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Pripyat, Ucraina.
8 Novembre 2009.
Stazione
di Yanov.
11:47.
Anatoli Zelenko, Vassili Karavaev.
L’urlo
fece sobbalzare Vassili, che si voltò.
«ANATOLI!»
Il
vecchio, che aveva sporto la testa all’interno dell’ufficio del bigliettaio,
era stato morso alla spalla, lasciando cadere l’AK-74 per il dolore. Anatoli
fece fuoco con la Makarov, uccidendo lo zombie.
«Maledizione…»
fece il contadino, guardandosi la spalla sanguinante.
Lo
sparo fece alzare una serie di ruggiti all’interno e fuori dall’edificio. Il
poliziotto gli prese il fucile d’assalto, e lo aiutò a uscire dalla stazione.
«Forza,
andiamocene!» esclamò.
«No,
Vasya! Salva i ragazzi.» rispose il contadino, strappandogli dalle mani l’arma.
«Io rallenterò questi bastardi.»
Il poliziotto continuò a guardare impietrito il contadino.
«Anatoli...»
«ATTENTO, ALEKSEY!»
La macchina centrò la station wagon
bianca che gli aveva tagliato la strada. Nell’impatto, l’agente Aleksey
Petrovskij perse la vita. Al suo fianco, il collega Vassili Karavaev era
riuscito a cavarsela con una ferita alla testa.
Il poliziotto uscì dall’auto quasi
totalmente imbambolato. A rallentatore, attorno a sé, vide Kiev nel caos più
completo. I non morti erano arrivati.
Lo sguardo gli cadde sull’uomo
intrappolato nella station wagon, precipitandosi come meglio poté a
soccorrerlo. Aprì la portiera, e vide un uomo sui cinquantacinque anni
sanguinare anch’egli dalla testa, cosciente.
«Signore, sta bene?»
«Un aiutino non mi farebbe male, agente.»
rispose lui.
Vassili lo aiutò, e fece per tornare in
macchina, ma non appena rivolse lo sguardo verso il mezzo, vide Aleksey
trasformato.
L’agente restò come immobile. Smise di
pensare. Tutto intorno a lui si fece ovattato. Lo sguardo fisso su chi fino a
pochi minuti prima era un suo collega, e ora rappresentava la morte in vita.
Lo scossone dell’uomo lo fece tornare in
sé.
«VAI!»
Il
poliziotto si scosse, e sparò qualche colpo verso alcuni zombie che si erano
avvicinati troppo, uccidendoli. Iniziò poi a correre via, verso ovest.
Anatoli
si voltò, guardando gli zombie. Alcuni erano turisti, altri gente del posto.
Vide perfino qualcuno dei samosely
che fino a poco tempo prima aiutava al costo di essere catturato dalla
Militsiya.
«Cosa
dev’essere il destino. Una vita ad aiutare questa gente, e ora mi vogliono
mangiare vivo.» sorrise amaramente.
Cercando
di resistere come meglio poteva al dolore, iniziò a sparare.
«Hai
sentito?»
Boris
rizzò la testa, annuendo.
Delle raffiche di colpi, assieme a dei ruggiti e delle urla, interruppero la quiete. I due, senza dirsi
niente, iniziarono a correre in direzione del rumore, fin quando, mezzo minuto
dopo, videro finalmente un volto familiare.
«Vassili!»
Il
poliziotto quasi non li riconobbe, puntando la pistola contro il ragazzo.
«Non
sparare, sono io, Boris!»
L'agente era paonazzo, ansimava e aveva gli occhi spalancati. Irina
gli abbassò il braccio armato.
«Che
sta succedendo, Vassili?» chiese la ragazza.
«Non
ora, ragazzi! Di qua!»
I tre lasciarono i binari, procedendo a passo svelto in direzione nord ovest. Un paio di minuti dopo, raggiunsero quella che sembrava una strada asfaltata. Nelle vicinanze, un paio di edifici probabilmente adibiti alla riparazione di locomotive. Rimasero in ascolto per pochi secondi, sentendo soltanto silenzio.
«Mi mancherai, vecchio...» sussurrò l'agente.
«Che
succede, Vassili? Perché sei qua fuori e non a Pripyat?» proferì il ragazzo,
preoccupato dall’espressione nel volto del poliziotto.
«Anatoli…
siamo stati mandati a cercarvi, non appena abbiamo visto alzarsi del fumo.
Eravamo arrivati alla stazione di Yanov, lui ha voluto controllare all’interno…
ma uno zombie lo ha morso. È rimasto indietro per rallentarli. Non ce l’ha
fatta. Ha atteso per anni l’arrivo del treno con cui arrivava la sua ex moglie…
ora è lui ad aver preso l’ultimo treno della vita.»
Boris
portò una mano alla bocca, lasciando cadere qualche lacrima. Da
quando avevano
lasciato Stolyanka, aveva sempre visto il contadino stalker come uno
“zio adottivo”. Era stato lui ad avergli insegnato a
sparare, assieme a Vassili e nonno Yuri, e il vecchio lo aveva sempre
trattato come un figlio. O meglio, un nipote.
«Dove
sono Sergei e Svatok?» chiese poi Vassili.
Irina
abbassò lo sguardo.
«Svatok
ha passato una granata a mio padre per lanciarla addosso agli zombie, ma non
appena ha tolto la sicura, ha impattato contro il cadavere di un alce
circondata da zombie, e la bomba è caduta nell’Honker. Boris e io ci siamo
gettati immediatamente, papà non è uscito in tempo. È morto assieme a Svatok
mentre quest’ultimo si lanciava contro gli zombie con l’Honker.»
All’improvviso,
qualcuno da Pripyat li contattò.
«Squadra
di ricerca, parla il soldato Pyatov del “Checkpoint ‘Pripyat’”. Chiediamo un
aggiornamento sul vostro status, abbiamo sentito degli spari. Passo.»
Vassili
prese la radio.
«Qui
Vassili Karavaev della squadra di ricerca. Abbiamo incontrato degli zombie alla
stazione di Yanov. Anatoli Zelenko è caduto. Ho recuperato Boris Volkov e Irina
Kabakova, il soldato Svatok e Sergei Kabakov non ce l’hanno fatta. Passo.»
«Dove
vi trovate, squadra di ricerca? Passo.»
«Sembra
una zona di riparazione per le locomotive, o qualcosa del genere. Ci sono un
paio di edifici e dei garage. Passo.»
Un
fruscio attirò la loro attenzione.
«C’è
qualcosa là dietro.» fece Boris, puntando la pistola verso un cespuglio. Un’altra
voce si propagò dalla radio di Vassili.
«Squadra
di ricerca, parla il soldato Zubkov del ‘posto di blocco sud-ovest’. Abbiamo
una buona e una cattiva notizia per voi. La buona è che siete a poco più di
cinquecento metri dalla nostra posizione. La cattiva è che nella vostra zona
girano cani randagi. Ne abbiamo anche in città, ma sono amichevoli. Quelli
della Zona sono imprevedibili. Dalle nostre informazioni i cani sono immuni al
virus ma possono trasmetterlo. A meno che non abbiate cibo da dargli, non
esitate ad aprire il fuoco non appena si avvicinano troppo. Proseguite oltre
lungo la strada, e non appena incontrate delle tubature del gas, seguitele
verso ovest. Dovreste arrivare qui in circa cinque minuti. Passo e chiudo.»
Vassili
ripose la radio.
«Avete
sentito, ci siamo quasi. Proseguiamo a passo svelto e allontania...»
Dal
cespuglio indicato da Boris uscì un cane, che, non appena li vide, iniziò a
ringhiare.
«Non
sembra molto amichevole.» fece.
«Avanziamo
lentamente. Magari si spaventa e scappa.» suggerì Irina.
I
tre iniziarono a camminare facendo attenzione a non causare rumori bruschi,
puntando le loro armi verso gli edifici, dai quali proveniva il suono di una
moltitudine di zampe in movimento.
«Non
si mette bene, Vassili.»
«Zitti.»
La
ragazza stringeva Masha con la mano sinistra, puntando la Makarov ovunque
sentisse provenire rumori. Boris faceva altrettanto, mentre Vassili non
smetteva di puntare il cane, che li studiava rabbioso in lontananza, quasi come
se fosse indeciso sul da farsi.
«Più
avanti c’è uno spiazzo. Appena lo raggiungiamo, iniziamo a correre.» sussurrò
il poliziotto.
Il
randagio continuava a seguirli con lo sguardo, mano a mano che gli estranei si
avvicinavano restando a debita distanza. I tre raggiunsero lo spiazzo.
«Ce
l’abbiamo fatta.» fece Boris.
Il
suo piede urtò una radice spuntata dal cemento, che lo fece inciampare. Il cane
non ci pensò due volte, e iniziò a correre abbaiando verso di lui, venendo però
freddato da un colpo di pistola dell’agente.
«Quando
imparerai a stare zitto, Boris?» sbottò Irina, aiutandolo a rialzarsi.
Ciò
che seguì mise le ali ai piedi dei tre. Una serie di ululati, latrati, e poi
decine di cani randagi corsero fuori dagli edifici, diretti verso di loro.
«Che
cazzo c’era là dentro? Un canile?» fece Boris, iniziando a correre.
«Taci,
idiota!» urlò nuovamente la ragazza.
I
tre proseguirono la loro corsa svoltando a sinistra non appena videro delle
vecchie tubature, percorrendole parallelamente. In lontananza videro delle
figure.
«Laggiù!»
esclamò Vassili, sparando qualche colpo verso i cani.
Irina
quasi sorrise. Non le sembrava vero. Stava per esaudire il desiderio di una
vita.
Prese
confidenza, e decise di sparare anche lei dei proiettili verso gli inseguitori.
«AH!»
Una
pallottola centrò Boris alla gamba, che cadde a terra urlando dal dolore.
«ODDIO,
BORIS!»
La
ragazza tornò indietro a soccorrere il ragazzo, continuando ad aprire il fuoco
verso i cani, che si facevano sempre più vicini. Alcuni di loro, ormai a pochi
metri dai due, si preparavano ad azzannare le loro carni.
«Non
così, non adesso…» singhiozzò Irina.
Un
cane era ormai a pochi metri da loro. I due chiusero gli occhi.
BANG!
Un
colpo, e l’animale cadde a terra. Due secondi dopo, una pioggia di proiettili,
sparati da due soldati armati di RPK e AK-74, andò ad uccidere i cani, mentre
Vassili faceva rialzare Irina e aiutava Boris a rimettersi in piedi, aiutandolo
a raggiungere il posto di blocco.
«Forza,
ci siete quasi!» li incoraggiò uno dei due soldati, mentre finiva di eliminare
la minaccia.
I
tre raggiunsero una casetta di legno, dove ad attenderli c’era un terzo
militare. Appena vide la gamba di Boris sanguinare, mise mano alla radio.
«Pripyat,
parla il soldato Zubkov del ‘posto di blocco sud-ovest’. Ci serve un mezzo di
trasporto, abbiamo un ferito da arma da fuoco.» fece un terzo soldato al posto
di blocco.
«Ricevuto,
‘posto di blocco sud-ovest’. È in arrivo un Honker dall’ospedale 126. Tempo di
arrivo: cinque minuti.»
Irina
aiutò Vassili ad appoggiare il ferito a terra, stringendolo a sé.
«Perdonami,
Boris, perdonami...»
Il
ragazzo vide l’orsacchiotto di lei.
«Portava
fortuna, eh?» fece sarcastico.
Irina
rise, abbracciandolo, per poi scoppiare in un pianto liberatorio. Poco più in là,
Vassili prese la sua radio.
«Parla
Vassili Karavaev della squadra di ricerca. Siamo al “posto di blocco sud-ovest”.
Missione compiuta.»