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Autore: _Unmei_    14/02/2021    0 recensioni
Chissà se qualcuno è riuscito a capirlo, che in ogni colpo di scalpello che ha dato forma a quell'angelo, dietro a ogni lineamento cesellato con pazienza, nei boccoli che gli ricadono sulle spalle, nel morbido drappeggio che gli copre le gambe, nel lievissimo sorriso che gli increspa le labbra… che in ogni piuma delle ali che ho fatto nascere dalla sua schiena, c’è la mia dichiarazione d’amore per lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Giardini di Pietra
 
Capitolo 11

_________________
 
 
Non so nemmeno come raccontarlo, quello che fu l’inizio della rovina; mi sembra di stare vomitando il cuore, di non trovare abbastanza aria per respirare, ma questa mia confessione va portata fino in fondo. E poi, che stupido! A ben pensarci, l’inizio della rovina fu nel momento stesso in cui Florent e Gabriele si ritrovarono, e io cominciai a esprimere il peggio di me.
 
Per la maggior parte del tempo eravamo tutti e tra assieme, e controvoglia sopportavo che quei due passassero delle ore da soli, anche quando restavano semplicemente a casa mia, intenti a chiacchierare e a suonare in salotto, mentre io lavoravo nello studio. Al più facevano qualche passeggiata sul lungomare davanti a casa, dove potevo vederli affacciandomi alla finestra, o seguendoli dalla terrazza con sguardo livoroso.
Il loro tempo insieme si moltiplicò nella settimana supplementare in cui Gabriele si fermò a Genova: era libero dagli impegni del mattino, e già alle dieci faceva la sua a me sgradita comparsa. Devo dire, a essere onesto, che chiese il mio permesso per potersi presentare così presto, e dopotutto come avrei potuto negarglielo? Che figura meschina avrei fatto davanti a lui, e soprattutto davanti a Florent? Che motivi avrei potuto addurre, per impedire a due vecchi amici di incontrarsi?
Quindi avevo acconsentito, sforzando un sorriso e fingendo leggerezza, ma ero tutt’altro che lieto. Scolpire era sempre stato per me un piacere e un rifugio, eppure in quei giorni nemmeno quello riusciva a darmi felicità: la mia mente tornava sempre a loro, al reciproco affetto che dimostravano, alla serena intimità che era sempre evidente. Il tarlo cresceva sempre di più dentro di me: non possono essere stati semplicemente amici, mi ripeteva… e io cercavo di metterlo a tacere.
Anche se fosse, non importa ciò che c’è stato! Florent ora è mio!
Ma il tarlo rideva delle mie proteste, insisteva, continuava a rodere; mi parlava, ed era una voce maligna. Era un demone.
In loro compagnia come sempre cercavo di mantenere modi cordiali, di essere di buonumore, ma la forzatura e falsità del mio atteggiamento erano penosamente evidenti; c’era una stonatura nei miei sorrisi, e c’erano spine. Florent e Gabriele fingevano di ignorare quella mia sotterranea ostilità, ma li avevo colti, talvolta, a scambiarsi sguardi significativi, perplessi, e mortificati. Certo dovevano preferire le ore che passavano da soli, senza la mia presenza ad ammorbare l’aria… ne ero consapevole, e ciò inaspriva ancor di più i miei sentimenti.
Un’altra cosa che vedevo sul viso di Gabriele era il desiderio di redaguardirmi, di avere spiegazioni; ma non lo fece mai. Fu Florent, credo, a chiedergli di mantenere il quieto vivere, per non distruggere il già malfermo equilibrio della situazione. 
Ma il peggio era il mio comportamento nei riguardi di Florent quando tornavamo a essere lui e io, la sera, senza il terzo incomodo. Non toccai mai l’argomento, né accennai alla mia gelosia, non chiesi nulla su come trascorressero il tempo quando erano soli, né volli sapere di più sul loro comune passato e sui sospetti che avevo su di esso; ma bastava il mio offeso distacco a dire tutto. Il mio ostentato comportarmi “come niente fosse” era in realtà un’accusa, un rinfacciargli la gioia che trovava nella compagnia di qualcuno che non ero io.
Poi vedevo lo sguardo di Florent, pieno di dolore. Mai di rabbia, mai di risentimento, solo di dispiacere… e mi pentivo.
 
Per favore
 
Mi diceva.
 
Per favore
 
Solo quello, perché era ovvia la sua preghiera. E io gli prendevo le mani e le baciavo, gli chiedevo di suonare per me, e poi di suonare insieme, e tutto mi sembrava di nuovo perfetto: solo noi due, com’era giusto che fosse.
E dopo, a letto, c’era qualcosa di più possessivo del solito, nel mio fare l’amore; qualcosa di ansioso, di afflitto. C’era mio dispiacere per il dolore che gli stavo dando, i sospetti che continuavano a bisbigliare, la mia paura, persino! La paura di venire abbandonato, che Florent decidesse di tornare a Venezia con quell’uomo.
Oh, quanto temevo l’abbandono! Ripensavo a Patrizio e a come mi ero sentito ferito… ripensavo a Ludovico, e a quanto ero stato devastato. Sentivo che se avessi perso Florent il dolore sarebbe stato ancora più grande, che non sarebbe mai svanito… che non ci sarebbero più state bellezza e gioia nella mia vita, perché era lui che mi aveva reso grato per ogni nuovo giorno, lui che mi aveva donato completezza. Il solo pensiero di non averlo al mio fianco mi faceva sentire sperduto.
Lì, a letto, tra le sue braccia, un po’ alla volta, la gelosia e tutte quelle paure sfumavano, si chetavano: i baci di Florent, le sue carezze, la sua passione e la dolcezza, gli sguardi pieni di calore e le dichiarazioni d’amore che con il dito mi scriveva sul palmo della mano, paziente, decine di volte…
I sospetti e le paure sfumavano, mi apparivano ridicoli, e mentre cedevo al torpore mi ripromettevo che li avrei messi da parte, che mi sarei comportato in modo migliore, che, persino, mi sarei scusato.
Buoni propositi che svanivano con la luce del mattino.
 
Non era mia intenzione origliare, ma un giorno, non visto, sentii Gabriele rivolgersi a Florent.
 
“Non tornerò subito a Venezia, ho intenzione di viaggiare un po’, nei prossimi mesi. Su quel taccuino ho trascritto il mio itinerario, gli indirizzi dove soggiornerò… mi aspetto di trovare già una tua lettera ad aspettarmi, alla mia prima tappa. E pretendo che tu poi mi scriva regolarmente, e che risponda alle mie lettere: non voglio, di nuovo, morire di preoccupazione, e ritrovarti solo per puro caso. Sono ancora un po’ arrabbiato, sai, mio caro?”
 
Non potevo vedere cosa Florent gli avesse risposto, solo intuirlo dalle parole di Gabriele.
 
“Lo so. Ma non immagini quanto io abbia patito; ora voglio essere sicuro che tu stia bene. Perché nel caso qualcosa non andasse… - si interruppe, e passò un po’ prima che riprendesse a parlare – Come vuoi, d’accordo; ho capito.”
 
Ancora il silenzio della risposta di Florent, e poi:
 
“Certo che ci rivedremo. Ogni anno: non ti perderò mai più di vista.”
 
Mi feci indietro, allora, con il cuore che martellava. Avrei dovuto essere felice di quelle parole, perché significavano che Florent voleva restare con me, che le mie paure erano solo frutto della mia immaginazione e di un’insicurezza che ero incapace di dominare.
Invece non mi sentivo sollevato, non mi bastava ciò che avevo sentito: non volevo che restassero in contatto, non volevo che si rivedessero… volevo che, passati quei giorni, Gabriele sparisse per sempre. Ero stupido a tal punto, sì.
Avrei voluto gettare quel taccuino fra le fiamme, ma non lo feci; nemmeno lo cercai, fra le cose di Florent, per spiare cosa vi fosse scritto. Fu un atto di fiducia, credo; di rispetto. Almeno questo è qualcosa di cui non devo vergognarmi.
Il giorno successivo mi attardai più a lungo nel mio studio, e quando ne uscii erano ormai le tre pomeridiane; pensavo di dovermi scusare per essermi fatto attendere, e invece scoprii che Florent e Gabriele erano usciti. E non erano solo a pochi passi da casa, sul lungomare: erano andati in centro, mi disse Matilde, già da qualche ora; non ero stato avvisato perché non avevano voluto recarmi disturbo.
È un’espressione forse abusata, ma tutto si fece scarlatto per me, in quel momento: fu davvero come se una nebbia rossa mi avesse offuscato la vista, e una volta di più guardai il mondo da dietro lo spesso velo della mia gelosia morbosa.
Uscii immediatamente, era impensabile che rimanessi a casa attendendo il loro ritorno. Il mio cuore martellava, mi sembrava d’aver subito un oltraggio, mi chiedevo come si fossero permessi… mi sentivo pieno di collera, di stizza, di quelle emozioni che sono il lato oscuro dell’amore, che lo avvelenano e lo soffocano. Non sopportavo…. non tolleravo che Florent avesse un altro legame importante. Il mio desiderio di possesso non lasciava spazio alla libertà, né per me, né per lui.
Avrei potuto fermare una carrozza, ma preferii andare a piedi, per calmarmi e schiarirmi la mente; intanto ragionavo su dove potessi trovarli. Florent amava la zona del porto, e i portici di Sottoripa, ma anche Via Aurea con i suoi palazzi nobiliari, e Via Madre di Dio con le sue chiassose osterie.
Ero nei pressi del Palazzo Ducale quando sentii, non troppo distanti, le dolci voci di due violini.
Scesi per via San Lorenzo, e in quei pochi passi che compii con lentezza il cuore prese a battermi svelto come per una corsa.
Li trovai che suonavano davanti alla cattedrale; fianco a fianco, le custodie degli strumenti aperte ai loro piedi. Restai a guardare loro, e la gente ferma ad ascoltarli… chi passava non poteva fare a meno di fermarsi. Tutti erano incantati dalla musica, catturati dalla loro bravura e bellezza; molti gettavano monete nelle custodie, e chi doveva andarsene continuava a voltare la testa verso di loro, allontanandosi, si soffermava ancora un istante, come se non si volesse staccare, attratto dal dorato torrente di note.
L’aria romantica si trasformò in una vivace ballata, e il sorriso sbocciò sulle loro labbra. Si guardavano l’un l’altro, suonavano in perfetta armonia, e allo stesso tempo il loro sembrava un duello di bravura. Tale era l’eccellenza della loro esecuzione che per un po’ persino la mia gelosia si sopì; provai fierezza nel pensare che quel giovane capace di suonare tanto divinamente vivesse al mio fianco, e mi scese nell’anima una tale sensazione di pace che sorrisi, persino.
Continuai ad ascoltare, e fu la volta del Canone di Pachelbel, un brano che non mancava mai, né manca tuttora, di innalzarmi il cuore; quando si spensero le ultime note i musicisti abbassarono gli strumenti, e gli applausi mi strapparono dall’incantesimo di serenità in cui ero confortevolmente caduto. Gabriele e Florent ringraziavano con teatrali inchini, mentre altre monete cadevano nelle custodie; ne avevano raccolte parecchie, chissà da quanto stavano suonando. Le raccolsero e le distribuirono ai mendicanti che stazionavano sulla scalinata della cattedrale, nel più assoluto stupore di questi ultimi.
E poi finalmente Florent si accorse di me e mi venne incontro; sul suo viso un’espressione lieta, e io non capivo più nulla, diviso com’ero fra i miei sentimenti.
Mi diedi dell’idiota, mi ripetei che lui non mi avrebbe mai tradito, mai ingannato… ma quella voce beffarda prese a sussurrare che in realtà forse lo aveva sempre fatto.
 
Pensaci: viveva praticamente per strada, e ha incontrato uno stupido benestante che si è innamorato di lui, gli ha offerto una buona paga per un lavoro di nessuna fatica, e una bella casa accogliente. Può aver calcolato che fingere amore e concedersi a te fossero un prezzo vantaggioso, per una vita tanto comoda.
 
Scacciai quei pensieri, infuriato con la parte di me che li aveva concepiti. Florent non si sarebbe mai comportato così; aveva vissuto come un vagabondo per anni, sebbene il suo aspetto e le sue doti gli avrebbero permesso di trovare con facilità qualcuno che lo mantenesse. Uomini ben più ricchi e brillanti di me, eppure era me che aveva scelto, me che aveva seguito.
 
E chi ti dice che abbia seguito solo te? Forse sei uno fra tanti. Forse passa da uno stupido all’altro!
 
Florent mi prese una mano, la strinse brevemente e poi la lasciò per segnare parole di benvenuto; i suoi occhi erano ancora accesi dalla musica, il suo volto illuminato dalla più pura felicità. Di lì a poco giunse anche Gabriele, con entrambi i violini; mi salutò con cortesia e porse lo strumento chiuso nella sua custodia nera al mio amato.
 
“Sei davvero ancor più bravo di allora; il talento più grande che io abbia mai incontrato, amico mio – poi si rivolse a me – Le ho già espresso la mia riconoscenza, ma torno a farlo. Grazie per l’aiuto che ha dato a Florent, e per la cura che avete di lui. Il non sapere come stesse e dove fosse mi ha oppresso per tanto tempo; quando fra pochi giorni ripartirò, invece, lo farò con il cuore più sereno.”
 
Erano parole sincere, piene di gentilezza; erano anche, forse, un tentativo di amicizia, eppure mi irritarono, mi sembrava di leggervi malizia e inganno, lo vedevo come il tentativo di rabbonirmi dopo avermi volontariamente offeso.
Non è solo a Florent che debbo delle scuse, anche davanti a Gabriele dovrei cospargermi il capo di cenere.
Ringrazia con distacco, con un sorriso che era solo sulla mia bocca, e non negli occhi; mi inventai che avevo bisogno di Florent, che doveva posare per dei bozzetti e non volevo perdere tempo. Era una bugia, certo; Florent mi guardò con stupore, ma non protestò; salutò Gabriele, gli diede un rapido abbraccio, e appuntamento al giorno dopo. Quando c’incamminammo insieme, l’espressione spensierata e radiosa era scomparsa dal suo viso.
Non volevo tornare a piedi, avrei voluto prendere una carrozza, ma Florent prese a precedermi di qualche passo; non mi diede retta quando gli chiesi di fermarsi, e capii che non aveva intenzione di salire a bordo con me. Desistetti quindi, e lo raggiunsi; camminavamo vicini, ma era come se ognuno di noi fosse solo: restai in silenzio a lungo, lanciandogli di tanto in tanto occhiate che lui non ricambiava, provai a sfiorargli una mano, e lui la ritrasse. Quando provai a chiamarlo non mi fece nemmeno un cenno.
Fu solo giunti a casa che potei finalmente costringerlo a guardarmi: stava subito dirigendosi verso le scale, ma lo fermai, tirandolo a me, obbligandomi a fronteggiarmi.
E non mi fu facile sostenere il suo sguardo, mi sentii schiacciato sotto tutta la delusione, il dispiacere, la confusione che vidi nei suoi occhi. E l’ira. Sì, c’era anche quella.
La parola ‘scusami’ premeva sulle mie labbra, ma non riuscivo a pronunciarla. Ero uno sciocco e un egoista, ma stavo anche soffrendo, tanto da voler urlare, da voler pregare Florent di strapparmi quella parte malata di cuore che stava rovinando la nostra serenità. Lui riuscì a capirmi, a trovare un po’ di compassione, e fece un sospiro; mi accarezzò il viso, lo prese tra le mani… mi aspettavo un bacio, ma non arrivò. Mi abbracciò, invece; mi tenne stretto a lungo, e intanto io a testa china riuscivo solo a mormorare ‘non posso farci niente, niente’, e a occhi chiusi mi perdevo nel suo calore, nel suo profumo. Florent, il mio Florent.
Intanto mi chiedevo se ormai avrei dovuto convivere con il terrore che qualcuno me lo portasse via, o che lui si stancasse di me e se ne andasse. L’amore si stava trasformando in ossessione, e a malapena mi rendevo conto di quanto fosse profondo quell’abisso.
 
Il giorno dopo era necessario che partissi. Saremmo dovuti partire entrambi, in realtà.
Ero stato invitato da un mio committente, quasi un amico, per il quale avevo realizzato in passato due riproduzione di bassorilievi di epoca romana. Voleva discutere per un’altra commissione, più importante e, visti i buoni rapporti in cui eravamo, mi offriva ospitalità e qualche giorno di vacanza nella sua villa nei pressi di Rapallo. Era deciso già da un po’, e sarebbe dovuto venire anche Florent: avevo chiesto che l’invito fosse esteso a lui, magnificando la sua bravura di violinista, e la preziosa ispirazione che mi aveva donato per l’angelo del Sonno Eterno.
Ma tutto questo era stato prima che arrivasse Gabriele.
Florent aveva già chiarito che non sarebbe più venuto: non voleva rinunciare al tempo che aveva a disposizione con il suo vecchio amico. Mi pregò di capire, mi ricordò che i loro giorni insieme erano contati; gli vidi negli occhi l'apprensione, così insolita da parte sua. Temeva, forse, che fraintendessi il suo desiderio e prendessi male le sue parole; visto il mio comportamento degli ultimi tempi ne aveva ogni ragione.
Gli avevo risposto che sì, comprendevo, sarei andato da solo. Che altro avrei potuto fare? Certo non obbligarlo a venire con me, gettando via ciò che restava della mia dignità.  
Però anche questa sua decisione contribuì ad aumentare il mio astio, a nutrire i miei sospetti. Ero stato sul punto di rinunciare a partire, di inventare una scusa per rimandare quell’impegno che fino a un paio di settimane prima era stato tanto gradito… ma di nuovo pensai a quanto sarebbe stato poco onorevole da parte mia; immaginai quel che Florent avrebbe pensato di me, a come sarei apparso ai suoi occhi.
E quindi andai, masticando amaro.
Mentre la mia carrozza si allontanava, di primo mattino, riflettevo. Sapevo che Gabriele si sarebbe fermato ancora quattro giorni; potevo abbreviare il mio soggiorno a Rapallo e fare ritorno in anticipo, ma non tanto da doverlo rivedere ancora. Potevo rientrare già il giorno in cui lui sarebbe partito, e riprendere la mia vita con Florent dove l’avevo lasciata. In pace, libero dalla gelosia, senza di lui. Avrei riempito Florent di regali: libri, spartiti, profumi, nuovi completi realizzati nelle migliori sartorie.
Saremmo andati a teatro, a concerti, avremmo fatto le nostre lunghe passeggiate, viaggi nelle città più belle, e avremmo avuto indietro tutta la nostra felicita.
 
Se lui sarà ancora lì, quando tornerai.
 
Insinuò la voce maligna.
Cercai di non ascoltarla.
Avevo fiducia in Florent, mi ripetei. Tutto sarebbe tornato come prima.
Ci credevo davvero.

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