Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ice_chikay    18/02/2021    2 recensioni
MikasaxLevi
A due anni dalla fine della guerra, Mikasa e Levi si ritrovano insieme ad affrontare le cicatrici e le ferite che la guerra ed i giganti hanno lasciato nelle loro vite. Mentre l'inverno è alle porte, il loro rapporto cambia per sempre... In un mondo popolato di memorie di amici caduti, riusciranno a guarire insieme?
Una storia introspettiva sui miei due personaggi preferiti, ideata e in larga parte scritta prima dell'uscita del capitolo 131, quindi ormai in parte off canon.
Contiene spoiler per chi segue solo l'anime.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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III


La mattina seguente, venne risvegliata da un rumore ritmico. Thud…thud… Qualcosa di pesante che sbatteva su qualcosa di duro.

Mentre i suoi sensi si riaffinavano, sentì che a quei suoni seguivano dei versi di fatica. Ne riconobbe la voce. Si alzò stiracchiandosi e rabbrividendo nella pungente aria mattutina autunnale. Agguantò la propria giacca di pelle e se la mise sulle spalle prima di affacciarsi alla finestra.

Levi le dava le spalle mentre tagliava ciocchi di legna con una vecchia accetta. Era a torso nudo e sulla pelle della sua schiena, la ragazza scorse qualche gocciolina di sudore scorrere sui muscoli e sulle cicatrici. Ecco le scapole che si flettevano all’indietro mentre le braccia si alzavano con l’accetta. Le vertebre sotto al collo che comparivano sotto la pelle mentre l’accetta cadeva sul ciocco. Il verso di sforzo che seguiva.

Lo sguardo di Mikasa scese più in basso, verso una grande cicatrice che partiva all’altezza della vita ed arrivava fino all’attaccatura dei pantaloni, a destra della colonna vertebrale. Era lunga una ventina di centimetri e sporgeva quasi violacea a contrasto con la carnagione pallida del capitano. Era larga ed aveva i bordi piuttosto frastagliati, non un bel vedere.

La ragazza strinse le labbra, mentre lui si sollevava, passandosi l’avambraccio destro sulla fronte, per asciugare il sudore. Senza preavviso, voltò la testa piantando lo sguardo dritto in quello di Mikasa, che spalancò gli occhi e si sentì arrossire. Non portava la benda sull’occhio e la ragazza, nonostante l’imbarazzo, ne osservò il volto libero da ripari. La cicatrice gli passava esattamente a metà della palpebra destra, che non riusciva a sollevarsi completamente a causa della ricucitura coi punti che l’aveva richiuso. L’iride e la pupilla erano quasi grigi, incolori.

Mikasa si voltò di scatto e si allontanò dalla finestra. Grandioso. Non bastava la situazione di ieri notte, adesso si faceva pure beccare a fissarlo mentre non indossava la camicia. Si affrettò a rivestirsi prima di recarsi in cucina, dove Levi ovviamente l’aveva già preceduta, una camicia a quadri stropicciata addosso.

«Se vuoi guardarmi senza camicia basta chiedere, ragazzina. Non c’è bisogno di spiarmi»

Era ovvio. Mikasa sapeva benissimo che non gliel’avrebbe fatta passare liscia, eppure non riuscì ad evitare di abbassare lo sguardo verso il pavimento, volendo sprofondare dalla vergogna non appena sentì il calore salirle alle guance.

«Volevo solo capire cosa fosse quel rumore…» borbottò a voce bassa, pentendosi immediatamente di non aver risposto con sarcasmo non appena lo sentì sogghignare.  

«Forza, mangia qualcosa, si sta facendo tardi…» continuò lui, col suo solito tono autoritario mentre si stiracchiava. Mikasa piegò la testa di lato, sul volto un’espressione interrogativa. Levi sbuffò.

«Non crederai certo di poter stare qui scroccando un letto e del cibo senza fare nulla» Incrociò le braccia «Per chi mi hai preso, per tua madre?»

La ragazza sorrise tra sé, prima di avvicinarsi alla cucina, dove due fette di pane imburrato la aspettavano su un vecchio piatto sbeccato. Due tazze di tè fumanti erano già a tavola. Mikasa si sedette e cominciò a mangiare di gusto, accorgendosi solo in quel momento di quanta fame avesse.

«Cosa prevede il piano di oggi, capitano?» domandò col boccone ancora in bocca.
Levi le scoccò uno sguardo di puro disgusto. «Che schifo… ma sei cresciuta in un porcile? Tch!»
Mikasa scoppiò a ridere, lasciandolo interdetto. Forse era la prima volta che rideva davanti a lui così apertamente. «Certe cose non cambiano mai, eh capitano?»

Lui era rimasto immobile a guardarla ridere, con la tazza a mezz’aria. Aveva un’espressione indecifrabile, probabilmente stupita, che lo ringiovaniva. Mikasa sorrise di nuovo, mentre dava un altro morso alla fetta di pane.

Levi si riscosse: «Già, la tua testa dura è una di quelle. Ti ho già detto di non chiamarmi così.»

Un lieve senso di disagio strinse la gola della ragazza. Lui aveva lo sguardo sul fondo della sua tazza. In un istante, fu come se si fosse accorto di aver fatto trasparire qualcosa che voleva nascondere e così aggiunse: «Ma anche se non sono più nell’esercito, questa è casa mia, quindi farai comunque come ti dico.»

«Agli ordini!» esclamò Mikasa scattando in piedi, sul volto una espressione irriverente. Forse era colpa del sole che entrava allegro dalle finestre, del cinguettio degli uccelli sugli alberi o del cielo azzurro come l’oceano, o forse era la presenza di Levi, ma Mikasa si sentiva incredibilmente di buon umore quella mattina.

«Smettila di giocare come una bambina, vatti a mettere qualcosa addosso. Ti aspetto fuori»


Levi condusse Mikasa nel bosco, portando con sé due seghe ed una carriola. Non dovettero camminare molto prima che il sentiero curvasse bruscamente verso destra e davanti a loro si aprisse una sorta di spiazzo tra gli alberi, dove erano accatastati per terra una serie di tronchi, ancora pieni di rami. Dopo aver lanciato uno sguardo alla legna, Mikasa si voltò in direzione del sentiero che proseguiva in parte nascosto dal sottobosco rigoglioso. «Dove si va da quella parte?» domandò, parlando per la prima volta da quando erano usciti di casa.

«Verso la sorgente di cui ti ho parlato ieri» rispose lui, porgendole una delle due seghe. Poi proseguì spiegandole a grandi linee la dimensione nella quale avrebbe dovuto tagliare i tronchi.

Lavorarono in silenzio per tutta la mattina. Attorno a loro la foresta era piena di vita. Mikasa si accorgeva continuamente di distrarsi per via di qualche insetto o animale o per il semplice gioco di luci del sole tra le fronde, ma cercò di non darlo a vedere. Quando uno dei due terminava di segare un tronco, caricava i ciocchi sulla carriola e li portava vicino alla casa, pronti per essere accettati in seguito.

«Come mai stai già accumulando tutta questa legna?» domandò Mikasa mentre sedevano sul portico verso mezzogiorno a mangiare pane con formaggio e carne secca.

Continuando a masticare in silenzio, Levi fece un cenno con la mano destra, alludendo ai campi sterminati davanti a lui. «Tra pochi giorni qui sarà tutto ricoperto di neve» disse poi.

La ragazza quasi sputò l’acqua che stava bevendo in quel momento. «Cosa? Ma siamo ancora in autunno! Non fa ancora così freddo!»

«Tra pochi giorni lo farà»

Mikasa gli lanciò uno sguardo di sbieco. «E come faresti a saperlo, tu che sei…» ma si bloccò, prima di proseguire la frase. «Come faresti a saperlo?» ripeté dopo essersi schiarita la gola.

«Come faccio a saperlo io che sono cresciuto nella Città Sotterranea, intendevi?» Levi ricambiò il suo sguardo con un ghigno sghembo che gli sollevava un angolo della bocca.

Mikasa non disse niente.

«Ti ricordo che ho vissuto in superficie più o meno quanto ci hai vissuto tu, ragazzina.» Ma poi il ghigno si allargò ancora «Ma se sei così sicura puoi scommetterci su».

«E chi ti dice che resterò ancora qualche giorno per verificare?»

Levi si strinse nelle spalle. «Un presentimento» mormorò con aria beffarda.

Sul viso di Mikasa apparve una copia della sua stessa espressione. «Non ti facevo uomo da gioco d’azzardo…soprattutto uomo da scommesse azzardate»

«Ci sono molte cose che non sai di me, Mikasa…» mormorò lui e lei sentì uno strano formicolio risalirle sulla pelle delle braccia e sulla nuca. «…E tutta la mia vita è stata una scommessa azzardata»

Rimasero in silenzio per qualche istante. Poi Mikasa parlò di nuovo:
«E cosa vorresti scommettere, sentiamo…»

«Oi, modera il tuo tono. Io non voglio scommettere proprio nulla, sei tu che non ti fidi delle mie previsioni»

«E va bene. Se ho ragione io, dovrai rispondere a una mia domanda»

Levi alzò un sopracciglio «E se avessi ragione io?»

«Risponderò a una tua domanda» rispose lei, alzando involontariamente le sopracciglia.

«Non voglio farti nessuna domanda. Quello che so già mi basta e avanza»

Mikasa sospirò con aria estenuata «D’accordo. Se avrai ragione tu, farò il bucato con l’acqua gelida del pozzo innevato»
Levi corrugò la fronte «Con l’acqua fredda il bucato non viene bene» ma proseguì sollevando le mani a mo di resa non appena la ragazza aprì la bocca per rispondere «D’accordo, scommessa accettata». Poi le porse un’altra fetta di pane.


 
Dopo pranzo, Levi sparì per circa un’ora, per andare alla famosa fonte a lavarsi. Mentre aspettava che tornasse, Mikasa strigliò entrambi i cavalli e diede loro un po’ di biada. Erano due bellissime creature, di quella particolare razza che aveva sempre accompagnato il Corpo di Ricerca nelle sue spedizioni. Certo, la vita che conducevano adesso era decisamente diversa da quella di prima, la fatica di correre ininterrottamente per ore e soprattutto il pericolo di essere schiacciati dai giganti era sparito. Il cavallo di Levi nello specifico era particolarmente coccolone. «Non somigli proprio al tuo padrone, eh piccolo?» mormorò la ragazza con dolcezza, mentre gli accarezzava la criniera scura.  

Levi ricomparve poco dopo, ma entrò in casa senza quasi degnarla di uno sguardo. Ne riuscì un’istante dopo, stringendo tra le mani un asciugamano di lino grezzo accuratamente piegato. Glielo porse accennando con la testa al sentiero che entrava nel bosco. «Vai a lavarti» ordinò con tono imperioso.

Mikasa aggrottò le sopracciglia, ma nondimeno prese l’asciugamano. «Non soddisfo i tuoi standard di pulizia?»

«Precisamente»

«E se non ne avessi voglia? Posso lavarmi con l’acqua del pozzo» In effetti in tutta franchezza, alla ragazza non andava di allontanarsi proprio adesso dalla casa: il vento aveva ripreso a soffiare e la temperatura si era abbassata considerevolmente. Il pensiero di doversi immergere in un ruscello gelido non era il massimo.

Levi la osservò in silenzio dalle scalette che conducevano al portico, con un’espressione quasi misteriosa.

«Scommetto che ti piacerà…» disse poi, passandosi la mano sinistra tra i capelli umidi, i muscoli dell’avambraccio evidenti sotto la pelle chiara.

«Oggi sei proprio in vena di scommesse…» borbottò Mikasa, abbassando lo sguardo sul pezzo di stoffa tra le sue mani.

«Questa sarà la prima che vincerò contro di te» Detto questo, entrò in casa.
La ragazza guardò la porta richiudersi e fece un sospiro profondo.
Rassegnata, si avviò sul sentiero.
 

«Ma perché devo lavarmi! Tanto mi risporcherò tra cinque minuti, mamma!”
«Smettila di fare tutte queste storie, Eren! Se vuoi andare di nuovo a giocare con Armin vedi di fare come ti dico. Se tuo padre tornando a casa ti troverà in questo stato, vedrai cosa succederà!»
«Dai, Eren, andiamo…»
«Lo vedi? Perché non cerchi di somigliare un po’ di più a Mikasa?»
«Ma lei è una femmina
 

Mikasa sorrise tra sé, stringendo più forte l’asciugamano. Se solo sapessi com’era diventato bravo a pulire la casa, grazie al Capitano, ne saresti incredula, Carla…

Mentre era ancora persa nei suoi ricordi, la ragazza superò la radura dove avevano tagliato i tronchi curvando a destra sul sentiero. Pochi metri dopo, davanti ai suoi occhi si aprì uno spettacolo che la fece restare a bocca aperta. «Che bastardo…» sogghignò, riferendosi a Levi.

Era arrivata alle pendici di una collina erta e rocciosa, sulla quale gli alberi e il sottobosco si arrampicavano tenacemente. In basso, una sorgente aveva scavato una sorta di vasca naturale grande a sufficienza per accogliere diverse persone. Ma la cosa che più colpì la ragazza, erano le spirali di vapore caldo che si alzavano dall’acqua: era una sorgente termale.

Intorno alla vasca, una miriade di fiori bianchi e soffioni rendeva il paesaggio quasi onirico. L’unico segno di presenza umana era una piccola panchetta di legno vicino alla parete rocciosa ed una cesta poggiata sopra di essa.

«Hai pensato proprio a tutto, eh Levi?» mormorò tra sé, prima di lasciare l’asciugamano sulla panca. Si spogliò con un brivido, ormai il vento era decisamente gelido. Lanciò uno sguardo alle sue spalle, come per assicurarsi di essere davvero sola. Poggiò gli abiti nella cesta e, senza altro indugio, si infilò nella vasca.

Un brivido di piacere le percorse il corpo non appena il calore dell’acqua la avvolse. Accidenti, se era bello… Ok Capitano, questa scommessa te la concedo…

Mikasa non ricordava neanche quand’era stata l’ultima volta che si era sentita così rilassata: poteva quasi sentire i suoi muscoli sciogliersi nel caldo abbraccio della sorgente. Un bagno caldo era qualcosa di raro nel loro mondo: a casa Jaeger doveva sempre sbrigarsi per far sì che l’acqua non fosse troppo fredda per Eren e successivamente nell’esercito, già era tanto riuscire a lavarsi decentemente, figuriamoci se c’era il tempo per rilassarsi così.

La ragazza espirò lentamente e chiuse gli occhi, percependo il battito del suo cuore che rallentava. Si chiese come dovesse apparire quel posto con la neve. Più passava il tempo, più Mikasa cominciava a capire perché Levi avesse scelto proprio quell’angolo di mondo per sistemarsi. Poteva giurarci, la fonte termale doveva aver fatto gran parte del lavoro di convincimento.

Sorrise, mentre pensava a lui nell’acqua calda. Quel posto gli si confaceva. L’istante dopo arrossì, rendendosi conto che aveva appena pensato al capitano che si faceva il bagno. Senza vestiti. Per fortuna non c’era nessun testimone che potesse vedere le sue guance rosse.

La sensazione dell’acqua calda era così perfetta che Mikasa non aveva alcuna intenzione di uscire ed asciugarsi. Rimase immersa molto a lungo, finché cominciò a notare che il sole era ormai scomparso dietro gli alberi della collina. A quel punto, a malincuore, uscì dalla vasca e si asciugò in tutta fretta. L’asciugamano di Levi aveva quel suo inconfondibile profumo di stoffa pulita e la fece sorridere sovrappensiero.
Si passò una mano sulle labbra, quasi per confermare a se stessa di star davvero sorridendo.

In un attimo, il sorriso le morì sulle labbra.
Le succedeva spesso.

Non appena si scopriva contenta o semplicemente serena, il senso di colpa montava senza che lei potesse impedirlo. Jean, Sasha, Armin, persino Eren avrebbero adorato quel posto. Era così ingiusto che non avessero vissuto abbastanza a lungo per scoprirlo insieme a lei, per godersi la pace.

Il pensare ad Eren la rese ancora più cupa. Aveva fallito con lui, era sua responsabilità più di tutti. Quand’era cambiato tutto quanto? Quale era stato il momento in cui avevano superato la linea di non ritorno? Perché lei non se n’era accorta mentre stava succedendo? Non avrebbe dovuto cogliere i segnali prima di chiunque altro? Com’era possibile che Eren avesse deliberatamente messo a morte Armin?

«Voi Ackerman non siete altro che schiavi. La verità è che io ti ho sempre odiato»

Sentì che i suoi occhi si riempivano di lacrime ed il suo sguardo si faceva sfocato. Dentro di sé, nel profondo del suo cuore, Mikasa sapeva che le parole di Eren non potevano essere vere. Sapeva che lui le aveva voluto bene, davvero, teneramente. Se non come un amante, certamente come un fratello. Ne era certa, la sua ragione ne era certa. Eppure il dubbio che fosse vero, che lei non fosse stata altro che un peso, a volte la attanagliava così strettamente che sentiva di non poter nemmeno respirare. Non era forse altrettanto certa che lui amasse Armin?

E poi c’era la questione della sua discendenza. Se avesse dovuto nominare la persona che meno di tutte le sembrasse schiavo di qualcuno, avrebbe pensato al Capitano.

Possibile che fosse stato davvero il suo sangue a farle amare Eren? Ed anche se così fosse, avrebbe fatto qualche differenza? Quello che aveva provato per lui era la cosa più reale della sua vita, era la sua vita. Chi aveva il diritto di giudicare i suoi sentimenti e stabilire se fossero leciti? Nemmeno Eren aveva questo potere.

La ragazza si riscosse di nuovo dai propri pensieri. Si passò una mano sul viso per cancellare ogni traccia di lacrima. Era per scoprire qualcosa di più sugli Ackerman che era andata da Levi? Mikasa scosse il capo, lui non conosceva nemmeno il suo cognome fino a pochi anni prima, come poteva saperne più di lei?

Perché sei qui? si chiese di nuovo. Ormai quella domanda sembrava quasi una litania da ripetersi in continuazione. Non riusciva a trovare la risposta. Probabilmente sperava che fosse lui a scoprirla al suo posto. Il pensiero le fece comparire un ghigno amaro sul volto. Che codarda…

Senza neanche accorgersene, aveva ripercorso tutta la strada fino a casa, mentre il crepuscolo cominciava ad imbrunire. Le giornate si erano decisamente accorciate.

Le finestre del cottage illuminavano la radura e un filo di fumo saliva dai comignoli del camino e della stufa. Mikasa scorse la figura di Levi seduta davanti al tavolo. Sembrava stesse leggendo qualcosa. Salì le scale del portico e si sentì improvvisamente più tranquilla. Fece un ultimo respiro profondo, assaporando il profumo dell'erba umida e del bosco, poi aprì la porta.

Levi era seduto al tavolo, dandole le spalle. Davanti a lui erano sparsi fogli volanti fittamente scritti e alcuni grossi volumi stampati nei quali erano inseriti diversi segnalibri. L'uomo teneva una penna nella mano sinistra, un piccolo calamaio era appoggiato davanti a sé ed una grossa scatola di latta, di quelle che contenevano materiale per le spedizioni militari, era aperta per terra accanto alla sua sedia. Mikasa scorse al suo interno altri fogli. 

«Com'era la fonte?»

Non si voltò per parlarle. Al contrario si chinò di più verso il tavolo, concentrato su qualcosa che stava leggendo.

Per un attimo, Mikasa cercò una risposta pungente da rifilargli, ma poi il ricordo dell'acqua calda e soprattutto la curiosità verso la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi, ebbero la meglio. Le sembrava quasi di ritrovarsi di nuovo nell'ufficio del Capitano, al quartier generale, mentre lui era sommerso da pratiche e scartoffie.
 
«Incredibile» ammise quindi, con un sospiro. «Cosa stai facendo?» chiese quindi, quasi timidamente, mentre si sporgeva sopra di lui per guardare meglio. 
 


In un istante riconobbe i timbri su quei registri, le schede dettagliate e persino alcuni nomi. Erano i registri del Corpo di Ricerca, quello delle reclute e quello delle morti. Gli altri fogli erano relazioni di missioni, lettere personali, appunti di archivio, tutto contrassegnato dal timbro delle due ali incrociate. Levi aveva un grosso quaderno davanti a sé, le due pagine esposte erano bianche, a parte per un nome in alto a sinistra seguito da due date, separate da circa vent'anni. 

Un'ondata inaspettata di panico e sorpresa le percorse il corpo come una scarica elettrica. «Che diavolo è tutta questa roba?» sbottò, allontanandosi di un passo, verso la porta. 

 
Levi si voltò verso di lei, la preoccupazione riflessa nell'unico occhio che poteva guardarla. 

«Stai bene?» le chiese, con un tono quasi esitante che non gli apparteneva, o che comunque lei non riconosceva. 

Mikasa si ricompose. Certo che stava bene, aveva visto ben di peggio di un qualche registro delle perdite. Ignorò la sua domanda, limitandosi a fissarlo. Levi si voltò di nuovo verso il tavolo, ma senza darle completamente le spalle come prima. Appoggiò il braccio sinistro sullo schienale della sedia, la penna ancora tra le dita affusolate. 

«A dire la verità, speravo mi aiutassi...» mormorò, lo sguardo basso verso la scatola di metallo aperta ai suoi piedi. Siccome lei non accennò né a muoversi né ad aprire bocca, riprese:
«Sei stata al Memoriale, a Mitras?» 
 
Un groppo le si strinse nella gola. Si stavano avvicinando pericolosamente ad un argomento che lei non aveva alcuna intenzione, né capacità, di affrontare. Annuì.
 
Levi si stava riferendo ad una idea che Historia aveva fatto realizzare nella capitale: nel parco cittadino era stato costruito un lungo muro di mattoni rossi, sui quali erano stati scritti i nomi di tutti i soldati morti nella guerra contro i giganti e nella guerra contro Marley. Era circondato da aiuole fiorite, alberi imponenti, un luogo che doveva trasmettere pace. Era stata una bella idea, un modo per portare rispetto a chi aveva sacrificato tutto per il bene superiore. 
 
Il capitano si strinse nelle spalle. «Sono solo nomi, però...» proseguì «...nomi che per la maggioranza delle persone non significano niente. Forse qualcuno potrà ricordarsi di Erwin, o di Keith Shadis o di Pixis... ma tutti gli altri? Nessuno ricorderà più niente di tutti loro...eppure tutti avevano famiglie, una storia. Sai quello che intendo, non erano solo un nome su un muro.»
Mikasa lo osservava gesticolare mentre si spiegava. Uno strano brillio gli accendeva l'occhio, un vago colorito rosato gli era salito alle guance. La ragazza raramente lo aveva visto così accalorato, anzi, ora che ci pensava, forse era la prima volta che lo vedeva così. 
 
Mikasa ripensò al Memoriale. A come il nome di Eren non vi comparisse. A come questa decisione di Historia le avesse allontanate completamente. Ormai non si parlavano neanche più - lavoro escluso -, ma questo non lo sapeva nessuno. 
 
«Hange ed io abbiamo pensato di scrivere un registro diverso, nel quale raccontare dei soldati del corpo di ricerca. Chi erano, da dove venivano...» si strinse di nuovo tra le spalle «...cose così...» 
 
La ragazza restò in silenzio a guardarlo, processando quelle informazioni. Era ancora incerta se essere più scioccata dal progetto in sé o dal fiume di parole di Levi. Anche lui doveva essersi reso conto della stranezza della situazione, perché aveva smesso di guardarla e continuava a gingillarsi la penna tra le dita con aria quasi nervosa.
 
«Solo...» riprese lui a parlare «...non è facile scrivere con questa».
Sollevò la mano sinistra e lanciò uno sguardo beffardo alla ragazza, quasi sfidandola a commentare.
«Sono lento, con la sinistra... potrebbe farmi comodo se fossimo in due...» Si tirò a sedere più dritto e la sua fronte si accigliò: «Ma prima fammi vedere come scrivi, ragazzina. Non voglio certo rovinare il lavoro con la tua scrittura incomprensibile.»
 
Mikasa si rilassò: la familiarità del suo tono secco e brusco la rassicurò. 

«Che mi dici di lui» proferì, il tono duro, drizzandosi sul posto. Era una domanda, ma sembrava un'affermazione.
Levi capì immediatamente: un lampo guizzò nel suo occhio e la fissò con quella sua espressione decisa, adamantina, che poteva piegare il volere di chiunque. 

«Includerai anche lui?» chiese di nuovo la ragazza, fissandolo a sua volta, senza neanche sbattere le palpebre. Sentiva il suo cuore battere all'impazzata. Era la prima volta da anni che si avvicinava a parlare di lui con qualcun'altro. 

«Me lo stai davvero chiedendo?»

Mikasa e Levi rimasero in silenzio, a guardarsi negli occhi.

Cos’era che la ragazza aveva percepito nella voce del capitano? Rimpianto? Dolore? Mikasa spalancò gli occhi. Lo aveva ferito. Lui, che l’aveva salvata dalla condanna più terribile della sua vita. Che l’aveva salvata dalla disperazione ed il rimorso che l’avrebbero mangiata viva, più di quanto già non facessero? Che si era caricato il suo fardello sulle spalle senza battere ciglio? Non importava, però. Aveva bisogno di esserne certa, anche a costo di ferirlo, altrimenti avrebbe preso le sue cose e sarebbe andata via da quella casa per sempre.

Abbassò lo sguardo, sentì il sangue che le saliva al viso, facendola arrossire per la vergogna. Eppure non restò in silenzio: «Rispondi alla domanda…»

Levi sospirò, passandosi la mano destra sul viso. Le lanciò uno sguardo.

Lei era rimasta in piedi davanti alla porta, senza il coraggio di guardarlo in faccia.

Il colore sulle sue guance la rendeva ancora più bella. Non era più la ragazzina arrabbiata che aveva conosciuto tanti anni fa. Era una donna, una bellissima donna, che soffriva. Ed era forse l’unica persona al mondo con cui condivideva lo stesso dolore. Si sorprese dei suoi stessi pensieri. Che diavolo ti prende?

«Conosci già la mia risposta, Mikasa…» rispose, la voce bassa e più roca di quanto si sarebbe aspettato.

Il silenzio scese di nuovo tra loro. Nessuno dei due si mosse, lei con gli occhi ancora bassi, lui che la guardava, senza riuscire a distogliere lo sguardo, per quanto volesse farlo.

«Scusa…» disse lei dopo qualche istante, con un sospiro, stropicciando l’asciugamano che stringeva ancora tra le mani. «Non avrei dovuto dubitare» aggiunse poi.

Levi si alzò, con deliberata lentezza.
Le andò davanti.
Mikasa teneva lo sguardo fisso sui propri piedi, il cuore un tamburo impazzito nel suo petto, la mente completamente vuota.

Sentì le dita di lui sotto al suo mento, che le imponevano di rialzare lo sguardo. Dopo un istante di resistenza, alzò gli occhi e li piantò nel suo, che era così vicino.

Quando era successo che si era avvicinato così tanto? Distavano meno di un avambraccio. Se avesse voluto, Mikasa avrebbe potuto appoggiarsi al suo petto senza neanche fare un passo.

Poteva sentire il suo inconfondibile odore di pulito e cotone. La tentazione di crollare tra le sue braccia era tanto forte quanto il terrore di aver solo pensato di volerlo davvero fare.

Cercò di allontanare di nuovo lo sguardo, ma lui strinse la presa sul suo mento e la forzò a tornare a guardarlo negli occhi. Era completamente serio e inespressivo, come sempre. Il suo sguardo era così penetrante che Mikasa era sicura che gli stesse leggendo dentro. Era sicura che lui sentisse il suo battito impazzito.

Levi rimase immobile, a fissarla negli occhi per quello che le sembrò un tempo infinito ed invece era appena un battito di ciglia. Poi, in un istante, lo vide abbassare lo sguardo sulle sue labbra. La ragazza sentì il calore salirle al volto come una vampata. L’attimo dopo, lui aveva lasciato il suo viso e si era allontanato con un sospiro, andando di nuovo verso il tavolo.

«Non importa…» borbottò, con tono stanco. Si passò una mano sul viso. «Allora, mi aiuterai?»

La ragazza annuì, mentre una mano correva ad accarezzare il proprio viso, improvvisamente freddo per la subitanea mancanza della mano di lui. «Se…» si schiarì la gola, cercando di rallentare il battito nel proprio petto «…se la mia scrittura soddisferà i tuoi standard…»

«Lo spero. Perché non potrei neanche chiederti di cucinare mentre io lavoro. Sei pessima ai fornelli.»

A questa affermazione, lo sguardo di Mikasa scattò di nuovo in alto, verso di lui, sul volto un’espressione piccata. Lui stava sorridendo, aspettandosi la sua reazione, ma senza guardarla. Stava di nuovo sfogliando i registri.

«Lo sai che è vero, Ackermann…»

«Sei tu che sei troppo viziato…» ribatté, sorridendo a sua volta, sollevata che le cose tra loro fossero appena tornate alla normalità.

Ma lo erano davvero? Mikasa si sentiva come se si trovasse su un terreno instabile, che le stava inesorabilmente scivolando sotto i piedi. Alzò di nuovo lo sguardo su di lui, in piedi accanto al tavolo, le mani appoggiate ai lati del registro, i capelli in avanti sulla fronte, che gli nascondevano gli occhi. Il profilo netto, la mascella serrata e ben visibile, gli avambracci duri come acciaio che sbucavano dalle maniche arrotolate di un grosso maglione di lana blu. Non lo aveva mai visto indossare qualcosa di così informale, eppure gli sembrava bellissimo. Ma che diavolo stai pensando? Arrossì di nuovo, incredula, arrabbiata con se stessa.

Prima che lui tornasse a guardarla, affrettò il passo verso la camera da letto, dove andò a poggiare l’asciugamano ed a riprendere fiato. Possibile che tutt’a un tratto trovasse il capitano attraente? Scosse la testa con uno sbuffo. Non essere ridicola.
 
Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo :) Spero vi piaccia!
Per la prima volta in questo capitolo è comparso anche il punto di vista di Levi...nei prossimi capitoli avrà ancora più spazio. :)

 
   
 
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