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Autore: Helen_Book    21/02/2021    0 recensioni
Eileen ha perso la voce e la capacità di trasformarsi. Sente di non aver nulla da offrire al proprio branco. L'incontro inaspettato con un lupo randagio cambierà totalmente la sua esistenza e la porterà ad addentrarsi nei più oscuri ricordi del suo passato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Dopo aver rimboccato le coperte a Mala, indossò i suoi vestiti, lavati la sera prima e asciugati vicino al camino. Dato che non aveva chiuso occhio per tutta la notte, aveva pensato di utilizzare il suo tempo saggiamente.

Qualcuno le aveva portato un pantalone e un dolcevita neri puliti, ma si rifiutava di indossarli. Era più a suo agio a girare con i suoi indumenti addosso.
Le mancava la piccola tracolla e il coltellino, suoi fidati compagni di viaggio. Senza di loro, si sentiva nuda.

Quando le guardie la vennero a prendere, si ripromise di chiedere indietro tutti i suoi effetti personali. Aveva necessariamente bisogno delle sue erbe mediche per somministrarle a Mala.

Durante la pausa, sarebbe passata a controllarla.

Nonostante non fosse più prigioniera, le imposero di indossare la benda. “Per precauzione” dicevano.

Non oppose resistenza. Eileen sapeva che l’intelligenza stava nel saper scegliere le proprie battaglie. Ogni azione doveva essere calibrata, pensata.
Non ci misero molto a raggiungere l’ospedale del branco.

Vicino la porta d’ingresso, un ragazzo della sua età, la guardava con un sorriso strafottente dipinto sul viso. Appoggiato alla parete, indossava pantaloni neri, larghi e un maglione variopinto, in contrasto con il resto del clan. I capelli lunghi erano stati acconciati in tante piccole treccine, mentre le orecchie, il naso e le labbra erano abbelliti da diversi piercing.

Sicuramente non passa inosservato.

Man a mano, avanzarono verso di lui e una volta di fronte, le guardie, dopo un breve inchino, si dileguarono.

Wow, ecco un altro pezzo grosso. Immagino sia il fratello di Rom-Arthur.

“Beh dai, tutto sommato dall’esterno non sembrate dei mostri. Le leggende sul vostro branco sono numerose, non penso ti piacerebbe sentirle” disse con familiarità, come se si conoscessero da una vita.

Eileen lo fissò, senza proferire parola. Notò che i suoi occhi erano scuri, quasi neri.

“Comunque, io mi chiamo Ziki, ma per te sono Signore” affermò con tono solenne “la tua amica è troppo pigra per contribuire a fare del bene oggi?” non riusciva a comprendere se la cosa lo infastidisse o lo divertisse.

Eileen indicò la gola, giustificando il proprio silenzio.

“Oh! Giusto, il mio caro fratellino mi aveva avvisato e l’ho trovato estremamente divertente. Vuoi sapere perché? In caso contrario, te lo dico lo stesso” parlava così velocemente che era impossibile fermarlo “Io amo, e quando dico amo, intendo proprio amo, parlare. Quindi, ironicamente potresti essere la compagna perfetta per me.”

Osservò quello strano ragazzo e si ritrovò a detestarlo meno del previsto.

“Ti giuro che sono scoppiato dalle risate per la mia stessa battuta, ma Arthur non l’ha capita. È diventato scuro in volto e se n’è andato. Sembrava sul punto di strozzarmi.”

Parlava senza curarsi di capire se la sua interlocutrice lo stesse realmente ascoltando.

Il pensiero di Arthur arrabbiato la faceva sorridere. Ziki era ignaro di tutto, per fortuna.

“Comunque io e te dobbiamo trovare un modo per comunicare. Anche se, per la maggior parte del tempo, sarò io a darti ordini” disse riflettendo ad alta voce.

Eileen mosse le mani, simulando una mano che scrive. Sebbene fosse scomodo, era l’unico mezzo.

Dov’è finito Arthur?  Pensò, preoccupata e arrabbiata allo stesso tempo.

Chiamarlo così, le faceva un certo effetto. Però, utilizzare Roman era inutile.

Aveva detto che eravamo una sua responsabilità, eppure non c’è.

Pensò, accumulando, ora dopo ora, motivi per essere infuriata con lui.

“Entriamo, dovrebbero esserci lì dei fogli.”

Lo seguì all’interno e osservò come anche quel palazzo era di pietra. Ospitava diversi letti, ma non abbastanza da occupare tutto lo spazio a disposizione. I pazienti erano troppo distanziati tra loro, si sarebbero potuti rimediare almeno una trentina di posti.

Cosa ci fanno allora quelle persone malate in prigione?

Il suo pensiero ritornò al bambino con gli occhi color nocciola. Doveva trovare il modo di accedere nuovamente alle prigioni.

Si fermarono vicino ad una scrivania e il ragazzo rovistò nei diversi cassetti, finché non le porse una decina di fogli e una penna.

“E poi non dire che non siamo ospitali” aggiunse, facendole l’occhiolino.

Non riusciva ad inquadrarlo. Non sembrava odiarla o avere cattive intenzioni, però, non poteva dirlo con certezza. Lo aveva appena conosciuto.

Non si era mai affidata all’istinto, preferiva utilizzare il cervello. Però, in quel momento, qualcosa la spingeva a farlo.

“Io ti aspetto qui, tu va’ e usa le tue arti magiche” le disse, appollaiandosi su un piccolo divanetto, di fianco alla scrivania.

Non vedeva l’ora di potersi mettere al lavoro, però prima aveva delle richieste da fare.

Vorrei avere indietro ciò che mi avete sequestrato. Una piccola tracolla e un coltellino. E per la pausa, devo ritornare in camera per controllare la mia amica.

“Devi aggiungere ‘Signore’, oppure mi sarà impossibile esaudire qualsiasi tuo desiderio” spiegò, alzando le spalle.

Esasperata, lo assecondò, scrivendolo. Alzò il foglio per esortarlo a rispondere.

“Già va meglio” sorrise “Se ti comporti bene, te li farò riavere e riguardo la tua amica, si può fare. Ma ti accompagnerò io” la sfidò, osservando la sua reazione.

Eileen allungò la mano nella sua direzione per siglare il patto. Sorpreso, la fissò con diffidenza, ma poi gliela strinse, ritirandola subito dopo.

Non diede troppo peso a quel gesto. Aveva necessità di farselo amico. In assenza di Arthur, era l’unica persona a cui poteva rivolgersi.

Entrò nella prima stanza sulla destra e notò subito quanto fosse attrezzata. Camini accesi, lenzuola e coperte pulite, bende sterilizzate di diverse dimensioni. Nessuno parlava, ma il silenzio era interrotto da tosse e conati di vomito.

“S-signorina, ho bisogno di una mano” la chiamò una donna sulla quarantina. Corse nella sua direzione e la aiutò a sedersi. Un attacco di tosse la investì, fino a farla piegare in due.

Eileen aspettò che passasse e le toccò i lati del collo. Era gonfio, il virus aveva intaccato quella zona. Esisteva un infuso che poteva alleviarle il dolore.
Prese carta e penna.

Ti preparo qualcosa per attenuare il dolore, se ci riesci, non stenderti, rimani seduta. 

La donna non notò nulla di strano nel suo modo di comunicare. Probabilmente era troppo intontita.

Eileen prese una delle bende e si coprì naso e bocca, come aveva fatto in precedenza. Riempì di acqua una delle bacinelle vuote e la posizionò sul fuoco.

Utilizzando l’armadietto come supporto, scrisse sul foglio gli ingredienti di cui aveva bisogno. Corse da Ziki e gli porse la lista.

“Cosa sono?” chiese leggendo i vari nomi.

Piante, molte di queste sono nella mia tracolla. Ne ho bisogno ora.  

La fissò, senza dir nulla. In attesa di qualcosa.

Eileen alzò gli occhi al cielo e aggiunse “Signore”.

Un sorriso compiaciuto comparve sul viso di lui: “Ecco, così mi piaci.”

Si alzò e prima di uscire dalla porta da cui erano entrati, disse: “Non fare nulla di stupido in mia assenza. Non voglio perdermi lo spettacolo” e poi uscì.

Eileen scosse la testa.

Qualcosa mi dice che è un caso perso.

Tornò dai suoi pazienti e come una trottola, si mosse da una parte all’altra dell’ospedale, cercando di soddisfare le richieste di tutti.

Alcune persone più lucide la guardavano con curiosità. Sapevano che non apparteneva al loro branco e questo li insospettiva. Fino a quel momento, però, nessuno espresse il proprio pensiero ad alta voce.

La rapidità e l’efficienza con cui eseguiva il suo lavoro, spingevano i pazienti a non fare domande. O a rimandarle per un secondo momento.

Era abituata a lavorare da sola, all’interno del suo branco non era mai entrata in sintonia con gli altri medici. Se da una parte non ne aveva avuto il tempo, dall’altra, aveva sempre percepito una certa ritrosia, su cui non si era mai soffermata.

Il personale del clan Mavix era stato avvisato della sua presenza. Lo notava dalle occhiate furtive che riceveva quando era di spalle.

Per il resto, furono tutti abbastanza collaborativi. Non la ostacolarono o misero mai in dubbio ciò che faceva.

Sono veramente disperati. Sperano che faccia miracoli.    

Dopo che Ziki le portò tutto il necessario, si accomodò su una sedia e non le staccò gli occhi di dosso.

Sebbene quel comportamento la infastidì, poco dopo, si dimenticò totalmente della sua presenza.

Versò l’infuso caldo in diversi bicchieri e iniziò subito a distribuirlo, ricevendo riscontri positivi. Il sospiro di sollievo che tirò la donna sulla quarantina, la gratificò.

“G-grazie cara” le sorrise, mostrando di aver riacquistato un minimo di lucidità “Come ti chiami?”

Eileen prese il foglio dalla tasca e mostrò il suo nome in chiare lettere.

“Dovresti appendertelo al maglione, così le persone sapranno come chiamarti” le suggerì, in tono amichevole “Prendi questa, a me non serve” le porse una forcina dopo averla sfilata dai capelli color mogano. 

Quel gesto la commosse. In territorio sconosciuto, quel tipo di gentilezza acquisiva maggiore valore.

Le sorrise e annuì, seguendo il suo consiglio.

Una signora anziana medico fu la prima dello staff a rivolgerle la parola: “Dove hai preso queste erbe?”

Nella foresta, non tanto lontano da qui.

Le rispose mentre passava da un paziente all’altro.

Da quel momento, la donna continuò a seguirla come un’ombra, osservando ogni suo movimento.

Robusta, non molto alta, indossava anche lei vestiti rigorosamente neri. Solo un piccolo grembiule bianco legato alla vita spiccava in mezzo al resto dell’abbigliamento. I capelli grigi a caschetto le incorniciavano il viso rugoso. Non dimostrava più di 70 anni, ma la fronte perennemente corrugata le conferiva un aspetto più austero.

“Come credi che si diffonda il virus?” le chiese indicando il pezzo di stoffa che aveva indossato per coprire naso e bocca.

Non lo so, ma nel dubbio, preferisco tenerlo. Ancora non sono riuscita a capire come mai alcuni si ammalino e altri no.

“I primi pazienti che sono arrivati qui in ospedale erano coppie. Il virus si diffonde attraverso la saliva, non c’è ombra di dubbio” le rispose come se la cosa più scontata del mondo.

Eileen ripensò a Noah e a Mala. L’aveva vista eseguire il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, quindi era molto probabile che avesse contratto il virus in quel modo.

Assurdo che non ci avesse pensato prima.  

Guardò la signora accanto a lei, e le sorrise, ringraziandola di aver condiviso con lei quella scoperta. Se fosse riuscita a lavorare di squadra fin dall’inizio, avrebbe sicuramente risparmiato maggior tempo e salvato più vite.

Forse poteva chiederle aiuto riguardo la questione delle prigioni. Era probabile che non ne fosse al corrente.

Decise di osare e chiederle maggiori informazioni.

Chi sono le persone in prigione?   

Presa di contropiede, la fissò come fosse un mostro dotato di quattro occhi e due nasi.

“Quelle persone sono irrecuperabili, non abbiamo spazio e risorse per tutti” sussurrò abbassando gli occhi e allontanandosi da lei.

Eileen sentì la rabbia montarle dentro e cominciò a rincorrerla. Le sbarrò la strada, prima che potesse uscire dalla stanza.

Come potete arrendervi così facilmente? Ci sono uomini, donne e bambini!

Scrisse quelle parole in fretta, prima che potesse sfuggirle.

La donna alzò la testa, sorpresa. Tuttavia, la sua risposta fu fredda e monocorde: “Non immischiarti in cose che non ti competono, o ti farai molto male.”

Detto ciò, la sorpassò e varcò la soglia, senza aggiungere altro.

Vedremo.



Buon pomeriggio a tutti! 

Eccoci con il nostro solito aggiornamento domenicale. Spero stiate tutti bene e che questo capitolo riesca a farvi "evadere" anche se per pochi minuti :)

Helen 
  
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