti un po' con tutti e ritornando da Elijah con la coda tra le gambe quando la storia con Greg era ufficialmente trapelata tra i corridoi di scuola facendolo finire dalle stelle alle stalle nel giro di un weekend. «Una volta ci davo molto più peso, ma-…» 

«Dici, davvero?» lo interrompe Elijah, usando un tono di voce che lascia intuire come non gli avesse ancora perdonato del tutto il periodo di abbandono tra il secondo e il terzo anno di superiori. «Sono felice di sentirtelo ammettere, finalmente.»

«Eli, ne abbiamo già discusso e mi dispiace… ma io starei tentando di fare un discorso serio.» lo riprende Theodore, scrutandolo torvo fino a quando l'amico rinuncia a dar battaglia e si pone nelle condizioni di ascoltarlo. «Senti, questa è la faccia che mi piace avere, ma le mie cellule sono come creta… quindi è letteralmente solo una questione di autocontrollo.»

«E questo che vuol dire?» chiede Elijah interrogativo, corrugando la fronte nel vedere i suoi occhi cambiare colore, spostando poi l'attenzione sulla mano squamosa ed artigliata sollevata tra loro di un bel verde cangiante. 

«Vuol dire che devo giustificare visivamente la forza sovrumana.» spiega Theodore con l'ennesima scrollata di spalle, indicando distrattamente i propri muscoli definiti con gli artigli, prima di accorciarsi le unghie ad una misura umana e pettinandosi il ciuffo con le dita. «E poi alcuni trucchetti tornano utili, i miei capelli non vedono un paio di forbici da anni e la mattina non perdo tempo a radermi.»

«Quello torna effettivamente utile…» ammette Elijah riflessivo, realizzando come non aveva mai visto Theodore con un rasoio in mano a discapito dell'ultimo anno e mezzo di convivenza, liquidando la divagazione con un gesto della mano. «Comunque lo... accetto, ecco. Non è la notizia più sconvolgente che mi è capitato di sentire ultimamente.»

«Più strana di scoprire che il tuo migliore amico è un alieno?» indaga Teddy scettico inarcando un sopracciglio, puntellandosi all'indietro gravando con il peso sui palmi, seguendo Elijah con lo sguardo quando si sporge repentino a raccogliere un frammento di vetro, affettandosi un polpastrello prima che Theodore possa realizzare l'accaduto. «Eli, ma che diavolo...!»

«Hai presente Steve Rogers?» lo riprende Elijah con noncuranza, puntando il polpastrello verso l'alto lasciando che il sangue rosso vivo gli coli giù lungo il palmo fino all'avambraccio. 

«Possiamo evitare le domande ovvie, per favore? Per questo potrei sentirmi davvero offeso...» replica Theodore con espressione corrucciata, sgranando lo sguardo quando il sangue si placa da solo e l'epidermide ricomincia a rimarginarsi lasciando dietro di sé pelle intatta. «Okay. Credo… no, come?»

«Prima di iniettato a Rogers l'hanno testato su Bobo… ed è genetico, a quanto pare.» spiega spiccio Eli con tono lapidario, frugando nelle tasche dei jeans cercando un fazzoletto con cui pulirsi dal sangue. «Io ne ho semplicemente avuto una dose extra il giorno dell'incidente.» 

«Per questo non sei…?» azzarda Teddy lasciando cadere la domanda nel vuoto, indicando a spanne Eli per intero. 

«Morto? Già, per questo non sono morto.» conferma il ragazzo distrattamente, rinunciando a cercare un fazzoletto ed alzandosi per raggiungere il lavandino in bagno, aprendo l'acqua corrente per risciacquarsi. 

«Quindi ora che facciamo?» chiede Teddy seguendolo a ruota, appoggiandosi allo stipite della porta del bagno, fornendo una spiegazione al sopracciglio inarcato di Elijah. «Credo di aver finalmente capito dove sparisci fino alle tre di notte… quindi che facciamo? Ci ignoriamo, diventerò il tuo "uomo sulla sedia", facciamo squadra?» 

«Non lo so Ted, non dobbiamo deciderlo adesso.» lo liquida Elijah, tornando sui propri passi come a voler fuggire dall'argomento, bloccandosi davanti allo scaffale puntando i pugni ai fianchi prima di voltarsi nella sua direzione con un ghigno ironico dipinto sulle labbra. «Ufficio esteri, eh? Siamo in classe insieme dall'asilo, dici che non potevo arrivarci un po' prima?»

«Ne dubito.» sghignazza Theodore aprendosi finalmente in un sorriso, grattandosi il retro della nuca riflessivo, soffermandosi improvvisamente su un pensiero randomico. «Aspetta. Ma quindi quanti anni ha Isaiah?» 

«Troppi.» replica Elijah laconico, scrollando le spalle lasciando intuire che anche quello è uno degli argomenti su cui non desidera soffermarsi più di tanto. «Siamo d'accordo nel far finta di non aver mai avuto questa conversazione?» 

«Quale conversazione?» lo asseconda Teddy raccogliendo lo scatolone da terra, iniziando ad accatastare i fascicoli come se nulla fosse. 

«Appunto.»

 

[*]

 

***

 

«Ehi! C’è qualcuno in casa?!» la porta d’ingresso trema, percossa dai pugni impazienti di un ospite sconosciuto atteso da Kate sola, la quale tuttavia attende paziente seduta sulle scale che Susan o suo padre si scomodino ad aprire l’uscio al suo posto.

«Beth! Vai ad aprire?!» strepita la voce di Derek dal soggiorno, rassegnandosi a palesarsi sul corridoio d’entrata quando da lei non giunge alcuna risposta, scoccandole uno sguardo di profonda delusione mista a scetticismo. «Sei qui Elizabeth, potevi aprire la porta. Lascia stare… non stai facendo anche tardi per il tuo appuntamento?»

Kathrine non risponde, si limita ad incurvare gli angoli della bocca in un sorriso di circostanza, nascondendo la trepidante attesa nel vedere suo padre voltarsi verso la porta d'ingresso ed aprirla, ancora percossa dai pugni del loro ospite ormai spazientito ed incline a sfondarla al prossimo richiamo a vuoto – Derek la degna a malapena di uno sguardo, non si prende nemmeno la briga di interrogarsi sul trolley ed il borsone sportivo ai piedi delle scale, dello zaino sulle spalle della sua secondogenita e delle chiavi del Maggiolino viola con cui sta giochicchiando Kate nell’attesa. Forse avrebbe dovuto, si sarebbe risparmiato l’espressione di vivo sbigottimento che gli trasforma i lineamenti una volta aperto l’uscio, rivelando agli occhi dei federali la sua rabbia cieca quando Kate finalmente si alza dal gradino sul quale attendeva il segnale per la propria uscita di scena, lasciandosi alle spalle la sua vecchia vita come si era ripromessa di fare da più di un anno.

Katherine lascia dietro di sé le urla, le imprecazioni e gli insulti collezionati sulle proprie spalle per quasi vent’anni, abbandona Susan alla sua reggia dorata in rovina, condanna suo padre ad un numero imbarazzante di anni in galera per tutto ciò che di fraudolento ed illegale aveva trovato nel suo ufficio il giorno in cui aveva inutilmente soccorso le ceneri di sua madre sparse sul tappeto persiano… inghiottendo a forza la rabbia ribollente che la invade nuovamente al ricordo della Commemorazione, quando sia Susan che Derek si erano dimenticati di presenziare all'Inaugurazione del Memoriale di New York, ricordando la solitudine ed il gelo che si era abbattuto su di lei come una scure, a malapena confortata dalle sole condoglianze di rito della sua analista – crede di essersi sbronzata, poi. Ne era abbastanza convinta perchè, fondamentalmente, l’ultimo ricordo che aveva della giornata erano Stark e il Capitano che voltavano le spalle alla ressa e salivano a spalle curve su una berlina nera.

Il semplice gesto di caricare il trolley ed il borsone nel bagagliaio riempiono Kate di un sollievo tale da darle le vertigini, mettendosi alla guida raggiungendo il monolocale che si è affittata vicino a West Village, scaricando i bagagli e parcheggiando l’auto prima di raggiungere a piedi l’ufficio di Rebecca Kaplan lì vicino. 

Il trasferimento – e l'implicita implosione della propria famiglia – non era stata una scelta presa a cuor leggero, ma era diventata una decisione vitale dopo la Decimazione, quando suo padre aveva iniziato a far sfoggio della sua vera natura che Eleanor negli anni aveva sempre tentato di nascondere alle figlie. Derek aveva trovato il modo di rendere il poco di convivenza effettiva esasperante, divertendosi a ripudiare Kate in ogni più piccolo ambito… di colpo la retta del college era troppo costosa, le lezioni di scherma e tiro con l’arco pure – aveva salvato il proprio arco dal raptus da casalinga disperata di Heather per puro tempismo, sopprimendo l’istinto di impalarla alla porta con una freccia quando la compagna di suo padre aveva minacciato di buttarle via tutti i suoi bersagli, obbligandola allo sport suicida della danza classica perchè “più adatto ad una ragazza dell’alta società”. Il concetto di “etichetta” ed il conseguente prestigio sposato dalla famiglia Bishop, spesso ignorato e rivoluzionato da sua madre, era tornato a soffocare Kate in modi che aveva dimenticato negli anni… ed è una vita che non vuole, soprattutto dopo aver scoperto che i soldi riciclati con cui Derek le pagava la retta alla Hawthorne Academy, gli sport extrascolastici e le sue ormai rare uscite del sabato sera derivavano dalle pasticche che quasi due anni e mezzo prima per poco non l’avevano rovinata ed uccisa.

A pensarci bene Kate aveva congelato i rapporti con Derek da molto prima, la mezza overdose e ciò che ne era seguito aveva solo atrofizzato ancora di più la situazione con lui e Susan, ma era stata la Decimazione a generare l’iceberg che ha affondato la sua famiglia – forse c’era un qualcosa di vagamente sadico nel aver sognato per mesi i notiziari che vedevano suo padre protagonista di un processo, di come il suo accordo con l’FBI le garantiva il completo anonimato e la possibilità di sparire nella folla come aveva sempre desiderato, lasciando a Susan tutti i riflettori che tanto amava e dai quali non si sarebbe potuta liberare per molto tempo… paradossalmente non c’era nemmeno il rischio che sua sorella la tirasse controvoglia in mezzo all’inghippo, da sempre portata in palmo di mano da Derek e cresciuta con l’abitudine consolidata negli anni che gli scandali andavano negati anche e soprattutto quando erano davanti agli occhi e sulla bocca di tutti. 

È ormai questione di giorni prima che Derek congeli i suoi conti e Susan inizi a definirla una “seccatura” davanti ai media, Kate conosceva i propri familiari al punto da aver già raccolto i suoi averi essenziali in due valigie, trasferito tutti i propri soldi su un nuovo conto corrente e trovato un tetto relativamente economico sotto cui vivere… il prossimo passo era cercarsi un lavoro, ma le riviste scarabocchiate sui sedili posteriori del suo Maggiolino già denunciavano la sua agguerrita volontà nel trovarsi un qualsiasi impiego con cui pagarsi l’affitto senza lapidare la propria piccola fortuna nel giro di tre mesi. Si era ripromessa di morire di freddo o di fame su un marciapiede piuttosto che tornare da suo padre con la coda tra le gambe, in quella che ormai era diventata una vera e propria questione di principio.

«Ehi, bellissima.» esclama qualcuno nel silenzio della sala d’attesa in cui Kate mette piede, spingendo la ragazza a guardarsi intorno alla ricerca della voce inopportuna che l'ha appellata, scovando una zazzera di capelli color platino e due iridi nocciola che la spiano da dietro un albo a fumetti. 

«Ehi, bellissimo.» si scopre a replicare assecondando il gioco, accomodandosi sulla prima poltroncina che si ritrova tra i piedi, stampandosi un micro sorriso sul volto tradendo una punta di curiosità davanti all'intruso dall'aria vagamente familiare. «Tu saresti…?»

«Il figlio della dottoressa.» ribatte spigliato il diretto interessato, raddrizzandosi composto sulla poltroncina abbandonando la posa stravaccata, chiudendo l'albo a fumetti sull'indice per tenersi il segno, rendendo implicito il desiderio di voler fare conversazione. «Sei una paziente nuova? Non ti ho mai vista.»

«No, sono di vecchia data… è che ho dovuto rivoluzionare la mia agenda.» si sbilancia Kate asciutta, stringendosi la borsa in grembo ed incrociando le caviglie in posa di difesa – Quello deve evitarlo, dopotutto si sta sforzando per tornare a socializzare come un normale essere umano –, sciogliendosi con un respiro profondo e tornando a posare lo sguardo sul suo interlocutore. «Mi chiamo Kate comunque, non Bellissima

Forse il complimento le è uscito come un insulto, spingendo il ragazzo a perdere lo sguardo canzonatorio realizzando la gaffe, affrettandosi a mormorare delle scuse e distogliendo l'attenzione da lei con un'espressione talmente buffa sul volto da accendere una lampadina nel cervello di Katherine, lasciando la lingua a briglia sciolta prima che il cervello possa placarla.

«Ti sei decolorato i capelli?» chiede a bruciapelo, attirandosi nuovamente le iridi nocciola del ragazzo addosso. 

«Mi confondi con William, mio fratello.» le spiega il diretto interessato, sporgendosi nella sua direzione a mano tesa con una esuberanza fin troppo esagerata per i gusti di Katherine. «Thomas, il gemello affascinante e simpatico.»

«Avrei da ridire su entrambe le cose.» ribatte la ragazza lapidaria, evitando di stringergli la mano e fulminandolo con due iridi celesti che gli intimano di rispettare i suoi spazi, sforzandosi di stamparsi un sorriso di scuse sul volto per fare ammenda – Cattiveria gratuita Katherine, non va bene. 

«Paziente di vecchia data, eh?» esordisce Thomas cercando di non lasciare morire il discorso scadendo in una domanda forse inopportuna, inciampando sul "credevo che William fosse figlio unico" di Kate, nel suo blando tentativo di rimediare alla propria indole scorbutica. 

Derek aveva preteso che Katherine iniziasse a frequentare un analista durante il periodo del divorzio dalla moglie, convinto che qualcuno di "esterno" potesse convincere la sua secondogenita che essere stato colto in flagrante a letto con una donna che non era sua madre era una motivazione ridicola per smettere di parlargli, trovando nella Dottoressa Kaplan una confidente per tutte le angherie commesse da suo padre nei suoi confronti. Era grazie al suo aiuto se aveva mantenuto dei rapporti civili con Derek per tutto il periodo dell'adolescenza, era sempre merito della Dottoressa se aveva imparato a limare alcuni lati del proprio carattere per poter scendere a compromessi con Susan… ed era stata Rebecca il primo contatto di emergenza chiamato la notte della mezza overdose, convocandola al suo capezzale per fare da scudo tra lei e suo padre. Non ha voglia di raccontarsi a Thomas, ma il ragazzo deve capirlo al volo, perché dopo la breve spiegazione sulla propria "adozione" torna a tuffare il naso nel fumetto su Scarlet Witch che aveva interrotto al suo arrivo come se quella piccola parentesi non si fosse mai verificata. 

Katherine ricorda di aver avuto paura, quella notte, così tanta che in confronto perfino la Decimazione impallidiva – Susan l'aveva bidonata all’ultimo minuto per una cena di lavoro e Kate, pur di non sprecare la serata, aveva accettato l’invito Facebook giratole da Victoria, raggiungendola ad uno dei festini organizzati dagli amici di Jeremy a Little Ukraine. Kate non sapeva esattamente chi e quando le aveva sciolto le pasticche nel Martini, ma ricordava fin troppo bene una voce che puzzava di alcol e delle mani che avevano fatto in tempo a strapparle le calze di dosso prima che dieci unghie laccate di nero intervenissero tempestive invitando il suo assalitore alla fuga. A Kate erano rimasti solamente dei ricordi fumosi sugli eventi di quella notte – capelli biondi, l'aroma di tabacco impresso sul tessuto dei sedili dell'auto, chiacchiere lacrimose incaute ed un riflesso metallico proiettato sul parabrezza –, erano state le infermiere a raccontarle che un bell'uomo aveva guidato una utilitaria grigia fino al pronto soccorso e che una donna graziosa le aveva fatto compagnia fino all'arrivo della Signora Kaplan, lasciando come unica traccia di sé un "Natalia Bar-qualcosa" scarabocchiato sul fondo del foglio dell'accettazione. Derek era arrivato tre ore più tardi, inscenando una faida in piena regola con le infermiere sostenendo che sua figlia non era stata drogata, vantando il medesimo accanimento nell'impedire a Katherine di sporgere denuncia perché l'imputato era il figlio di un suo cliente, macerando risentimento corrosivo quando Susan si era salvata dalla furia di loro padre affermando che non era la babysitter di Katherine e che non decideva lei le date delle sue cene di lavoro – la rabbia si era tramutata in furia determinata, in risentimento, in quel sentimento inconcepibile di sentirsi un pezzo di carne ridotto in silenzio… e Kate aveva goduto in silenzio quando aveva letto sul New York Bulletin dell'arresto del suo assalitore due settimane dopo il ricovero, covando il sospetto di doversi sdebitare con "Natalia" in una prossima vita in quanto fonte anonima decisiva per l’inizio del processo. 

«Katherine?» la riscuote la voce della Dottoressa Kaplan, scostandosi dalla soglia invitandola ad accomodarsi nell'ufficio, soffermandosi in sala d'attesa giusto il tempo per avvisare Thomas che la ragazza è la sua ultima paziente della giornata e poi possono tornare a casa, chiudendosi poi la porta alle spalle rivolgendole la sua completa attenzione. «Oggi è stata una buona giornata?» 

«Decisamente sì.» conferma Kate lasciandosi cadere sul divanetto, cercando lo sguardo di Rebecca per riferirle le due uniche parole che vale la pena di proferire, nascondendo in esse un non detto immenso che la Dottoressa riesce a recepire senza troppi fronzoli di contorno. «L'ho fatto. L'ho fatto… e mi sento benissimo.»

 

***

 

«Billy?» sussurra Thomas nel buio, sporgendosi oltre la sponda del letto a castello e sbirciando a testa in giù il grado di collasso del gemello.

«Che vuoi?» brontola William assonnato, disseppellendo la testa da sotto il cuscino, rigirandosi su un fianco individuando nel buio il profilo del fratello. «Che ora è?»

Tommy sparisce momentaneamente dal suo campo visivo, illuminando lo schermo del cellulare per appurare l'ora, tornando poi a testa in giù per comunicare al fratello che sono le quattro e ventisette del mattino.

«Thomas… domani mattina siamo a scuola, ed io ho compito di tedesco. Ho bisogno di dormire, per una volta che non mi assillano gli incubi.» puntualizza William innervosito, dandogli nuovamente le spalle sopprimendo uno sbadiglio. «Dormi, Bro.»

«Ormai il sonno l'ho perso… non riesco a spegnere il cervello.» arranca una scusa Thomas, rimanendo in attesa di una qualsiasi reazione da parte del gemello, mentre il sangue pian piano inizia ad andargli al cervello. 

«Conta le pecore.» commenta Billy lapidario sopprimendo un sospiro nel mentre, ricevendo una cuscinata a tradimento che gli fa scivolare dalle labbra una imprecazione in dialetto sokoviano che viene dritta dritta dal cuore. 

«Shhh, così svegli Rebecca…!» lo sgrida Thomas sottovoce, congelandosi sul posto ascoltando i micro-rumori al di là del corridoio, rilassandosi quando il russare della donna rimane invariato dopo più di trenta secondi di attesa. «Salta su.»

William, ormai sveglio, asseconda il volere del gemello arrampicandosi sul letto a castello portandosi dietro il cuscino, acclimatandosi sul fondo del materasso con il capo dal lato dei piedi e quest'ultimi seppelliti tra le coperte ai lati di Tommy. 

«Cosa c’è? Volevi compagnia?» brontola chiudendo gli occhi, aggiustando la posizione delle spalle e respirando a fondo per richiamare indietro il sonno… rinunciandoci a priori quando la luce dello schermo del kindle lo investe, portando velocemente le mani a coprirsi gli occhi. «Tommy…!»

«Taci, questo è l'unico momento in cui possiamo parlarne perché nessuno ci ascolta.» lo supplica Thomas enfatizzando sull'argomento taciuto, rifilandogli una leggera schicchera contro la coscia. 

«A meno che Mamma non abbia nascosto delle cimici qui in giro e noi non lo sappiamo.» scherza Billy a metà tra il sonno ed il cinismo, ricevendo una seconda schicchera per protesta. «Okay, va bene… cosa sto guardando?»

William abbassa lo sguardo sullo schermo del kindle abbandonando la domanda retorica a sé stessa, scorrendo le pagine del fumetto digitale sulla Strega Scarlatta con dei leggeri "tap" sul bordo dello schermo, apprendendo le nozioni che Tommy vuole fargli conoscere a forza. 

«Tu lo sai che non ho più fatto pratica, vero? L'ultima volta ti ho magicamente aggiustato i timpani per sbaglio, e anche male oserei dire, non hai più recuperato l'udito del tutto…» asserisce William con tono colpevole, muovendosi convulso sul materasso quando Tommy gli rifila una terza schicchera a tradimento. «E piantala…!»

«Io non ci sento bene perché mi ostino ad ascoltare i Van Halen a tutto volume.» lo assolve Thomas, supplicandolo con lo sguardo di dare ad entrambi una possibilità per sperimentare. «Non puoi sopprimere così un'altra parte di te.»

William si morde la lingua e lo fulmina con sguardo dardeggiante, ma Thomas non riesce proprio a farsene una colpa… negli anni Billy aveva imparato a smussare gli angoli della propria personalità per non infastidire nessuno, quando Tommy desiderava soltanto che il mondo iniziasse a guardare al gemello come l'eroe che era sempre apparso ai suoi occhi, a costo di convertire il mondo intero, a partire dal diretto interessato a colpi di indolenza e discorsetti motivazionali.

«Prima trova un posto dove farmi esercitare senza essere visti… e senza morire di freddo magari, dato che siamo ad ottobre, poi se ne può parlare.» cede Billy con un sospiro, ritrovandosi le braccia di Tommy al collo in un moto di entusiasmo esuberante. «Scollati

La tacita minaccia va a buon fine, Tommy si scusa per il contatto indesiderato e si rannicchia contro la propria porzione di letto, aspettando che William ceda nuovamente al sonno con un tenue sorriso dipinto sulle labbra… e Thomas vorrebbe sempre vederlo così: rilassato, protetto, felice. Tommy non poteva condividere ogni pensiero o azione di Billy, ma rimaneva testardamente fedele alla promessa fatta a sé stesso, a costo di mentire dipingendo un mondo rose e fiori su misura per William se ciò poteva aiutarlo a fronteggiare meglio i lunedì, i giorni di pioggia, i rientri pomeridiani in una scuola fantasma, le cene senza suo padre e l'apprensione di Rebecca trasformata in mania del controllo dopo la Decimazione. 

Per Thomas era ormai diventata un'abitudine intrinseca, vagamente dettata dal fatto di essere il "gemello maggiore" per dodici fatidici minuti, ma convertita in dogma il giorno in cui a sette anni Tommy aveva trovato Nonna Magda stesa sul pavimento della cucina – era riuscito a convincere Billy che la donna stesse dormendo fino a quando non era arrivata l'ambulanza per portare via il corpo, come era riuscito a rendere "divertente" l'anno e mezzo in orfanotrofio facendo scherzi agli altri bambini, o come si era sforzato di limitare i capricci ed incanalare positivamente l’iperattività quando i Shepherd ed i Kaplan li avevano portati in America, promettendo solennemente di farli frequentare assiduamente nonostante vivessero sotto due tetti diversi. Thomas ricordava fin troppo bene il mutismo, gli occhi spenti, la fame assente, l'aria inerte di William quando Mamma non era più tornata dall'ospedale… era stato fin troppo spaventoso, doloroso ed abrasivo, al punto da lasciare su di lui una ustione da freddo che respingeva ogni tipo di calore esterno, riflettendo e trasferendo su Billy ogni sciocchezza utile a riempire il vuoto che condannava il gemello ad un mondo troppo amplificato per un'anima così sensibile. La Decimazione, da quel punto di vista, era stata una catastrofe che andava ben oltre il conto dei “danni” a censimento concluso – i traumi, gli sfollati, i suicidi –, uno spartiacque decisivo tra il Prima e il Dopo, rivoluzionando la vita di Thomas e William in modo permanente. Il fatto che tre dei loro genitori su quattro si fossero Dissolti era stato un duro colpo, con conseguenze economiche e gestionali di un certo peso, ma il vero elemento discriminante rimaneva che Prima i gemelli potevano dar la colpa al loro essere degli emarginati per dei motivi comprensibili all'umana ignoranza, nel Dopo… i superpoteri non erano esattamente un fattore con cui solitamente si scendeva facilmente a patti, scatenando nei gemelli due reazioni diametralmente opposte. 

Se da un lato Tommy li vedeva come un movente per spiegare la sua perenne iperattività, per fare del bene, per mettersi alla prova e sentirsi valoroso quanto gli eroi che entrambi idolatrano fin da quando erano bambini, Billy invece li considerava la spinta definitiva verso l’autodistruzione – il gemello era terrorizzato di perdere il controllo, di ferire e ferirsi, tormentato ancora dagli incubi legati alla Decimazione e al proprio operato eseguito quel giorno. Thomas sa che la soluzione più ovvia era rubare l’auto a Rebecca e guidare fino all’Upstate, aveva provato a discuterne con William innumerevoli volte, ma il gemello riusciva sempre a portare in campo argomentazioni convincenti come una probabile fucilata a vista nel caso fossero riusciti ad oltrepassare i cancelli del Complesso, o il timore fondato di venir rinchiusi da qualche parte perchè ritenuti “pericolosi”... la diatriba degli Accordi di Sokovia e l’attentato a Vienna era un ricordo fin troppo fresco nella memoria di entrambi, nonostante l’ONU e i Capi di Stato di mezzo mondo avevano rinunciato ad una lista specifica in favore di un generico censimento globale.

«Tommy… sei ancora sveglio?» sussurra William di punto in bianco, chiamandolo con titubanza, come se non volesse disturbarlo ma allo stesso tempo era l'unico a cui porre determinati quesiti, nonostante fosse stato Thomas stesso a mettergli certi grilli nella testa che ora gli impedivano di dormire. «Bro...»

«Cosa c’è?» replica con gentilezza il fratello, sollevando la testa dal cuscino per poterlo fronteggiare. «Non avevamo detto di dormire?»

«Sì… ma devo chiederti una cosa, prima.» asserisce Billy, aspettando un cenno fisico o verbale da parte di Tommy per poter proseguire. «E se i poteri funzionano? Impariamo a controllarli eccetera, eccetera… poi cosa facciamo?»

«Billy… tu non hai mai provato ad usarli per un anno e mezzo, ed io ho fatto gran pochi progressi in tutto questo tempo.» lo rassicura Thomas con una scrollata di spalle, tenendo per sé il paio di furti ed un'altra manciata di azzardi che nei mesi trascorsi l'avevano tentato, servendogli occasioni irrinunciabili su un piatto d'argento offerto in slow-motion. «C’è tempo...»

«Ma io ho bisogno di un piano.» insiste William caparbio, ricambiando le schicchere ricevute in precedenza con un leggero calcio contro gli stinchi del fratello. «Se funzionano e li controlliamo, che facciamo?»

«Andiamo all’Upstate e suoniamo il campanello… Steve Rogers mi dà l’idea di una persona comprensiva, se gli spieghiamo perchè non ci siamo presentati prima.» afferma Tommy con logica ineccepibile, riferendo l’ipotesi con una naturalezza che contrasta di molto con i soggetti chiamati in causa.

«E se non li controlliamo e facciamo del male a qualcuno?» mormora Billy con un filo di voce, obbligando il proprio cervello a non fossilizzarsi su quell’ultima possibilità da incubo. «… se uccidiamo qualcuno?»

«La Vedova Nera ci darà la caccia, se il Damage Control non interviene prima.» conferma Thomas con tono lapidario, lasciando trasparire una freddezza innaturale nella voce, la stessa con cui gli Operativi dell’Agenzia avevano posto domande indiscrete su certe “anomalie” a loro e Rebecca sfruttando la scusa del censimento – dopotutto il cellulare e lo zaino di Billy erano rimasti a scuola quando lui si era smaterializzato in preda allo shock, mentre gli autovelox della loro zona avevano scattato fotografie vuote in concomitanza con l’arrivo di un Thomas trafelato a Casa Kaplan. Nulla di inspiegabile con un po’ di logica arrampicata sugli specchi, ma da quel giorno Billy aveva iniziato ad impegnarsi più del dovuto nel mantenere un “basso profilo” in ogni singola cosa che faceva, a differenza di Thomas che aveva ceduto alla tentazione più di qualche volta, biasimando la propria percezione rallentata del mondo per legittimarsi a correre e sfogare l'iperattività.

«Iniziamo a piccoli passi, okay? Evitiamo di strafare.» suggerisce Thomas dopo aver ponderato attentamente i pro e i contro della propria proposta, ricambiando il calcio leggero agli stinchi per smorzare la tensione palpabile. «Tu controlli me ed io controllo te. Ti sembra un buon piano, Bro?»

«Sì...» replica William titubante, rimuginando sull’idea appena espressa dal gemello per un paio di minuti buoni, cercando ogni possibile falla non trovandone nessuna di troppo audace o pericolosa. «Sì, mi sembra di sì.»

 

***

 

«Popcorn?» chiede Teddy di punto in bianco, mentre Billy si trova la ciotola sotto il naso e deglutisce a vuoto prima di afferrarne una manciata. 

«Grazie.» replica soprapensiero, inghiottendone un paio in velocità rischiando di farseli andare di traverso, spiando Theodore di nascosto chiedendosi se il ragazzo si fosse accorto o meno dell'inconveniente – Calmati William, state solo guardando un film. Seduti sullo stesso divano. A meno di dieci centimetri l'uno dall'altro… e sei solo stravaccato contro il fianco di Teddy, ma sono piccolissimi e trascurabilissimi dettagli. 

Era stata un'idea di Theodore quella di guardare un film, la soglia dell'attenzione di William se ne era andata a quel paese da ore, lasciando i restanti compiti di matematica abbandonati a sé stessi appena Teddy aveva annunciato di aver terminato le esercitazioni da consegnare per l'esame di fine novembre. Il fatto che Rebecca fosse ancora a lavoro, Thomas era andato a fare la spesa un paio di giorni prima portando a casa i popcorn e Netflix aveva messo "Gli ultimi Jedi" in catalogo era stata solamente una serie di fortunati eventi… condividere la ciotola si era rivelata una scelta pratica, che il divano fosse infossato verso il centro ormai era una logica conseguenza dettata dall'usura, ma era stato libero arbitrio al 101% quello di Teddy nel piazzarsi nella conca in centro e quello di Billy nel lasciarsi spingere dalla forza di gravità addosso a Theodore – tecnicamente Billy si era insaccato tra i cuscini del divano, era una pura coincidenza se la conca aveva fatto scivolare entrambi fino a farli scontrare spalla a spalla. 

«Davvero? Questo è il romanticismo partorito dagli sceneggiatori per l'ultima trilogia?» si lamenta Teddy all'improvviso gesticolando animatamente contro il televisore, puntando l'indice su un Kylo Ren infuriato per via dell'ennesimo rifiuto di Rey di passare al Lato Oscuro. «Spingerli ad ammazzarsi tra loro, ma nel frattempo girare scene al limite del cringe per far capire che "si amano troppo"?»

«Sono due anime unite nella Forza.» ribatte Billy asciutto, dispiaciuto più per aver perso l'appoggio contro la spalla di Teddy che per le opinabili scelte di trama sviluppate un po' da cani. «Come concetto regge.»

«Giusto, è tutto il resto che è un problema.» commenta irritato Teddy, il quale si era accollato l'ultimo Star Wars solo per farlo contento. «Perché lo stiamo guardando?» 

«Per completezza.» ribatte William spigliato, mordendosi la lingua chiedendosi in silenzio che genere di discussione avrebbero potuto imbastire se la scelta del film fosse ricaduta su Theodore, spezzando una lancia in suo favore chiamando in campo un argomento di suo interesse. «Ma principalmente per la CGI… non puoi dire niente contro gli effetti speciali.»

«Mh-m.» brontola Teddy in silenzio, risparmiandosi ogni tipo di frecciatina nonostante William sa di avergli appena visto ingoiare un "ma mi piacevano di più quelli vecchi con i modellini" di traverso – a volte sembrava che Theodore cercasse apposta un pretesto per bisticciare, ma dal silenzio e dall'occhiata che gli rivolge Billy crede non abbia gradito il suo cambio di posizione. «Se vuoi rimetterti come eri prima va bene, non mi davi fastidio.»

«No è che… ho bisogno di distendere la schiena, altrimenti poi quando mi alzo in piedi vedo le stelle.» William arranca una scusa improvvisata, girandosi su un fianco ed abbracciando il cuscino all'altro capo del divano, con le piante dei piedi che premono contro la coscia di Teddy in un debole invito a lasciargli spazio per distendersi – ed allontanarsi dal naso il suo profumo inebriante che lo deconcentrava dalla pellicola più di quanto fosse lecito, maledicendo Tommy in silenzio perché a forza di istigarlo Teddy si era realmente trasformato nel suo pensiero fisso. 

«Uhm… okay. Come vuoi.» replica Theodore asciutto con un sottotono vagamente dispiaciuto nella voce, nonostante Billy si autoconvince di star viaggiando troppo con la fantasia, sforzandosi inutilmente di perdersi nuovamente nel film seguendo con le iridi le luci colorate delle spade laser. 

Erano ormai tre anni che lui e Teddy si frequentavano, li aveva presentati Thomas durante una pausa pranzo quando Billy si era rifugiato al tavolo della squadra di basket pur di fuggire dagli scherzi inopportuni di John Kesler. William ricordava di aver pensato che i compagni di merenda del gemello fossero tutti dei gorilla senza cervello, ma erano meglio di niente considerata la sua situazione, preso di mira perché marchiato dall'unica colpa di avere un minimo di pensiero critico… un fattore evidentemente più imputabile del suo accento, della sua media scolastica, del conto in banca dei suoi genitori, di ritrovarsi un fratello come Thomas o il semplice essere "Billy". William, come al solito, anche in quella occasione era finito per interpretare l'asociale di turno sbocconcellando i propri sandwich in silenzio, eclissando le chiacchiere dei suoi commensali a rumore di fondo fino a quando qualcuno aveva tirato in ballo il discorso degli Accordi facendolo sentire chiamato in causa, non tanto perché fossero il frutto della sua patria natale ridotta ad un cratere dove non esisteva più la lapide di Nonna Magda, ma perché Billy era sinceramente curioso di scoprire se i gorilla sembravano stupidi o lo erano per davvero – non che a loro la sua opinione importasse o lui volesse condividerla, su quel fronte aveva già avuto una accesa discussione con Thomas, vedendo il gemello sul fronte opposto con aria catastrofista affermando che personalmente preferiva la latitanza in confronto a delle restrizioni stringenti come quelle applicate sulla Strega Scarlatta dopo l'incidente di Lagos. 

Immancabilmente i trogloditi pensavano che l'opposizione alla Firma fosse una scelta rivoluzionaria, seguendo la logica spicciola del "nessuno può dirmi che cosa fare e quando farlo"... in quel preciso istante Billy era stato molto propenso a condannare l'umanità a sé stessa su due piedi, obbligandosi a ricredersi quando una obiezione solitaria si era levata timida dal fondo del tavolo, puntando lo sguardo su quello che dopo un breve giro di convenevoli si era rivelato essere Teddy. La prima cosa che aveva pensato di lui era stata che indossava una quantità spropositata di piercing, notando con curiosità solo in un secondo momento che anche il ragazzo stava ignorando i compagni di squadra in favore dei propri scarabocchi a bordo pagina sugli spazi liberi del Daily Bugle. Teddy era stato l'unico dell'intera mandria a portare in campo l'implicazione identitaria, sottolineando che una delle possibilità che precludevano la Firma era quella di mentire sul proprio alter-ego, sollevando il giornale mostrando loro l'immagine di copertina affermando che far conoscere al mondo che "persona x" era Spiderman nel tempo libero aveva delle conseguenze non indifferenti. 

All'epoca la timidezza aveva impedito a Billy di alzarsi in piedi e dichiarare liberamente che in mezzo a tanta superficialità ce n'era almeno uno che si salvava dal suo giudizio, ma aveva avuto modo di rifarsi in seguito quando Thomas l'aveva obbligato a chiedere a Theodore di dargli qualche ripetizione in algebra dopo il mezzo scandalo che aveva sconvolto la scuola facendo terra bruciata intorno al ragazzo, lasciandosi scivolare tra i denti qualche apprezzamento gratuito per il modo di ragionare di Theodore dopo settimane di frequentazione, nei rari casi in cui non erano troppo impegnati a bisticciare per altri millemila motivi – era stimolante parlare con Teddy, a differenza di molti altri quanto ascoltava si concentrava davvero su ciò che quel qualcuno aveva da dire, facendo sfoggio di una empatia invidiabile al punto che Billy era finito per chiedersi se il ragazzo fosse capace di provare almeno una briciola di egoismo. In breve tempo quel dettaglio si era trasformato in una fissazione, divertendosi a testare la gentilezza tanto ostentata da Theodore con pacate frecciatine e preferenze assecondate, ritrovandosi ad obbligarlo ad imporsi per non far sentire Billy in colpa e così evitarsi le cose che in realtà odiava – tipo la musica troppo alta mentre guidava o le domande inopportune risposte a fatica quando non era in vena di condividere. 

A volte Billy pensava che avere Theodore nella propria vita fosse troppo bello per essere vero, peccando di negativismo spazzando via tutte le chiacchiere stimolanti e la complicità con l'evento della Decimazione… una volta appresa la morte del padre Billy aveva smesso di parlare con chiunque tranne che con Tommy, aprendosi gradualmente al resto del mondo a distanza di mesi, quando il gemello l'aveva trascinato per le orecchie fino a Casa Bradley per una pizza ed un paio di puntate del Trono di Spade con Elijah e Teddy – quest'ultimo gli aveva scritto la notte stessa, rompendo il ghiaccio per primo dopo settimane di silenzio tornando a discutere come nulla fosse su Tyrion Lannister e Casa Targaryen, finendo per spingere Billy a raccontargli di suo padre e trovando in Theodore lo stesso conforto che gli aveva dedicato Thomas nei giorni del suo auto-isolamento fisico ed emotivo… e Teddy non era obbligato a nulla di tutto ciò, semplicemente aveva un animo gentile

William era cotto a puntino ben prima di poter realizzare ed arrestare manualmente quei pensieri già trasformati in chiodi fissi, rendendosi la vita un inferno nelle settimane successive lanciando segnali a Teddy che evidentemente avevano una chiave di decriptazione diversa dalla propria, lasciandoli in balia di costanti tentennamenti estenuanti e fini a sé stessi – Come proporre di guardarsi un film insieme, per poi rifugiarsi all'angolo opposto del divano al primo ripensamento. Complimenti William, continua così, mi raccomando. 

«Okay, il finale non è poi così terribile.» afferma Theodore pensieroso appena compaiono i titoli di coda sullo schermo, la testa posata sul palmo all'altro capo del divano, voltandosi repentino in direzione di Billy quando non riceve alcuna risposta – se si era accorto di essere stato l'oggetto della sua attenzione nell'ultima mezz'ora non lo dà a vedere, attorcigliando ancora di più le viscere di William. «Quando sarebbe dovuto uscire il terzo?» 

«Otto mesi dopo la Decimazione, ma sia Abrams che Driver si sono Dissolti… tutto rinviato fino a data da destinarsi.» spiega asciutto Billy, alzandosi seduto sui cuscini pentendosene immediatamente, portandosi a meno di trenta centimetri dal viso di Theodore ed inalando una zaffata di profumo che gli fa arricciare le punte dei piedi, ritrovandosi a bocca asciutta davanti alle due aquamarine incastonate negli occhi di Teddy che lo osservano divertiti. «Che c'è?» 

«Ti è piaciuto il film?» chiede Theodore con un sorriso pericoloso ad incorniciargli le labbra, mandando Billy nella confusione più totale con un sopracciglio inarcato ad arte ed una fossetta sulla guancia. «Ti sei completamente perso l'ultima mezz'ora… c'era qualcosa meglio di Star Wars in programmazione?»

Quindi te ne sei accorto che ti stavo fissando, fantastico. 

«Può darsi...» la lingua di Billy inciampa sulle parole, ingoiando a vuoto e fremendo sul posto quando Teddy sembra prendere coraggio dalla sua mezza conferma ed accenna a muoversi nella sua direzione socchiudendo le labbra… ed il cervello di William si scollega all'istante lasciando i comandi d'emergenza all'istinto, mentre l'aria intorno a loro diventa elettrostatica ed una scarica di adrenalina gli scombussola lo stomaco mandandogli il cuore in fibrillazione, sciogliendogli la lingua e scardinando la morsa della mandibola senza riflettere. «"Baciami"

Le labbra di Teddy si incollano alle sue prima che Billy possa rendersi conto di ciò che ha fatto, mentre una scintilla azzurra illumina a giorno la sua scatola cranica riattivando il cervello per limitare i danni, uscendo dall'apnea dettata dal bacio con una scossa violenta che lo sbalza all'indietro… con la faccia sconvolta, i polmoni in fiamme ed una voglia matta di baciare Theodore una seconda volta, in un impulso tenuto forzatamente a freno mentre William si copre gli occhi con le mani per celare le fiammelle azzurre che animano le sue pupille scoppiettanti – Mesi interi di severo autocontrollo per non scatenare i poteri, e puntualmente si attivano nel momento meno opportuno… 

«Scusami, non so perché l'ho fatto.» afferma Theodore dispiaciuto dopo due secondi di silenzio densi di stupore, le mani che tremano appena e che non sa esattamente dove posare, fraintendendo il panico che traspare dai lineamenti di Billy come sconcerto per un bacio non voluto quando semmai è l'esatto contrario – E se Teddy scherzava? Se non voleva il bacio? Se è stato lui a rovinare tutto forzando qualcosa che non doveva succedere? 

«William… ehi, sono qui.» lo richiama indietro Theodore umettandosi le labbra, obbligandolo a focalizzarsi sulla sua voce, sul suo sorriso, sulle fossette che Billy desidera ardentemente baciare, decidendosi finalmente a posare le mani sulle sue ginocchia ancorandolo sul divano e riportando un brandello di calma nella sua mente caotica. «Billy, non vorrei spaventarti, ma posso baciarti di nuovo?» 

«Puoi…» replica William istintivamente, sciogliendosi come neve al sole quando Theodore si apre in un sorriso mozzafiato, prendendo l'iniziativa afferrandogli il retro della nuca con entrambe le mani ed annuendo convinto. «Puoi baciarmi tutte le volte che vuoi.» 

William è certo di non capire più niente, ma per una volta chiude gli occhi e si lascia andare… e baciare Teddy si rivela essere naturale, elettrizzante e normale come respirare – non crede di poterne più fare a meno, ma quello è un problema del prossimo futuro. 

 

***

 

«Hai cenato?» 

Natasha non si prende nemmeno il disturbo di rispondere, portandosi la sigaretta alle labbra inalando una densa boccata di fumo che le riempie lo stomaco. 

«Hai dormito stanotte?» la sua domanda centra il bersaglio, ottenendo in cambio il medesimo silenzio da parte di Steve, espirando la voluta di fumo con calma, come a voler drenare via dal proprio corpo qualunque sostanza la mantenga in vita. 

«Io posso tirare avanti con quattro ore di sonno a notte, tu non mangi da ieri sera Nat… e lo so perché ti ho obbligata.» interviene Steve dopo un tempo così lungo da sorprenderla, convinta che se ne fosse andato dopo aver puntualizzato quanto facevano pena entrambi in quel gioco che puntava all'auto-distruzione. «Nat…»

«Aggiungi un altra parola e me ne vado.» lo minaccia asciutta, puntandogli contro il mozzicone consumato con astio latente. «Non è serata.»

Steve inghiotte le sillabe a forza, girando finalmente i tacchi e lasciandola sola in terrazzo, rabbrividendo nella frescura della notte nascondendo le gambe sotto l'elastico della felpa nera… è abbastanza larga per permetterle di farlo senza rovinarla – o meglio, rovinarla più di quanto già non sia, con le macchie giallognole di candeggina, i polsini scuciti, la manica sinistra pizzicata in più punti e i cordini del cappuccio mangiucchiati. L'odore del tabacco ed il profumo della colonia di James se ne erano andati via al settimo giro in lavatrice, ma era ancora calda e morbida, quel tanto che consentiva a Natasha di chiudere gli occhi e fingere che l'ultimo anno e mezzo non si fosse mai verificato… ma purtroppo la Decimazione è un dato di fatto, e lei non può permettersi di piangersi addosso. 

Lei e Steve erano tornati al Complesso da un paio di giorni, il "tour di inaugurazioni" si era finalmente concluso nella Capitale tagliando l'ultimo nastro rosso davanti ad un cimitero di Lastre, mettendo una fine momentanea ai loro servigi per gli Stati Uniti ed accantonando il pensiero rassicurante che il resto del mondo si era rivelato un luogo più magnanimo, solo per aver scelto di non infierire sul loro operato pretendendo la loro presenza alle cerimonie di rito – Natasha dubita che Tony avrebbe potuto reggere altri insulti e sensi di colpa, come non si faceva troppe illusioni sul punto di rottura di Steve, sospirando una boccata di fumo sollevata per aver risparmiato al mondo intero lo spettacolo degradante che invece continua ad intrattenere le mura del Complesso. Avevano salutato Rhodes e Stark a Washington come da accordi, chiudendo a chiave altre due porte nel corridoio delle camerate, facendo compagnia alle altre sigillate dal giorno del trasloco dal Wakanda dopo la Decimazione. 

«Cosa vuoi, Steve?» chiede seccata Natasha a tradimento, voltandosi repentina nella sua direzione cogliendolo in flagrante mentre tallona la porta-finestra… il perché fosse incapace di lasciarla in pace è fin troppo palese, ma la donna sperava comunque invano di potersi guadagnare un po' di solitudine ora che erano finalmente tornati a "casa" – sempre se il Complesso può definirsi tale. «Il giochetto del gatto e del topo non porta da nessuna parte se ti limiti a fissarmi in silenzio.»

«È metà dicembre e fuori si gela, vieni dentro. Sul serio.» commenta Rogers asciutto, replicando alla sua solita indolenza con gentilezza, sforzandosi di appianare ogni divergenza reale o presunta pur di non vederla andare via come Natasha aveva minacciato di fare poco prima. «Per favore.»

Era carino pensare che fosse rimasto qualcuno a preoccuparsi per lei, a controllare che mangiasse, dormisse e non si fissasse in automatismi inconsci particolarmente distruttivi, soprattutto ora che il suo compito da balia era terminato – e purtroppo, per sua sfortuna, Steve negli anni di latitanza aveva imparato dove e cosa guardare per auto-rispondersi ad una domanda futile come "stai bene?". 

«Latte caldo e biscotti al cioccolato? Davvero?» chiede Natasha rientrando in cucina, puntando lo sguardo sul pacco di frollini posato sull'isola della cucina insieme alle loro tazze personali. 

«Tu sei a corto di zuccheri… io ho fame, e voglio compagnia per il mio spuntino di mezzanotte.» ribatte Steve conciso, raggiungendo il bancone e scostando uno sgabello in un invito inequivocabile, risparmiandosi la frecciatina che la accusa di non poter più andare avanti a toast ed esaurimenti nervosi. «Osi rifiutati?» 

«Sarei tentata.» commenta Natasha prendendo posto ed afferrando la propria tazza per scaldarsi le dita congelate, fulminando Steve con lo sguardo quando vede gli angoli delle sue labbra incurvarsi in un timido sorriso di vittoria. «Non fare quella faccia.»

«Non sto facendo nessuna faccia.» la sfida sfrontato prendendo posto al bancone, accaparrandosi tazza e biscotti con discreta nonchalance, rendendo implicito l'invito a seguire il suo esempio prima di arrischiare una domanda inopportuna. «Hai deciso quale sarà il nostro prossimo passo?» 

«Sei abbastanza grande per decidere qualsiasi cosa da solo, lo sai Steve?» scherza laconica, intingendo i frollini nel latte e riempiendosi la bocca per evitare di parlare, palesando che la sua concessione nel nutrirsi non implicava anche una predisposizione alle chiacchiere. 

Rogers sembra capire l'antifona, ingoiando il biscotto appena inzuppato e svicolando con lo sguardo, allungandosi ad afferrare il giornale vecchio di almeno tre settimane abbandonato lì vicino, iniziando a sfogliarlo – da quando erano tornati non parlavano molto, riempire il silenzio a forza lo rendeva solo più opprimente, soprattutto ora che erano rimasti ufficialmente in due. Il fatto che Natasha non aveva ancora deciso come e se fare ammenda in qualche modo rimanendo al Complesso non lo rendeva più facile, sempre più tentata nel seguire l'esempio di Barton e sparire dai radar – in quelle quarantotto ore di calma prima della tempesta Steve aveva avuto modo di intuirlo, ma ciò non gli aveva impedito di cercare ogni futile pretesto per farla rimanere, poco importava se le sue azioni erano mosse da bontà d'animo o dettate dall'egoismo che la voleva al suo fianco pur di non restare solo. 

«Questo è opera tua? Era uno dei nomi sulla tua lista, se non ricordo male.» interviene Steve al settimo frollino di Natasha, porgendole il giornale aperto sull'articolo di Karen Page riguardante l'arresto di Derek Bishop. 

«Come fa ad essere opera mia se fino all'altro giorno ero a Washington con te, Steve?» ribatte Natasha teorica, sopprimendo un mezzo sorriso sincero al "non lo so, tu sei multitasking" brontolato dal Capitano, leggendo tra le righe stampate la traccia di verità che ricollega la denuncia a colei che l'ha sporta. «È stata la figlia. È un risvolto… inaspettato

«Come fai ad esserne certa?» la interroga Steve confuso, inarcando un sopracciglio quando Natasha apre bocca per proferire un istintivo "come, non ricordi?" che le muore sulle labbra perché non era di ronda con lui quella notte – ad essere sinceri lei e James non erano nemmeno in servizio, si trovavano a Little Ukraine perché Natasha doveva recuperare qualche munizione extra in una delle sue case sicure e si erano trattenuti lì più del dovuto, approfittando della miracolosa assenza di terzi incomodi per godere a pieno del briciolo di privacy, trovando la ragazza sulla via di ritorno verso l'auto per mera coincidenza. 

«Conosco la ragazza, l'ho soccorsa… due anni e mezzo fa, ormai.» si riprende Natasha con una sviolinata che passa inosservata, obbligandosi a non pensare che sono trascorsi quasi tre anni da quando erano latitanti, felici e ancora tutti insieme, stringendosi in un abbraccio che scompare tra le pieghe di una felpa nera e rovinata che palesemente non è sua… e quello Steve lo nota, di solito cercava di rispettare la sua privacy, ma su certi dettagli non poteva o non voleva passarci sopra.

«Io sono qui Nat, ci sono… sono rimasto.» enfatizza Steve sporgendosi nella sua direzione, arrestandosi a metà di un tentativo di abbraccio quando intuisce che il contatto fisico non è tra i gesti benvoluti. «È meglio di niente.»

«Non dirlo come se ci stessimo facendo un favore a vicenda.» si lamenta Natasha stanca, con un tono che suggerisce il desiderio di voler seppellire nuovamente il discorso sollevato dal Capitano. 

«Non è così.» si ostina a ribadirle, dando per scontato che i suoi tentennamenti siano calcolati quando per una volta non lo sono, convincendosi di essere rimasto con lei al Complesso per solidarietà e non perché anche lui era a corto di alternative. «Hai quello che hai quando ce l'hai, giusto?» 

«Non-... non usare le mie parole contro di me.» replica Natasha piccata, accusando il colpo basso al ricordo delle sue stesse rassicurazioni espresse al termine del funerale di Peggy. «Tu non sai cosa vuol dire essere me, Steve.» 

«Allora dimmelo, parlarmene.» la supplica l'uomo, una stanchezza evidente ad inasprirgli i lineamenti mentre le sfiora un braccio, in un timido contatto volto a trascinare indietro quella parte di lei che è morta in Wakanda. «Rivoglio indietro la mia migliore amica, ne ho bisogno… quindi ti prego, non respingermi. Non ci sono telecamere, non c'è pubblico...» 

«Non è questo il punto.» ribatte Natasha asciutta allontanando la sua mano con uno scossone, chiudendo la propria mente a riccio per impedirsi di assecondare la sua richiesta – portare indietro quella parte di sé aveva un costo elevato, perché con essa riapriva le porte ad una speranza fine a sé stessa, ad un lavoro che porta a un traguardo dissolto in cenere ed a un lutto negato per mesi che ora lei teme come una chimera.

«Grazie per il latte con i biscotti, ma credo che ora andrò a dormire...» dichiara Natasha con un filo di voce, negandosi nuovamente girando i tacchi, portando a compimento la propria minaccia. 

«Natasha…» si ostina Steve a chiamarla, a trattenerla, a non permetterle di scomparire nel fantasma di sé stessa e non fare più ritorno dalle acque torbide in cui vuole annegarsi. 

«Natasha cosa, Steve? Cosa vuoi sentirti dire?! Una bugia per poter tornare a dormire la notte?» esplode infine quando la frustrazione ha la meglio sulla fuga, ritornando sui propri passi furente… cedendo alla debolezza, alla solitudine, al lutto, alle famose lacrime che si raccolgono agli angoli dei suoi occhi, alimentando la sua rabbia ribollente. «Vuoi che mi riduca in lacrime parlandoti di quanto mi manca Yelena, la mia famiglia o James? La-… la perdita fa parte del gioco, sono abituata a veder morire coloro che amo, e non è… funzionale piangerci sopra. [2]» 

«Ma se aiuta ad elaborare, a farti tornare in te, sì. Se ne senti il bisogno, ecco… è a questo che servono gli amici.» sussurra Steve tra i suoi capelli, stringendola in un abbraccio che pretende di tenerla in piedi quando lei si scioglie al contatto improvviso. «Non lo dico a nessuno se ti metti a piangere.» 

Natasha vorrebbe ribadire che non è sua intenzione cedere alle lacrime, ma ormai sta già inzuppando la maglietta di Steve per potersi tirare indietro… ed è rassicurante avere qualcuno con una testa talmente dura da ricambiare il favore e restare al suo fianco nonostante tutto, qualcuno che non si spaventi facilmente ai suoi più bassi istinti e si adatti ai suoi malumori quando si chiudeva a riccio per nascondersi e ferire il mondo a sua volta. 

«Grazie.» soffia Natasha contro il tessuto della maglietta di Steve dopo un pianto ininterrotto e liberatorio a distanza di almeno un quarto d'ora, cercando di ricomporsi con scarsi risultati. «È il massimo che avrai da me stasera.»

«È un inizio.» ribatte Steve comprensivo, posandole un bacio sulla sommità del capo. «Ora proviamo a dormire, che dici?» 

«Sai già che non ci riuscirò.» sussurra Natasha tirando su con il naso e staccandosi controvoglia dall'abbraccio, asciugandosi le guance sbrigativa con il dorso della mano. «E nemmeno tu… vai a correre o scendi in palestra?»

«La palestra è tutta tua.» le concede Steve con un cenno della mano, deviando verso il divano della sala comune recuperando una maglietta pulita spiegazzata ed una felpa abbandonate contro lo schienale, insieme al resto del bucato che una volta uscito dall'asciugatrice non aveva mai raggiunto l'armadio perché il Capitano aveva captato l'aroma del tabacco, trovandola a fumare di nascosto in terrazzo. «Compro la colazione da Starbucks quando torno da Central Park. Espresso?»

«E ciambella con la glassa al cioccolato.» aggiunge, più per abitudine che per fame. 

«Andata. Ci vediamo tra poco.»







 

Note:

[*] L'illustrazione è reperibile nel mio account Instagram: @tilde_stuff

[1] Il "4 Times Square" (l'ex Condé Nast Building), è un grattacielo a Times Square a Midtown Manhattan situato alla 1472 Broadway tra la 42esima e la 43esima Strada Ovest. Geograficamente e fumettisticamente parlando è dove la Marvel ha piazzato la Stark Tower.

[2] Ogni headcanon, speculazione o accenno fa riferimento a quella che credo sia / potrebbe essere la trama di "Black Widow". Ci sarà un micro-sviluppo nei prossimi capitoli – rassegnatevi alla WinterWidow, almeno nel passato del MCU è esistita, altrimenti i miei due casi umani preferiti non reagirebbero in quel modo in presenza dell'altro. 


 
   
 
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