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Autore: miss_MZ93    16/02/2021    5 recensioni
Marinette ed Adrien hanno ormai diciotto anni. Le loro vite continuano ad essere minacciate dalla presenza di Papillon ma qualcosa sta per cambiare. Gli anni iniziano a farsi sentire e gli equilibri fragili che esistevano tra i due ragazzi iniziano a spezzarsi. Tra Adrien e Marinette qualcosa cambierà radicalmente, lasciando uno spiraglio per qualcuno che, in segreto, non ha mai smesso di provare grandi sentimenti per Marinette.
Tra dolci e sensuali drammi, i nostri protagonisti dovranno affrontare anche un nuovo pericolo per Ladybug.
Ho iniziato a scrivere la storia prima dell'uscita della terza stagione, quindi mancheranno alcuni personaggi o dettagli particolari.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Luka Couffaine, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Di nuovo queste pareti, di nuovo questa sensazione di dolore ma decisamente più lieve rispetto la scorsa volta. Di nuovo questi lividi, sebbene in luoghi diversi da prima. Di nuovo qui, a chiedere aiuto mentre dovrei essere quella che lo dà.
I pensieri offuscano la mia mente, occupando ogni spazio libero e ricordandomi quanto questa giornata si sia velocemente trasformata in un buco nero. Non riesco ancora a credere a ciò che è successo.
Non posso credere di aver visto Chat Noir svenire davanti ai miei occhi a causa degli attacchi nemici. Non posso credere di aver visto la sua tuta nelle stesse condizioni in cui lui deve aver visto la mia. Solo adesso capisco la sua preoccupazione, quello sguardo allarmato ed il desiderio di non abbandonarmi al mio destino. Qualcosa però continua a sfuggirmi, non pensavo che anche lui stesse attraversando un periodo difficile e complicato, non sapevo che avesse dei problemi con i suoi sentimenti ma, in fondo, tutto questo è normale perché io non ho mai voluto sapere molto di lui per paura di scoprire qualche dettaglio che mi avrebbero svelato la sua identità.
“La sua identità…”
Se solo avessi voltato lo sguardo qualche minuto più tardi, avrei visto il ragazzo che si cela sotto quella maschera, avrei dato un volto a quella figura così misteriosa. Ovviamente non avrei mai potuto fargli un torto simile. Entrambi sappiamo quanto sia importante mantenere segrete le nostre identità ed è proprio per questo motivo che devo trovare la forza di alzarmi da questo pavimento e tornare a casa.
Sbuffo pesantemente mentre cerco di far leva sulle braccia. Per un attimo, un lunghissimo ed intenso attimo, le ferite mi lasciano senza fiato, intenta a nascondere il mio dolore con un gemito strozzato a mezz’aria.
Il mio lamento non viene ignorato e quella stanza vuota viene riempita velocemente dalla voce del Maestro che mi intima di riposare qualche altro minuto. Purtroppo, sappiamo entrambi quanto un solo istante possa essere pericoloso per me, per lui e per Chat Noir.
Tikki svolazza verso di me, ancora un po’ stanca e provata ma con un dolce sorriso in volto.
“Sei stata bravissima, Marinette”
“Non quanto te. Grazie di aver vegliato su di loro, Tikki. Mi dispiace aver approfittato del tuo potere tanto a lungo”
Scuote il volto con energia, avvicinando le sue tenere manine alla mia pelle.
“Io avrei fatto la stessa cosa”
Un sorriso tirato si allarga sulle mie labbra mentre cerco di capire quanto sia grave la sua situazione. Il suo corpo è solo leggermente sbiadito, un risultato decisamente migliore rispetto l’ultima volta, eppure guardando il suo volto capisco quanto, in realtà, ancora stia soffrendo.
“Sto bene, non ti preoccupare. Mi serve solo un po’ di riposo”
“Mi dispiace, Tikki”
La vedo sorridere con affetto, prima di appoggiarsi alla mia spalla, forse stanca di svolazzare in giro per la stanza.
Mi alzo lentamente dal materassino morbido sul quale il Maestro mi ha lasciata riposare finora. Le gambe sembrano reggere il mio peso con fatica ma la determinazione che mi contraddistingue vince sulla stanchezza e sul dolore delle ferite. Mi volto verso il Guardiano dei Miraculous, cercando di impormi un sorriso convincente.
“Grazie per l’aiuto Maestro”
“Sono io a doverti ringraziare, Marinette. Mi scuso solo di non averti potuto procurare un letto comodo”
“Era più importante che lo avesse lui”
Il Maestro e Tikki mi guardano sorridendo mentre io ricordo il volto dolorante di Chat Noir prima che svenisse. L’ho visto in moltissime occasioni, dalle più ilari alle più irritanti ma mai, mai in questo modo, mai pieno di lividi, mai inerme ed indifeso.
Mi appoggio al tavolo accanto al materassino, cercando le forze di riprendere la via di casa ma un dolore acuto si propaga dal mio braccio, lasciandomi con un gemito malamente sommesso. La mia mano corre al punto in cui ritrovo il taglio provocato dalla caduta prima della battaglia.
“Purtroppo la pomata non ha avuto molto effetto su quella ferita”
La voce del Maestro mi riporta alla triste realtà.
“Speravo davvero potesse aiutarmi”
A quanto pare, il potere di quella crema può aiutare solamente i danni subiti durante la trasformazione. In fondo, me lo aspettavo.
“Marinette stai bene?”
Mi volto verso Tikki, evidentemente confusa e preoccupata per quel taglio che percorre tutto il mio braccio. Non deve essere un bello spettacolo per lei, lei che tiene sempre alla mia salute più che alla sua.
“Sì, non ti preoccupare, devo solo disinfettarla e bendarla”
“Dovresti farti visitare, Marinette”
“Non è necessario, davvero”
Probabilmente dovrei seguire il loro consiglio ed andare da un medico ma questo metterebbe in allarme i miei genitori e, per quanto mi conoscano, nemmeno loro potrebbero credere che io sia inciampata in camera mia e mi sia provocata un taglio simile.
“Sei più testarda di lui”
La voce di Plagg interrompe le insistenti parole di Tikki e del Maestro Fu. Il Kwami di Chat Noir barcolla fino al tavolo, dove si lascia cadere con poca grazia, poco distante dalla mano con cui cerco di sorreggermi.
“Ben svegliato, Plagg, come stai?”
“Sono stato meglio. Se solo ci fosse del Camembert”
Il mio sguardo finisce sul suo corpo, a tratti pallido, a tratti invisibile. Detesto vedere i Kwami in questo stato, soprattutto quando so perfettamente che la causa del loro dolore siamo io e Chat Noir. Osservando le ferite di Plagg, inevitabilmente mi chiedo quanto possano essere gravi quelle riportate dal mio collega, da quel gatto che tanto sa irritare Ladybug quanto essere premuroso con Marinette.
“Mi dispiace, Plagg”
Non saprei dirgli nulla più di questo, nemmeno volendo.
“Non preoccuparti, non morirò di fame”
“Non per quello”
Il suo sguardo verde si posa su di me mentre il mio si muove velocemente verso un punto impreciso oltre la finestra. Vorrei davvero sapere cosa stesse pensando Chat Noir durante la battaglia. Cosa può averlo confuso così tanto?
Con lentezza il Kwami raggiunge il mio volto, ponendosi davanti ai miei occhi.
“Non è colpa tua”
“Non credevo che potesse succedere anche a voi, a lui. Se solo lo avessi saputo io… Avrei potuto….”
Cosa? Cosa avrei potuto fare? Aiutarlo? Come? Ascoltando i suoi problemi? Cercando di consolarlo? Consolarlo per cosa poi?
Gli occhi di Plagg non lasciano il mio volto nemmeno quando mille domande iniziano ad affollare la mia mente.
“Starà bene, non preoccuparti”
Un sospiro malinconico esce dalle mie labbra mentre Plagg continua a guardarmi. Nel suo sguardo però, non c’è più traccia di ilarità o stanchezza, solo un concentrato di determinazione e sicurezza.
“Starà bene, te lo prometto”
Te lo prometto.
Quelle tre parole riescono, in un modo quasi magico, a riportare un barlume di tranquillità in me. Sorrido dolcemente al Kwami di Chat Noir, ricordandomi quanto tempo io stia sprecando qui, con la possibilità che lui si svegli, con la possibilità che raggiunga questa stanza, con la possibilità di vederci.
Scuoto velocemente la testa, liberandomi da quei pensieri e con attenzione aiuto Tikki a nascondersi tra le pieghe dei miei indumenti strappati.
“È arrivato il momento”
Il Guardiano lascia un nuovo barattolo di crema nelle mie mani, cercando di convincermi a rimanere qualche altro minuto ma entrambi sappiamo quanto questo possa essere pericoloso.
“Chat Noir potrebbe svegliarsi da un momento all’altro”
Mi avvio verso la porta ma prima di lasciare quella stanza, il mio sguardo torna sul Maestro per poi incatenarsi a quello verde di Plagg.
“Grazie”
Perché so che ti prenderai cura di lui. Perché so che lo aiuterai a far chiarezza con i suoi sentimenti. Perché so che gli starai accanto come vorrei poter fare io.
 
Giro e rigiro la confezione di pomata tra le mani mentre ripercorro la strada verso casa. Le vie di Parigi sembrano più affollate del solito, proprio adesso che vorrei solo non farmi vedere da nessuno. I miei vestiti strappati hanno suscitato per lo più sguardi preoccupati, tanto che una signora anziana si è avvicinata cercando di capire come potesse aiutarmi. Nessuno di loro potrebbe mai farlo ma sapere che i cittadini francesi siano così solidali e premurosi con una semplice ragazza come me riesce a scaldarmi il cuore, per un attimo.
Una volta giunta davanti al mio palazzo, ricordo di aver lasciato le chiavi di casa nella mia stanza.
“Maledizione”
Velocemente mi osservo attorno, cercando di capire quanto io possa ancora dimostrarmi incosciente. Sollevo leggermente la maglia a brandelli, liberando Tikki dalla morsa dei vestiti.
“Ho bisogno di un favore, Tikki”
“Le chiavi?”
“Le chiavi”
La vedo annuire sconsolata, probabilmente intenta a ripensare a quanto possa essere stata stupida nell’abbandonarla per rifugiarmi sulla Torre Eiffel con Chat Noir. Avrei dovuto pensare alle conseguenze, avrei dovuto pensare a tutto ciò che stavo lasciando in quella stanza, semplicemente avrei dovuto pensare.
Tikki osserva per qualche secondo il palazzo, probabilmente cercando di ricordare dove io possa aver lasciato esattamente le chiavi.
“Non credo di riuscire ad arrivare fin lassù”
Il suo sguardo torna ad osservarmi, prima di svanire oltre la soglia di casa. Il rumore della serratura che scatta rimbomba lievemente all’interno della struttura mentre il corpo sbiadito di Tikki si affaccia dalla porta, intimandomi di entrare velocemente.
“I miei genitori?”
“Sono ancora in laboratorio. Sei fortunata che domani debbano consegnare due torte, non credo si siano accorti della tua assenza”
“Grazie Tikki”
Con passo felpato, degno di una delle migliori spie investigative francesi, mi avvio al piano di sopra, giungendo velocemente in camera mia. Una volta richiusa la porta, mi lascio vincere da un sospiro profondo prima di raggiungere il comodino ed appoggiarvi la crema del Maestro Fu. Mi avvicino all’armadio, afferrando un paio di pantaloni comodi, larghi ed assolutamente non aderenti ai lividi che a tratti ancora sembrano bruciare come l’inferno. Raccolgo anche una maglietta a maniche lunghe che mi permetta di nascondere il taglio sul braccio e mi avvio in bagno per una doccia calda.
Avvio il getto dell’acqua calda mentre cerco il disinfettante e la garza. Mi libero degli indumenti, poco più che pezzi di stoffa da gettare, per poi osservare attentamente il mio riflesso nello specchio. Il mio volto è pallido, stanco e provato da questa vita frenetica mentre il mio corpo è cosparso da lividi scuri, ricordi di quanto la confusione della mia mente possa costarmi.
Mentre la stanza si riempie di calore e profumo di rose, porto il braccio sotto al getto fresco del lavandino, per poi disinfettarlo velocemente. Il taglio ha smesso di sanguinare ma la ferita brucia a contatto con il liquido. Una smorfia di dolore mi vince mentre asciugo con cura il braccio e mi infilo velocemente sotto il getto caldo della doccia. Lavarmi sembra diventare sempre più complicato. Ad ogni mio gesto, una sensazione di dolore si irradia nel corpo, ad ogni mio movimento, un nuovo livido rischia di scontrarsi con la parete del box, ad ogni goccia di bagnoschiuma che corre sulla mia pelle, un diverso colore imbratta la mia pelle, dal rosso, al rosa, al bianco candido.
Trascorro pochi minuti all’interno della doccia, il tempo necessario a ripulirmi da sudore, paura, dolore e sofferenza. Quando riemergo dal box, asciugo con cura i capelli avvolgendoli con un panno pulito. Prima di vestirmi, disinfetto nuovamente la ferita al braccio, cercando di accelerare il processo di guarigione ma io per prima so bene quanto queste cose abbiano bisogno di tempo. Ci vorrà una settimana buona solo perché si rimargini, senza parlare del tempo che servirà affinché ogni traccia di rossore o gonfiore sparisca dal mio corpo.
“Marinette, dovresti farti visitare da un medico”
“Serve solo un po’ di tempo, niente di più”
“Ma Marinette…”
“Niente ma, Tikki, tranquilla”
Avvolgo il braccio con la garza, sparando che questo aiuti ad impedire infezioni o dolore insopportabile. Non è la prima volta che mi ferisco. In fondo, la mia goffaggine è nota a chiunque mi conosca. Questa, però, è la prima volta che non posso fare affidamento su mia madre, su Alya o su Chat Noir.
Il volto di Tikki si vela di preoccupazione, per me, per la mia mente, per il mio corpo. Fermo la fasciatura, assicurandomi che sia ben stretta attorno al braccio e le sfioro una guancia con un dito.
“Non preoccuparti, Tikki. Sto bene”
Il suo volto mi osserva attentamente mentre mi vesto con la lentezza tipica di una lumaca.
“Perfetto, adesso pensiamo a te”
Un sorriso sommesso le sfiora le labbra mentre mi avvio in cucina, cercando qualche biscotto delizioso per la mia piccola amica rossa e nera. Afferro un piccolo piatto dalla credenza, riempiendolo di ogni dolce presente in casa per poi tornare in camera. Tikki mi sorride, vedendomi rientrare con un bottino degno di un buffet. Con una mano cerco di sollevarla, senza farle del male e mi avvicino alla scrivania, dove la lascio adagiata al piattino. Vederla divorare ogni biscotto mi rincuora. Se questo è tutto ciò che posso fare per lei, sono felice di poterla viziare e lo farò ogni giorno della mia vita, finché avrò la possibilità di averla accanto.
“Ti voglio bene, Tikki”
La mia dolce amica mi sorride con la bocca impegnata ad assaporare un dolce al cioccolato, i suoi preferiti. Quell’espressione, il suo sorriso, è tutto ciò che mi serve in questo momento, la consapevolezza che possa riprendersi al più presto e star bene.
 
Il giorno seguente fatico a svegliarmi, non tanto per quei sogni che mi perseguitano e mi confondono sempre più, quanto per il riposo assoluto di cui il mio corpo sembra avere bisogno.
La sveglia continua a suonare, finché la mia mano non raggiunge il cellulare, fermando quel rumore assordante. Devo cambiare suoneria, assolutamente.
Con lentezza disarmante apro gli occhi, ritrovandomi nella mia stanza con le coperte aggrovigliate alle caviglie. Sembra che la giornata si presenti insolitamente molto calda. Il proposito di indossare qualcosa che ricopra ogni mio livido diventa sempre più flebile ma, per quanto io tema di poter sudare, l’unica scelta possibile ricade su di un pantalone a sigaretta rosso scuro, non troppo aderente ed una maglia nera. Cerco di fermare i capelli con delle forcine, acconciandoli in semplici trecce ai lati per poi afferrare il barattolo della pomata e cospargerla sul corpo. Per fortuna il suo effetto è quasi immediato e mi lascia con una sensazione di intorpidimento ma nulla di più. Controllo velocemente la ferita al braccio e finalmente riesco a vestirmi.
Quasi pronta per una nuova giornata, raccolgo da terra lo zaino ed infilo al suo interno i libri di testo per le lezioni di oggi. Prima di uscire mi assicuro di portare con me anche la piccola borsa di Tikki, riempita di biscotti al cioccolato e, soprattutto, della crema del Maestro.
Divoro la colazione in pochi bocconi, l’unica cosa che io sia riuscita a mandar giù dal pranzo di ieri. Esco velocemente di casa, salutando frettolosamente i miei genitori, ancora intenti a rifinire le decorazioni delle torte.
Correre per le strade di Parigi per me è sempre stata un’abitudine, dovuta soprattutto ai miei continui ritardi. Oggi, però, non riuscirei a sforzarmi tanto nemmeno se lo volessi davvero. Essendo in largo anticipo quindi, mi lascio vincere da una passeggiata lenta, di quelle che ti danno modo di pensare, di riflettere e di osservare ciò che ti circonda.
Ho sempre amato Parigi, la capitale della Francia, la città più bella e splendente che io abbia mai visto. Quest’oggi però, nemmeno il suo fascino riesce a distogliere i miei pensieri da lui. Vorrei sapere come si sente, se sta bene, se i suoi lividi stanno guarendo, se anche lui soffre come me ma, più di ogni altra cosa, vorrei davvero capire cosa lo stia tormentando. Plagg sembrava piuttosto tranquillo ma ho l’impressione che stesse cercando di essere forte per entrambi. Credo che lui tenga davvero molto a Chat Noir, o meglio al ragazzo che si nasconde sotto quella maschera.
“Chat…”
“Buongiorno Marinette!”
La voce di Alya mi riporta alla realtà, distogliendomi dal pensiero di quel gatto nero che sembra non voglia lasciarmi.
“Ciao Alya”
“Tutto bene?”
“Certo”
“Mi sembri un po’ stanca”
Si vede così tanto? Sono a pezzi, fisicamente, mentalmente, sono davvero stanca.
“Non ho dormito molto bene questa notte”
Cerco di distrarre la mia migliore amica chiedendole della domenica romantica con Nino e, per mia fortuna, il discorso sembra emozionarla al punto di ignorare completamente me ed il mio stato pietoso.
Chiacchierando, varco la soglia della struttura scolastica, addentrandomi nella grande sala che si districa poi nei vari corridoi. Le lezioni di oggi sono per lo più ripassi in attesa delle ultime interrogazioni, il che mi lascia la possibilità di non muovermi troppo, limitandomi a prendere qualche appunto sugli argomenti che più mi risultano problematici. Il primo insegnante entra in classe, attirando l’attenzione di tutti. Il registro di classe viene posato sulla cattedra mentre la sua voce profonda arriva alle nostre orecchie.
“Oggi purtroppo Adrien non sarà presente, non si sentiva molto bene”
Il mio cervello impiega qualche minuto di troppo per elaborare quella notizia, minuti che spreco nel guardare il suo posto vuoto. Non mi ero nemmeno accorta della sua assenza, assorta com’ero nel tentativo di non pensare a Chat Noir. Mi accorgo solo dopo qualche minuto di avere ancora lo sguardo fisso sullo spazio che solitamente è occupato dalla sua figura.
“Non è nulla di grave, Marinette, ha solo un po’ di raffreddore”
“Eh?”
La voce di Nino giunge alle mie orecchie, flebile ma sicura.
“Non preoccuparti, domani dovrebbe tornare a scuola”
“Ah, sì, certo”
Il suo sguardo è dolce, quasi compassionevole. Forse è proprio questo che prova la gente mentre osserva il mio morboso attaccamento verso Adrien, compassione. Non so perché ma questo pensiero non mi rallegra minimamente. Scuoto la testa, cercando di evitare pensieri malinconici. Non posso continuare ad avere tutta questa confusione in testa. La preoccupazione verso Adrien purtroppo non riesce a distrarmi dal vero fulcro dei miei pensieri e velocemente torno ad immaginarmi due orecchie da gatto che corrono verso di me, crollando al suolo poco dopo.
 
Le lezioni proseguono velocemente ed io non sono riuscita a segnare sul quaderno nemmeno una parola dell’insegnante. Durante l’intervallo sono riuscita a sgattaiolare fuori dall’aula, più per non sentire nuovamente consolazioni sullo stato di salute di Adrien che per un motivo realmente fisiologico.
Una volta suonata l’ultima campanella, i miei piedi si sono mossi velocemente, riportandomi a casa senza che nemmeno me ne accorgessi. Non ricordo nemmeno cosa sia successo nelle ultime due ore, so solamente di non aver toccato cibo dalla colazione e di aver preferito raggiungere il letto ed abbandonarmi ad una dormita profonda, piuttosto che passare mezz’ora a divorare il pranzo.
Le ferite stanno consumando ogni briciola di energia che ho in corpo, lasciandomi sempre più stanca e provata dalla mia stessa vita. Pensavo che questa volta sarebbe stato diverso, che il mio corpo avrebbe assimilato al meglio il modo di combattere contro questo dolore, contro questi lividi che macchiano il mio corpo. Mi sbagliavo. Se possibile, mi sento anche peggio.
 
Le giornate trascorrono sbiadite, tra una lezione, un pisolino pomeridiano e le notti trascorse ad assecondare incubi in cui rivivo ogni secondo di quella domenica.
Mercoledì, la chioma bionda di Adrien torna a scuola. Credo di aver sentito Nino avvisarmi ieri ma ormai la mia testa sembra essersi focalizzata solamente su Chat Noir, sul suo stato fisico e sul discorso affrontato con lui. Solitamente avrei chiesto al modello come si sentisse, mi sarei interessata di più alla sua assenza, mi sarei tormentata nel rivederlo e, sicuramente, avrei balbettato qualcosa di incomprensibile per fargli capire quanto fossi felice di rivederlo a scuola. Questi ultimi giorni però sono stati talmente pesanti e difficili che la sua presenza mi appare come un’informazione distorta e confusa. Anche le ore trascorse a scuola sembrano susseguirsi senza fine, almeno fin quando non giunge l’intervallo a portarci un po’ di pace.
“Come stai?”
La voce di Alya interrompe la sequenza di pensieri che avvolgono la mia mente come una nebbia pressante.
“Meglio, grazie. Devo essermi raffreddato, nulla di grave”
Il sorriso di Adrien sembra spento, privo di quella allegria che solitamente coinvolge anche i suoi occhi verdi. Anche il suo corpo sembra stanco, provato da qualcosa peggiore di un banale raffreddore.
“Sicuro?”
La mia voce risuona nelle mie orecchie ovattata, quasi infastidita dal rumore costante dei miei pensieri.
“Come?”
“Sicuro di star bene?”
Il suo sguardo si perde nel mio, cercando qualcosa nei miei occhi, forse il motivo di quella mia domanda.
“Sì, grazie”
“Non mi sembra proprio”
“Cosa stai dicendo, Marinette?”
“A me sembra in piena forma”
Le voci di Alya e Nino interrompono quello scambio di battute, infastidendomi più della confusione che regna nella mia testa in questo momento.
“Non devi preoccuparti per me, Marinette”
Gli occhi profondi di Adrien mi guardano con dolcezza ma con un cipiglio oscuro che non mi è dato decifrare. Che sia preoccupazione, che sia tristezza, che sia dolore, non riesco a capirlo perfettamente.
Mi alzo lentamente, scendendo i gradini che oggi sembrano più pericolosi di qualunque scalata in montagna.
“Dovresti tornare a casa, non stai bene”
Non so nemmeno spiegare il tono con cui quelle parole mi escono dalla bocca ma quando arrivo sulla soglia, rilascio un sospiro, felice di non essermi ritrovata con il sedere a terra. Mettere a fuoco il mondo attorno a me sta diventando sempre più difficile, sempre più complicato.
Con una sicurezza che non provo nemmeno per un solo istante, attraverso la porta della stanza, dirigendomi al bagno, unico posto in cui, in questi giorni, sono riuscita a riposare quei dieci minuti tra una lezione e l’altra.
I contorni delle pareti continuano a mescolarsi, provocandomi quasi un conato di vomito per la confusione che riportano alla mia mente, già sovraffollata. Quasi arrivata al bagno, sento una mano afferrarmi il braccio fasciato, provocandomi un dolore allucinante alla ferita che sta tentando di rimarginarsi del tutto.
“Marinette?”
Volto lo sguardo, forse troppo velocemente per la mia condizione e mi ritrovo ad un centimetro dal volto del mio compagno di classe.
“Adrien…”
“Stai bene?”
Tento di ignorare la sua domanda, annuendo lentamente in cerca della forza di scappare dietro la porta del bagno femminile.
La sua mano torna a stringermi la ferita ed io non ho più alcuna forza per oppormi a quel gemito strozzato che sta cercando di uscire dalla mia bocca. Un verso impreciso aleggia nell’aria mentre Adrien mi costringe a voltarmi verso di lui.
“Sei sicura di star bene?”
La sua presa sul braccio diventa quasi insopportabile, un coltello infilato in un punto ancora troppo dolorante.
“Ti prego… Lasciami…”
I miei occhi e la mia mano corrono alla sua presa ferrea che, in un secondo diventa quasi sopportabile. Le dita di Adrien lasciano la mia maglia, scoprendo una parte della garza che avvolge il mio braccio.
“Marinette…”
Mi appoggio ad una delle colonne dell’istituto, nascondendomi dal resto del corpo studentesco e lentamente mi lascio cadere a terra, in uno stato di quasi totale apatia.
“Marinette?”
“Sì…”
I miei occhi si socchiudono, in attesa che io possa riposare, anche solo cinque minuti, prima di affrontare il resto della giornata scolastica.
Vedo distrattamente Adrien sedersi accanto a me e, con lentezza e delicatezza, sollevare il mio braccio e scostare la manica della maglia. La garza si beffa di me, imporporandosi lentamente con qualche goccia di sangue.
“Cos’è successo?”
“Sono caduta…”
“Caduta? Da dove? Un grattacielo?!”
“Più o meno… Un palazzo… Molto alto…”
Il tono della mia voce sembra affievolirsi sempre più, lasciando me per prima consapevole di quanto io sia indifesa in questo momento.
“Un Palazzo? Come hai fatto a cadere da un palazzo?”
“Mi aveva lasciata lì… Doveva andar via…”
“Cos… Maledizione!”
Un mugugno esce dalle mie labbra.
“Non urlare…”
“Scusa. Marinette… Scusami… Io non… Non pensavo che tu… Maledizione…”
I miei occhi si chiudono, finalmente pronti a lasciarmi beare di quel sonnellino di cui ho un disperato bisogno.
“Non è colpa tua…”
“Marinette…”
“Lasciami riposare, Adrien, ti prego… Ho bisogno di… Riposare… Due minuti…”
Un sospiro pesante avvolge l’aria attorno a noi mentre sento un braccio avvolgermi. La mia testa si posa sulle sue spalle finché la mia mente non decide di abbandonare quel luogo e volare oltre le nuvole. Un profumo dolcissimo invade i miei sogni, dipingendoli di un sole abbagliante che splende alto in cielo e di colline verdi, colme di sfumature particolari.
 
Non so quanto tempo sia passato ma quando sento la campanella risuonare, il mio corpo sembra aver ripreso un po’ di energie. Il braccio di Adrien ancora mi stringe a sé mentre riprendo coscienza del mio corpo e dello spazio che mi circonda.     
“Adrien…”
“Come ti senti?”
Il suo sguardo continua a fissare un punto preciso di fronte a noi, una crepa nel muro della struttura scolastica.
“Meglio, grazie”
“Bene”
Il suo volto sembra vinto da mille emozioni differenti, mille sensazioni tra cui riesco a leggere anche dolore, rabbia, sconforto e paura. Non ho idea di cosa stia attraversando i suoi pensieri ma, con delicatezza, ricopre il braccio fasciato, nascondendolo alla vista di chiunque altro. Lentamente si alza, aiutandomi a rimettermi in piedi. Le mie gambe sembrano riuscire a sostenermi ed io prego che riescano anche a riportarmi a casa, dove il letto mi aspetta.
La consapevolezza che lui abbia visto la mia ferita mi lascia un senso di inadeguatezza, come se quel taglio fosse l’ultima cosa che avrei dovuto lasciargli vedere. Sento le mie guance tingersi di rosso e, velocemente, mi incammino verso l’aula. Nuovamente mi trovo fermata dalla sua mano che, questa volta, stringe il braccio sano.
“Marinette…”
I miei occhi ritrovano i suoi, in uno scambio di sguardi di cui ignoro la causa ed il motivo.
“Mi dispiace, davvero”
I miei pensieri corrono alla ferita fasciata ed un pensiero invade con prepotenza la mia mente.
“Non dirlo a nessuno”
Non voglio che nessun altro si preoccupi per me, nessun altro, nemmeno lui avrebbe mai dovuto sapere di quella ferita.
“Promettimelo, Adrien”
Il suo sguardo si perde nel mio qualche momento, prima di annuire grattandosi la nuca.
“Mi dispiace”
“Smettila di dirlo, non è colpa tua”
“Già…”
Lentamente riprendiamo la strada verso la classe. Rientrati, sento lo sguardo dei compagni concentrati su di noi, intenti a capire cosa si nasconda dietro le nostre espressioni tristi e malinconiche. Adrien sia avvicina al mio orecchio, cercando di non farsi sentire dagli altri.
“Dovresti andare da un medico”
“Non serve, tranquillo”
Adrien riprende il suo posto, accanto ad un raro esemplare di Nino incuriosito mentre io mi accomodo al mio, accanto ad un’ Alya quanto più in cerca di gossip e scoop sul mio rapporto con il modello biondo. Fortunatamente le loro domande vengono bruscamente interrotte dall’arrivo dell’insegnante. Nonostante le proteste di Nino ed Alya, io ed Adrien non siamo sicuramente dell’umore giusto per certe confidenze, nemmeno con le persone a cui teniamo di più, io perché non voglio che la ragazza al mio fianco si preoccupi eccessivamente per un graffio, lui perché la promessa fatta gli impedisce di parlarne. O forse non è per quello che sembra così triste ed arrabbiato?
 
L’ultimo giorno di quella settimana scolastica arriva velocemente ed io ammetto di sentirmi meglio rispettoi giorni precedenti. La pomata del Maestro ha reso i miei lividi poco più che tracce di un rosa più acceso rispetto al normale ed il taglio al braccio sembra essersi richiuso completamente. A volte sento ancora una fitta dolorosa attraversarmi, specialmente se sollevo qualcosa di troppo pesante ma sembra che il mio corpo stia rispondendo davvero bene alla cura a base di pomata e disinfettante. Anche i miei pasti sono tornati ad essere regolari e, finalmente, ieri sono riuscita a godermi una giornata all’insegna di colazione, pranzo e cena abbondanti.
Dopo aver divorato una fetta di torta alle mele, afferro lo zaino, la borsa di Tikki e mi dirigo velocemente a scuola. Finalmente il week end è alle porte e, dopo una settimana simile, non vedo l’ora di potermi sdraiare sul letto e dedicare solamente al meritato riposo di cui ho bisogno.
È proprio durante l’intervallo che i miei buoni propositi vengono vanificati in un istante.
“Hai preparato le decorazioni, Marinette?”
“Cosa?”
“Le decorazioni”
“Quali decorazioni?”
Come scesa dalle nuvole, o meglio, caduta senza paracadute, la mia mente elabora il piano dettagliato della settimana quasi giunta al termine.
“Oh cavolo…”
“Marinette, non dirmi che te ne sei dimenticata”
Il volto allarmato di Alya mi colpisce dritto al cuore. Avevo promesso di aiutarla con l’evento dedicato agli eroi di Parigi, avevo promesso di dedicarmi alle decorazioni ed ho scordato ogni cosa, ogni singolo dettaglio sulla lista che avevo stilato la settimana scorsa. Maledizione!
Mi impongo un sorriso finto ma rassicurante, cercando di capire come mantenere quella promessa.
“C-cosa? No-no no, figurati! Ho quasi finito tutto, mi mancano pochi dettagli. Vedrai che per domani sarà tutto pronto, promesso!”
“Sicura?”
Il volto speranzoso di Alya mi condanna ad una notte insonne, proprio adesso che avrei così tanto bisogno di dormire. Meraviglioso.
“Certo, nessun problema!”
Alya mi abbraccia, fremendo per quell’evento che verrà condiviso in diretta dal suo Ladyblog. La vedo sparire, cercando di ottenere risposte positive da chiunque le abbia promesso aiuto per questa impresa. Da quando l’eroina di Parigi deve aiutare ad organizzare una festa organizzata per ringraziare proprio sé stessa? La risposta mi arriva cristallina, assieme alla voce di Alya che discute animatamente i dettagli della playlist da eseguire domani.
Uno sbuffo sconsolato esce dalle mie labbra, attirando l’attenzione di Adrien, ancora seduto al suo posto.
“Tutto bene?”
“Sì… Credo…”
“Posso aiutarti in qualche modo?”
Da quando è tornato a scuola o, per meglio dire, da quando ha visto la garza sul mio braccio, sembra che Adrien voglia in tutti i modi fare qualcosa per me, come se si sentisse in colpa per qualcosa. Davvero non capisco cosa sia quella tristezza che continuo a vedere in fondo ai suoi occhi.
“No, non credo”
“Sicura?”
Un sorriso lieve increspa le mie labbra, un tentativo di confortarlo per non so bene quale ragione.
“Tranquillo, va tutto bene”
Un pensiero attraversa la mia mente e, prima che io possa fermarlo, ci avvolge.
“Tu ci sarai domani?”
Come colto di sorpresa, Adrien annuisce lentamente, immerso in non so bene quale pensiero.
“Sì, Rose mi ha chiesto di accompagnarli con la tastiera”
“Davvero?”
Non so come sia stato possibile ma quel dettaglio mi era completamente sfuggito. Non posso credere che Alya non me ne abbia parlato o, forse, semplicemente non la stavo ascoltando, come è accaduto spesso nelle ultime settimane.
Adrien annuisce lentamente, con un sorriso appena accennato in volto. Finalmente la sua espressione lascia trasparire un po’ di felicità, quel senso di appartenenza ad un gruppo che per lui è sempre stato un sogno.
Le mie labbra si distendono, riflesso di quel qualcosa che vedo in lui. Sono davvero contenta che possa partecipare anche lui e, anche se in questi ultimi giorni mi è sembrato un po’ triste, spero possa divertirsi alla festa che Alya sta organizzando. Il pensiero di quel pomeriggio di festeggiamenti mi ricorda la nottata che mi attende a casa, lasciandomi sbuffare per l’ennesima volta mentre la campanella torna a suonare, costringendoci a riprendere i nostri posti in classe.
 
Tornata a casa, il tempo scorre così velocemente che dopo cena mi ritrovo a dover chiedere aiuto a Tikki per rispettare i tempi stretti. Una volta terminate le decorazioni, l’orologio indica le due di notte. I miei occhi si focalizzano sullo schermo del telefono dove, una dopo l’altra, sto cancellando tutte le voci delle cose da fare. Un ultimo compito e la lista si svuoterà completamente, peccato che questa sia la parte più lunga e complicata. Realizzare cartelloni e volantini, in confronto, è stato uno scherzo. Qui parliamo di tshirt, maglie ed accessori personalizzati per la band.
“Maledizione, non finirò mai in tempo”
“Marinette, non dovresti sforzarti così. Hai bisogno di riposare”
“Ho promesso ad Alya che l’avrei aiutata. Non posso deluderla”
“Marinette…”
“Non preoccuparti, Tikki”
Sorrido dolcemente alla piccola Kwami, cercando di rassicurarla. Purtroppo, però, il mio corpo inizia a cedere ed io a sentirmi decisamente stanca.
Il lavoro dura più di quanto non mi fossi immaginata. Le tre di notte lasciano posto alle quattro, poi alle cinque ed all’alba. Il solo rischiara la mia stanza mentre Tikki dorme beatamente accanto a me, sulla scrivania dove sto finendo le ultime modifiche ai tessuti.
L’ago della macchina da cucire continua a vagare sulle tracce lasciate dal gesso, tracciando i contorni del logo della band ed alcuni decori colorati che rappresentano lo spirito dell’evento. Finalmente l’ultimo accessorio sembra terminato quando l’ennesimo sbadiglio mi coglie. Tutto il necessario è pronto, finalmente potrò sdraiarmi a letto e godere di quel poco di notte che mi rimane. Il mondo però non sembra volermi dar tregua e mettere un piede davanti all’altro diventa un’impresa degna solamente di un eroe. La testa inizia a vorticare freneticamente mentre le mie gambe sembrano aver ripreso la consistenza della gelatina. Con lentezza disarmante riesco appena a raggiungere la chaise longue, prima di cadere vittima di una stanchezza così profonda da lasciarmi svenire.
 
Un rumore assordante mi rimbomba nelle orecchie, la solita suoneria fastidiosa che continuo a ripromettermi di cambiare ma che, in fondo, non credo farò mai. Il telefono continua a squillare sulla scrivania mentre io cerco di aprire gli occhi per riprendere contatto con la realtà.
“Tikki…”
Lentamente riesco a rimettermi in piedi ma quando raggiungo la scrivania l’orario che lampeggia sul display del telefono mi lascia senza parole.
“Le otto…”
Dannazione, avrò dormito al massimo due ore!
Silenzio il telefono, cercando di capire quanto il mio corpo riesca a rispondere alle direttive del mio cervello. Le gambe sembrano ancora non reggermi pienamente, la testa mi sta facendo impazzire, i lividi chiedono a gran voce un po’ di sollievo dalla pomata magica ed il mio braccio ha bisogno di altra crema cicatrizzante che, negli ultimi giorni, sembra aver fatto un piccolo miracolo.
Lascio Tikki dormire qualche altro minuto mentre io approfitto del suo sonno per prendermi cura di me stessa. Afferro il barattolo della pomata, un cambio pulito e mi infilo sotto la doccia, in cerca di un po’ di sollievo. L’acqua calda sfiora il mio corpo, regalandomi una sensazione di pace per la prima volta da giorni.
Purtroppo quel mio stato di benessere viene interrotto da mia madre che mi chiama per la colazione. L’ennesimo sbuffo esce dalle mie labbra, riempiendo l’abitacolo. Con lentezza, spengo il getto caldo e mi avvolgo nell’accappatoio morbido. Esco dalla doccia con la testa ancora immersa nell’umidità creata dal vapore. Il mio corpo ormai si muove automaticamente, spalmando lozioni e creme per poi massaggiare con cura ed attenzione le zone più delicate. I lividi ormai sembrano quasi spariti ma il dolore non vuole lasciarmi del tutto, se non per quel lasso di tempo tra una dose di crema e l’altra.
“Marinette, come stai?”
Tikki svolazza davanti ai miei occhi, intenta a capire quanto io possa mentirle oggi.
“Meglio”
Un sorriso dolce le si dipinge in volto mentre finisco di vestirmi. Divoro la colazione, risparmiando qualche biscotto per la mia dolce Kwami ma il tempo di godere di quel sabato mattina vola velocemente, lasciando spazio all’uragano Alya, arrivata per aiutarmi a trasportare tutte le decorazioni e le divise per la festa.
I preparativi per il pomeriggio risultano impegnativi. Le mie mani non riescono a trovar pace, cercando di disporre il tutto con dedizione. Quando poi arrivano i membri della band, Alya mi mette a loro completa disposizione.
Fino a questo momento, un solo, piccolo dettaglio mi era sfuggito, la presenza di Luka, oltre quella di Adrien. Ero presente quando Rose ha detto che i Kitty Section avrebbero animato quel pomeriggio, eppure avevo ignorato completamente la presenza del fratello di Juleka. Come diamine è potuto succedere?
Sono giorni che non ho sue notizie, giorni che i miei pensieri non ricadono su di lui se non in momenti in cui i sensi di colpa sembravano volermi assalire, giorni che solo l’idea di averlo usato in un modo così dannatamente piacevole mi ha portato a non volerlo vedere né sentire.
Le parole di Chat Noir continuano a tormentarmi da allora. La mia mente è stata occupata dal dolore, dalla preoccupazione per lui, per me, per la nostra missione, sempre più complicata e difficile ed il tempo di pensare a Luka ed a tutto ciò che è successo tra noi si è ridotto sempre più, sparendo poi nel dimenticatoio della mia mente.
Intenta a badare ai miei pensieri, tutt’altro che sereni e tranquilli, mi accorgo solo dopo qualche minuto del suo sguardo azzurro che mi scruta con interesse. Il riflesso azzurro dei suoi capelli sembra brillare sotto i raggi del sole caldo mentre i suoi occhi sembrano osservarmi con dolcezza. La somiglianza con il mio sguardo lascia in me una sensazione di dolcezza e di protezione, la stessa che ho provato molte volte in sua compagnia. I miei occhi vagano sul suo volto, incontrando la linea della sua mascella, l’ombra fioca che quel ciuffo ribelle lascia sulla sua pelle rosea ed il suo sorriso dolce ed affascinante. Le sue labbra, quello è il dettaglio che più attira la mia attenzione, quelle labbra carnose e morbide che più volte hanno incontrato le mie. I ricordi di tutti i baci scambiati, quelli rubati, quelli colmi di speranza, quelli pieni di passione, ogni gesto riprende possesso della mia mente mentre lo vedo avvicinarsi a me con il volto marchiato da quel sorriso leggermente malizioso.
“Marinette”
“Ciao Luka”
Il silenzio prende possesso dell’aria attorno a noi, avvolgendoci come una bolla dolce. Quella pace, quella serenità sembra resistere a qualunque cosa, alle urla di Rose, impaziente di iniziare il concerto, alla musica proveniente dalla console di Nino che invade le nostre orecchie, anche all’uragano Alya che ci intima di non perdere tempo e dirigerci verso quei camerini improvvisati da alcuni teli, retti da alcune aste di metallo collegate tra loro in modo per me inconcepibile.
Sotto lo sguardo dolce di Luka, raccolgo la borsa che contiene i vari indumenti realizzati questa notte. Lascio i vestiti di Juleka, Rose ed Ivan su alcune sedie, concentrandomi sul ragazzo al mio fianco. Afferro i vestiti che ho preparato per Luka, voltandomi velocemente per consegnarglieli. Quando però il mio sguardo finisce sul suo corpo, lo trovo intento a togliersi la maglietta. Pensieri di ogni genere affollano la mia mente ma, se solo qualche giorno prima avrei potuto trovare qualunque scusa per attirarlo a me, adesso le sfumature della mia mente sembrano più scure e tetre, invase dal ricordo delle sue parole.
“Sai quanto tenga a te, come puoi approfittare dei suoi sentimenti per soddisfare i tuoi capricci?”
Come posso continuare a guardarlo, desiderando i suoi baci, per poi ripetergli costantemente che non posso dargli nulla di più perché, per quanto io desideri le sue attenzioni, il mio cuore è ancora impegnato in uno scontro tra battiti e confusione totale?
Il ricordo delle parole di Chat Noir non mi lascia libera un solo istante, ricordandomi quanto vigliacca e crudele io sia stata con Luka. Non posso credere di essermi trasformata in una persona tanto frivola da ignorare i sentimenti altrui per godere di quel calore che solo lui ha saputo accendere in me. Sono sempre stata una ragazza molto pura e candida, forse troppo, considerando le opinioni di alcuni miei amici. Mai mi sarei aspettata di potermi comportare in un modo così crudele nei confronti di una persona che ha sempre e solo dimostrato affetto e dolcezza verso di me.
Il mio sguardo si sposta velocemente, finendo su un mucchio di stracci gettati a terra, in un angolo di quella struttura improvvisata, non prima, però, di aver attirato la sua attenzione.
“Marinette?”
Allungo il braccio, lasciando che i vestiti che tenevo in mano scivolino verso di lui.
“Spero vadano bene”
“Saranno perfetti, come sempre”
Il suo tono caldo ed affettuoso cerca di migliorare il mio umore ma la sua dolcezza non fa che aumentare in me il senso di colpa nei suoi confronti. Non merito tanta tenerezza, non merito quell’espressione impensierita, nascosta sotto un sorriso forzato, non merito tanto bontà. Quello che fa più male è sapere che, in una situazione simile, anche io avrei agito come lui, anche io avrei accettato di essere un pupazzo nelle mani di Adrien, pronta a calmare ogni suo attacco di panico, pronta ad assaporare le sue labbra e quella passione che mai sarebbe stata tinta di amore.
“Marinette?”
Voltarmi verso Luka lascia la mia mente libera di vagare, forse troppo velocemente e verso una meta sconosciuta, tanto che sento la necessità di chiudere gli occhi per riacquistare un barlume di lucidità e quell’equilibrio che ormai non sembrano più appartenermi.
“Marinette?!”
Le mani di Luka corrono a sorreggermi, afferrandomi per un braccio e per la vita. Mi stringe a sé, cercando di tenermi in piedi ma quel capogiro mi ha lasciata quasi senza forze.
“Stai bene?”
Impiego qualche secondo per annuire debolmente, prima di lasciare che mi accompagni verso una delle sedie lasciate dentro quell’insieme di tende.
“Marinette, cos’hai?”
“Caldo…”
La prima parola che riesco a pronunciare è anche quella che più mi sarebbe costata in un futuro non troppo lontano e nemmeno lo sapevo.
Le sue dita, veloci ma delicate si posano sulle maniche della mia maglia, arrotolando il tessuto sul mio corpo. Solo in quel momento ricordo quanto il calore del mio corpo sia qualcosa di necessario. Sapevo di dovermi coprire, sapevo di dover indossare qualcosa che mi avrebbe fatta sudare, sapevo di dover sopportare tutto questo, anche i capogiri e la pressione troppo alta, pur di non far preoccupare nessuno.
Solo quando la garza inizia a mostrarsi sotto agli abiti trovo la forza di spostare velocemente il braccio dalla sua presa, lasciandolo immobile a contemplare il punto quel punto.
“Marinette…”
“Non è nulla Luka”
Lo sento sospirare, lo sento passarsi una mano tra i capelli, lo sento avvicinarsi e riprendere dolcemente il mio braccio, cercando di non farmi male.
“Vuoi dirmi cos’è successo?”
Scuoto la testa, cercando di non provocarmi un altro capogiro. Non voglio che un’altra persona si preoccupi per me.
“Marinette…”
“Non è niente, Luka. Non devi preoccuparti, sto bene”
Un nuovo sospiro attira la mia attenzione mentre lo vedo giungere alla fine del mio bendaggio. Luka scioglie lentamente il piccolo nodo che avevo creato, lasciando alla mia ferita la possibilità di assaporare un po’ d’aria. La pelle arrossata non è un bello spettacolo e, se solo sapesse quanto fosse più scura e sanguinante solo qualche giorno fa, sicuramente il suo sguardo sarebbe ancora più duro di quello che mi sta rivolgendo in questo momento.
“Marinette, devi stare attenta!”
“Non è nulla. Sono solo inciampata…”
I suoi occhi si tingono di tristezza, rendendo il suo sguardo più dolce rispetto a qualche secondo fa.
“Marinette, ti prego. Devi stare attenta, non puoi continuare a…”
La sua frase viene interrotta dall’arrivo dell’ultima persona che avrei voluto vedere in questo momento.
Adrien richiude dietro di sé la tenda, assicurandosi che Alya si concentri sulla mole di lavoro da fare ancora prima dell’evento. Luka continua a guardarmi come se i suoi occhi potessero finire per lui la frase che stava per uscire dalle sue labbra.
“Luka… Marinette…”
Volgo lo sguardo verso Adrien, un po’ per allontanarmi da questo scambio di parole silenzioso, un po’ per capire quale sia il suo umore quest’oggi. I suoi occhi scivolano velocemente sulle mani di Luka, avvolte al mio braccio come uno scudo protettivo. Vedo le sue palpebre sbattere velocemente alla vista di quel taglio che adorna la mia pelle come un marchio distintivo.
Senza curarmi del dolore o delle occhiate che i due ragazzi mi stanno rivolgendo, riprendo possesso del mio braccio, afferrando dalla mia borsa la pomata cicatrizzante. Solo il pensiero di poter trovare sollievo da tutta questa confusione muove la mia volontà. Spalmo la crema lungo tutta la ferita, prima di riprendere la benda ed iniziare a stenderla lungo tutto il braccio, con non poche difficoltà. La mia vista ancora sembra imperfetta e mentre il mio corpo sembra andare a fuoco, la mia mente cerca di estraniarsi da quella situazione.
Pochi secondi dopo, mentre lo sguardo di Luka ancora non vuole lasciare il mio volto, vedo Adrien avvicinarsi, sedendosi a terra, a pochi centimetri dai miei piedi. Con delicatezza, toglie dalle mie mani la garza, iniziando ad avvolgere il mio braccio meglio di quanto fosse coperto prima.
“Come va?”
Una semplice domanda, capace di disarmarmi completamente. Non ho forze a sufficienza per mentire, il braccio mi fa male, il mio corpo sembra aver raggiunto una temperatura simile alla lava incandescente e la testa mi gira vorticosamente. Scuoto lentamente la testa, ormai prossima ad un nuovo svenimento.
“Stenditi e cerca di riposare un po’”
La sua voce sembra allontanarsi sempre più mentre io mi lascio vincere da quel suo comando, prendendo posto sulla panchina poco distante da lì. L’ultima cosa che sento è il suo tocco delicato ricoprire nuovamente la mia ferita per poi accarezzarmi la fronte, lasciandomi sprofondare nell’oblio.
 
Quando mi risveglio, il mio corpo sembra aver ripreso un colorito quasi normale, nonostante il gran caldo che sento ancora scorrere nelle mie vene. Di Luka ed Adrien non è rimasta alcuna traccia ma le urla fuori da quella tenda mi lasciano capire che il concerto dedicato ai due supereroi di Parigi debba essere ormai iniziato.
Con una lentezza quasi disarmante, torno a sedermi, notando solo in quel momento il volto di Tikki osservarmi con preoccupazione dalla borsa lasciata accanto a me.
“Sto bene, non preoccuparti”
“Marinette, dovresti riposare, dovresti farti visitare, dovresti…”
“Dovrei solamente essere una Ladybug migliore, Tikki”
“Non dire sciocchezze!”
La Kwami si agita, rendendo il suo colorito ancora più rosso, per quanto possibile.
“Sei una perfetta Ladybug, Marinette! Dovresti solo… Insomma… Tu…”
Tikki si lascia sfuggire qualche lacrima, prima di asciugarsi il volto velocemente e torna a concentrare la sua attenzione su di me.
“Non dubitare mai di te, Marinette”
Un debole sorriso spunta tra le mie labbra, rallegrando anche la piccola Kwami.
“Ti voglio bene Tikki”
Sembra rilassarsi, lasciando scivolare dalle sue piccole spalle una preoccupazione troppo grande da sopportare.
“Tengo molto a te Marinette”
Lentamente allungo le braccia sopra di me, cercando di saggiare quanto il mio corpo sia dolorante. Fortunatamente quel breve pisolino sembra avermi dato abbastanza energie per affrontare il resto del pomeriggio ed arrivare a casa, sana e salva.
“In questo momento vorrei solo dormire”
“Potresti farlo. Nessuno verrà a disturbarti qui. Alya ha detto a tutti di lasciarti riposare visto lo splendido lavoro fatto per il suo evento”
“È stata molto gentile ma non credo riuscirei a riaddormentarmi con il volume della musica così alto”
Una breve risata scuote il corpo della Kwami che velocemente si nasconde sotto ai miei abiti per accompagnarmi fuori da quell’ammasso di teli.
Oltre il mio rifugio, la gente si dimena sulle note dei Kitty Section, dimostrando ancora una volta quanto questo gruppo riesca a coinvolgere chiunque li ascolti.
Vago qualche minuto tra la folla, scorgendo solo dopo la figura di Alya, intenta a riprendere questo evento per il suo ladyblog. Appena si accorge della mia presenza, il suo volto si illumina, felice coma un bambino a Natale.
“Ed ecco la nostra stilista e designer, la persona che ha realizzato le decorazioni ed i costumi di scena del gruppo!”
Saluto la telecamera velocemente, prima che Alya riporti l’attenzione del suo pubblico sui veri protagonisti di questo evento, i paladini di Parigi, raffigurati nei vari volantini dell’evento, sulle maglie del gruppo e nei colori utilizzati per realizzare ogni singolo dettaglio del concerto.
L’atmosfera è tra le più festose, qualcosa che riesce a scaldarmi il cuore, rendendomi estremamente orgogliosa di quello che faccio, delle battaglie che combatto e di quanto mi impegni ogni giorno per proteggere i cittadini di Parigi, i miei amici, la mia famiglia.
Il concerto procede a gonfie vele e dopo qualche canzone, il gruppo lascia posto a Nino che si occupa di intrattenere le persone con qualche pezzo da lui mixato. Mentre lui dispone la console, i componenti della band raccolgono gli strumenti, spostandoli ai lati del palco. Nonostante il loro ruolo sia diventato marginale, tutti rimangono accanto a Nino, mostrando affetto, stima e gratitudine a Ladybug e Chat Noir.
In quel momento, in quel preciso istante, sento la mia vita rappresentata al meglio.
Le due persone che più hanno sconvolto la mia vita sorridono, felici ma con quel cipiglio preoccupato che svanisce solamente quando i loro occhi incontrano i miei. Il loro sorriso diventa il mio, mentre la folla crea quella dolce confusione che ha sempre accompagnato la mia vita. Io, la grande Ladybug, mi sento solamente una tra tante, una piccola parte di questo mondo con il compito di proteggere le persone, indipendentemente dal fatto che siano innocenti o meno.
Questo è l’ultimo pensiero che riesco ad affrontare, prima che tutto precipiti, di nuovo, verso un burrone che, questa volta, sembra voglia inghiottirmi davvero.
 
Un ronzio insistente si alza all’orizzonte mentre uno sciame impazzito si scaglia su di noi. Più si avvicinano, più quegli insetti iniziando a sembrarmi qualcosa di molto diverso da semplici animali. Creature di ogni tipologie, rese in miniatura, si gettano sul luogo dell’evento dedicato ai due paladini di Parigi, rendendo ogni cosa gelatinosa e congelando al loro interno le persone catturate. Secondo dopo secondo, sciame di elefanti, mosche, cimici, giraffe ed ippopotami si avventano sui presenti. Alya è una delle prime vittime, la prima a paralizzarsi all’interno di un cumulo di gelatina, la prima a non dare segni di vita, la prima che la mia vista riesce a registrare come segnale di un nuovo e pericoloso nemico parigino.
Più le persone vengono colpite, più questa festa inizia a trasformarsi in un dramma. Il mio istinto mi costringe ad allontanarmi da lì, appena in tempo per osservare quell’ammasso di gelatina contenente la popolazione, chiudersi in un cerchio attorno al palco. Sopra di esso, i miei amici si ritrovano intrappolati, senza via di fuga se non un salto in mezzo a quella melma dalle sfumature violacee. Solo qualche minuto più tardi sembrano riuscire a trovare una soluzione a quel problema, lasciando che le mie decorazioni fungano da passerella improvvisata e molto instabile. Poteva sembrare una buona idea ma il fatto che solamente Adrien e Luka siano riusciti a toccare il terreno e rimanere illesi da quella strana sostanza cambia le carte in tavola, costringendomi a distogliere lo sguardo da quella scena per trovare un nascondiglio abbastanza riparato per trasformarmi.
Quando però i miei piedi si fermano, nell’ennesimo vicolo cieco, l’ansia ed il panico affiorano, prendendo completamente il sopravvento sulla mia mente. Non sono pronta ad affrontare un’altra battaglia, non così presto, non quando le mie ferite ancora stanno combattendo per svanire del tutto e se io non sono pronta, non può esserlo nemmeno lui.
Un sospiro malinconico fuoriesce dalle mie labbra, attirando l’attenzione di Tikki.
“Marinette…”
Le intimo di trasformarmi nell’eroina di Parigi e quasi rimango paralizzata nel constatare che il mio costume sia perfettamente integro nonostante la mia situazione. A quanto pare le capacità rigeneratrici di Tikki hanno molto più effetto su di lei che su di me. Sono felice che almeno lei stia bene e che possa aiutarmi in quella che sarà una missione in solitaria. Non posso permettere che Chat Noir combatta, non posso permettere che la sua situazione peggiori quando non sono nemmeno sicura che si sia completamente ripreso. Se c’è qualcuno che deve per forza combattere, quella sono solo e soltanto io, io che ho il potere di purificare le Akuma, io che ho il potere di riportare ogni cosa alla sua condizione iniziale, io che posso decidere di portare a termine questa missione senza aiuto, per quanto difficile possa essere.
Un’ombra scura interrompe i miei pensieri lasciandomi l’immagine di Chat Noir che corre tra i tetti sopra la mia testa.
“No!”
“Non posso permetterlo!”
Velocemente afferro lo yo-yo, lasciando che raggiunga un punto abbastanza in alto da darmi una spinta verso i tetti della città. Un passo dopo l’altro, con il braccio che pulsa, riesco a raggiungere Chat Noir, fermando la sua corsa suicida. La mia mano afferra il suo braccio, costringendolo a bloccarsi sul tetto di un supermercato. I miei occhi finiscono distrattamente sulla sua tuta che, in alcuni piccoli punti, sembra ancora sbiadita. Questo è l’ultimo tassello che serviva alla mia mente per convincersi di star agendo nell’unico modo possibile ed accettabile. Plagg non è pronto a lottare, Chat Noir non è ancora guarito ed io posso riuscire a salvare Parigi da sola, devo farlo.
“My lady, è sempre un piacere v…”
“Cosa pensi di fare?!”
“Come?”
“Ti ho chiesto cosa credi di fare, qui, adesso”
Il suo sguardo confuso mi fissa come se mi fosse spuntata una seconda testa.
“Ladybug, non capisco”
“Non penserai davvero di combattere”
“Come sempre…”
“Non questa volta”
Sospiro, lasciando andare il braccio di Chat Noir. Il suo corpo si volta completamente verso di me, la sua espressione si tinge di preoccupazione, incredulità e qualcosa di molto simile al risentimento.
“Continuo a non capire”
Osservo distrattamente il panorama alle sue spalle, ritrovando quello sciame di creature gelatinose che ricoprono velocemente la maggior parte delle case di Parigi. Non c’è tempo per le chiacchiere, i cittadini hanno bisogno di noi, di me. So, però, di dovergli una spiegazione, riesco a leggere nei suoi occhi il bisogno di sapere ed è solo adesso che capisco che, al posto suo, anche io pretenderei di capire il significato di quelle parole. In fondo, abbiamo affrontato ogni battaglia insieme. Anche quando Chat Noir si lasciava influenzare dai nemici di Parigi, io sapevo di poter contare su di lui perché vederlo lì, davanti a me, ai miei occhi, mi dava la possibilità di sapere che stesse bene, mi dava la forza di lottare ancor più duramente.
Il suo sguardo non lascia i miei occhi un solo istante e quando torno ad osservare il suo viso, l’espressione confusa che vi avevo visto non è cambiata di una virgola.
“Non puoi combattere questa volta”
“Cosa significa?”
“Non posso permetterlo”
Sotto quella maschera nera, i suoi occhi verdi continuano a mostrarsi confusi e pensierosi.
“Ladybug…”
“Non ti voglio al mio fianco!”
Quelle parole feriscono me per prima perché se c’è una cosa alla quale non vorrei rinunciare, è proprio il suo sostegno. Eppure, non posso fare altrimenti.
“Che cosa significa?!”
Il suo tono di voce sembra allarmato, incredulo davanti alle mie parole.
“Perché?!”
Il suo sguardo verde si assottiglia, cercando una possibile spiegazione a quella discussione stupida ma più tenta di comprendere, meno sembra riuscirci.
“Non puoi combattere, non oggi”
“Perché?!”
“Perché non voglio che ti ferisca di nuovo!”
Passo distrattamente le mani tra i capelli, tirandoli leggermente.
“Come fai a non capire? Guardati!”
Indico distrattamente il suo corpo ed i punti sbiaditi della sua tuta per poi immergere le mie mani tra i capelli. I suoi occhi seguono i miei gesti, osservando con dedizione quelle macchie preoccupanti. Lo vedo rilasciare un sospiro prima di avvicinarsi lentamente a me. Afferra le mie mani, sciogliendo quella presa ferrea attorno alla mia chioma scura.
“Non devi preoccuparti per me”
Un sospiro esce dalle mie labbra, invadendo il poco spazio che ci divide.
“Non permetterò che tu combatta in queste condizioni”
“Io sto bene”
“Non è vero e lo sai. Tu non stai bene, Plagg non sta bene. Non potete combattere, non oggi”
La sua stretta si fa sempre più forte mentre i suoi occhi si velano di serietà.
“Non combatterai da sola, hai bisogno di me. Lascia che ti aiuti, lascia che ti protegga, come ho sempre fatto e come sempre farò”
Le sue parole colpiscono un punto del mio petto ben preciso, provocandomi un brivido in tutto il corpo. Sento il mio sguardo inumidirsi ed è con la convinzione di star agendo solo nel suo interesse che sospiro un’ultima volta, prima di chiudere gli occhi.
“È proprio per questo che non puoi seguirmi oggi”
Velocemente volto la sua mano, afferrando il suo Miraculous e sfilandoglielo. Un bagliore verde mi avvolge, facendomi capire che la trasformazione di Chat Noir sia stata annullata.
“Plagg?”
Un lieve fruscio mi raggiunge mentre il Kwami si sposta accanto davanti a me.
“Tienilo al sicuro per oggi, ti prego”
“ Ladybug…”
“Ti prego…”
Aspetto che il Kwami afferri il suo Miraculous prima di voltarmi e finalmente riprendere ad osservare il panorama.
“So che avresti fatto qualunque cosa pur di proteggermi e non posso permettere che, a causa mia, tu rischi nuovamente di farti del male”
“Avrei potuto aiutarti…”
“Lo so ma so anche che non potrei sopportare di vederti di nuovo privo di sensi e ferito”
Lascio velocemente quel tetto, sperando che Plagg capisca, che Chat Noir capisca e che non cerchi di seguirmi ad ogni costo.
 
“Maledizione!”
Sono passati quasi venti minuti da quando ho lasciato Chat Noir sul tetto di quel supermercato ed ancora non ho trovato il nemico da sconfiggere. Ho cercato di saltare sugli edifici più alti, pensando che sarei riuscita in tempi brevi a capire dove si nascondesse il fulcro di quella confusione ma niente sembrava più lontano dalla realtà. I miei occhi continuano a vagliare ogni centimetro di Parigi, velocemente, senza soffermarsi nemmeno un attimo più del dovuto. È proprio dopo l’ennesima ronda in corsa che mi fermo a riflettere, nel posto che sempre riesce a schiarirmi le idee, la Torre Eiffel.
“Dove sei?! Dove ti nascondi?!”
Il centro di Parigi continua a riempirsi di persone bloccate da quella strana forma di gelatina ghiacciata mentre io penso ad un qualche piano che possa aiutarmi.
Un dettaglio, per quanto piccolo, riesce a svegliarmi da quella ricerca inutile e finalmente capisco dove possa trovarsi il nemico di Parigi. Velocemente lancio il mio yo-yo, aggrappandomi su un pilastro della Torre e svanendo dalla sua ombra. Salto da un tetto all’altro, dirigendomi verso il covo dell’akumizzato.
Una volta atterrata, davanti a me scorgo un maestoso edificio allestito di tutto punto per ospitare una mostra che ha tutta l’aria di non aver attirato l’attenzione che il curatore sperava. Avevo letto un articolo sul blog della scuola che invitava tutti gli studenti a visitare il museo ma, per quanto avessero provato a pubblicizzare l’evento, io per prima ricordo quanto poco interesse avesse suscitato in me.
Attraverso la porta spalancata, entrando in un mondo a me completamente sconosciuto. Su ogni parete trovo una gigantografia raffigurante un panorama e, ai piedi di questa, miniature delle principali città francesi. Gli edifici sono ricchi di particolari, minuziosamente modellati e dipinti in modo che anche i più piccoli dettagli sembrassero realistici. La parete destra vede ambientata la marcia su Varsailles, quella sinistra la battaglia di Marsiglia, fino a giungere al centro della stanza, dove un faro bianco illumina Parigi come solo il plenilunio riesce a fare. Mi avvicino cautamente a quella rappresentazione, notando i più piccoli dettagli e l’effetto che la luce conferisce alle figure della città. Sul più alto degli edifici, illuminati da quel fascio bianco, le miniature di due persone in particolare mi colpiscono. Una tuta a pois, una figura determinata, Ladybug spicca al fianco di quel micio dal costume nero e dagli atteggiamenti romantici. Mi soffermo qualche minuto ad osservare quel portamento galante ma sfacciato, l’eleganza che lo accompagna da quando l’ho conosciuto. Il suo volto è dipinto alla perfezione e quasi mi sembra di averlo qui, accanto a me. Quando, però, ripenso al motivo per il quale lui non ci sia, non posso che esserne felice, più convinta che mai di aver fatto la scelta giusta. Un solo attimo e la situazione cambia drasticamente.
Il mio corpo inizia a muoversi in piena autonomia, evitando alcuni attacchi da parte di quella gelatina a forma di animali in dimensioni ridotte. Usando il mio yo-yo, mi sposto da un lato all’altro della stanza, cercando di non farmi colpire da quella strana sostanza dal potere congelante. Più penso ad una strategia per contrattaccare, più la mia mente si annebbia, lasciandomi senza idee e senza difese. Quella strana sensazione di calore e stanchezza torna a colpirmi violentemente ed io rischio più volte di lasciarmi colpire. Fatico a muovermi, fatico quasi a respirare, sentendo il mio corpo sempre più caldo e pesante.
Uno di questi animaletti mi sfiora la caviglia e poco dopo mi ritrovo un piccolo blocco di gelatina ghiacciata attorno alla tuta. Sento una leggera pressione in quel punto, fastidio che velocemente si trasforma in dolore puro.
“Maledizione!”
Attraverso quella gelatina dalla strana consistenza, la mia tuta inizia a svanire. La mia pelle bianca svetta mentre una risata alle mie spalle riecheggia.
“Quindi anche voi abete dei limiti”
Il mio sguardo si tinge di rabbia e frustrazione nel capire quanto io abbia dimostrato le mie debolezze ad un nemico controllato da Papillon. Cerco di prendere tempo, glissando sull’argomento.
“Allora? Nessuno è venuto a vedere la tua mostra?”
La sua espressione muta velocemente, lasciando posto alla rabbia ed allo sconforto più profondi.
“I parigini non capiscono nulla della vera arte!”
“Non diciamo sciocchezze, Parigi è una delle città più importanti per il settore della moda e questa è una forma d’arte”
“Sei solo l’ennesima stupida parigina!”
Scuoto lentamente la testa, tentando di regolare i miei respiri e permettere al mio corpo di concentrarsi sul nemico. I discorsi di questo ragazzo si fanno sconnessi tra loro, passando dai parigini alla Francia, alla miniatura nel mondo alla stupidità delle persone che non apprezzano il suo lavoro minuzioso. È proprio grazie ai suoi discorsi, però, che riesco in qualche modo ad avvicinarmi a lui, schivando appena alcuni attacchi e lasciando che il mio corpo venga quasi totalmente immobilizzato dalle sue creature.
Richiamando il potere del Miraculous, riesco finalmente ad intrappolarlo in un angolo, grazie all’estintore a schiuma dipinto di rosso e nero.
Mi avvicino al ragazzo, ormai priva della mia tuta su entrambe le caviglie e su una spalla. Mi costa non poca fatica riuscire a raggiungere la piccola tigre che tiene stretta tra le mani ma quando finalmente la sento rompersi sotto le mie dita, vedo l’akuma svolazzare libera. Riesco a liberare Parigi dalla sua presenza, riportando il ragazzo al suo aspetto originale e la capitale alla tranquillità che si respirava prima di questa interruzione.
“Cos’è successo?”
Sbuffo, stanca ormai di sentire la stessa sciocca domanda ogni volta che un nemico torna alla sua vita tranquilla, senza Papillon che gli urla nella mente.
“Niente ma la prossima volta cerca di attirare l’attenzione senza rischiare di distruggere Parigi”
“Cosa?”
Il suo sguardo smarrito riesce a sciogliere il mio cuore, ormai preda del rimorso nei confronti di una persona che non ha dato la possibilità né a me né a Chat Noir di riprenderci dopo l’ultimo scontro. Un sorriso sincero si dipinge sulle mie labbra.
“Mi dispiace per la tua mostra. Il tuo lavoro è davvero incredibile, complimenti”
Le mia parole sembrano riuscire a calmarlo, restituendogli un sorriso appena accennato ed un colorito acceso in volto.
“Sono un vostro grande fan”
I suoi occhi si posano sul plastico al centro della stanza, dove l’antenna della struttura su cui siamo stati riposti io e Chat Noir si è leggermente inclinata. Lo vedo correre verso il plastico con in mano un paio di pinze abbastanza piccole da afferrare i vari pezzi della composizione senza danneggiare nulla.
I miei orecchini iniziano a lampeggiare, ricordandomi la distanza che dovrò percorrere da qui alla piazza dove Alya aveva organizzato la festa.
Corro verso l’uscita del palazzo, raggiungendo la strada che costeggia la struttura. Cercando di non pensare al dolore alle caviglie, mi lancio verso i tetti che mi circondano, tentando di raggiungere il concerto il più velocemente possibile. Il mio corpo però non sembra essere dello stesso avviso. La mia vista inizia a sfocarsi, la presa ferrea sullo yo-yo diventa un flebile ricordo e più che correre cerco di ricordare come mettere un piede davanti all’altro sui pochi centimetri che delimitano i tetti delle abitazioni.
Un passo, un secondo, un terzo e sono costretta a fermarmi, dietro allo sfogo del camino di una casa ancora abbastanza lontana dalla piazza dove ho lasciato i miei amici. Passa solo qualche istante prima di sentire nuovamente gli orecchini suonare, cercando di attirare la mia attenzione. La mia mente, ancora confusa ed annebbiata, riesce a dare gli ultimi comandi al mio corpo che con estrema lentezza si lascia andare alla discesa verso un vicolo buio. Quel breve percorso, però, diventa una caduta nel vuoto a pochi metri da terra, quando la mia mano lascia andare lo yo-yo. Il mio corpo si abbandona all’idea di giungere a terra in un modo non propriamente degno della paladina di Parigi ed è solo quando non sento il suolo freddo e scomodo sulla mia schiena che riesco a riaprire gli occhi, incrociando uno sguardo infinitamente preoccupato.
Vorrei dirgli qualcosa, porgli delle domande, allontanarlo da me, dalla mia trasformazione ormai al limite ma tutto ciò che esce dalla mia bocca è un borbottio incomprensibile prima di sprofondare nuovamente nel buio profondo.
“Ti avevo detto di stare attenta…”
 
***
 
Buongiorno lettori!! Quest'oggi finalmente vi lascio questo nuovo capitolo, pieno di sentimenti!! Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate e, soprattutto, CHI pensate abbia pronunciato quest'ultima frase <3
Aspetto i vostri commenti e le vostre teorie come sempre, sperando di non impiegarci anni per il prossimo capitolo <3
Un salutone a tutti, ci vediamo al prossimo capitolo <3
miss_MZ93
  
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