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Autore: Rachel_Lilian20    17/02/2021    0 recensioni
Il destino... così crudele e insensibile, che con la sua nera penna e il nero inchiostro, scrive indelebilmente le nostre storie, ha deciso che doveva essere così per lei, per Eirlyse. Doveva essere così il suo passato, doveva essere così il suo presente e doveva essere così il suo futuro.
Le sue fragili fondamenta di una normale vita quotidiana, sottoposte varie volte a varie tempeste, formate da convinzioni, timori e insicurezze, si sgretola definitamente durante il mese di Oraine, il mese nel quale compie sedici anni.
Sedici anni nel villaggio Dhenvar. Diciassette anni consapevole di essere diversa. E non solo nell'aspetto.
Ma il culmine raggiunge durante la Festa di Idhrisil. E proprio durante quel periodo, Lyse apprende finalmente il crudele manoscritto del destino. Un peso così grande per le sue fragili spalle... ma lei non è codarda, non lo è mai stata, sangue elfico o meno, e lei... lei accetterà il fardello con onore.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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13 Glael 898 hera Deinath, Foresta Vûn Ismïlda, Alfaniarel

Era morto. Morto.
Alla consapevolezza si aggiunse la disperazione, e cupe lacrime sgorgarono dalle sue iridi di zaffiro. Era pietrificata, e il mondo esterno le pareva remoto e sfocato, come offuscato da un velo di nebuloso fumo. Lui...era morto. No, si rifiutava di accettarlo, non lui.
Come ad uno scherzo del suo corpo, però, davanti ai suoi occhi ripassava continuamente la scena. La spada dell’avversario che lacerava la pelle lattea che aveva tante volte accarezzato, che rubava la vita dal cuore che tante volte aveva sentito battere vivace. E il suo ultimo sguardo prima che tutto si spegnesse, uno sguardo pieno d’amore per lei. Per lei e la sua creatura. Il frutto del loro amore.
Una freccia la sorvolò, mancandola di poco. Il suo sibilo minaccioso la riscosse dal torpore, facendola scattare indietro e correre lontano, lontano dal sangue e dalla morte, di cui tutto era contaminato. Non voleva contaminare anche quel candido fiore innocente in mezzo ai cumuli di distruzione. No, non poteva assolutamente permetterlo.
Con nuova volontà, la donna corse ancora più veloce, stringendo a sé il fagotto di stoffa. Niente riusciva a rallentarla, e il delicato peso tra le sue braccia non la stancava, anzi, la incoraggiava a correre di più.
Corse finché i selvaggi rumori della battaglia non divennero fievoli, sostituiti dal rumore di rami spezzati sotto le suola dei stivali e il suo ansimare furioso.
I lineamenti del suo viso all’ombra del cappuccio erano ricoperti di fuliggine e sangue, come se la violenza vista dai suoi occhi volesse lasciare il segno anche sul suo viso. Il lungo mantello nero come la notte le svolazzava leggiadro alle sue spalle e gli alberi parevano spostarsi rispettosamente al suo passaggio.
Ormai riusciva a scorgere il Guardiano della Foresta, potrebbe raggiungerlo in pochi minuti, ma proprio in quel momento, come una crudele beffa della sorte, un rumore di passi pesanti e rami spezzati annunciò il passaggio dei nemici.
Le loro voci selvagge erano in una lingua cruenta e sibilante, che trasudava cattiveria da tutte le parole, ed erano così agghiaccianti che lei sentì i terrore serpeggiare gelido lungo la spina dorsale, facendola rabbrividire. Ombre.
Il suo sguardo si posò sull’involto di stoffa tra le sue braccia, da cui spuntava una testolina fulva, dalle mille sfumature cremisi. E gli occhi erano splendidi, sembravano stelle d’oro, e la osservavano con la tipica espressione innocente dei piccoli. Le lacrime premevano per uscire, ma decise di essere coraggiosa, almeno per sua figlia.
Ormai I passi erano vicinissimi. Decise in fretta cosa fare.
Scostò un lembo del mantello, tirando fuori da una tasca interna un’elegante rotolo di pergamena e un meraviglioso pugnale dai intarsi a forma di rampicanti e boccioli in oro. Al centro dell’elsa brillava uno splendido Zaffiro Rosato, intagliato a forma dello stemma della casata Mildreith, che lei occultò con un semplice incantesimo di sigillo. Il fodero rosso-bruno era tessuto di rune d’argento, le stesse presenti nell’acciaio.
- Ti saluto Alfhien, servi una nuova padrona.- mormorò, osservando lo zaffiro diventare dorato e pulsare vivace, poi posò i due oggetti tra le morbide pieghe del fagotto.
Le labbra iniziarono a muoversi frenetiche, come foglie in balia a soffi di vento turbolenti. Una velocità innaturale e anormale, non umano.
Il fruscio secco di rami spostati troppo bruscamente annunciarono l’arrivo delle Ombre.
I suoi occhi saettarono nella loro direzione, mentre le labbra continuavano l’arcana litania. Alla loro vista trattenne a malapena conati di disgusto.
Sembravano cadaveri prima smembrati poi bruciati. Una tetra scia di morte li seguiva ovunque posassero i piedi. O per meglio dire, le zampe. Perché quelle erano zampe di cane, con la carne in putrefazione che cadeva a pezzi. Zoppicavano vistosamente, il cranio scheletrico annerito e lucido, le orbite rosseggianti ma vuote e un ghigno ostile sfoderato.
- Oh, ma guarda cosa abbiamo qui!- soffiò divertito uno di loro. – Sembra che oggi la fortuna sia dalla nostra parte.- ghignò.
Oh, sì, decisamente!” pensò la donna, mentre indietreggiava continuando a salmodiare. Avvolse l’involto in una stretta protettiva, senza distogliere lo sguardo dai nemici.
La seta color smeraldo del fagotto iniziò ad emettere una lieve, pallida luminescenza, che attirò i loro sguardi.
- È lei! È lei!- gridò uno delle Ombre, la bocca di ossa nera atteggiata in una smorfia di stupore. Dopo l’attimo di sbigottimento, si fiondarono insieme verso la donna, ma a qualche metro di distanza si bloccarono collettivamente, come se un’invisibile muro protettivo si stagliasse fra di loro. Urlarono incolleriti , mentre lei indifferente continuava il suo canto, che ora si era fatto più frenetico. L’involto era ormai pura luce, tanto che non si notavano le pieghe della stoffa, e la carnagione della donna sempre più esangue e sudata.
-...adäine an Eremis.- terminò la cantilena con gli ultimi versi, e proprio in quel momento il fagotto tra le sue braccia scomparve, così come l’invisibile barriera protettiva.
Oh, ti prego Eremis, ti prego, prenditi cura di mia figlia. Fallo in memoria dei vecchi tempi!” pensò la donna mentre riprendeva fiato.
Le Ombre fecero qualche passo increduli e titubanti, e quando constatarono che non succedeva niente, si avventarono su di lei, gracchiando inferociti.
La donna era accucciata in posizione fetale, il petto che si alzava e si abbassava frenetico e il cappuccio a coprire i lineamenti. Attorno a lei brillava un’aura calda e dorata, che le conferiva un’aria eterea nonostante l’aspetto trasandato. Improvvisamente alzò il viso di scatto, e il vento, come ad obbedire ad una sua richiesta, le fece cadere il cappuccio, lasciando liberi i lunghi capelli color rubino, che svolazzavano leggiadri nell’aria. Lo sguardo era cupo ma determinato, lo sguardo di chi sa che la fine è vicina, ma lo accetta con fierezza. Le orecchie terminavano in una punta delicata. L’elfa sorrise, un sorriso glaciale e minaccioso. Si alzò in piedi, la slanciata figura luminosa contro le tenebre delle Ombre.
Le ombre tentennarono e indietreggiarono, ma non riuscirono a fare una singola mossa che si ritrovarono paralizzati da forze invisibili.
- Io, Lyanna Sansivyan Mildreith, concedo il mio corpo, la mia anima e il mio potere come sacrificio per la protezione e la benedizione alla mia stirpe, al mio regno, al mio sangue. Viernä!- con voce argentina, l’elfa pronunciò quelle parole infondendo in ciascuna di esse la propria forza vitale, e via via che proseguiva, il suo corpo risplendeva più forte. L’alone dorato ormai l’avvolgeva come un bozzolo, e quando l’ultima parole si disperse al vento, esplose in migliaia di stelle d’argento.
La forza d’urto polverizzò le ombre, ma quando la luce scomparve, cedendo il posto al cielo notturno, il bosco non riportava nessun cambiamento anomalo.
La fresca brezza serale danzava con le vermiglie foglie autunnali, producendo delicati sussurri.
Era come se un’attimo prima la morte e la disperazione non avessero mai saggiato quel terreno, impregnato quell’aria, imbevuto quell’erba.
In lontananza, un lupo intonò il suo triste ululato.

 
 




13 Glael 898 hera Deinath, Bosco degli Alberi Rossi, Alfiniarel
 
La luce della quinta luna andava a riflettersi nel pentolino pieno di un’intruglio trasparente, tingendolo d’argento vivo. Bollicine diamantine brillavano sulla superficie, come pesciolini di stelle, danzando assieme ad alcune foglie dentellate di un blu vivo.
Il vecchio stregone si accarezzò la candida barba, meditabondo, mentre lo sguardo si rivolgeva agli innumerevoli segreti della volta celeste. Le sette lune del cielo di Alfiniarel regalavano pallidi raggi al bosco della Valle Aedar e al villaggio. Ormai non ci andava quasi mai, lì. Troppo chiasso, troppa gente, si ripeteva.
Con un sospiro malinconico, si alzò dallo scomodo sgabello di legno con una fluidità e grazia senza pari per uno della sua età. La lunga veste di lino bianco strascicò sul pavimento, ma neanche una macchia deturpò il suo etereo candore.
Ogni tipo di stramberia era presente in quella stanza. Un telescopio di Avorio Nero, una bilancia d’oro nanico, delicati e complessi strumenti fatti di Argento Elfico cantati di rune. Ma la cosa più impressionante era quel bastone all’angolo della stanza. Era fatto in legno di Alandrël, l’Albero dei Silvani, rarissimo se non estinto in Alfiniarel. Il legno era intarsiato da liquidi filamenti d’oro in movimento, che tracciavano e disfacevano rune elfiche. Al capo del bastone, diversi rami sottili ed elastici come lacci si intrecciavano elegantemente attorno ad uno Zaffiro rosato dalle dimensioni di una mela, che sembrava pulsare come un cuore e risplendere come una stella.
Un’intera parete della stanza era rivestito di libri. Libri grandi e piccoli, vecchi e nuovi, libri foderati di velluto e di cuoio, illustrati e scritti. E c’erano anche libri con le pagine bianche e vuote come le orbite di uno scheletro. Sembrava che lo stregone avesse viaggiato in tutta Alfiniarel.
Un’improvvisa e violenta luce bianca illuminò la stanza con la potenza di una folgore. In poco tempo però sparì come era apparsa, lasciando un cratere fumante vicino al camino, dove rosseggiavano braci quasi spenti.
L’unica reazione del vecchio fu un sospiro e un brontolio scontento, come se fosse abituato ad apparizioni del genere.
Si avvicinò annoiato verso il cratere, ma prima che potesse raggiungerlo un delicato pianto di bambina lo raggelò.
- Dei misericordiosi...che scherzo è questo?- mormorò sgomento.
Si accucciò accanto al cratere, e sotto il suo sguardo allucinato il vagito lo raggiunse di nuovo. Ora vedeva la fonte di tale suono; un fagotto avvolto da seta elfica verde, schizzata da gocce sinistramente somiglianti al sangue, da cui spuntava un ciuffo color fragola matura. E lui capì.
- Lyanna...- gemette addolorato.
Prese in braccio l’involto di seta, ma nel farlo caddero a terra un rotolo di pergamena e un pugnale elfico. Il vecchio osservò con triste nostalgia l’arma, poi lesse la pergamena. Una singola, solitaria lacrima scese a rifugiarsi nella sua barba candida.
Poi delicatamente prese in braccio la piccola e con un sospiro stanco e triste si alzò dalla sua posizione.
Doveva andare al villaggio, dopo ormai tanto tempo.
 



14 Glael 898 hera Deinath, Aleiräth,  Alfiniarel
 
L’aveva saputo sin dall’inizio dell’Era che sarebbe accaduto, eppure questo non alleviava la sua sofferenza. Alfiniarel aveva perso il suo popolo più leggiadro e potente, ma loro non convocavano Il Consiglio. E dall’altra parte, il Signore della Notte stava già corrompendo l’Imperatore.
Sciocchi!” inveì mentalmente, mentre prendeva posto sullo sgabello dello scrittoio. Con la mascella serrata, ripercorse gli avvenimenti cruenti che suo malgrado la sua mente aveva visto. Ogni volta si prometteva di essere neutro, insensibile, di ignorare ma ogni volta cedeva all’impulso della giustizia. E lui vedeva, sentiva ciò che era accaduto, ciò che accadeva e ciò che accadrà. Quante perdite avrebbero subito, quanti cuori si sarebbero infranti! Ma il Destino non cessava di scrivere, intingendo la penna nella crudele realtà. Però lui sapeva che il Destino, a volte, cancellava e riscriveva. E aspettava solo quello.
Prese la candida piuma, e intingendolo nell’inchiostro, prese a disegnare, la mente di nuovo a viaggiare altrove.
La speranza c’è in effetti.’’ Pensò. “Ed è quella bambina’’.
Si alzò, lanciando una fugace occhiata alla pergamena su cui aveva disegnato, dove campeggiava lo stemma gentilizio della casata Mildreith. Il Lungimirante sorrise.
   
 
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