Videogiochi > Life Is Strange
Segui la storia  |       
Autore: Viking86    22/02/2021    2 recensioni
Rachel è entrata nella vita di Chloe nel suo momento più buio. Chloe è entrata in quella di Rachel giusto in tempo per sostenerla quando il suo mondo è crollato. Il loro rapporto è forte, intenso, forgiato nel fuoco della sofferenza e potrebbe davvero salvare entrambe, o condannarle. Rachel è stato l'angelo di Chloe, ma anche il suo diavolo, così come Chloe è stata l'ancora di salvezza per Rachel e il suo più grande limite.
Life is Strange: Untold racconta la storia di Chloe e Rachel a partire dalla morte di William fino agli eventi di Life is Strange. Inizia subito dopo gli eventi di Before the Storm (con salti temporali indietro e avanti), ma ho fatto un lavoro di adattamento perché tutto corrispondesse il più possibile al canone originale.
Immersa nel contesto vitale di Arcadia Bay, la storia racconterà com'è nato il loro rapporto, come si è sviluppato e come la città e il mondo intorno a loro (sotto forma di coincidenze e altri personaggi, alcuni dei quali originali) abbia condotto a ciò che sappiamo (Dark Room).
Rachel e Chloe hanno avuto scelta o era destino?
Necessario aver giocato a BtS e LiS per poter cogliere i riferimenti (e i cambiamenti rispetto a BtS)
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Chloe Price, Mark Jefferson, Nathan Prescott, Rachel Amber
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Little Miss Sunshine

 
“I'd rather see the ocean once in a lifetime
And miss it for the rest of my days
Than never feel the sand beneath my naked feet
And never hear the sound of breaking waves…”
Native - Ocean
 
Rachel è cresciuta illuminata dal sole.
E il sole è diventato parte di lei.
Erano i tempi in cui correva sulla sabbia bollente di Huntington Beach.
Danzava vestita di rosa con le sue compagne, saltellando sulle punte, sognando di diventare una grande ballerina.
Si immergeva nell'oceano vicino all'isola di Santa Catalina e prendeva il gelato a Natale perché faceva caldo tutto l’anno.
I tempi in cui il suo papà era perfetto.
Rachel ricordava le gite in barca per vedere le balene al largo, gli amici della scuola elementare.
Il suono dell'ultima campanella era come lo sparo per gli atleti. La corsa verso la spiaggia, la svestizione istantanea e il tuffo nelle acque fresche e piacevoli. Le gare di nuoto fino alla boa, la sfida ad andare oltre e la rinuncia per paura dei motoscafi che passavano.
Una volta Rachel andò oltre. Erano lei, Cindy, Jordan e Tyler aggrappati alla boa rossa dopo una nuotata. Il cuore batteva in tutto il corpo, sorrideva così tanto che le guance facevano male. I capelli lunghi appiattiti sulla testa e lungo la schiena, riflessi dorati al sole.
"Dai, ti sfido raggiungere quella boa laggiù!" gridò ansimante Tyler.
"Ma sei pazzo?!" protestò Cindy.
"Si dai. Ti sfido anch'io!" rincarò la dose Jordan.
Rachel abbassò gli occhialini e corrugò la fronte.
"Se lo faccio cosa vinco?"
"Il mio rispetto!" disse noncurante Tyler.
"E' l'unica cosa che hai, non puoi neanche farle copiare i compiti visto che sei tu che copi da lei!" attaccò Cindy.
“Boom!” rise Jordan.
"Va bene... lo faccio e poi deciderò il premio!" tagliò corto Rachel, reggendosi con la sinistra alla boa e puntando al suo prossimo obiettivo.
La mano di Cindy le bloccò il polso.
"Che fai?! È pericoloso! E se passa una barca?"
"La faccio passare e poi riparto!"
Era facile no?
"E se non la vedi, ti investe e l'elica ti fa a pezzi?" Tutti si voltarono verso Jordan, che abbassò lo sguardo.
"Guardi troppi film..." concluse Rachel.
“Era un documentario in realtà…” bofonchiò il ragazzo con le guance che si arrossavano nell’imbarazzo.
"Lascia stare!" l'avvertimento di Cyndi arrivò tardi, Rachel si divincolò e partì.
"Cazzo l'ha fatto! L'ha fatto!" sentì tra lo sciabordio delle sue bracciate. Era concentrata. Certo, la boa era lontana almeno altri 50 metri, arrivare fino a quella da cui si era appena separata era già stata un'impresa per il suo piccolo cuore. Ma non le importava. Lei poteva farcela!
 
No... non poteva...
 
Iniziò a rallentare dopo una decina di metri, il cuore in gola, il fiato corto. Usò immediatamente la tattica d’emergenza che usava in piscina e si mise a dorso, dando bracciate calme, riprendendo fiato con gli occhi sul cielo, azzurro come non mai.
Un motore iniziò ad avvicinarsi, Rachel sentì i peli drizzarsi su tutto il corpo nonostante fosse in acqua.
Merda, arriva davvero una barca! E se mi ammazza?!
Mentre si teneva a galla con fatica, si guardò intorno in cerca della fonte del rumore. Vide una moto d'acqua rossa avvicinarsi, un ragazzo a petto nudo e abbronzato alla guida. Capelli neri ricci, abbronzato. Spense il motore e la moto si avvicinò per inerzia.
"Hey tu! Stai bene?!" preoccupazione nella voce.
"Si si! Stavo nuotando fino alla boa!"
"Ma lo sai che qui è vietato?" il tono si rilassò vedendo la bambina nuotare agevolmente.
"Davvero?!”
Il ragazzo inarcò un sopracciglio e poi sorrise compiacente.
"Certo! Immagino che non lo sapessi!" Gettò uno sguardo alla boa poco lontana e ai tre ragazzini ancora aggrappati ad essa. Tese una mano a Rachel, invitandola ad avvicinarsi. Lei la afferrò e si aiutò a rimanere a galla con la salda presa dell'uomo.
"Hai fatto qualche scommessa o roba simile?" chiese lui.
"Si! Di arrivare a quella boa laggiù!" fece un cenno.
"Beh... mi spiace deluderti, non ti posso lasciare andare. Qui passano le barche a motore, rischi di farti male. Però... hai vinto un giro in moto fino a riva. Che ne dici?" Il sorriso del ragazzo era contagioso e Rachel si sentì sciogliere. Aveva otto anni, ma iniziava a notare i ragazzi. Questo sembrava il principe della Sirenetta!
"Certo! Ho vinto comunque!"
"Direi di si!"
Rachel quel giorno non raggiunse a nuoto la boa proibita, ma rimase al sicuro fra le braccia di un bagnino figo fino a riva, sotto lo sguardo attonito dei suoi amici. Il ragazzo, che si chiamava Lewis, chiamò con la radio un'altra vedetta perché andasse a recuperare anche gli altri bambini. Quella sera furono tutti invidiosi perché Rachel si era fatta un giro in moto d'acqua e Cindy ancora di più perché quel bagnino era davvero figo! Peccato che mamma e papà non furono altrettanto felici della sua impresa e le fu proibita la spiaggia per una settimana.
Ne era valsa la pena...
 
-
 
Quando James le disse che avrebbero traslocato, sulle prime Rachel non la prese così male. Insomma, cambiare casa poteva anche essere una bella avventura. Non aveva capito che sarebbero andati in Oregon. Quando capì che non era uno scherzo si infuriò.
"Non ci vengo! Mi trasferisco da Cindy! A lei va bene, ne parliamo sempre di vivere insieme un giorno! E poi già dormo da lei quando facciamo i pigiama party, andrà bene anche a sua madre!"
Rachel telefonò davvero alla mamma di Cindy, poi quella di Jordan e di Tyler, per chiedere se potesse vivere da loro per un po'. Le spiegarono tutte che non era possibile per motivi che Rachel non ascoltò nemmeno. Allora passò alla lista dei parenti, ma gli unici che aveva erano i nonni materni e vivevano in Nevada e gli zii a Sacramento… troppo fuori mano.
James e Rose la lasciarono fare. Quando Rachel vide che non c’erano alternative passò alla fase successiva.
"Perché mi fai questo papà?! Io non voglio lasciare i miei amici! L'Oregon fa schifo!"
"Ma è come il Canada! L'anno scorso ti è piaciuto il Canada, c'erano la neve, i boschi, le montagne..."
"Non me ne frega niente! Io voglio stare qui! C'è la mia scuola! I miei amici... aspetta! La vacanza dell'anno scorso era un test?! Per vedere se mi piacevano posti del genere?!"
"Non essere ridicola Rachel. Era una vacanza!" replicò James un po' offeso.
"Ma perché dobbiamo andare via! Perché così lontano?!"
"Papà ha trovato un ottimo lavoro a Tillamook" spiegò Rose "Guadagnerà di più, avremo una casa più grande e saremo sempre in riva al mare! Potrai farti dei nuovi amici, vedere nuovi posti..."
"Mi piacciono quelli vecchi!"
"Lo so Rachel. È difficile" James si stava spazientendo "Ma dobbiamo farlo. Non ci sono discussioni. Ormai è deciso!"
Rachel non aveva mai gridato, non si era mai arrabbiata tanto, non aveva mai pianto fino ad aver male agli occhi. Fino a quel momento.
 
-
 
Il giorno della partenza, Rachel ricordava vagamente tutta la trafila del check-in. Avevano camminato di gate in gate, sedendosi in una sala d'attesa dietro l’altra. Rachel teneva per mano sua madre Rose, ciascuna di loro portava una valigia adeguata alla loro forza, mentre James le precedeva trascinando un grosso trolley, con uno zaino in spalla. L'unica cosa che le era rimasta vividamente impressa era la statua bronzea di John Wayne, fiero come sempre, nella hall dell'aeroporto, con una colossale bandiera stelle e strisce che penzolava sopra la sua testa. Non è che fosse una fan di film western, tifava sempre per gli indiani, ma il Grande John era un'icona. Dopo quello tutto era nebuloso fino al momento in cui depositarono i bagagli e salirono a bordo. In effetti, anche la vista dell'enorme 747 che li avrebbe trasportati in Oregon la folgorò. In tutte le sue fragili memorie di bambina non aveva mai visto niente di così grande. Il muso bianco con i vetri neri della cabina di pilotaggio sembrava un volto apatico, senza volontà né sogni. Le enormi ali, il rombo dei motori accesi, il tremare della terra man mano che si avvicinavano... a Rachel sembrò di stare al cospetto di un drago! Uno strano drago bianco di metallo e senza cervello. Superato il portello d’ingresso si sedettero ai loro posti. Rachel si sentiva sballottata come un bagaglio.
Lasciava la California... per sempre.
Rose era originaria dell’Oregon e le aveva raccontato quanto fosse verde, la bellezza delle sue montagne, la neve d'inverno! Avrebbero finalmente potuto fare i pupazzi di neve e avere un vero albero di Natale invece di comprarne uno di plastica.
“E’ come il Canada!” continuava a ripetere e questo non faceva che alimentare i sospetti di Rachel sul fatto che quella vacanza dell’anno prima avesse un secondo fine!
Se era così bello perché i suoi nonni si erano trasferiti a Reno?
Nessuno dei suoi racconti le interessava, comunque.
Sapeva solo che la sua vita era finita.
Non in senso letterale, ma tutto ciò che conosceva non ci sarebbe più stato.
Niente Cindy, Jordan e Tyler.
Niente scuola insieme.
Niente passeggiate in ciabatte sul lungo mare in inverno…
Niente più danza con la signorina Conley.
Tutto alle spalle, perché davanti a lei c’era un nuovo mondo.
Un mondo che non voleva e già odiava.
 
Le Hostess spiegarono i comportamenti da tenere a bordo, indicarono i comfort dei sedili, illustrarono cosa fare in caso di emergenza e così via. Rachel non ascoltò. Era inginocchiata sul sedile e guardava fuori dal finestrino. Provò una certa stizza quando Rose la obbligò a sedersi ed allacciare la cintura. Il sedile era gigantesco per lei ed era troppo piccola per riuscire a sbirciare fuori. Era prigioniera nella pancia del drago di metallo.
La voce del comandante annunciò l'imminente decollo e augurò buon viaggio.
Cellulari e dispositivi elettronici furono spenti.
Il motore ruggì e Rachel sentì il sedile vibrare sotto di lei. Tutto vibrava. Ebbe un po' paura. Rose le tenne stretta la mano e la baciò sulla testa. "Tranquilla amore."
"Lo so mamma..."
Aveva già viaggiato in aereo.
Questa però era diversa.
Questa era definitiva.
Dopo il decollo, Rachel balzò al finestrino.
Tutto era così piccolo. Solcavano un cielo sgombro di nuvole. Gli occhi di Rachel andarono alla ricerca dei luoghi della sua vita. La lunghissima striscia sabbiosa punteggiata da migliaia di persone che era Surf Beach. Quindici chilometri di sabbia e di lungo mare, popolata tutto l'anno.
Rachel avrebbe ricordato per sempre le bande di ragazzi abbronzati con spalle e petto larghissimi che, armati di tavola, si gettavano in uno scontro frontale con le onde.
Rachel avrebbe ricordato per sempre la strada lastricata separata dalla spiaggia solo da un dislivello di pochi metri e una ringhiera. Assembramenti di bancarelle e negozi, affollata giorno e notte. Aveva sempre sognato il giorno in cui, diventata grande, avrebbe passato lì le notti con Cindy, Jordan e Tyler, perché sarebbero stati amici per sempre, facendo falò in spiaggia, giocando al gioco della bottiglia e dando i suoi primi baci...
Rachel non si staccò dal finestrino. Non sentiva il prurito alle ginocchia mentre il tessuto del sedile si fondeva con la sua pelle. Appannava leggermente il vetro col respiro, mentre Surf Beach spariva sotto di lei si estendeva Los Angeles e il panorama cambiava. L'aereo salì di quota e il mondo divenne un'immagine di Google Maps. Tra loro e la terra fluttuavano ora soffici nuvolette bianche. Rachel non poteva vedere davanti all'aereo, o avrebbe ammirato la coltre di panna montata volante verso cui si stavano dirigendo.
I cieli dell'Oregon.
 
-
 
Freddo.
Tutto era freddo.
Scesa dall'aereo fu accolta da cieli e palazzi grigi.
Portland era ancora abbastanza simile alla città cui era abituata, ma completamente diversa. Salì sul sedile posteriore di un Suv a noleggio, durante il viaggio guardò fuori dal finestrino riempiendosi lo sguardo di verde. Alberi ovunque, nuvole e foschia. Sempre più foschia. L'ultimo tratto di strada fu quasi libero di segni umani finché un cartello sulla sinistra annunciava "Benvenuti ad Arcadia Bay!"
La città era un microscopico raggruppamento di bassi edifici a metà fra le colline coperte di boschi cupi e l’oceano Pacifico. Sotto un sole velato, quelle acque erano aliene. Era lo stesso mare in cui si era immersa fino a pochi giorni prima, solo molto più a nord.
Nonostante questo, il vento oceanico la rasserenò un po’. Il profumo era sempre quello e le riscaldò il cuore mentre l’aria le scompigliava i capelli. Sentiva scrosciare le onde non troppo lontano. La spiaggia non era così lontana. Sarebbe bastato attraversare la strada, scavalcare un muretto, fare una corsa di qualche decina di metri e avrebbe ritrovato il mare.
Anche se non era proprio lo stesso.
Scesero dal Suv in uno stretto parcheggio. Voci rugose di pescatori e camionisti risuonavano nell'aria, James guidò lei e Rose verso l'ingresso di un basso edificio che sembrava la cabina di una nave su cui svettava un'insegna.
Two Whales.
Anche qui c’erano le balene?
"Ho pensato che per il pranzo avremmo potuto assaggiare subito i migliori hamburger della città. Così mi dicono almeno!" le fece l'occhiolino James mentre entravano.
La porta cigolò e tintinnò, l'aria era carica di profumi e con riflesso pavloviano lo stomaco di Rachel ruggì e la sua bocca si riempì di saliva. Una donna bionda dell'età di sua madre li accolse calorosamente e indicò un tavolo libero. Era quasi l'una e il locale era affollato. Nell'aria risuonava una canzone country.
Intanto, sulla spiaggia, oltre la sua vista, due bambine vestite da pirati duellavano, lasciando impronte spensierate sul bagnasciuga.
 
-
 
Rachel dovette abituarsi a molte cose.
Alla casa nuova, una villa di due piani nel quartiere sud della città, dipinta di rosso, avvolta nel verde, con un giardino che sembrava un piccolo parco. Nella sua camera le scatole e le valigie furono disfatte con grande lentezza. Avrebbe finito di svuotare l'ultimo scatolone il giorno del suo decimo compleanno. Allora, guardandosi intorno, avrebbe compreso definitivamente che la California era alle spalle.
Dovette adattarsi alla nuova scuola. Rachel aveva sempre amato la scuola, le piaceva stare in mezzo alle persone. Tra i suoi compagni e le maestre sapeva chi era. Entrare per la prima volta nella sua classe alla Hendrickson Academy, a Tillamook, fronteggiare volti estranei, odorare l'aroma dei gessi e di una stanza sconosciuta, tutto la frastornò. Almeno all'inizio. Rachel non sapeva chi sarebbe stata, ma per fortuna glielo dissero gli altri. Lei era la bambina Cali, la riempivano di domande sulla California, osservavano le differenze nel modo di vestire, di parlare. Rachel rappresentava un'esotica novità e nonostante tutto ne fu felice, sebbene una parte di lei fosse rimasta indietro…


Non voleva essere la bambina Cali.
Voleva vivere a Cali!
Ogni tanto accarezzava il suo braccialetto blu, uno spesso intreccio artistico di tessuto e cuoio che aveva sempre avuto da quando si ricordava. Era un po’ logoro, ma resistente. Quel bracciale si era impregnato dell’aria della California, aveva assorbito la salsedine del suo oceano, aveva catturato granelli di sabbia di Surf Beach, si era asciugato decine di volte sotto i raggi del suo sole. Aveva sempre avuto quel braccialetto e le era sempre stato caro. Non sapeva perché, sentiva solo che era importante, come l’unica prova di un prezioso ricordo ormai scomparso. Ora divenne per lei una vera reliquia. A volte lo annusava e riusciva ancora a sentire il familiare profumo della sua vecchia casa.
Ma andò avanti.
Anche se dovette abituarsi alle continue assenze di suo padre.
Non è che non lo vedesse mai, James la accompagnava a scuola tutte le mattine e c’era quasi sempre a cena. Ma per Rachel non era sufficiente. Non era più presente come un tempo. Cercava la sua attenzione, ma lo trovava sempre al telefono o assorto al computer, intento a lavorare a qualche caso.
I voti di Rachel si fecero altalenanti. Faceva tutti i compiti, ma non li consegnava. I voti si abbassarono e questo attirò l'attenzione di James. Anche se per rimproverarla, almeno suo padre la notava ancora. Ma così non andava. Lo sguardo deluso sul volto di James era un'esperienza terribile per Rachel. Non era abituata a vederlo. Non voleva vederlo. Voleva che fosse fiero di lei. Così Rachel tornò a impegnarsi.
E andò avanti.
Giocherellava col braccialetto azzurro.
Non aveva dimenticato il suo sogno di diventare una ballerina. Cominciò a frequentare un corso di Danza a Tillamook dopo la scuola. Non era come quello cui andava a Huntington, ma a Rachel piaceva danzare. Liberava la mente, amava muoversi, amava riuscire, amava mostrare di cosa era capace ed essere apprezzata per questo. Le era sempre piaciuto primeggiare, superare i suoi limiti. Un giorno avrebbe frequentato la Julliard e si sarebbe esibita nei più importanti teatri del mondo!
James la iscrisse anche agli Scout e Rachel si tuffò senza pensarci nella natura dell'Oregon.
Amava la natura, non poteva farci niente. Lo stormire delle fronde scosse dal vento somigliava allo sciabordio delle onde. Le mille tonalità di verde e marrone, gli aromi di resina, muschio e legno che la avvolgevano, tutto accarezzava i suoi sensi. Con il suo branco esplorò i boschi e le montagne, lunghe escursioni per raggiungere punti panoramici, visitare le riserve dei Nativi dell'Oregon, fare campeggio ascoltando le storie degli indiani mentre arrostivano marshmellows. Le ascoltava con massima attenzione e divennero una vera passione. Rachel si fece regalare un poncho decorato con motivi Salishan, che divenne il suo vestito preferito per anni, mentre ad Halloween si travestì da Sacagawea. Quando tornava a casa raccontava a Rose tutto ciò che aveva scoperto sugli indiani e lei ricambiava raccontandole le storie degli antichi Dei ed eroi greci, giocando a trovare differenze e similitudini. Uno dei miti preferiti di Rachel era quello di Prometeo, punito per aver rubato il fuoco agli Dei e averlo donato agli uomini. Rachel a volte si sentiva un po’ come lui, punita ingiustamente.
Era stata cattiva? Per questo avevano traslocato?
Andò avanti. Ancora.
Rigirava il suo braccialetto intorno al polso, con gesto meccanico. Col passare del tempo non ricordava nemmeno più perché, ma quel gesto la tranquillizzava sempre. Nell’odore logoro del cuoio e del tessuto, Rachel sentiva un profumo distante, un calore nel petto che la riportava a casa. La riportava a sé stessa.
La bimba Cali divenne una scolara dagli ottimi voti, ballerina di talento, Scout premiata con decine di badge, piena di amici e apprezzata da tutti. Vinse per due anni di fila il torneo di Spelling e a dieci anni interpretò il Firebird di Stravinskij. Rachel non avrebbe mai dimenticato lo sguardo di suo padre quella sera, mentre tutta la troupe e la signorina Fisher, la maestra di danza, si inchinavano sul palco.
Andando avanti, giorno dopo giorno, smise di guardare indietro. Tuttavia, covava nostalgia verso qualcosa che era stato e giorno dopo giorno diventava sempre più indefinito. Il desiderio di tornare a casa fu sepolto sotto gli impegni quotidiani, alla ricerca del sorriso fiero di suo padre, delle parole orgogliose di sua madre, dei complimenti delle maestre, del rispetto e dell'attenzione dei suoi compagni. Cresceva e sognava, immaginando che da grande oltre a danzare avrebbe esplorato i luoghi più selvaggi del pianeta. Il film di Tomb Raider incentivò il suo nuovo sogno!
Intanto, quando chiudeva gli occhi ogni sera, continuava a visitare la California, anche se non era più un luogo reale. Il caldo e l’oceano erano rimasti, ma i volti dei vecchi amici si confondevano sempre più con quelli dei nuovi. Boschi di conifere si estendevano al posto delle case costiere di Surf Beach. Il faro di Arcadia Bay sulla scogliera si ergeva al posto dell’Isola Santa Catalina. A volte questi luoghi diventavano teatro di avventure immaginarie, di cui si scordava appena i raggi del sole filtravano dalla finestra e le lambivano gli occhi. Altre volte sognava di stare semplicemente seduta sulla sabbia in riva al mare, ascoltando le onde, accanto a suo padre e affondando la faccia nei capelli biondi e lunghi di Rose. Il sole splendeva nel cielo e si imprimeva nel petto di sua madre, come un tatuaggio.
Come sono strani i sogni, pensava al risveglio, quando si ricordava che in realtà i capelli di sua madre erano neri e non aveva tatuaggi…
 
-
 
Rachel non avrebbe voluto andare alla Blackwell.
Voleva andare alla Northwest Academy a Portland. Aveva bisogno di cambiare aria, allontanarsi dalla periferia della civiltà in cui sentiva di vivere.
E invece…
“Rachel sta crescendo, deve iniziare a pensare concretamente. Da adulta.”
Così aveva sentito dire suo padre mentre ascoltava una conversazione con Rose, la stessa in cui aveva detto che non avrebbe mai lasciato andare sua figlia in una scuola pubblica, quando ad Arcadia Bay, a pochi passi da casa, c'era uno dei più illustri licei di tutto l'Oregon. La Blackwell era così rinomata, o pretenziosa, da selezionare i suoi studenti al pari di un'Università e con i voti di Rachel accedere sarebbe stato uno scherzo. Di certo non era secondario l'impatto che la sua ammissione avrebbe avuto sull'immagine pubblica di James. Suo padre aveva cominciato a progettarle il futuro, suggerendo che una volta concluso il Liceo sarebbe stata una grande idea se avesse frequentato la facoltà di Legge. Un sogno pratico, uno che le avrebbe garantito un futuro, un lavoro.
Un obiettivo!
Così gli adulti chiamavano i sogni?
Intanto le mire politiche di James erano diventate esplicite. Casa Amber iniziò a ricevere ospiti illustri per delle ‘cene informali’ come le definiva James. Per l’occasione venivano usate le stoviglie delle feste e le conversazioni erano sempre così… superficiali. Rachel ascoltava i discorsi in silenzio. Non che le fosse richiesto di parlare, perlopiù era necessario presentarsi bene. James si assicurava che tutta la famiglia fosse vestita a modo. Dopocena, mentre lei e Rose sparecchiavano, suo padre si ritirava in giardino con l’ospite, un paio di bicchieri carichi e dei sigari.
Tutto questo era nuovo e Rachel provava un misto di curiosità e disagio.
“Per raggiungere i propri obiettivi bisogna avere gli amici giusti, Rachel…”  le disse James una sera. Alle medie aveva provato a metterlo in pratica. Eppure, sentiva qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo.
No, non sbagliato…
Incompleto.
Negli ultimi tre anni la sua vita era stata all'insegna del 'fare la cosa giusta'. Frequenta le persone giuste, vestiti nel modo giusto, ascolta la musica giusta, comportati nel modo giusto... Rachel era entrata nella squadra delle Cheerleader, aveva vinto praticamente tutti i premi scolastici che esistevano e frequentato gli studenti più popolari e ricchi della Hendrickson, con grande gioia di suo padre.
I ragazzi che frequentava a scuola erano simpatici, a modo loro. L’impegno nello studio colmava la mente di Rachel di concetti e ragionamenti complessi, quindi concedersi lineari discorsi sulla moda, i pettegolezzi e l’ultimo album di Christina Aguilera era abbastanza piacevole. Allo stesso modo era divertente guardare i ragazzi, giudicarli e osservare come tentavano di attirare l’attenzione. Era un tipo particolare di gratificazione, appartenere ad un gruppo, mescolarsi, uniformarsi. Il gruppo le dava forza, le dava una posizione, la inquadrava nella società, le dava una bandiera da innalzare…
…e le precludeva tutto il resto.
Tutto quel distinguere fra ‘in’ e ‘out’…
Nemmeno la fierezza di suo padre, i numerosi regali e le mance di compleanno compensavano il fatto che le mancasse qualcosa.
Dopo anni alla Hendrickson non sopportava più lo snobismo dei suoi compagni. Gli Amber erano sempre stati benestanti e grazie alle promozioni di James il loro reddito era certamente aumentato, ma Rachel non si sentiva della stessa specie dei suoi ‘amici’. Non erano mai stati ricchi, James e Rose avevano dovuto guadagnarsi ogni dollaro e ogni privilegio di cui ora godevano. Inoltre, Rachel aveva dei valori e dei sogni che andavano ben oltre il comprare un nuovo cellulare, fare shopping a Portland o fidanzarsi.
Certo… diventare una ballerina era un progetto sfumato da quando aveva smesso di frequentare il corso di danza per fare la cheerleader e gli Scout erano da sfigati quindi anche l’idea di fare l’esploratrice…
I suoi sogni di bambina erano svaniti in una nuvola di coloratissimo nulla.
Sapeva solo in cosa fosse brava e continuava a farlo, circondata da persone di plastica, alla ricerca di qualcosa di meglio. Guardava da lontano i gruppi di ragazzi ‘problematici’, li vedeva fumare di nascosto, ascoltava la loro musica e osservava il loro stile. Il suo look integrò camice a quadri e magliette delle band rock che iniziò ad ascoltare, i cui testi davano voce a qualcosa che in lei stava nascendo e lottava per emergere.
Giurò che al liceo sarebbe stata sé stessa, senza compromessi, qualunque cosa significasse!
Non è a questo che serve il liceo?
A scoprire sé stessi?
 
La Blackwell, invece, sembrava come passare dalla padella nella brace. Era un cambiamento, ma nella direzione opposta a quella che Rachel desiderava. Non si sarebbe comunque opposta a suo padre. Lui avrebbe contestato abilmente ogni suo argomento, mettendola all’angolo e sfoderando il suo sguardo deluso se avesse insistito ancora. Con suo padre ormai funzionava così. Rachel ricordava a stento di un tempo in cui le cose erano state diverse, in cui suo padre si sarebbe preoccupato di cosa ne pensasse. La consapevolezza che le sue decisioni fossero guidate solo dal suo bene era il suo faro. Non l’avrebbe mai messa in discussione. Non poteva. Non aveva motivi per farlo.
Ancora…
Il 26 aprile 2008 la famiglia Amber si recò all'Open Day. La Blackwell aveva un'aura così... elitaria, ma al tempo stesso sembrava un luogo magico, una specie di Hogwarts da cui si godeva una meravigliosa vista del mare, se sapevi dove piazzarti. Nel cortile dei Dormitori c’era anche un totem indiano. Somigliava tanto alla riproduzione che aveva visto varie volte a Culmination Park, ma il Preside Wells assicurò che il totem, che gli studenti per qualche ragione chiamavano ‘Tobanga’, era autentico.
Circondata dai molti aspiranti studenti e le loro famiglie osservò volti nuovi e al tempo stesso simili a quelli che aveva visto ogni giorno negli ultimi tre anni. Rachel non aveva dubbi che l'offerta formativa fosse all'altezza delle aspettative, le aule erano attrezzatissime, i professori preparati e alcuni, come Miss Grant, sembravano anche simpatici. Anche il Drama Club sembrava promettere molto bene.
Intanto, il suo mondo si restringeva.
A nulla servivano le vacanze all'estero con la famiglia. In quegli anni avevano viaggiato ogni estate. Roma, Milano, Tokyo, Okinawa, Bali… Quelle brevi parentesi estive erano solo delle felici pause che alla fine le ricordavano solo quanto fosse vasto e meraviglioso il mondo, mentre il suo quotidiano era così penosamente minuscolo.
Così, di nuovo, guardò avanti.
Sempre avanti.
Perché dove si trovava non era entusiasmante e il passato…
beh.. non esisteva. Non poteva esistere, altrimenti avrebbe ricordato che un tempo, tutto era stato diverso.
Sperava che la Blackwell avrebbe sovvertito le sue aspettative e che là dentro avrebbe trovato la sua strada o almeno un’anima affine che rendesse sopportabili i successivi quattro anni.
Il giorno dell’Open Day non notò quell’anima passarle accanto per tre volte.
Non poteva notarla.
Non ancora
 
***********************************
 
Il 3 settembre 2008 Rachel iniziò ufficialmente la sua carriera alla Blackwell. Per la prima volta non fu James ad accompagnarla a scuola, ma Rose. Rachel liquidò la cosa con una scrollata di spalle interiore. Suo padre era molto impegnato, aveva deciso di candidarsi a Procuratore Distrettuale della Contea di Tillamook. Lo capiva. Giusto?
Ci misero meno di dieci minuti ad arrivare, accostando vicino al marciapiede della strada che divide il campus dal campo di Football e atletica. Rachel assecondò le mille raccomandazioni di Rose.
“Non sei eccitata??” chiese la donna dopo aver munito sua figlia dei soldi per il pranzo.
“Non quanto te probabilmente!” scherzò Rachel.
“Non biasimarmi! Sei al Liceo! È un rito di passaggio importantissimo. È come il primo giorno alle Elementari!” gli occhi di Rose erano lucidi, le guance arrossate. Rachel si sentiva riscaldare da quell’affetto. In effetti, forse non stava affrontando la cosa con lo spirito giusto.
Era il suo primo giorno di Liceo in una scuola che molti ucciderebbero per frequentare!
Forse il fatto che non l’avesse scelta lei giocava un ruolo determinante, ma regalò ugualmente un sorriso a Rose. Le due si abbracciarono, quindi Rachel aprì la porta e caricò lo zainetto nero sulle spalle. Una folata di vento fin troppo freddo la investì appena uscita, scuotendole i capelli biondi e facendo svolazzare la camicia di flanella rossa.
Sia benedetta la flanella! Pensò apprezzando la protezione che quel tessuto offriva alla sua pelle californiana. Non si sarebbe mai abituata al freddo…
“Mi raccomando!” disse Rose come un implorante ammonimento.
“Di cosa in particolare?” provocò Rachel con occhi felini.
“Un po’ tutto quello per cui mi sono già raccomandata!” sorrise Rose.
“Andrà tutto bene, mamma!”
“Lo so! Te la cavi sempre!” ammiccò.
Rachel la salutò e chiuse la portiera. Osservò la Volvo riprendere la strada e svoltare l’angolo per tornare in città, quindi si voltò a fronteggiare per la prima volta da studentessa la breve scalinata che conduceva al campus. L’aria portava con sé i profumi del bosco, misti a fumo di sigaretta proveniente da un luogo imprecisato. Il campanile della Blackwell torreggiava su di lei, rosso contro il cielo azzurro velato dalla solita foschia. Tutt’intorno un’orda di studenti sciamava verso l’ingresso, mentre gruppi di ragazzi più grandi temporeggiavano sotto gli alberi e ai tavolini accanto al Dormitorio. La maggior parte degli studenti provenivano da altre Contee, alcuni addirittura da altri Stati. Un calderone di americana varietà.
L’eccitazione e la paura colsero finalmente Rachel.
Forse aveva sottovalutato l’intera faccenda.
Era al Liceo!
Gli anni migliori della vita secondo alcuni.
I peggiori per altri.
Rachel non aveva una visione precisa di cosa aspettarsi, ma andava bene così.
Era sulla riva di un fiume di persone, una marea composta da centinaia di vite che percorreva il cammino secondo un’ordinata entropia.
Era il momento di balzarci dentro e nuotare.


-
 
Tra tutte le lezioni, quella che più di tutte interessava Rachel era il Laboratorio Teatrale.
Il giorno della prima lezione, Rachel ci andò quasi di corsa dopo aver lasciato la classe di Inglese e recuperato gli abiti da ginnastica dall’armadietto (una delle richieste era vestirsi comodi). Era la prima volta che Rachel partecipava ad un corso di recitazione, non aveva idea di cosa aspettarsi e questo la riempiva di eccitazione.
Superò l’aula di Arte e le porte di sicurezza, si imbatté sulla destra in una doppia porta spalancata con un cartello che recitava Drama Club. Uno spazio era dedicato a “palco”, composto da alcune materassine e un fondale neri. Le pareti tappezzate di locandine, alcune riguardanti spettacoli messi in scena dalle classi precedenti. Le spesse tende rosse scostate alle finestre sembravano drappeggi usciti da un quadro di Caravaggio. Nessun banco, nessuna sedia. In fondo alla sala c’era la cattedra, piazzata in un angolo come un’oggetto abbandonato. Rachel fu tra i primi ad arrivare e si concesse del tempo per esplorare l’aula e indagare la stanza dietro il palco, che scoprì essere la zona camerini. Appendiabiti ingombri di costumi, la luce fioca riflessa migliaia di volte negli specchi, l’odore dei trucchi misto a quello degli oggetti di scena. Era come essere proiettati in un’altra dimensione. Si cambiò rapidamente dietro il separé e si congiunse al resto della classe, che arrivava alla spicciolata.
Rimase in silenzio e da sola, godendo dell’attesa, il piacere ansioso dell’anticipazione, mentre i suoi compagni si erano già divisi in gruppetti e parlottavano tra loro come se quella fosse una lezione qualsiasi. Probabilmente per loro lo era.
D’un tratto un uomo sul metro e ottanta emerse dalla porta, fischiettando e camminando spedito fra i gruppi di studenti come se non li vedesse. Tutti reagirono all’unisono, silenziando le chiacchiere e ricomponendosi come se colti in flagrante. Il professor Keaton li superò e raggiunse la cattedra, appoggiando su di essa una valigetta da cui estrasse un portatile. Continuando a fischiettare lo collegò alla corrente e lo accese, mentre alcuni ragazzi si guardavano l’un l’altro perplessi. Qualcuno si avvicinò timidamente alla cattedra, mentre ancora Keaton non sembrava avvedersi della loro esistenza. Qualcuno ridacchiò sottovoce. Rachel tentò di capire quale canzone stesse fischiettando il professore, le sembrava familiare, ma non riusciva a ricordare dove l’avesse già sentito.
“Rachel Amber!” una voce decisa dalla pronuncia perfetta, priva di ogni accento, echeggiò nell’aula, silenziando improvvisamente ogni brusio. Rachel fu colta alla sprovvista.
“Rachel Amber?” ripeté Keaton alzando gli occhi dal computer.
“Sono io!” rispose lei scuotendosi.
L’uomo le rivolse uno sguardo e annuì con un sorriso cordiale prima di proseguire con l’appello.
Rachel ascoltò la sequenza di nomi che seguì, cercando di associare a ciascuno il suo volto. Una ragazza di nome Steph Gingrich colpì la sua attenzione. Capelli lisci e leggermente ramati spuntavano da un berretto di lana color panna e incorniciavano un viso dai tratti morbidi, con due grandi e curiosi occhi blu. Un’altra studentessa catturò la sua attenzione: Marisa Rogers. Questa ragazza era esattamente il genere con cui Rachel si era abituata ad interagire alle medie, il suo portamento diceva a tutti quando erano dei fottuti insetti confronto a lei, i capelli neri perfettamente acconciati, un’elegante canottiera scura e un paio di pantaloni della tuta griffati color panna che disegnavano le sue curve e ostentavano il suo status economico sopra la media. Marisa era l’archetipo del genere di persona che Rachel non voleva più frequentare, ma con cui sapeva si sarebbe imbattuta. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, il sopracciglio di Marisa si alzò con altezzosa sorpresa, poi indossò un sorriso di circostanza, che Rachel restituì. Si appuntò mentalmente anche il nome di quella che sembrava l’amica, o la galoppina, di Marisa: Kelly Davis.
Concluso l’appello, Keaton si alzò dalla cattedra, facendo deliberatamente rumoreggiare la sedia sul pavimento. Si avvicinò agli studenti con passi lenti e ponderati, tacco-punta, occhi indagatori. A Rachel sembrava una via di mezzo tra Andy Warhol e Gary Oldman. Passeggiò tra loro fino a raggiungere il palco, dove si fermò, incrociò le braccia e rimase in silenzio a fissarli, uno ad uno. Quando i suoi occhi verdi si posarono su di lei, Rachel si sentì incredibilmente vulnerabile. Cambiò posizione sentendosi improvvisamente scomoda.
“Che ci fate qui?”
La domanda di Keaton echeggiò improvvisa. Quell’uomo sembrava avere la capacità di aspettare il momento esatto in cui i suoi ascoltatori si abituavano al silenzio, per poi romperlo. La domanda lasciò tutti perplessi, Rachel inclusa.
“E’ una domanda semplice. Che-Ci-Fate-Qui?”
Una perfetta manicure con smalto viola si elevò.
“Miss Rogers?” concesse Keaton.
“Siamo… a lezione di teatro?” chiese ironicamente, scatenando alcune risatine sommesse.
“Acuta osservazione!” replicò Keaton sorridendo “Esploriamola… che cos’è il teatro?”
Marisa si imbronciò e la fronte coperta di fondotinta si corrugò mentre gli ingranaggi del suo cervello si sforzavano di partorire qualcosa di intelligente.
“E’ l’attività umana in cui un gruppo di attori recita una parte per… raccontare una storia.”
Keaton spalancò gli occhi e annuì: “Vero! Ma c’è di più. Qualcuno sa fare di meglio?”
Rachel colse un’ombra sul volto di Marisa, che svanì subito appena reindossò la maschera.
“E’ una forma d’arte?” disse un ragazzo che Rachel aveva sentito chiamarsi Adam Glenn.
“Assolutamente vero, ma non ci siamo ancora.”
“Un modo per esprimersi?” azzardò Steph.
“Molto bene! Ci stiamo arrivando!”
“Un modo di essere?” le parole uscirono dalle labbra di Rachel senza pensarci. Era troppo tardi quando si rese conto che Keaton e tutta la classe la stavano fissando.
“Interessante Miss Amber. Dicci di più!” Keaton abbandonò le braccia incrociate e si avvicinò a lei di qualche passo, senza scendere dalle materassine del palco.
“Ecco… quando si recita si vestono i panni di qualcun altro. Si recita un copione prestabilito oppure si improvvisa, ma l’attore non è sé stesso. A volte è così anche nella vita, quindi si può dire che il teatro è un modo di essere.” non poté evitare di pensare a suo padre mentre parlava.
“Molto acuto. Ottimo Miss Amber!”
Rachel intravide lo sguardo piccato di Marisa.
“Il teatro è tutto ciò che avete detto” continuò Keaton “è senza dubbio un’attività di gruppo, ma può essere condotta anche da un singolo attore. È un’arte, una delle più raffinate e complesse. È senz’ombra di dubbio un modo per esprimere sé stessi come dice Miss Gingrich, oppure per nascondersi come ha giustamente sottolineato Miss Amber. Ma è ancora qualcosa di più…” Keaton scese dal palco, sottolineando ogni parola con una calcolata gestualità, che tuttavia appariva spontanea.
“Il teatro è un percorso, è la vita stessa. Gli attori sono individui che scelgono di separarsi dagli altri e intraprendere un percorso di conoscenza di sé stessi e degli altri, un percorso che li porta ad affrontare le proprie paure, a scavare nelle loro memorie alla ricerca di emozioni sepolte, tutto questo allo scopo di comunicare qualcosa al mondo! Ogni forma d’arte fa questo percorso, ma nessuna in modo diretto e profondo come il teatro.”
Keaton concluse la sua spiegazione e lasciò calare di nuovo il silenzio. Li fissò uno ad uno, incrociando i loro sguardi, puntualmente distolti nell’imbarazzo. Rachel la prese come una sfida e quando le iridi verdi di Keaton incrociarono le sue decise di sostenere lo sguardo. Professore e allieva si fissarono per alcuni momenti e l’uomo sorrise:
“Non vi aspettavate questa paccottiglia quando vi siete iscritti vero?”
La classe sghignazzò quasi all’unisono e anche Rachel, che si sentì un po’ fiera quando Keaton distolse lo sguardo per tornare sul palco.
“Beh, non vi preoccupate. Smettiamo immediatamente con le chiacchiere pretenziose e passiamo ai fatti. Il tema del primo semestre è l’improvvisazione. Preparatevi perché rivolterò le vostre anime come un calzino! Cominceremo con un po’ di riscaldamento e poi giocheremo a ‘Chi mente meglio vince’!”
 
-
 
Furono due ore molto intense. Dopo aver fatto alcuni strani esercizi ginnici, Keaton li fece camminare in lungo e in largo per la stanza, guardando negli occhi per un istante chiunque incrociassero. Fu molto divertente constatare che era impossibile scambiarsi soltanto uno sguardo! Automaticamente ci si rivolgeva microscopici gesti di saluto, cenni del capo, inconsapevoli mimiche facciali su cui Keaton li prese in giro uno per uno, imitandoli e scatenando grasse risate. A ritmo di jazz, seguita da un pezzo di J-Z, poi da un classico di Wagner, poi dai Deep Purple, gli studenti furono incoraggiati a danzare, muovendosi a seconda di come la musica suggeriva al loro corpo, senza pensare a come apparissero. Per Rachel questa parte fu fin troppo facile.
Infine, ‘Chi Mente Meglio Vince’.
Keaton posizionò una sedia sulle materassine e fece sedere per terra tutti intorno ad essa. Il gioco consisteva nel sedersi uno ad uno sulla sedia, farsi intervistare da Keaton e dagli altri studenti con domande libere e rispondere sia con verità e bugie. Alla fine, il gruppo avrebbe dovuto indovinare quali risposte fossero vere o false.
Il turno di Steph fu teneramente imbarazzante. Rachel la osservò per tutto il tempo, notò dozzine di tic nervosi nell’essere esposta all’attenzione di tutti.
“Tranquilla, non è la macchina della verità!” scherzò Keaton per metterla a suo agio, provocandole solo un leggero sorriso “Cominciamo con qualcosa di semplice. Ti chiami Stephanie?”
La classe rise e anche Steph sembrò alleggerirsi.
“Si!” fece un profondo sospiro.
“Hai un secondo nome?” chiese Keaton.
“Si.. cioè… ehm… si! Margareth!” Steph cercò una posizione più comoda sulla sedia.
“Fai sport?” continuò il professore, cercando di dimostrare che non c’era nulla da temere. Bisognava solo seguire il flusso.
Steph esitò, poi: “Si! Faccio Basket!”
Qualcuno rise.
Una ragazza alta un metro e sessanta non era molto credibile, ma Keaton alzò le mani per zittire.
“Quale ruolo?”
“Playmaker!” affermò Steph con più convinzione.
“Vai alla grande! Qualcuno vuole farle delle domande?”
Un ragazzo di nome Jason Redford alzò la mano e chiese “Ce l’hai il ragazzo?”
Tutti risero e Steph ghignò con aria di sfida.
“Si! È uno del terzo anno e gioca a Football in questa scuola! Si chiama Mike” ammiccò.
Al termine del suo turno le risposte di Steph furono analizzate e fu facile scoprire che alle domande sul secondo nome e sullo sport aveva mentito. L’intera classe era invece convinta che Steph avesse davvero un fidanzato del terzo anno. Furono tutti sconcertati, soprattutto Jason, quando lei disse: “In realtà quella è una bugia. Non ho un ragazzo perché mi piacciono le ragazze.”
La leggerezza con cui lo disse fece calare il silenzio, rotto soltanto dalla risata di Keaton: “Vi ha fregati tutti!”
Jason parve molto deluso.
 
Quando arrivò il turno di Marisa, Rachel prestò particolare attenzione. La ragazza si posizionò ben composta sulla sedia come se dovessero servirle un tè.
“Di dove sei Miss Rogers?” chiese Keaton.
“Del New Jersey!” rispose lei con tono allegro.
“Wow! Ti sei trasferita per venire alla Blackwell?” la assecondò.
“Certo!”
“Hai fatto moltissima strada! Come mai non hai preferito frequentare una scuola più vicina a casa?” indagò il professore massaggiandosi il mento.
“Perché la Blackwell è un’eccellenza nazionale! È famosa anche nell’East Coast!”
Il gruppo ridacchiò.
Rachel avvertì dei conati di vomito.
Alla fine emerse che Marisa Rogers viveva a Portland e che suo padre, proprietario della Rogers & Co, l’aveva iscritta alla Blackwell per il prestigio della scuola, in vista dell’università, dove avrebbe studiato economia per poi entrare nella dirigenza dell’azienda di famiglia.
“Frequentare la Blackwell come si deve è un biglietto di prima classe per Harvard, Yale, Princeton e qualsiasi università vorrai frequentare. Io ho studiato all’università pubblica, ma tu Rachel avrai un futuro molto più luminoso in quel senso. Avrai accesso alle migliori facoltà di Legge del paese e quando ti laureerai ti aiuterò personalmente a trovare lavoro.”
La voce di James Amber risuonò nella mente di Rachel. Suo padre sembrava aver avuto molto tempo per programmarle la vita, un po’ come quello di Marisa Rogers.
Si scosse dai suoi pensieri quando arrivò il suo turno. Aveva dalla sua il vantaggio di aver osservato gli altri, cercando di capire come si muovevano mentre mentivano e cosa cambiava quando erano sinceri. Si sistemò sulla sedia nel modo più naturale e attese.
“Bene Miss Amber! Da dove vieni?”
Rachel sospirò. Decise di essere sincera: “California”
“Da dove di preciso?”
Stavolta mentì. Aveva visto dagli altri che ogni risposta falsa era molto rapida, come se fosse un peso di cui liberarsi in fretta. Così si prese un istante per sorridere e poi disse “Sacramento!”
“Da quanto ti sei trasferita?”
“Quest’anno!”
“Oh! Una cosa recente. Ricorderai un sacco di cose di Sacramento, raccontaci qualcosa!”
Rachel fu colta alla sprovvista. Non aveva previsto che Keaton le chiedesse di argomentare così presto. Dissimulò la sorpresa massaggiandosi il mento e impedendosi di accavallare le gambe. Scoprì in quel momento che quello era un gesto che ripeteva spesso quando si innervosiva!
“Tipo?” prese tempo.
“Quello che ti va!” Keaton non abboccò e Rachel trattenne una risatina nervosa.
“Beh…” esordì scavando nella memoria. Cercò qualcosa della sua infanzia ad Huntington che potesse tornare utile, una mezza verità si poteva considerare una bugia? “Ricordo quando con i miei amici Clive,” pensò a Jordan “Daisy” pensò a Cindy “e Daniel” ricordò Tyler “andavamo in riva al fiume dopo la scuola. Facevamo sempre il bagno e ci sfidavamo ad allontanarci dalla riva dove la corrente era più forte… alla fine non andava mai nessuno!” Rachel sorrise. Mentre raccontava una versione alternativa dei suoi ricordi, quelli veri le passavano davanti agli occhi. Si rivide aggrappata alla boa, udì le risate di Tyler e Cindy, ricordò il largo sorriso di Jordan. I raggi del sole di quei giorni lontani le scaldarono davvero il viso. Era da molto che non ci ripensava. Gli occhi si inumidirono.
“Eri molto legata a loro…” commentò Keaton.
“Si…” Rachel deglutì. Decise di proseguire il racconto su quella strada. Come sarebbero dovute andare le cose tanto tempo fa, in un altro tempo, in un altro luogo. In un altro universo. Si asciugò gli occhi istintivamente: “Noi tre eravamo inseparabili. Abbiamo fatto elementari e medie insieme. Siamo andati a Disneyworld insieme. Ogni estate andavamo in campeggio e festeggiavamo i compleanni sempre insieme. Avevamo pensato anche di andare nello stesso Liceo…” fece una pausa e si schiarì la gola “Poi mia madre ha ricevuto un’offerta di lavoro qui e abbiamo dovuto trasferirci.”
“Li senti ancora?” indagò Keaton.
“Tutti i giorni…” le uscì un tono troppo malinconico. “Voglio dire…” tentò di rimediare “Anche se abbiamo Skype e tutto il resto, mi mancano molto. Vorrei che potessero vedere i boschi che ci sono qui, vorrei potessimo esplorarli insieme…”
Keaton le sorrise comprensivo. Le credeva? La assecondava?
“Beh… forse è un argomento un po’ troppo pesante. Passiamo a qualcosa di più leggero. Qualcuno vuole farle delle domande?”
Ottima idea!
Rachel prese un profondo respiro e continuò. Forse a causa di com’era iniziato il suo turno, le altre domande si fecero più banali: “Ti piace la pizza?” “Cosa fai per divertirti?” e così via. Solo Steph se ne uscì con un: “Sei etero?” che provocò un’onda di ilarità.
Rachel sghignazzò: “Fino ad oggi sì! Domani, chi può dirlo?”
Molto tempo dopo Rachel si chiese se questa risposta avesse instillato in Steph il dubbio che in seguito la portò a sviluppare interesse per lei! O forse stava solo dando voce ad un lato di sé che ancora ignorava.
Alla fine del suo turno, Rachel si stupì che tutti fossero convinti che non avesse mai mentito.
“Insomma, devi aver mentito qualche volta!” commentò Marisa.
“Si in effetti ho mentito.” Replicò Rachel “Ho detto solo bugie!”
Si levarono dei “No…” delusi.
“Dai, hai mentito anche sui tuoi amici di Sacramento?” disse Adam Glenn.
“Quindi non sei Californiana e non sei etero?” ridacchiò Steph.
“Ah no… giusto… quelle erano vere! Però sono di Long Beach, non di Sacramento!”
“E i tuoi amici di cui ci hai parlato? Esistono?” indagò Keaton.
“Si, però hanno altri nomi. La verità è che mi sono trasferita qui a otto anni e non li ho più sentiti né visti da allora!” Rachel si sentì incredibilmente vulnerabile, come se avesse mostrato il fianco ad un nemico in agguato.
Keaton arrivò a salvarla: “Molto brava miss Amber!” si rivolse alla classe “Quella che lei ha usato è una tecnica di improvvisazione. Per risultare più credibili si può attingere dal proprio vissuto reale e informazioni che possediamo, sia che cerchiamo di entrare nello stato emotivo giusto per un ruolo, sia che dobbiamo improvvisare una scena. In questo caso lei ha usato ricordi reali, pieni di emozioni vere, ma ha cambiato dei dettagli. Hai fregato anche me! Complimenti!”
“Ma questo non è imbrogliare?” si intromise Marisa.
Rachel rimase impassibile, ma trattenne una risatina compiaciuta. Miss Rogers si sentiva minacciata!
“Direi di no! Anzi, consiglio a tutti voi di esercitarvi in questa tecnica. Però non usatela per inventarvi scuse e non consegnare i compiti o i prof delle altre classi mi uccideranno!”
La campana del pranzo pose fine alla lezione.
Rachel fu molto dispiaciuta.
Dopo essersi cambiata, uscire dall’aula di teatro fu come tornare sulla Terra dopo una vacanza in una galassia lontana lontana. Si sentiva… accesa! Come se migliaia di lampadine si fossero illuminate all’unisono nella sua testa e nel suo petto. Ricordava di essersi sentita in modo simile solo da bambina, quando danzava.
Raccolse le sue cose e si diresse verso la Caffetteria per pranzare.
“Hey!”
Si voltò e vide Steph raggiungerla a passi svelti nel corridoio.
“Sei stata grande là dentro!” esordì.
“Grazie! Anche tu!” ricambiò Rachel.
“Cazzate. Ho fatto schifo, ma è normale, non sono lì per recitare…” Steph le si affiancò.
“In che senso?”
“Mi interessano scenografia e costumi. Keaton ha detto che più avanti il ‘mio’ corso prenderà quella direzione, ma che devo almeno sperimentare le basi attoriali.” Scrollò le spalle.
“Non ci sarebbe teatro senza scenografi e costumisti! Non vedo l’ora di vedere i tuoi lavori! Poi se le lezioni sono tutte così ci sarà da divertirsi! Ho adorato ogni secondo!”
“Ho notato! Però sei avvantaggiata… da come ti muovevi con la musica si vede che sai ballare. Sei sicuramente già salita su un palco!” Steph strinse gli occhi in falso sguardo accusatorio.
“Beccata!” confessò sorridente Rachel.
“Sei un animale da palcoscenico!”
“Staremo a vedere!”
Giunsero davanti alla Caffetteria.
“Ti va di pranzare insieme?” chiese Steph con un filo di imbarazzo.
“Non era ovvio?” Rachel le diede un buffetto col gomito.
Steph sorrise felice.
 
-
 
Alberi.
File disordinate di abeti selvaggi le scorrevano davanti agli occhi, attraverso il finestrino dell'auto. Con la fronte appoggiata al vetro, Rachel non vedeva davvero il paesaggio, immersa nei suoi pensieri.
Rose era al posto di guida, spingeva prudentemente la macchina sullo sterrato. Appena uscite da Arcadia Bay avevano imboccato la Highway 101 fino a Idaville, per poi svoltare a sinistra nella minuscola Kilchis River Road, che si inoltrava nell’entroterra boscoso della Contea di Tillamook. Quando la strada si biforcò, Rose svoltò a destra su Kilchis Forest Road per l’ultimo tratto del viaggio.
Rachel era contrariata.
Non per il viaggio, quello era piacevole.
Era il ricordo della sera precedente, una cena come altre che suo padre era riuscito a rovinarle. Da quando era iniziata la campagna elettorale, James Amber sembrava aver scoperto un vero talento nell’innervosire sua figlia. Non che se ne rendesse conto. Sembrava non rendersi più conto di nulla all'infuori di ciò che riguardava i suoi affari.
"Oggi ho scoperto una cosa interessante!" aveva esordito tra un educato boccone di parmigiana e l'altro "Conosci una certa Marisa Rogers?" chiese voltandosi verso Rachel.
Sorpresa dalla domanda, annuì dopo qualche istante.
"Che interessante coincidenza! Oggi ho avuto un incontro con alcuni dirigenti della Rogers & Co, tra cui il proprietario Michael Rogers. Parlando è venuto fuori che ha una figlia che va alla Blackwell! Il mondo è un posto davvero piccolo!"
"Davvero una bizzarra coincidenza!" convenne Rose seguendo il protocollo della moglie perfetta.
Soprattutto quando vivi in uno degli stati con la densità di popolazione più bassa, pensò Rachel, ma lo tenne per sé.
"Allora..." James tornò a concentrarsi su di lei "...tu e Marisa siete amiche?"
Rachel deglutì troppo presto un boccone che le scese fastidiosamente nell’esofago.
"Non la conosco così bene..."
"Michael mi ha detto che anche lei frequenta la classe di teatro!"
Dove stava cercando di arrivare suo padre? Lo immaginava in realtà…
"Si infatti, ma all'infuori dei corsi non ci frequentiamo."
"Sarebbe bello se diventaste amiche." affermò James.
"Non credo che abbiamo molto in comune..." commentò Rachel ingoiando il groppo in gola con un sorso d'acqua.
"Come fai a dirlo se non la conosci bene?"
Rachel scrollò le spalle: "Ci sono cose che si sanno a pelle immagino... e poi io sono Leone e lei è Vergine. Potremmo ucciderci a vicenda!"
Rose sorrise alla battuta astrologica di Rachel, ma James non aveva finito. Si concesse un sorriso di circostanza e proseguì.
"Speriamo di non avere Saturno contro allora... Michael ci ha invitati a cena a casa sua venerdì. Sarebbe un'ottima occasione per legare!"
Rachel appoggiò rumorosamente le posate al piatto e piantò uno sguardo incredulo su suo padre.
"Davvero?" le sfuggì un tono di protesta più accorato del previsto.
"E' un problema?" chiese James pacatamente.
E quegli occhi grigi si strinsero, divennero freddi come la roccia di uno scoglio, si piantarono nelle iridi fiammeggianti di Rachel, che improvvisamente ebbe di nuovo 5 anni. Una morsa le strinse lo stomaco.
"No..." Rachel si tappò la bocca con un boccone, che masticò a lungo.
Non ascoltò oltre le parole di suo padre, che continuò a raccontare quante persone interessanti (e ricche) stesse incontrando da quando si era candidato. Non era certo la prima volta che James si comportava così. Questo genere di... come definirli... "calde indicazioni" su chi frequentare erano diventate una normalità alle medie e Rachel ai tempi non ci aveva fatto troppo caso. Ma ora che era al Liceo, con il fermo desiderio di trovare la sua strada, suonavano fastidiose. Forse lo erano sempre state.
 
Ed ora, con gli occhi che riflettevano centinaia di abeti secolari, Rachel non riusciva a evitare la consapevolezza che anche quel giro in macchina era motivato da una richiesta di suo padre, questa volta rivolta a Rose.
In qualità di moglie del candidato, sua madre doveva incarnare un'ideale di perfezione, bontà e dedizione alla comunità. Quale modo migliore se non dedicare i suoi sforzi ad un'organizzazione benefica? Non che Rose non fosse già molto impegnata, dato che era nel direttivo del Museo d'Arte di Portland e sosteneva da anni attivamente diverse associazioni per la conservazione del territorio e dei beni culturali. Ma James voleva che Rose facesse qualcosa di specifico per la Contea di Tillamook, così aveva insistito perché partecipasse ad uno dei numerosi progetti benefici della Prescott Foundation. Rachel non sapeva molto di loro, ma aveva letto un articolo su internet in cui si parlava di un conflitto fra la Native American Cultural Association of Oregon e la Prescott Foundation a causa di un progetto di ‘valorizzazione del territorio’ chiamato Pan Estate.
“Da quel che ho letto, pare che i Prescott vogliano costruire dei resort di lusso distruggendo un parco nazionale…” spiegò Rachel.
“La situazione è più complessa di come la fanno i blogger di internet, Rachel. I Prescott sono una famiglia che vive ad Arcadia Bay da generazioni ed hanno costruito la loro fortuna legalmente e con fatica.” Replicò James.
“Sarà, ma anch’io non sono molto convinta” si aggiunse Rose “Ho letto che i Prescott stanno rilevando molte aziende e attività fallite a causa della crisi. Mi sembrano piuttosto privi di scrupoli…”
“Beh…” il tono di James tradì una certa irritazione “… a maggior ragione se pensi non siano affidabili dovresti lavorare per loro e tenerli d’occhio.”
“Ci tieni molto vero?” provocò Rose, socchiudendo gli occhi con aria indagatrice.
“Ovviamente sei libera di fare come ritieni giusto, cara. Penso solo che sarebbe una buona idea impegnarsi tutti insieme per la comunità…”
“Devo fare qualcosa anch’io?” si intromise Rachel.
“Lavorare sul tuo curriculum scolastico!” le sorrise James
Rachel trattenne uno sbuffo. Ricambiò, invece, il sorriso: "Ho un’idea!” si rivolse a Rose “Potremmo andare a visitare una delle sedi della NACAO! So che ce n’è una vicino a Idaville.”
“E perché mai?” sbottò James.
“Beh… non bisogna escludere nessuna possibilità giusto?”
“Mi sembra un’ottima idea tesoro!” replicò Rose prima che James potesse dire qualcosa.
L’uomo guardò la figlia e la moglie con occhi sgomenti.
Era accerchiato.
“Non è una buona idea. La NACAO e i Prescott non sono in buoni rapporti.”
"Ho un master in Relazioni con Istituzioni ed Enti Privati. Potrei addirittura mediare tra le due parti” il tono conciliante di Rose spiazzò James e la donna fece l’occhiolino a Rachel, che sorrise di rimando.
L’uomo si arrese…
 
Ed eccole in macchina.
 
Sulla destra apparve un cartello:
Native American Cultural Association of Oregon
“Ci siamo!” annunciò Rose seguendo imboccando la svolta che condusse ad un parcheggio immerso nei boschi. La loro Volvo stonava decisamente in mezzo ai pochi e rustici veicoli disposti alla bell’e meglio all’interno di uno steccato logoro. Un totem colorato e dall’aspetto nuovo vegliava sull’entrata del parcheggio. Le due donne scesero dall’auto e furono immediatamente avvicinate da un individuo dai lunghi capelli grigi raccolti in una coda che sembrava aspettarle. Il suo fisico corpulento era avvolto in abiti comodi e impolverati, la testa coperta da un cappello verde degli Oregon Ducks.
“Lei deve essere John Baker, vero? Ci siamo sentiti al telefono un giorno fa.” Esordì Rose offrendo una stretta di mano.
“In persona!” l’uomo la salutò con una presa ruvida ma gentile “Lei invece deve essere Rose Amber! Sono felice che abbia voluto passare a trovarci!”
“Mia figlia Rachel mi ha raccontato molto delle vostre attività per la conservazione del territorio e della cultura nativa nella Contea…” Rose le fece spazio e la presentò a John.
“Felicissimo che le giovani generazioni abbiano a cuore le nostre battaglie!” le sorrise l’uomo con le sue guance piene e rugose. Rachel notò una penna di corvo appuntata nel tessuto del cappello. Una vaga inquietudine le percorse la spina dorsale così rapida che a stento se ne accorse.
“Amo la cultura Nativa da quando so che esiste!” affermò Rachel con occhi luminosi.
I tre si diressero a passo lento verso un caseggiato che aveva tutta l’aria di un ranch. Cartelli affissi nei pressi delle porte indicavano la destinazione di ciascuna ala dell’edificio principale, c’erano gli uffici amministrativi, un negozio di souvenir, un piccolo museo, una riproduzione di una capanna Salishan nel centro del piccolo complesso, mentre un lungo edificio più in là, spiegò John, era casa sua, della sua famiglia e di altri ragazzi che lavoravano stagionalmente.
“Di solito qui è un po’ più trafficato, ma c’è stato vento e sono quasi tutti a controllare i sentieri!” disse John tentando di spiegare l’apparenza deserta del luogo.
“Sentieri?” domandò Rose
“Si, in questa zona ci sono delle aree archeologiche e alcuni vecchi percorsi. Da quando abbiamo comprato la terra abbiamo ripristinato i più vecchi e creato di nuovi per poter mostrare direttamente ai visitatori come e dove vivevano i nostri antenati.”
Rachel trovava particolarmente romantico che questo piccolo gruppo di persone si opponesse a colossi come la Prescott Foundation, armati solo di determinazione e valori. Sentivano così forte il legame con il loro retaggio che erano pronti a combattere per proteggerlo e valorizzarlo. Voleva qualcosa in cui credere con altrettanta forza.
“Hey Rachel!” disse John mentre si erano ormai avvicinati alla porta dell’amministrazione “ti andrebbe di fare un giro della zona? Posso chiedere a mia figlia di farti da guida!”
“Sarebbe meraviglioso!” guardò Rose con sguardo implorante.
“Va bene! Io e John abbiamo comunque dei discorsi noiosi da fare!”
John digitò un messaggio sul suo logoro cellulare e di lì a poco una ragazza dalla pelle olivastra con lunghi capelli neri raccolti in una singola treccia corse verso di loro. Indossava una camicia a quadri azzurra piena di chiazze di terriccio, sotto la quale svettava l’immagine di un variopinto pappagallo disegnato sulla maglietta. Dalle orecchie pendeva un paio di orecchini di piume blu.
“Eccoti! Dov’eri finita?” le chiese John.
“Ah da nessuna parte…” agitò una mano Ruth mentre riprendeva fiato “normale amministrazione boschiva,  stavo liberando il sentiero 2b con Isaac. C’era un tronco dannatamente pesante così ho preso l’ascia dal capanno per spaccarlo, poi però non mi sembrava il caso di accogliere gli ospiti con un’arma in pugno, così sono andata a rimetterla a posto… ed eccomi qui!”
“Grazie dell’esaustiva spiegazione!” John le diede una dolce pacca sulla spalla sghignazzando.
Fatte le presentazioni, John e Rose varcarono la porta, mentre Ruth e Rachel iniziarono il giro del complesso.
“Come mai da queste parti, Rachel?” le chiese la ragazza. I suoi occhi quasi neri erano così profondi che Rachel avrebbe potuto smarrirsi, mentre il suo tono allegro era come il canto di un uccello.
“Ho convinto mia madre a interessarsi delle attività della NACAO. Mio padre si candida a Procuratore, così ho pensato che avere un pezzo grosso dalla vostra avrebbe potuto aiutare le vostre battaglie!” spiegò candidamente Rachel.
Ruth sgranò gli occhi: “Ma davvero?” scoppiò a ridere “Ti farò evitare le parti più accidentate del percorso allora. Non vorrei mai che il nuovo Procuratore ci faccia causa perché gli abbiamo storpiato la figlia…”
Rachel sghignazzò: “Ho già fatto escursioni e scalate, me la cavo sul terreno accidentato!”
“Questo è lo spirito giusto! Scout?”
Rachel annuì.
“Anch’io ero una Coccinella, ma non è durata molto! Ho seguito il training da indiani!” si batté una mano sul petto.
Le due ragazze si incamminarono nei boschi, seguendo uno stretto sentiero battuto che in alcuni punti sembrava svanire nel sottobosco, segnalato solo da strisce di vernice su alcuni alberi e pietre. L’odore del terriccio, gli aghi di pino sotto le scarpe, il cinguettare di uccelli sconosciuti tutt’intorno, fruscii e rapidi passi di qualche animale misterioso avvolgevano la percezione di Rachel. I boschi esercitarono il loro influsso su di lei, avvolgendola in un abbraccio di pace. Ruth inserì nella loro conversazione delle randomiche informazioni su alcune aree di scavo che videro nel sottobosco, sulle tribù che vivevano da quelle parti secoli prima e da cui discendeva, per poi tornare con naturalezza alle loro chiacchiere!
“Hai detto che vivi ad Arcadia Bay?” disse Ruth.
“Si purtroppo…”
“Perché purtroppo?”
“La mia famiglia si è trasferita qui dalla California. Io ero piccola, mi ricordo poco, però mi manca lo stesso. È strano vero?”
“Per niente! Anche se i ricordi sono sepolti non vuol dire che non ci siano. Però Arcadia Bay non è del tutto da buttare! Certo, se non consideri la puzza di pesce del porto e dei pescatori, l’assenza di vita notturna, il semi-analfabetismo di buona parte degli abitanti…”
Rachel sghignazzò: “Dovresti scrivere una brochure per turisti!”
“Pfft! Beh, a volte per trovare l’oro bisogna scavare un bel po’! I boschi intorno alla città sono luoghi incantati, la spiaggia è un luogo magico e il faro… sei mai stata al faro?”
“Un paio di volte con i miei genitori, ma ero piccola…”
“Dovresti tornarci. La vista da lassù è... indescrivibile! Quattro anni alla Blackwell mi hanno permesso di esplorare a fondo quella cittadina e scoprirne i segreti…” disse Ruth con un tono artificiosamente misterioso.
“Hai studiato alla Blackwell??”
“Mi sono diplomata l’anno scorso. Studi lì anche tu?”
“Si, è il mio primo anno. Ha una bella atmosfera, le classi sono attrezzate e i professori sono davvero preparati!” decise di omettere la parte sulla puzza di snobismo densa e pungente.
“Sul serio??” la ragazza sgranò gli occhi. Le piume blu ondeggiarono elegantemente e Rachel non poté evitare di fissarle. “Conosci il professor Keaton?”
“Certo che lo conosco! È uno dei miei preferiti!” Rachel si fermò in mezzo al sentiero, piena di quella felice sensazione che si prova quando si scopre di avere molto in comune con una persona che si stima.
“Solo i cretini non lo apprezzano!” disse Ruth “Ti direi di ascoltarlo con attenzione, ma vedo che non ce n’è bisogno!”
“Ma… se ti sei diplomata l’anno scorso, come mai non sei al college?” chiese Rachel.
“Ho deciso di prendermi un anno sabbatico. Poi papà ha bisogno d’aiuto qui. I prossimi anni rischiano di essere incasinati…”
“Per colpa dei Prescott?” chiese Rachel.
Ruth annuì.
“Già. L’economia mondiale va a rotoli, ma quelli come loro sono immuni. Anzi, si stanno arricchendo sulle disgrazie altrui. Vogliono abbattere ettari di foresta solo per costruire residenze di lusso per i colletti bianchi. La NACAO è piuttosto grande, ma ci sono problemi simili in tutto l’Oregon. Siamo da soli a occuparci di questa zona…”
“È triste.”
“Già. Ma siamo combattenti. Non ci arrendiamo mai!”
Rachel sorrise.
Mentre camminavano, di tanto in tanto Rachel scrutava Ruth, cercando di carpire un po’ di quell’energia che emanava. In parte era una questione puramente fisica, il corpo di Rachel non aveva ancora sviluppato pienamente le sue curve ed osservava con un pizzico di invidia la tonica femminilità di Ruth. Ma c’era di più. Quella ragazza era l’immagine vivente di come Rachel sperava di essere a diciott’anni: diplomata, bellissima e idealista. 
Proseguirono il cammino fino a raggiungere una radura che portava ad uno sperone roccioso, oltre il quale il terreno digradava a strapiombo per farsi sempre più dolce fino alla riva del Kilchis. Ovunque Rachel guardasse vedeva soltanto boschi. Prese un profondo respiro e spalancò le braccia come per avvolgere il panorama in un abbraccio.
“Whooooooooooooooooooooooooooohoooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!” Ruth proruppe in un grido esultante che fece trasalire Rachel. Le due si fissarono e risero, prima che Rachel la imitasse. L’eco della sua voce riempì l’aria per alcuni secondi.
“E’ fantastico qui…” commentò Ruth.
“Già…” Rachel si ritrovò nuovamente a fissare Ruth, i cui orecchini erano mossi dalla brezza occidentale. Ruth si accorse di quello sguardo prolungato e sorrise, vagamente in imbarazzo.
“Ti piacciono?”
“Cosa?”
“I miei orecchini…”
“Oh… si! Sono bellissimi! Ma quelle piume sono vere? Non ho mai visto un uccello così… blu!”
Ruth scoppiò a ridere.  “Sono verissime. Appartengono a una Ghiandaia Azzurra. Da piccola mi dissero che il mio spirito guida è la Ghiandaia, così mia madre me li regalò per il mio compleanno.”
“Spirito guida?” chiese Rachel
“Ognuno di noi ha uno Spirito affine che ci indica la strada da percorrere e ci protegge. Tipo angelo custode, ma più cool!” sorrise Ruth.
“Come si fa a capire qual è il proprio Spirito?”
“Dipende… va un po’ a intuito immagino!” la ragazza si strinse nelle spalle “Mio nonno materno era un uomo-medicina, probabilmente te l’avrebbe saputo spiegare. L’unica cosa che ho capito è che gli Spiriti si presentano sempre in forma animale e se c’è un animale che noti spesso o per cui provi un forte amore o odio è probabile che quello sia il tuo Spirito…”
“Amore o odio?”
“Si, beh… qualunque sentimento molto forte. Lo Spirito rappresenta noi stessi e alcuni non si piacciono!”
Rachel iniziò a scandagliare la sua memoria alla ricerca di qualche animale che avesse visto spesso o per cui nutrisse qualche particolare sentimento.
“Potrebbe essere il leone?” chiese Rachel
“Incontri spesso leoni da queste parti?” scherzò Ruth.
“Pfft! È il mio segno zodiacale, l’ho sempre trovato parecchio figo! Mi ci rivedo!” spiegò Rachel.
“Sono due cose diverse, gli Spiriti sono esseri con cui abbiamo un legame, il segno è come un tipo psicologico. Conosci l’Enneagramma?”
Rachel inarcò un sopracciglio e scosse il capo.
“E’ un simbolo antico, uno schema composto da nove angoli, ognuno dei quali rappresenta un preciso tipo psicologico. Ho un libro che spiega come capire il proprio Tipo e tante altre cose! Ma stiamo divagando!” sghignazzò Ruth!
“Queste cose mi intrigano! Conosco l’astrologia perché ho sempre amato le stelle, da piccola conoscevo quasi tutte le costellazioni. È grazie a loro che ho scoperto lo Zodiaco. Il fatto che le stelle, antichi simboli o Spiriti possano dirci qualcosa su chi siamo mi affascina!” spiegò Rachel a ruota libera.
“Anche a me!” Ruth le sorrise con uno sguardo complicità.
“Un’altra cosa che abbiamo in comune sembra!” commentò Rachel. Trascorse qualche attimo di silenzio prima che riprendesse: “Ma… la Ghiandaia Azzurra che cosa fa? Voglio dire… che caratteristiche ha come Spirito?” chiese Rachel.
Ruth iniziò a giocherellare con il lobo dell’orecchio destro, facendo ondeggiare la piuma blu.
“La Ghiandaia è un trickster, quindi è molto intelligente e scaltra, ma anche impulsiva e imprudente. Le piace scherzare e preferisce usare l’astuzia e l’ingegno per risolvere i problemi… mia madre una volta mi raccontò una storia sulla Ghiandaia…” Ruth sembrò voler continuare, poi il suo sguardo si perse da qualche parte e lasciò calare il silenzio.
“Mi piacerebbe sentirla…” incalzò educatamente Rachel.
Ruth parve scuotersi e le sorrise.
“Sappi che non sono brava a raccontare storie…”
“Adoro ascoltarti!” confessò Rachel.
“Oh… wow! Grazie!” Ruth si imbarazzò per un momento, poi sospirò e si ricompose “Va bene… dunque.” Si schiarì la voce e provò a impostare il tono in modo solenne:
“Molto tempo fa, il padre della Ghiandaia Azzurra decise di darla in sposa ad un uomo forte e sano. Così arrivarono giovani da ogni tribù per corteggiarla, ma erano troppi e cominciò a preoccuparsi. Decise di metterli alla prova con una gara, per selezionare il più adatto. L’uomo con le gambe più forti avrebbe sposato sua figlia…” Ruth fece una pausa, come se volesse sottolineare la stranezza di quel parametro di giudizio. Sorrise, scrollò le spalle e continuò: “Il Coyote era furbo e il corridore più rapido. Vinse la gara di corsa e si vantò delle sue zampe lunghe e veloci. Poi arrivò il Cervo, che riuscì a superare il grande fiume con un solo balzo, vantandosi di quanto fossero potenti le sue gambe, anche se non erano le più veloci. Infine, arrivò l’Orso che superò tutti in una gara di lotta. Alzandosi in piedi mostrò che nessuno poteva spostarlo grazie alle sue gambe possenti. Così il padre della Ghiandaia scelse lui, perché era un grande guerriero.
La Ghiandaia, però, si oppose, dicendo che bisognava valutare altri candidati. Suo padre acconsentì, così altri pretendenti si misero in mostra. Mentre tutti erano impegnati a mostrare e osservare le gambe, la Ghiandaia si travestì, con delle bacche tinse le sue piume di rosso e con dei tronchi cavi ricoperti di fango si creò dei gambali che fecero apparire le sue gambe ancora più possenti di quelle dell’Orso…”
Rachel pendeva dalle sue labbra.
“La Ghiandaia travestita allora si presentò come pretendente, mostrò le sue gambe e tutti si stupirono, anche l’Orso. Siccome grazie ai tronchi sembrava avere delle gambe lunghissime e fortissime, volle dimostrare di saper guadare il fiume a piedi, senza dover saltare e dimostrandosi così forte da resistere alla sua corrente. Iniziò quindi a camminare, riusciva a toccare il fondo e raggiunse a piedi la metà del fiume sotto lo sguardo attonito di tutti.
Accadde, però, un imprevisto…
L’acqua iniziò a sciogliere il fango e il muschio che la Ghiandaia aveva usato per costruirsi le protesi. I tronchi alla fine si staccarono, il colore delle sue piume fu lavato via, rivelando a tutti la sua vera identità. Così, tra le risate di tutti, la Ghiandaia fu tratta in salvo e data in sposa all’Orso!”
Rachel attese qualche momento che Ruth continuasse. Invano!
“Finisce così??” un pizzico di delusione attraversò il suo tono.
“Eh già…” Ruth si grattò la testa “Te l’ho detto che non sono brava a raccontare le storie…”
“Non è questo… è che… che cosa dovrebbe significare?” sghignazzò Rachel confusa.
Ruth fece spallucce: “Non ne ho la più pallida idea!” scoppiò a ridere “Forse… che a volte essere furbi non basta!”
“Oppure che se vuoi barare è meglio pensare a piani migliori!” offrì Rachel ridacchiando.
“Anche! ‘Se non bari non ci stai provando davvero!’ o qualcosa del genere…” concesse ridacchiando Ruth, tornando a perdersi nel panorama.
Un comodo silenzio scese su entrambe. Erano i momenti in cui Rachel dimenticava ogni cosa, lasciandosi assorbire dalla natura incontaminata, l’anima cullata dal fruscio di migliaia di rami, il cinguettio di uccelli nascosti e il profumo di resina che stuzzicava le narici. Metà cuore rivolto all’oceano Pacifico, metà ai boschi dell’Oregon.
Ruth le lanciò uno sguardo e sorrise. Iniziò a togliersi gli orecchini. Rachel se ne accorse e la guardò incuriosita.
“Che fai?”
“Voglio farti un regalo…” Ruth glieli porse.
“No… davvero non posso accettare!” Rachel sollevò le mani e fece un passo indietro, del tutto spiazzata.
“Certo che puoi! Ho visto che continui a guardarli e penso proprio che ti starebbero benissimo! Inoltre…” fece una pausa e sul volto le apparve un’espressione solenne “Penso che fossero destinati a te… sento che una Ghiandaia Azzurra sta per entrare nella tua vita…” fece uno strano gesto con la mano davanti a sé. Rachel si fece improvvisamente seria e fissò Ruth negli occhi, quegli occhi scuri e profondi che la fissavano, come se scrutasse nella sua anima…
Finché la ragazza scoppiò a ridere con una pernacchia!
“Che faccia che hai fatto! Dai un po’ di misticismo da INDIANI ci voleva!!”
Rachel le schiaffeggiò il braccio e si unì all’ilarità: “Me la sono bevuta!!”
“Ho notato!” Ruth si ricompose “No, la verità è che te li meriti! Non capita tutti i giorni di incontrare una ragazza come te.”
“E come sono?”
Ruth si fece meditabonda per un istante: “Tu sei… qui! Intendo che ascolti e osservi veramente. Nel tuo sguardo e nei tuoi gesti c’è la meraviglia e la curiosità. La maggior parte delle persone si lascia schiacciare dalla vita, smette di sognare, di desiderare, di credere. Purtroppo molti tuoi coetanei sono già su quella strada, ma tu no. Hai un cuore luminoso, cerca di non perderlo mai…” tese verso di lei la mano contenente le due piume blu.
“G-Grazie Ruth…” disse Rachel stupefatta. Prese i due orecchini come fossero reliquie. Li provò immediatamente, indossandoli si sentì veramente cool!
“Stanno molto meglio a te che a me!” concluse Ruth.
“Non è vero! Sono un regalo splendido! Grazie ancora! Sei fantastica, la guida migliore!” Rachel era al settimo cielo.
“Così ti ricorderai di oggi!” ammiccò Ruth “Dai, si sta facendo tardi, è meglio se ti riporto da tua madre prima che pensi che ti ho sequestrata!”
“Ok! Potremmo scambiarci il numero?” chiese Rachel.
“Certamente!”
 
Il giorno dopo, a scuola, Rachel sfoggiò i suoi nuovi orecchini per la prima volta.
Nei corridoi della Blackwell incrociò di sfuggita una triste ragazza dai capelli lunghi e biondi, che Skip accompagnava in presidenza.
L’aveva vista solo alcune volte, frequentavano insieme Chimica con la professoressa Grant.
Era la ragazza che Marisa Rogers tormentava per come si vestiva e che di tutta risposta le aveva quasi dato fuoco durante la lezione!
Quel giorno Rachel aveva trattenuto a stento le risate.
Si chiese come mai fosse così infelice.
Solo tempo dopo scoprì il perché.


-
 
Marisa
  • Buonasera Rachel!
Rachel
  • Buonasera a te Marisa! 😊
Marisa
  • Volevo solo dirti che la chiacchierata di oggi a pranzo è stata davvero piacevole! Dovremmo rifarlo!
Rachel
  • Ne sarei felice!
Marisa
  • Quelle come noi dovrebbero fare gruppo non mescolarsi con gente… troppo diversa
  • Se capisci cosa intendo.
Rachel
  • Capisco il tuo punto di vista
  • Però frequentare persone diverse da noi può essere uno stimolo
  • Gli amici si scoprono nei posti più inaspettati! 😊
Marisa
  • Sei così Cali!!
  • È adorabile!
  • Non sono sicura che qui in Oregon le cose funzionino nello stesso modo…
Rachel
  • Vivo ad Arcadia Bay da quando avevo otto anni
  • Sono un’indigena ormai…
Marisa
  • Mi auguro davvero di no!
Rachel
  • XD
  • È ora di dormire.
  • Domani test di Inglese…
Marisa
  • Io ce l’ho giovedì
  • Dannata Hoida… secondo me corre troppo col programma
Rachel
  • Già, in questa dannata scuola pretendono tutti troppo!
Marisa
  • Non parlarmene
  • Beh… in bocca al lupo!
Rachel
  • Crepi!
 
Cristo….
Rachel depose il cellulare sul comodino sbuffando.
Marisa Rogers era vera o si trattava di una strana allucinazione collettiva?
Dopo quella stranissima cena nella magione Rogers a Portland, Rachel aveva iniziato a passare alcuni pranzi seduta al tavolo con Marisa e le sue due amiche Kelly e Sarah. In genere preferiva la compagnia di Steph o di un’altra ragazza che aveva conosciuto da poco: Megan Weaver. Questa era una ragazza dai lunghi capelli castano scuro, vestiva sempre con composti maglioncini e camicette, gonne mai sopra il ginocchio, un libro sempre in mano. Rachel l’aveva avvistata alcune volte mentre leggeva da sola all’ombra degli alberi del campus o a pranzo. Quando si presentarono, Megan aveva con sé I Fratelli Karamazov. Rachel sorrise leggendo quel titolo. Lo aveva letto l’anno prima e le era piaciuto, anche se Dostoevskj era un po’ più cupo di quanto fosse tollerabile. Quel libro aveva dato loro un primo spunto di conversazione, che si era poi articolata fino ad arrivare inspiegabilmente a parlare di viaggi nel tempo e Doctor Who. Megan rimase inorridita nello scoprire che Rachel non lo conosceva, così si organizzarono per rimediare. Inoltre, Rachel la trovava un’ottima compagna di studio. Era il tipo di compagnia che le era sempre mancata alle medie.
Tuttavia, di tanto in tanto doveva concedersi a Marisa Rogers. Da come si comportava non sembrava avere simpatia per Rachel, ma era piuttosto sicura che Marisa avesse ricevuto da suo padre un discorso simile al suo. Rachel si chiedeva perché i loro genitori ci tenessero così tanto che andassero d’accordo. Politica?
Ripensò alla conversazione che aveva avuto con lei diverse ore prima a pranzo, alla caffetteria della Blackwell.
“Adoro il tuo braccialetto! Dove l’hai comprato?” chiese Marisa con un tono platealmente entusiasta appena Rachel si fu seduta. Sembrava un esame, con Marisa, Sarah e Kelly da un lato del tavolo e Rachel dall’altro.
“Non l’ho comprato. Ce l’ho da sempre, non ricordo nemmeno come l’ho avuto!” sorrise Rachel.
“Oh! Che cosa interessante!” la condiscendenza di Marisa era così artificiosa che Rachel si chiese se lo facesse apposta o fosse solo una pessima attrice. Non era così male quando lavorava da Keaton dopotutto. Rachel la squadrò da cima a fondo, sapeva che in quel genere di interazioni il protocollo richiedeva di ricambiare i complimenti ricevuti.
“Tu invece dovrai assolutamente dirmi chi è il tuo parrucchiere! Adoro il tuo taglio!” Rachel imitò perfettamente il tono di Marisa, che accolse felicemente il complimento.
“Oh, grazie! Sei troppo gentile. È un peccato che non abbiamo mai l’occasione di passare un po’ di tempo insieme!”
Chissà perché??
“Già! Questa scuola è davvero impegnativa! Mi chiedo quando potremo vivere un po’ la nostra adolescenza!” si lamentò Rachel. Anche se tutta quella conversazione era pura aria fritta, si divertiva tantissimo! Riuscire a calarsi così bene nella parte della Barbie le dava una gradevole sensazione di superficialità, come mangiare una ciambella. Sai bene che ti fa male, ma è così grossolanamente dolce che la ingurgiti senza pensarci. Una parte di Rachel si strappava i capelli urlando, ma non le importava. A volte bisogna concedersi un po’ di zucchero raffinato!
Si, anche se era incarnato da Marisa Rogers.
“Quanto hai ragione! Non ti facevo così cool. Sai, con quelle magliette di band rock e le camicie a quadri… pensavo fossi una specie di piantagrane…”
Frecciatina!
“Infatti lo sono!” Rachel ammiccò e Marisa rispose con una risatina di circostanza. Era divertente notare come le sue due amiche continuassero a rimanere in silenzio, come se aspettassero il permesso di parlare. Doveva essere una specie di dinamica del branco, in cui Marisa afferma la sua autorità o roba del genere… Rachel non capiva, ma non le serviva capire.
Seguiva il flusso e basta.
“Beh, non vedo l’ora che arrivi la prossima lezione con il professor Keaton. Sembri molto brava, ma anch’io ho un grande talento. Sarà divertente scoprire chi sarà la migliore delle due al corso, non credi?”
Quello era il punto. Era sempre quello. Competizione. Rachel sorrise, ma dentro di sé era scoppiata a ridere. Le sembrava di essere stata risucchiata nel film Mean Girls.
“Non credo sia quello lo scopo del teatro sai?” provocò Rachel.
“Forse no, ma è lo scopo della scuola.” Finalmente un sano, vero, tono di sfida.
“Beh, allora staremo a vedere!” assecondò Rachel. Non le importava niente in realtà, ma non poteva sottrarsi.
“Molto bene!” Regina… ehm… Marisa offrì una stretta di mano a Rachel, che la accettò.
La conversazione proseguì in modo piacevolmente superficiale e finalmente anche Kelly e Sarah aprirono bocca, complimentandosi con lei per i bellissimi orecchini di piume blu.
Quando più tardi incontrò Steph e Megan passarono ore a ridere di loro.
 
-
 
Rachel
  • Hey Megan!
Megan
  • Hey Rachel! 😊
Rachel
  • Tardis Night stasera???
Megan
  • Sei una drogata.
  • Peggio di me!
Rachel
  • Colpa tua!
  • Non dovevi farmi conoscere Doctor Who!
Megan
  • A che puntata siamo?
Rachel
  • Forse Blink?
Megan
  • Oh merda…
Rachel
  • Perché?
Megan
  • Mi fa venire gli incubi quella puntata…
Rachel
  • Già mi piace!! XD
  • Tranquilla, ti proteggo io!ù
  • Quindi era un si???
  • Allora?
Megan
  • Probabilmente dovremmo studiare un po’ per Chimica.
  • Ricordi? Il test…
Rachel
  • Una cosa non esclude l’altra.
Megan
  • Hai distrutto i miei ritmi circadiani lo sai?
Rachel
  • E nonostante questo hai presto A in algebra!
  • Non sottovalutare il nostro corpo adolescente!
Megan
  • Uff…
  • Hai vinto!
  • Se vogliamo davvero ripassare vieni alle 18 ok?
  • Mia nonna sarà felice di ingozzarti di tartine!
Rachel
  • Certo che vogliamo ripassare!
  • A dopo xoxoxoxo
  • PS. Mmmmh… tartine….. *faccia di Homer che sbava*
Megan
  • 😊
  • Ah! Ti è piaciuto Il Ritratto di Dorian Gray?
Rachel
  • Ehm…
Megan
  • È un no?
Rachel
  • È un Ni.
  • In realtà mi piace, ma faccio fatica a seguirlo. I dialoghi sono molto lenti, ognuno parla per intere pagine. Sono a metà comunque, posso tenerlo ancora un po’?
Megan
  • Certo!
  • Dagli una chance!
Rachel
  • Lo sto facendo! 😊
  • A dopo!!!! <3
 
-
 
Steph
  • Hey!
Rachel
  • Miss Gingrich??
Steph
  • XD
  • No ti prego… Keaton no!!
Rachel
  • Adoro che ci chiami per cognome!
  • Fa così tanto Attimo Fuggente!!
Steph
  • Carpe Diem!!
Rachel
  • La cosa bella di te è che posso citare qualsiasi film o serie e so che li hai visti.
Steph
  • Tranne Doctor Who…
Rachel
  • Ah giusto…
  • Non capisco proprio perché non ti piaccia.
Steph
  • È una di quelle serie infinite…
  • Anzi è LA serie infinita!
  • Preferisco storie che abbiano un inizio e una fine.
Rachel
  • Buon punto!
  • Sai che l’invito alle Tardis Night comunque è sempre valido. <3
Steph
  • Lo so! Giuro che mi farò viva prima o poi! XD
  • Comunque volevo dirti che ho buttato giù qualche idea per il tuo costume di Halloween.
  • Domani a pranzo ti faccio vedere
Rachel
  • Sei fantastica!
  • Non so come sdebitarmi!
Steph
  • Per così poco.
  • Chiedere ad un disegnatore di disegnare è quasi un favore! :D
Rachel
  • Mi sdebiterò comunque in qualche modo!
Steph
  • Ogni promessa è debito!
 
-
 
Rachel
  • Hey!
  • Come stai?
Megan
  • Meglio ora…
Rachel
  • Ti va di parlarne?
Megan
  • Non c’è molto da dire.
  • È più o meno sempre la solita storia.
Rachel
  • Gli amici servono ad ascoltare
Megan
  • 😊
  • Odio che mia madre e i miei nonni litighino ogni volta.
  • Ogni mese mamma viene qui a cena e puntualmente finiscono a urlare.
  • Lei non ha digerito che mi paghino la Blackwell e che viva da loro…
  • Capisco che vorrebbe essere in grado di provvedere a me da sola ma cazzo!
  • Non dovrebbe essere felice per me?
  • Non è una cazzo di gara
  • Vorrei solo che facessero pace…
Rachel
  • Mi dispiace Meg…
  • Vuoi che passi di lì?
Megan
  • Grazie ma non serve
  • Charles mi terrà compagnia
Rachel
  • Dickens o Xavier?
Megan
  • XD
  • Dickens ovviamente! Ma apprezzo che tu abbia pensato anche al Professore!
  • Non ti facevo così nerd!
Rachel
  • Da quando sono usciti i film degli X Men sono diventati cultura di massa! XD
  • Salutami Oliver Twist!
Megan
  • Sarà fatto!
  • E grazie Rachel…
Rachel
  • <3
Megan
  • Ah! Conosci Gina Yao?
Rachel
  • Si frequenta Keaton con me
  • Perché?
Megan
  • Si può unire alle nostre Tardis Night?
  • È da un po’ che voleva riprendere DW ma da sola non le andava…
Rachel
  • Certo!
  • Nessun problema!
  • Non c’era bisogno di chiederlo comunque, più siamo meglio è 😊
Megan
  • Ok! 😊
  • Domani c’è anche lei allora!
Rachel
  • Serviranno più nachos XD
 
-
 
Era difficile non accorgersi di Armond Fisher.
Alto, capelli neri e mossi di lunghezza media, mascella squadrata, spalle larghissime. A pranzo si sedeva al tavolo degli atleti, faceva parte della squadra di nuoto e frequentava i ragazzi del Vortex Club, pur non facendone parte.
Rachel sapeva queste cose perché si era informata su di lui. Mai chiedendo esplicitamente in giro, solo aguzzando le orecchie. Lui le piaceva, in quel modo ingenuo e spontaneo in cui si sperimenta la prima vera cotta. Al viso disegnato in sezione aurea di Armond si sovrapponevano vaghi ricordi Californiani di un bagnino che la riportava a riva a bordo di una moto d'acqua. Armond era di origini canadesi, la sua pelle era quasi lattea, ma il suo sguardo... aveva il colore di un cielo plumbeo.
Un paio di volte i loro sguardi si erano incrociati e Rachel aveva sorriso istintivamente. Le labbra di Armond avevano restituito il gesto, rivelando file di denti bianchissimi e perfetti. I battiti acceleravano, le guance si accaldavano, il petto di scioglieva e vibrava, di colpo la pelle di Rachel percepiva nitidamente la stoffa dei vestiti che la accarezzava.
 
Il primo timido saluto, Rachel glielo rivolse durante una lezione di Educazione Fisica. Talvolta gli allenamenti delle Lontre si sovrapponevano alle sue ore e Rachel faticava a concentrarsi sulla voce del Prof Edwards. Il suo sguardo veniva attratto dal campo magnetico generato dai pettorali e dagli addominali perfettamente scolpiti di Armond. Al termine dell'allenamento, il ragazzo raccolse le sue cose e si diresse verso gli spogliatoi.
"Ciao!" sentì alla sua sinistra.
Si voltò e dal bordo della piscina, immersa nell'acqua, vide una minuta sirena in costume rosso fissarlo con occhi di ambra. Lei gli sorrideva e non poté fare a meno di ricambiare.
"Ciao!"
Senza dargli il tempo di aggiungere altro, Rachel si immerse completamente e partì a razzo per un'altra vasca, lasciando Armond da solo a meditare.
E meditò...
 
Il giorno dopo, durante il pranzo, Armond si avvicinò al tavolo cui sedevano Rachel, Steph e Megan.
"Hey!" la salutò.
"Ciao!" rispose lei. Megan e Steph si accorsero di lui solo in quel momento.
Ci fu un momento di silenzio, abbastanza lungo da lasciar germogliare l'imbarazzo, quando Armond riuscì finalmente a trovare un argomento.
"E' tuo?" disse indicando un libro chiuso accanto al sandwich di Rachel.
Lei annuì con un sorriso caldo, mentre le guance si erano uniformate al rosso della sua camicia a quadri.
"Il Grande Gatsby!" indagò con lo sguardo in cerca di un segnalibro che sporgesse, senza trovarlo "Ti piace?" chiese.
"Moltissimo! Ma non sono neanche a metà... non farmi spoiler!"
"Non oserei! Non pensavo che Gatsby fosse nel programma del primo anno..."
"Non lo è. Ho deciso di leggere i cento libri consigliati dalla BBC, questo è il secondo, il primo è stato il Ritratto di Dorian Gray."
"Interessante! Parlano entrambi di due libertini perennemente insoddisfatti!" scherzò Armond.
" È vero... ma come si fa a non capirli? Sono entrambi alla ricerca dell’amore, il loro problema è che lo cercano nei posti sbagliati…"
Armond sorrise, annuendo incantato dalla voce di Rachel.
"Ehm... ora devo tornare al mio tavolo, ma... ti piacerebbe prendere un caffè dopo la scuola? Bevi caffè giusto?"
"Si lo bevo e si, mi piacerebbe!" il petto di Rachel era scosso da un terremoto.
"Bene! Allora a più tardi..." disse Armond prima di allontanarsi, sotto lo sguardo attonito di Megan e Steph che rimbalzava tra lui e Rachel.
 
Da quel giorno i due cominciarono a frequentarsi.
 
-
 
L’autunno colorò le fronde degli alberi con i suoi colori infuocati. Tutto fu coperto da un tappeto di fogliame mentre i rami lentamente si spogliavano e venti freddi cominciavano a soffiare. Samuel, il bidello della Blackwell, aveva il suo da fare nel tenere puliti i vialetti della scuola. Rachel ogni tanto lo osservava da lontano, contemplando quello strano individuo. Era l’essere più innocuo del mondo, immerso in un mondo completamente suo. Un’aura di calma zen lo circondava sempre, qualunque cosa stesse facendo o non facendo. Tutti i giorni alle 14:15 si sedeva sulla stessa panchina nel cortile del dormitorio e dava da mangiare agli scoiattoli, che gli saltellavano intorno come se fosse il loro migliore amico. A Rachel quell’uomo faceva tenerezza e odiava vedere alcuni studenti più grandi prenderlo in giro. Lei allora si avvicinava e gli chiedeva se stesse bene.
“Samuel sta bene. Grazie!” rispondeva lui con voce pacata e sottile. Rachel si chiedeva se fosse la verità o se avesse sepolto ogni cattivo sentimento sotto una piatta rassegnazione.
Alla festa di Halloween sfoggiò il costume che Steph le aveva disegnato e sua madre aveva cucito con lei. Una perfetta rappresentazione della vampira Carmilla, compresa una parrucca di capelli rosso fuoco fornita da Steph, eredità di un vecchio cosplay di Vedova Nera di cui si rifiutava di parlare! L’effetto fu grandioso, che per osmosi elevò anche il semplice costume di Armond, che aveva indossato un completo nero, ingellato i capelli e indossato finti canini e cerone in una mediocre raffigurazione di Dracula. La loro relazione era diventata più profonda, uscivano insieme quasi tutti i giorni e lui ascoltava Rachel raccontare con entusiasmo dei suoi libri, delle lezioni del professor Keaton, della California. Si diedero alle danze, e quando arrivò il lento le loro labbra si incontrarono dolcemente per la prima volta.
Qualcosa non andò per il verso giusto.
Aveva immaginato quel momento, lo aveva atteso e si aspettava che sarebbe accaduto. Tutto era stato perfetto, la musica, l’atmosfera, i tempi… eppure…
Il suo cuore restò impassibile…
Si sforzò di non lasciar trapelare il suo smarrimento.
Gli regalò il suo sorriso più raggiante e disse: “Baci bene!”
La fierezza che comparve sul volto di Armond le fece dimenticare la dissonanza fra sentimenti e aspettative.
 
-
 
Mentre la scuola proseguiva con la sua routine, la campagna elettorale di James Amber entrò nel vivo.
Il giorno del Ringraziamento la casa si riempì di estranei. Suo padre organizzò una grande festa, pagò una ditta di catering e fece sistemare un lungo tavolo in giardino. Rose lo aiutò senza battere ciglio, mentre Rachel assisteva dalla finestra della sua stanza in preda allo stupore. Il Ringraziamento era sempre stata un’occasione per stare in famiglia, solo loro tre e qualche volta i nonni o gli zii in visita.
Non quella volta.
Rachel osservò il viale davanti casa riempirsi di Mercedes, Audi e altre macchine lussuose dai colori scuri, da cui scesero diversi uomini in completi formali cuciti su misura. Osservò suo padre accoglierli uno ad uno, rivolgere loro sorrisi e strette di mano, fare complimenti e informarsi sulla salute del padre del giudice Mitchell, o sui risultati accademici del figlio del signor Lawson. Arrivò anche Michael Rogers con moglie e figlia. Una morsa di disappunto si aggrappò allo stomaco di Rachel alla prospettiva di trascorrere il Ringraziamento con Marisa Rogers. Tra tutti i colletti bianchi, Rachel vide per la prima volta Sean Prescott, ma non fu l’aura di gelida arroganza che proveniva da quell’uomo a turbarla, ma la deferenza con cui lo trattò suo padre.
In mezzo a tutti quei facoltosi estranei, James sembrava una persona totalmente diversa.


Grazie alle lezioni al Drama Club, Rachel si accorse di quanto il comportamento di suo padre fosse artificiale. Anche Rose sembrava interpretare il ruolo della perfetta moglie e padrona di casa.
“Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti…”
Così anche Rachel indossò una maschera, la figlia perfetta, gentile e acuta ma non troppo, sufficientemente ingenua quanto ci si aspettava che fosse. Indossò il suo abito migliore e poi si ritirò con Marisa ed altri ragazzi ricchi provenienti da metà dell’Oregon a parlare del nulla…
Quella sera fece fatica ad addormentarsi.
Provò a messaggiare con Armond, ma non trovò ciò che cercava.


-
 
La Prescott Mansion era una strana fusione tra una villa palladiana ed un edificio minimal, immersa in un parco perfettamente curato situato nel quartiere ricco di Arcadia Bay. Il perimetro era circondato da un muro di tre metri solcato da spuntoni e sorvegliato da videocamere. Andarono con il Suv nero di James e superando i cancelli Rachel ebbe l’impressione di entrare nella reggia di un Narcos. Dopo un’accoglienza regale da parte di un manipolo di uomini perfettamente vestiti, gli Amber furono accompagnati all’interno della casa. Le pareti erano dipinte di bianco, i corrimani delle scale fatti di marmo, i mobili sembravano usciti da un museo d’antiquariato. Cornici barocche ospitavano ritratti di famiglia e vedute di Arcadia Bay. Ovunque Rachel si voltasse vedeva gruppi di persone che odoravano di soldi e potere, intorno a cui ronzavano camerieri equipaggiati con vassoi colmi di tartine e calici di vino ordinatamente disposti. Intravide anche i nonni di Megan in mezzo alla folla, anch’essi membri dell’alta società Arcadiana. Peccato non ci fosse anche Megan, almeno avrebbe avuto qualcuno con cui condividere il disagio!
Rachel, in equilibrio sui tacchi e avvolta in un vestito rosso che arrivava a sfiorarle le ginocchia, si sentiva sul set di un film per cui non aveva fatto il provino. Almeno aveva con sé i suoi orecchini di piume e un pendente tribale con un artiglio d’orso. James poteva costringerla a infiocchettarsi, ma almeno avrebbe conservato alcuni elementi totalmente suoi, qualcosa che comunicasse “Sono conciata da Barbie Cocktail Party, ma è solo un travestimento…”
“Sean!” la voce di suo padre la distolse dai suoi pensieri “Che piacere rivederti!”
James Amber si diresse verso Sean Prescott, distogliendolo da una conversazione con un uomo che Rachel aveva già visto… forse si chiamava Abraham Pace ed aveva qualcosa a che fare con il Governatore?
“James! Benvenuto nella mia umile reggia!” Sean spalancò le braccia in un gesto che poteva essere frainteso come un saluto cordiale, ma in realtà sottolineava lo sfarzo in cui stavano camminando.
Rachel notò un ragazzo più o meno della sua età che si nascondeva timidamente dietro Sean Prescott. Minuto, biondo e con lo sguardo sperduto.
Rachel pensò che se non avesse fatto pratica con il Drama Club sarebbe apparsa così anche lei.
“Ti presento mio figlio, Nathan…”
Il ragazzo fu spinto controvoglia in avanti dal padre e tese una mano timida verso James.
“Piacere signor Amber…” sussurrò. Rachel notò lo sguardo deluso negli occhi di Sean.
“Molto piacere Nathan! Tuo padre ci ha raccontato tutto di te!” disse James.
Davvero papà??
Quelle frasi di circostanza che continuava a sentire da suo padre le provocavano un’orribile sensazione.
“Mia moglie Rose e lei è mia figlia Rachel. Frequenta la Blackwell, l’anno prossimo sarete compagni di scuola!”
Mi stai combinando un’altra amicizia sincera? Come con Marisa??
Si trovò faccia a faccia con quel ragazzo biondo e spaurito che le rivolse uno sguardo in preda al panico. Lei recuperò la maschera giusta e gli sorrise.
“Molto piacere! Allora l’anno prossimo ti farò da Cicerone!”
Rachel si schiaffeggiò interiormente. La naturalezza con cui assecondava le intenzioni di suo padre la inquietava. Non che avesse qualcosa contro questo timido ragazzo appena conosciuto…
Nathan le rispose con un sorriso forzato e distolse lo sguardo.
Rachel poteva quasi sentire i suoi pensieri.
Che cazzo ci faccio qui? Quali colpe di quali fottute vite passate sto pagando? Dove sono le uscite di emergenza?
Ci si poteva rispecchiare!
Rachel attese il momento propizio in cui i rispettivi genitori non prestarono loro più nessuna attenzione, impegnati in discorsi sicuramente molto importanti per loro.
Allora agì!
Nathan si irrigidì per la sorpresa quando la mano di Rachel afferrò la sua. I loro sguardi si incrociarono e Rachel gli sorrise:
“C’è un posto qui dentro in cui possiamo nasconderci da questa gente??” gli sussurrò molto vicino all’orecchio.
Nathan ci mise alcuni secondi ad articolare una risposta coerente e Rachel glieli concesse. Non doveva avere molti contatti con le ragazze. Forse con nessuno.
“Si… so dove andare…” rispose lui e iniziò a camminare spedito liberandosi dalla presa di Rachel.
Lei lo seguì, schivando persone come in una corsa a ostacoli, finché si ritrovarono sul retro della casa, di fronte ad un’ampia piscina con angolo idromassaggio, circondata da sdraio chiuse e una da fila ordinata di abeti. A parte il robottino a forma di disco che ripuliva pigramente l’acqua clorata c’erano soltanto loro.
“Grazie!” disse Rachel.
“F-figurati…” replicò lui con un sorriso più sincero.
“Non so cosa ne pensi tu, ma non sopporto queste… ‘feste’? Hanno un nome preciso nel mondo dei super-ricchi?”
“Mio padre li chiama ‘party d’affari’…” commentò Nathan.
“Sembra appropriato… non mi sembra che ci sia molto da divertirsi…”
“Mio padre è allergico al divertimento…” il tono del ragazzo si fece ancora più amaro. Rachel doveva fare qualcosa, lui era l’unica speranza di non perdere definitivamente la ragione quella sera.
“Beh… io non lo sono e ci siamo appena auto-esclusi dal suo ‘party d’affari’!” disse allegramente.
Nathan le sorrise: “Grazie a te…”
“Ho avuto l’impressione che anche tu cercassi una via di fuga!”
“Avevi ragione…”
Calò il silenzio. Rachel iniziò a curiosare intorno alla piscina, notò alcune telecamere posizionate in punti strategici. Trasalì quando notò un’ombra semi nascosta dietro un angolo della casa, realizzando solo dopo che era uno dei bodyguard che aveva notato pattugliare la villa. Sembrava che là dentro fosse impossibile avere un po’ di privacy e iniziò a provare pietà per quel ragazzo che aveva appena conosciuto.
“Vivi davvero qui o questa in realtà è una specie di set teatrale per gli ospiti?” chiese Rachel più o meno scherzando.
“Vivo davvero qui, ma è anche un set teatrale immagino…”
“I Men in Black ci sorveglieranno tutta la sera?” chiese lei improvvisamente furtiva, indicando con un cenno sardonico l’uomo in nero dietro l’angolo.
“Temo di si… mi dispiace…”
“E di cosa? Non è colpa tua!” Rachel capì che quello non era argomento su cui poter scherzare, così tentò un’altra strada “Non credo di aver mai visto degli oggetti d’oro fuori da un museo prima di stasera…” commentò tentando disperatamente di non assecondare l’amarezza di Nathan.
“Non hai visto il wc di platino al piano di sopra…”
Rachel si fermò a fissare Nathan, che non si era mosso dalla sua posizione e continuava a guardare basso. Un lieve sorriso si formò sulle sue labbra.
“E’ uno scherzo o c’è davvero? Perché se hai davvero un cesso di platino devo vederlo. ORA!”
E per la prima volta Rachel udì la risata di Nathan. Incerta e nervosa, quasi dolorante.
“Bene! Finalmente ti ho fatto ridere!” si vantò Rachel tornando ad avvicinarsi alla piscina.
“E’ il tuo lavoro? Girare per le case di ragazzi ricchi e depressi per rallegrarli?”
“Tipo Mary Poppins!”
“Chi?”
“Non sei serio vero?”
“No!”
“Meno male!”
I due scoppiarono a ridere contemporaneamente.
La temperatura sociale si alzò finalmente di qualche grado. Si trovarono a passeggiare per il cortile Prescott, simile ad un bosco finemente curato da un battaglione di giardinieri. Nonostante tutto alcuni scoiattoli avevano trovato casa tra i rami degli alberi, uno di loro tagliò la strada alla strana coppia prima di svanire tra le fronde di un pino. Nathan era curvo, come gravato da un pesantissimo zaino, con le mani nascoste nelle tasche del completo blu scuro. Rachel invece camminava petto in fuori, guardandosi intorno con il consueto sguardo indagatore.
Nathan si sentì a suo agio per la prima volta da…
Non lo sapeva!
Rachel se ne accorse.
Lui aveva la faccia di qualcuno che finalmente respira dopo aver rischiato di affogare.
Nathan le chiese della Blackwell, di come si trovasse e Rachel fu felice di rispondere. Gli parlò del Drama Club, della gente stimolante e simpatica che conosceva.
“Sembra il paradiso da come ne parli!” disse Nathan.
“Non lo è, ci sono anche diverse teste di cazzo. Però il bello è che non sei costretto a frequentarli e se studi non avrai nessun problema con i professori!”
“Ovunque vada il mio nome è un problema…” ed ecco di nuovo l’amarezza. Rachel poteva immaginarlo. I Prescott erano temuti e odiati più o meno da tutti quelli che conosceva, anche da suo padre che sembrava fare l’impossibile per compiacere Sean.
“Non siamo il nome che portiamo Nate…”
“Forse vale per te che non sei nessuno!” la frase gli uscì molto più aggressiva di quanto volesse. Rachel lo guardò stupita e lesse rimorso sul suo viso.
“Perdonami… non volevo dire…”
“Non preoccuparti. Hai ragione, non conosco davvero la tua situazione…”
“E’ che… merda…” Nathan sembrava voler continuare, ma aveva paura. La mano destra saettò fuori dalla tasca e grattò furiosamente la nuca. Era terrorizzato, temeva che questa ragazza estranea riferisse le sue parole, che suo padre venisse a sapere ciò che avrebbe detto, che fosse tutta una messinscena contro di lui…
“Ti ascolto se vuoi parlare…” le parole di Rachel erano così accoglienti, il suo viso così caldo anche se in penombra. Nathan sentì che poteva fidarsi… forse questa volta poteva parlare… forse lei voleva davvero ascoltare.
“Mio padre gestisce ogni fottuta cosa della mia vita. La scuola che faccio, le attività extra, le persone che frequento, gli eventi sociali… decide tutto lui! Vuole che diventi il suo successore… ma non… non…”
“Non?”
“Non me ne frega un cazzo!”
Silenzio. Il cuore di Nathan batteva all’impazzata. Si guardò intorno, improvvisamente terrorizzato che un bodyguard di suo padre l’avesse sentito o che ci fossero telecamere su un albero.
Niente.
Erano davvero soltanto lui e lei?
“E di cosa ti frega?” gli chiese Rachel.
Altra domanda cui non era abituato. Nessuno gli chiedeva mai cosa volesse, di cosa gli importasse.
“Mi piace la fotografia…” disse timidamente.
“E’ una cosa bellissima! E sai cosa? Adesso DEVI mostrarmi qualche tuo lavoro!”
Nathan protestò un po’, ma si fece convincere a tornare in casa, sgattaiolare su per le scale e raggiungere la sua camera, stranamente incurante che qualcuno li vedesse. Non se la sentì di farla entrare, per come stava andando quella serata il suo cuore non avrebbe retto alla presenza di una ragazza carina nella sua stanza. Prese le foto che aveva stampato e le mostrò a Rachel. Erano strane, i colori sbiaditi, a volte in bianco e nero. Alcuni scatti raffiguravano delle reti da pesca stese al porto ad asciugare, altri di pesci caduti dalle casse dei pescatori, riversi sull’asfalto. C’erano inquadrature di cassonetti dell’immondizia, riconobbe quelli sul retro del Two Whales, c’erano anche alcuni scorci del cimitero. Erano cupe, piene di forti contrasti di luce e ombra, trasudavano una strana sensazione. Rachel era abituata a considerare le foto come ricordi, immagini che stimolavano la memoria, riportandoti a momenti felici. Quelle di Nathan erano un mondo a parte, chiuso in sé stesso. Avevano uno strano, inquietante magnetismo, come se là dentro la speranza non fosse mai esistita. Il cassonetto, la rete, le lapidi, i pesci morti sull’asfalto… esisteva solo quello. Era inquietante, triste e malinconicamente bello. Finestre sull’anima di Nathan, troppo tormentata per appartenere a qualcuno così giovane.
“Sono bellissime!” disse Rachel. Lo credeva davvero, nonostante i soggetti.
“Non è vero… lo so che son strane…” replicò quasi sottovoce Nathan.
“E che vuol dire? Hai mai visto il Giardino delle Delizie Terrene di Bosh?”
Nathan sgranò gli occhi per lo stupore.
“Certo che l’ho visto!”
“Ecco, i suoi soggetti erano più assurdi dei tuoi, ma era comunque un grande pittore. E tu puoi diventare un grande fotografo!” argomentò Rachel.
Dammi sogni…
Nathan provò una sensazione che non seppe classificare in modo chiaro.
Dammi autostima…
Felicità?
Dammi amore…
Era generico e non del tutto pertinente.
Dammi!
Il suo animo era sorpreso, diffidente e al tempo stesso riscaldato da quell’incoraggiamento, da questa ragazza che conosceva Hyeronimoys Bosh, apprezzava le sue foto e stava ancora parlando con lui dopo più di mezz’ora!
Dammi! Dammi! DAMMI!!!!
Si sentì bene, non ricordava l’ultima volta che si era sentito così a proprio agio con un altro essere vivente.
A parte sua sorella Kristine ovviamente, ma lei se n’era andata. Aveva affrontato loro padre e aveva lasciato tutto alle spalle. I doveri di famiglia, Arcadia Bay …. Anche lui…
Lo aveva lasciato solo con suo padre…
Nessuno lo avrebbe più protetto.
Nessuno lo avrebbe più capito…
Fece capolino la paura.
Ti sta prendendo per il culo…
Kristen si era stufata di averti sempre tra i piedi…
Questa tizia non è diversa…
Non vali niente, sei solo un debole…
Ti prende in giro…
Voleva solo un diversivo…
A nessuno piacciono le tue foto…
A nessuno piaci…
Non la vedrai mai più…
Non ti parlerà mai più…

Si scambiarono i numeri di cellulare e rimasero il resto della serata a parlare, questi pensieri invadenti furono sepolti sotto le risate di Rachel.
Nathan improvvisamente vide una luce. Una candelina si accese e rischiarò i toni delle sue foto successive. La Blackwell non sembrava più un destino crudele, non se c’era Rachel ad aspettarlo.
Forse, per una volta, suo padre aveva preso la decisione giusta!
 
-
 
“Gimme everything, all your heart can bring
Something good and true
I don't wanna feel blue anymore, blue
I don't wanna feel blue anymore (Blue)
Gimme, gimme”
Blue, Marina
 
*********************************
 
Le ultime foglie caddero e gli alberi scheletrici segnarono l’arrivo dell’inverno. La pioggia divenne neve, il vento graffiava le ossa. Rachel non avrebbe mai smesso di stupirsi di fronte ad una spiaggia coperta di neve. La prima volta che l’aveva vista da bambina era rimasta di sasso. Neve e oceano erano due concetti inconciliabili, prima di Arcadia Bay.
Gli esami di mid term andarono alla grande, come previsto, mentre la campagna elettorale di suo padre era ufficialmente entrata nel vivo. Rachel rimase delusa quando sua madre decise di non lavorare con NACAO, ma fu sollevata sapendo che avrebbe evitato anche i Prescott. Rose scelse invece di fare una cospicua donazione all’Arcadia Bay Homeless Fund e aggiungere del volontariato presso di loro una volta la settimana. Anche Rachel si univa a lei di tanto in tanto, servendo i pasti ai senzatetto della cittadina che sembravano aumentare di mese in mese. Rachel non era pratica di associazioni benefiche, ma immaginava che vedere regolarmente facce nuove alle mense dei poveri e in fila ai dormitori non fosse un buon segno. Intanto, James Amber si vantava della carità di sua moglie e sua figlia nel corso delle interviste trasmesse alla radio. Rachel non poteva scacciare l’idea che suo padre fosse cambiato e non riusciva a capire se sua madre notasse o meno la stessa cosa.
Era forse questa la nuova normalità? Doveva abituarsi ad un padre distante anche quando era presente? Lui l’aveva sempre fatta ridere, la ascoltava, le dava buoni consigli e si schierava sempre dalla sua parte. Ora era diventato serioso, le conversazioni si trasformavano subito in dibattiti e di fronte a un problema riusciva ad articolare complessi ragionamenti senza mai prendere nessuna posizione. Era perennemente in modalità talk show. Rachel lo diceva a sé stessa che quando fosse finita la campagna elettorale tutto sarebbe tornato alla normalità.
Ma se avesse vinto?
Rachel fantasticava sulla possibilità di boicottarlo in qualche modo, così che perdesse le elezioni e tornasse ad essere il suo vero papà…
Tuttavia, non voleva deluderlo.
Era solo un momento. Papà era sotto pressione.
Al suo posto Rachel non sapeva come si sarebbe comportata.
Doveva solo tenere duro.
Giocherellava con il suo braccialetto, ricordando qualcosa di sfocato e profumato di salsedine.
Andò avanti!
 
-
 
Passava diversi pomeriggi studiando con Megan, i mercoledì sera erano invece dedicati alle Tardis Night, che sfociavano in pigiama party a casa dei nonni di Megan, insieme a Gina e Adam Glenn, anche lui membro del Drama Club. Di tanto in tanto usciva con Steph, altre volte le toccava frequentare Marisa e la sua cricca, in modo da mantenere buoni rapporti diplomatici. Ogni tanto messaggiava con Ruth.
Più spesso, Rachel usciva con Armond. Grazie a lui Rachel ebbe accesso al mondo dei ragazzi più grandi, come Drew North. Li sentiva parlare di SAT, di prospettive universitarie e tante altre cose che per lei erano distanti ancora due anni e mezzo. Frequentava i falò in spiaggia, dove le casse collegate agli Ipod rilasciavano musica pop e hip-hop, durante i quali bevve le sue prime birre e fumò la prima canna. Grazie a dosi massicce di caffè e un’organizzazione perfetta, Armond riusciva sempre a riportarla a casa in condizioni accettabili ed entro il coprifuoco. Quella clandestinità eccitava Rachel più di ogni altra cosa. Durante una festa a casa di un certo Tyler, Rachel e Armond finirono in camera da letto. La chiave girò nella toppa, la musica e i suoni della festa si attutirono, il cuore di Rachel iniziò a rimbombarle nelle orecchie mentre le mani di Armond scorrevano sulla sua pelle, le loro labbra si incontravano e le lingue si intrecciavano.
“Vuoi divertirti come una senior?” le chiese Armond con un tono che la inquietò un po’. Rachel rimase paralizzata per un momento. Parlava del sesso? Non sapeva cosa fare, così seguì il flusso…
I vestiti caddero sul pavimento uno ad uno. Il ragazzo fu attento a non farle male. Rachel perse la verginità mentre fuori dalla finestra nevicava. Immaginava di dover essere felice. Non lo fu. Credeva che avrebbe dovuto provare qualcosa, ma il suo cuore era pietrificato.
Non ne parlò con nessuno!
 
-
 
Verso Natale, apparve sull’Arcadia Bay Beacon un’intervista in cui James parlava del suo programma in caso di elezione. Indicò Rachel come un modello per i giovani, una ragazza sobria, studiosa, rispettosa…
Se solo suo padre avesse saputo…
Ma d’altra parte, quella descritta nell’articolo era esattamente l’immagine che Rachel stava proiettando al resto del mondo. Un ruolo, una delle parti che recitava quotidianamente. E suo padre non poteva immaginare cosa si celasse oltre, dato che recitava ormai anche con lui. La faceva vestire come un giocattolo e la portava in giro per party, cene d’affari, raccolte fondi. Come se ormai il loro rapporto si fosse ridotto a quello.
Rachel non riusciva a dirlo.
Faticava a pensarlo.
Non lo accettava…
Ma si sentiva usata.
E quell’intervista ebbe delle conseguenze.
Rachel Amber divenne “la figlia del candidato Procuratore”, Miss Perfettina della Blackwell. Il peggio era che nonostante tutto, quell’attenzione le piaceva. Poteva davvero provare disgusto e appagamento verso la stessa cosa? Sentiva chiaramente che nessuno la conosceva davvero, né era interessato a farlo. Nemmeno Armond, nemmeno Steph o Megan che erano sue amiche.
 
Dopo Capodanno, Rachel volle rendere ufficiale la sua relazione con Armond e lo presentò a suo padre. Il ragazzo si comportò in modo impeccabile, si vestì elegante e disse tutte le cose giuste. Armond sapeva benissimo come si giocava a quel gioco, era di ottima famiglia e non era estraneo a incontri ‘informali’ di quel genere. Se solo i suoi avessero immaginato che quel giovanotto si scopava la figlia… Rachel finse sicurezza in ciò che faceva, finse di non sentirsi a disagio, finse di essere felice.
Fingere stava diventando troppo semplice.
“Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne, tutti, non sono che attori…”
Era davvero tutta lì la vita?
Recitare la parte giusta al momento giusto?
Chi stabiliva il copione?
Valeva per tutti?
Ricordò un’altra cosa che aveva detto Keaton a lezione:
“Un’attore non deve mai diventare tutt’uno col suo personaggio. Non deve mai identificarsi! Se lo fa finisce come Johnny Depp! Sbronzo e fuori di testa! Un attore non deve mai provare l’emozione del suo personaggio, deve solo esprimerla. Mai pensare come il suo personaggio, solo recitare le battute. Deve mostrare con il corpo. Stop. Rimanete sempre voi stessi quando recitate. Siate voi stessi nei panni di un altro!”
Essere sé stessi nei panni di un altro…
Essere sé stessi…

Rachel andò avanti.
Rachel andava sempre avanti.
Seguiva il flusso.
La corrente l’avrebbe comunque portata da qualche parte…
 
-
 
A Chloe Price per esempio.
Rachel l’aveva incrociata tante volte a scuola senza mai accorgersi di lei, come accade tra studenti che frequentano classi e gruppi sociali differenti. Scoprì che suo padre era morto in un incidente d’auto in autunno e si sentì in colpa. Se l’avesse saputo sarebbe almeno andata a farle le condoglianze. Non sarebbe probabilmente servito a nulla, ma era semplicemente la cosa giusta da fare. Ormai erano passati mesi e sarebbe stato non solo inutile, ma fuori luogo.
Aveva distrattamente notato il suo cambio di look dopo la pausa invernale, con colori tendenti al nero, borchie e magliette di band rock e punk, alcune note altre no, come i Firewalk. Rachel indagò e si fece prestare un loro CD da Skip Matthews. Li adorò!
Chloe era la pecora nera, la testa calda, la ragazza problematica.
Ruoli che Rachel apprezzava particolarmente, ma che non aveva mai interpretato.
Non apertamente comunque…
Molto meglio che essere Miss Perfettina del resto…
A scuola tutti giudicavano Chloe, tranne Rachel. Lei sapeva solo che se avesse perso suo padre, non sarebbe stata più la stessa. Senza la prospettiva del suo sguardo fiero a motivarla, senza la consapevolezza che ogni giorno lo avrebbe rivisto, ogni cosa si sarebbe annebbiata.
Forse, ogni cosa si stava già annebbiando.
 
Le uniche persone della Blackwell a non parlar male di Chloe erano Megan e Steph.
Chloe sembrava sapersi difendere, comunque!
Lo dimostrò il giorno in cui si presentò a scuola con i capelli tagliati corti, evidentemente in un raptus, e seppellì Marisa davanti a tutti. Le sopracciglia bruciate a inizio anno non avevano scoraggiato Miss Rogers e le sue colleghe Kelly e Sarah dal prenderla di mira ancora e ancora, non ricevendo mai una reazione significativa.
Prima di allora.
Quel giorno, Rachel la notò.
E le piacque ciò che vide!
Mentre Chloe ribaltava contro Marisa le sue ‘accuse’ di omosessualità, Rachel avrebbe voluto intromettersi e stringerle la mano, poi unirsi alla festa e dire a Marisa tutto ciò che aveva sempre trattenuto. Non fece niente del genere.
Probabilmente per Chloe, Rachel era solo un’altra Marisa.
 
Da allora, però, si accorse spesso di lei.
La vedeva passare nei corridoi, la avvistava nel parcheggio della Blackwell che si esercitava con gli skater, si accorgeva di lei mentre fumava nascosta nell’angolo di fianco alla piscina. La notava uscire dalla presidenza, oppure accompagnata verso di essa da Skip, che trattava come fosse suo amico nonostante fosse l’addetto alla sicurezza! Imparò a riconoscere il suo tratto nei graffiti che apparivano sui muri della scuola, purtroppo celermente coperti dalle solerti pennellate di Samuel.
A Chloe non fregava un cazzo di niente.
Chloe era sempre Chloe.
Chloe faceva quello che si sentiva, parlava come voleva, incurante delle conseguenze.
Rachel la ammirava per questo.
 
-
 
“Scherzi?” la forchetta nella mano di Megan, carica di insalata, si fermò a metà strada fra scodella e bocca. La ragazza fissò Rachel con i suoi occhi azzurri.
“No, affatto! E avrò bisogno di te!” Replicò Rachel sorridente, fissandola dritta negli occhi. Uno sguardo che Megan non sostenne a lungo.
“Non pensavo che a scuola si potessero fare cose del genere!” commentò la ragazza poco prima di completare il tragitto della forchetta fino alla sua bocca.
Tutt’intorno la caffetteria della Blackwell iniziava a riempirsi, mentre Rachel sottoponeva a Megan la notizia del giorno: Keaton aveva rivelato la prova per l’esame finale del corso! Gli studenti ‘attori’ avrebbero dovuto scrivere e recitare un monologo davanti ad un vero pubblico in un vero teatro, a Portland, prima dello spettacolo Sogno di Una Notte di Mezz’Estate, cui tutti gli studenti avrebbero poi potuto assistere gratuitamente. Keaton avrebbe tenuto una serie di lezioni specifiche su sceneggiatura e progettazione per lo spettacolo e ogni alunno avrebbe avuto l’aiuto di altri studenti addetti a costumi, scenografie e luci. Steph era stata ovviamente la prima scelta, ma non bastava. Per l’idea che aveva Rachel solo Megan poteva aiutarla e soprattutto capirla!
“Il Drama Club è una figata!” Rachel si scostò una ciocca dietro l’orecchio sinistro, facendo oscillare la piuma azzurra del suo orecchino. Aveva iniziato, di tanto in tanto, a portare una sola della sua coppia di piume. L’asimmetria aveva il suo fascino!
“Quindi a cosa ti servirei esattamente?” chiese Megan, educatamente tra un boccone e l’altro. Rachel non aveva ancora toccato né il suo sandwich né le patate fritte. Si raddrizzò sulla sedia sollevò il pugno destro davanti a sé e liberò il mignolo.
“Primo, dobbiamo riguardare Blink…”
“Ok… tema Doctor Who quindi! Mi piace!” sorrise Megan.
“Secondo!” proseguì Rachel liberando l’anulare “Dobbiamo parlarne… potremmo iniziare già da ora in effetti…”
“Parlarne in che senso?” il sopracciglio sinistro di Megan si alzò interrogativo.
“Ragionarci! Sulla figura dell’Angelo Piangente. Serve un brainstorming!” l’entusiasmo di Rachel divampava dalla sua voce e dal linguaggio del corpo, un po’ sovrastante per Megan che tuttavia si lasciò coinvolgere.
“Va bene… anche se non so quanto ci sia da riflettere. Gli Angeli Piangenti sono predatori, un po’ come i vampiri. Piuttosto spaventosi tra l’altro!”
“Questo è un buon inizio. Io penso invece che siano creature incomprese…”
Megan inarcò un sopracciglio: “In che senso?”
“Alla fine non ti uccidono, a loro serve l’energia potenziale della vita che avresti vissuto, ma te ne danno una nuova in cambio. I due che vengono rispediti indietro in Blink non mi sembravano infelici alla fine no?”
“E’ un punto di vista interessante. Non ci avevo pensato, ma non so se mi hai convinta…” meditò Megan.
“Ecco perché ci serve il brainstorming! Ma dovremo rimandarlo, altrimenti ci sfuggirà il punto tre!” Liberò il medio. Megan rimase in attesa che la pausa d’effetto di Rachel finisse.
“Mi aiuterai con le prove?” la fronte di Rachel si corrugò e gli occhi si strinsero in un’espressione implorante. Megan rimase un momento interdetta prima di rispondere.
“Ehm… lo sai che non capisco nulla di teatro vero?” precisò Megan mentre raschiava il fondo del suo piatto.
“Di fronte all’arte non serve essere esperti!” replicò Rachel “L’arte è comunicazione, emozione… se non la senti è perché semplicemente non funziona! Dovrai solo dirmi se provi qualcosa o meno…”
“Sarò una specie di cavia?” ironizzò Megan mentre prendeva un sorso di succo al mirtillo.
“Ovviamente!” ammiccò Rachel.
La ragazza prese un profondo sospiro. “Penso che un paio d’ore dopo i compiti potrò trovarle per te…” disse con tono artificiosamente altezzoso.
“Grazie Miss Weaver! Significa molto per me!” disse Rachel.
“Miss Weaver?”
“Il prof Keaton ci chiama tutti Mister e Miss!”
“Pff! Molto vintage!” ridacchiò Megan.
“Nel migliore dei modi!”
“Ciao Rachel!”
Le due ragazze si fecero improvvisamente serie all’udire quella voce. Si voltarono e Marisa era lì, dietro di lei onnipresente Kelly, che giocherellava con uno dei suoi orecchini a forma di libellula. Rachel li trovava molto carini.
“Ciao Marisa!” salutò Rachel col suo miglior sorriso. Megan fece solo un cenno e si tappò la bocca con il succo di mirtillo.
“Sai già cosa farai per l’esame di Keaton?” chiese con tono premuroso.
“Certo! E tu?”
“Ovviamente!” Rachel notò un microscopico tic all’occhio sinistro mentre Marisa parlava. Stava mentendo. Con tutti gli esercizi e i giochi sulla menzogna del primo semestre, Rachel era diventata brava a capire certe cose. Gongolò in silenzio.
“Beh, non vedo l’ora di vederti in azione Mari!” ammiccò Rachel prendendo finalmente un morso dal suo sandwich. Bleah… freddo!
“Sarà una bella sfida. Sono sicura che prenderò più di te!” Marisa e il suo tono passivo aggressivo.
Rachel fece spallucce: “Mi basta che venga bene!”
“Non fare la falsa umile. Lo vediamo tutti al Club come stai sempre addosso a Keaton, sempre con la manina alzata, sempre la prima a provare gli esercizi. Ovviamente vuoi metterti in mostra, ma non basterà.”
“Qualcuno direbbe che è un comportamento da brava studentessa…” commentò Rachel senza perdere il viso sorridente. Negli ultimi tempi l’agonismo tra loro aveva eroso la facciata di amicizia che ostentavano normalmente, dando spazio a scaramucce come quella. Rachel non aveva nulla in contrario.
“Oppure che fai la smorfiosa con il prof per avere una A!” punse Marisa.
Rachel sghignazzò, mentre Megan osservava la scena spostando lo sguardo basito da una all’altra come davanti ad una imbarazzante partita di tennis. Anche Kelly sembrava a disagio, la sua mano sinistra era aggrappata sulla difensiva al braccio destro coperto dalla manica di un elegante maglioncino verde acqua e regolarmente spostava il peso da una gamba all’altra, lanciando sguardi speranzosi ai tavoli ancora liberi, sempre di meno.
“Lo vedremo Marisa. Grazie per questa specie di conversazione. Sei riuscita a far raffreddare il mio sandwich…”
“Tsk! Oh bell’orecchino a proposito! Hai perso l’altro nei pantaloni di Armond?”
“E’ forse invidia questa?”
Megan sorrise sotto i baffi e a Rachel non sfuggì che anche Kelly si voltò per nascondere un sogghigno fugace. Marisa non si accorse di nulla.
Incerta su come rispondere, Marisa agitò la mano davanti a sé, come per scacciare un moscerino e si allontanò con Kelly al seguito.
“Cosa diavolo è successo?” chiese Megan quando le due furono lontane.
“Marisa mi odia…” ammise candidamente Rachel prendendo un morso.
“Pensavo che questo genere di ‘conversazioni’ – Megan fece il gesto delle virgolette – succedesse solo nei film!”
“Si, parlare con Marisa è sempre un’esperienza surreale!” bofonchiò Rachel “però è istruttivo!”
“Se lo dici tu…” replicò Megan soffiando una risatina.
Poco dopo si unirono a loro anche Gina e Adam. Quando Rachel parlò loro del suo progetto furono entusiasti di far parte del pubblico insieme a Megan.
 
-
 
Un semestre intenso volgeva al termine.
Il giorno era arrivato.
Mentre il pubblico riempiva la sala dell'Aladdin Theatre di Portland, Rachel era dietro le quinte davanti allo specchio.
Terrorizzata.
Non capiva perché. Non era certo la prima volta che stava su un palco, avrebbe dovuto esserci abituata. Invece non lo era. Il prof. Keaton li aveva avvisati, ma non ci aveva voluto credere. Aveva totalmente sottovalutato il panico da palcoscenico. Forse era perché avrebbe dovuto parlare in pubblico? Recitare battute con un'intonazione precisa era molto diverso dal danzare. Forse aveva paura che Steph sbagliasse le luci? No, avevano provato per due settimane in quel teatro e si fidava ciecamente di lei. Inoltre l'abito che aveva disegnato era fenomenale, così come il trucco che le aveva fatto. Si faceva paura da sola, sembrava davvero una statua alata, vestita di una tunica.
Allora cosa?
Si sentiva come se stesse per salire sul patibolo.
Sapeva che i suoi genitori erano in sala, di certo con qualche giornalista al seguito per immortalare Miss Perfettina Amber che fa il suo debutto in teatro.
Inoltre, visto che era prima di tutto un esame finale, si andava in ordine alfabetico, quindi lei era la prima.
Che cazzo gli è venuto in mente a Keaton con questa storia dell’esame?!
 
Una mano le si posò sulla spalla. Era talmente persa nella sua mente che non si accorse nemmeno del riflesso di Armond nello specchio.
"Hey!" lui la salutò "non ti bacio perché altrimenti ti rovino il trucco!"
"Pfft... mi servirebbe un po' di incoraggiamento però..."
"Mmmm..." Armond si inginocchiò accanto a lei e le posò un dolce e cauto bacio sulle labbra.
"Ti è rimasto un po' di grigio sulla bocca..." lo schernì Rachel quando si allontanarono.
Armond si pulì distrattamente "Nessun problema. Come ti senti?"
"Ehm... fuori di testa!" sghignazzò quasi istericamente Rachel.
"Andrà benissimo!"
"Come lo sai?"
"Perché ti sei impegnata per sei mesi a scrivere, riscrivere, provare, progettare, eccetera. Sei pronta e li stenderai tutti!"
Razionalmente Rachel sapeva che aveva ragione, ma non era lucida.
"Vuoi..." Armond si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li ascoltasse "...un aiutino?" si batté un paio di volte le dita sul petto della giacca indicando la tasca interna del completo.
"No, penso che sostenere un esame finale puzzando di erba non deporrebbe a mio favore..."
"Chiedevo!" si discolpò Armond. Rachel gli sorrise.
"Ora torno al mio posto prima che mi caccino. Faccio il tifo per te Rachie!"
"Grazie!”
 
Armond le mandò un bacio e si allontanò.
Rachel lo guardò allontanarsi nello specchio. Qualcosa tra loro si era allentato negli ultimi mesi. A dire la verità, qualcosa si era allentato già dopo il primo bacio, ma la scoperta del sesso, le feste e l’erba… tutte queste cose li avevano tenuti uniti per un po’, annebbiando quella che Rachel ormai sapeva essere la verità. Non era innamorata di Armond. La eccitava, questo si, ma non bastava. Inoltre erano cominciati i litigi. A volte scoppiavano senza che nemmeno lei sapesse come o perché. Semplicemente stargli accanto a volte la indispettiva. Sempre più spesso. Armond sembrava ignaro o disinteressato. Per lui c’erano solo nuoto e feste. Rachel sapeva che faceva del suo meglio… solo che non era il meglio per lei. Quando suo padre chiedeva di loro, Rachel diceva “tutto bene!”. James era felice che sua figlia frequentasse un ragazzo di buona famiglia e rispettoso. Non voleva deluderlo. Immaginava cosa avrebbe potuto dire…
“Armond è un bravo ragazzo, è perfetto per te. Non importa se non lo ami, viene bene in foto!”
Da quando era diventata così disfattista verso suo padre?
Beh… difficile trovare un momento esatto.
Comunque con Armond sarebbe finita.
Forse non quella sera, ma presto.
Suo padre avrebbe capito.
La amava dopo tutto. Voleva il meglio per lei.
Il meglio!
E il meglio non era Armond.
Non lo erano i discorsi sulla campagna elettorale.
Non lo erano i cocktail party d’affari con i Prescott o chiunque altro.
Non le interviste o le foto di famiglia, tutti sorridenti come vittime di una paresi…
 
"Rachel Amber!" la voce del tecnico di scena la risvegliò.
Merda! Era già ora!
Scattò in piedi e automaticamente si diresse verso il palco.
Istintivamente portò una mano al polso, in cerca del suo braccialetto da tormentare. Purtroppo si trovava sotto il costume e non poteva raggiungerlo senza rovinarlo. Un’ondata di ulteriore ansia le percorse il corpo dalla testa ai piedi. Avvicinandosi all’ingresso del palco intravide i suoi compagni prepararsi davanti ai rispettivi specchi, ognuno altrettanto vittima dell’ansia quanto lei. Incrociò lo sguardo con Kelly, che stava facendo degli esercizi di respirazione allo specchio, mormorando qualcosa sottovoce. Non aveva un trucco o un costume particolare, solo una tuta ed una maglietta maniche lunghe, entrambe nere. Probabilmente aveva in mente un monologo puro.
Vide Marisa, che provava la parte in un tailleur grigio e una parrucca a caschetto bionda. Rachel non sapeva nulla di ciò che avrebbe messo in scena, Miss Rogers aveva tenuto accuratamente il segreto temendo che la sua grande idea venisse copiata da qualcuno. La somiglianza con Hillary Clinton del suo trucco strappò a Rachel un sogghigno divertito che portò un barlume di ristoro nell’oceano di paura in cui navigava.
Keaton era nei pressi del palco.
“Pronta Miss Amber?”
“No…” rispose candidamente lei.
“Fai un respiro profondo e quand’è il momento lasciati andare. La prima volta siamo tutti terrorizzati. Quando sarà finita non vedrai l’ora di rifarlo!” la voce calma e paterna di Keaton accarezzò il cuore di Rachel. Non furono le parole, ma soltanto il tono. Un piacevole velluto sulla pelle irritata della sua anima.
Gli sorrise.
Un tecnico del teatro, con cuffie e una barba incolta, si avvicinò ai due.
“Pronta sul palco!” disse con tono asettico.
Rachel sospirò profondamente e fece il primo passo.
"Miss Amber?"
Lei si voltò, incrociando lo sguardo di Keaton.
"Merda! Merda! Merda!" le fece l'occhiolino.
Rachel sorrise.
 
-
 
Il tendone si scostò, rivelando un fondo nero e una figura solitaria sul palco.
La statua di un angelo con il volto chino e coperto dai palmi delle mani. Un occhio di bue la illuminava, lasciando in ombra il resto del palco.
Il cuore di Rachel batteva all'impazzata.
Era iniziato.
WHOM!
Buio
Le luci si spensero.
Rachel sussurrò nel microfono che aveva fissato alla sua guancia, ben camuffato dal trucco.
"Non battere ciglio!"
Abbassò le mani scoprendo un po' gli occhi.
WHOM!
La luce tornò a illuminarla.
Rachel fu abbagliata dal faro e lottò per non contrarre il volto.
Poteva solo intravedere il pubblico, la luce intensa dritta su di lei la accecava.
Meglio così...
Fissò lo sguardo davanti a sé.
WHOM!
Buio
"Non chiudere mai gli occhi..." bisbigliò. La sua voce echeggiò nel teatro. Era strano sentire la propria voce sdoppiarsi ed echeggiare amplificata tutt'intorno.
Fece un passo in avanti e tolse le mani dal viso, tenendole incrociate sul cuore.
WHOM!
Luce
Rachel rimase immobile. Non riusciva ancora a vedere il pubblico.
Era solo lei.
Sola su quel palco.
WHOM!
Buio
"Solitudine..."
Rachel si voltò per dare le spalle al pubblico.
WHOM!
Luce
Immobile
Sola...
Il suo cuore aveva iniziato a rallentare, mentre sentiva le guance riscaldarsi.
Gli occhi iniziavano a pungere.
WHOM!
Buio
Rachel si voltò di nuovo nel buio e corse tre passi, protendendo le mani nel vuoto oltre il palco.
"Esisto da sempre. Sono tanti come me. Ma se ci vedi..."
WHOM!
Luce
Un angelo di pietra con le mani imploranti verso il pubblico
WHOM!
Buio
"Non esistiamo..."
WHOM! WHOM! WHOM!
Il faro si accese e si spense in rapida successione, ognuna delle quali Rachel assunse una posa diversa, sempre più vicina al bordo del palco, sempre più implorante. Rimase immobile sotto l'occhio di bue che la seguiva con precisione chirurgica.
Grande Steph!
WHOM!
Buio di nuovo
"Esisto solo se nessuno mi nota. Sopravvivo solo grazie al vostro futuro. Quello che avreste potuto essere, quello che avreste voluto fare... io me lo prendo. Io me ne nutro... vi tolgo un futuro per preservare il mio. Nel buio..."
WHOM!
Il faro illuminò Rachel con le braccia protese aggressivamente verso il pubblico, il volto contorto in un'espressione feroce. Le finte zanne che indossava ben visibili in un ringhio ferino.
WHOM! WHOM! WHOM! WHOM!
Luci stroboscopiche, Rachel parve muoversi a scatti, ogni volta in un punto diverso del palco, sempre più aggressiva, feroce. Predatoria.
Tornò nell'oscurità.
WHOM!
"Vi tolgo un futuro. Ma non IL futuro..." Rachel corse verso destra facendo rumoreggiare i suoi passi sul palco ligneo. "Avete mai desiderato una seconda occasione?"
WHOM!
Rachel riapparve illuminata dal faro, di profilo, sguardo basso, le braccia strette contro il proprio petto. Ora sembrava così innocente, così affranta.
Gli occhi le bruciavano, ma resistette alla tentazione di chiuderli.
WHOM!
L'oscurità la avvolse di nuovo.
"Una seconda occasione... vi manderò indietro nel tempo ad un’epoca in cui non eravate nati. Là potrete vivere una nuova vita, ricominciare da zero. Tutti gli sbagli che avete fatto, tutte le persone deluse, tutti i rimpianti... cancellati. Non sarebbero mai esistiti. Un nuovo inizio. Una seconda chance..."
WHOM!
Rachel riapparve giù dal palco, vicino alla prima fila.
Ora sì che vedeva il pubblico. Alcuni trasalirono nel vederla apparire giù dal palco.
WHOM!
Il buio tornò.
"Chi non vorrebbe una seconda chance? Pensa a che liberazione. Ogni errore svanito dalla storia, nessun pregiudizio su di te, nessuna aspettativa, nessun obbligo. Zero. Cosa faresti se improvvisamente non fossi nessuno? Se potessi decidere nuovamente chi essere?"
WHOM!
James Amber sobbalzò trovandosi Rachel di fronte. Le ali del suo costume le davano un aspetto sinistro che lo sovrastava. Le braccia protese verso di lui come in un abbraccio, lo sguardo umido fisso su di lui. Due fari color nocciola, immobili, saldi, immutabili. Per un istante, un fugace secondo, l’uomo ne fu atterrito.
Non era sua figlia in quel momento…
Oppure…
WHOM!
"Non sarebbe bello? Non sarebbe più semplice?” le parole echeggiarono e poi calò il silenzio. Nessun suono, nessun fruscio delle vesti di Rachel o delle sue ali. Il buio e il silenzio completi. Poi un respiro tremolante:
“Tu continuerai a vivere dopo il nostro fugace incontro..."
WHOM!
La luce tornò. Rachel si era spostata due metri più in là, di fronte ad Armond, che trasalì trovandosi le mani di Rachel a pochi centimetri dal viso.
WHOM!
"E io continuerò ad esistere dopo di te, grazie a te..."
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
Rachel si spostò ancora e ancora, sparendo nel buio e riapparendo di fronte ad un altro spettatore, con le braccia protese verso ciascuno di loro. Nell'oscurità le sue parole riempivano il teatro.
"Tu potrai vivere una vita piena, seguire i tuoi desideri, ricostruire chi sei..."
"Ma io no..."
"Io vivo solo al di là della percezione..."
"Se mi vedi..."
"...non esisto..."
"Una vita a intermittenza..."
"Un'esistenza donando seconde possibilità..."
"...senza mai averne una per me..."
"Perché se un mio simile mi vede..."
WHOM!
La luce riapparve e Rachel dovette trattenersi dal mostrare sorpresa. Seduto davanti a lei c’era Nathan Prescott. Con la coda dell’occhio intravide anche Sean, che furtivamente sembrava digitare qualcosa sul suo cellulare.
Nathan la fissava assorto, gli occhi azzurri come un ghiacciaio erano lucidi. Rachel protendeva le mani verso di lui. I secondi sembrarono dilatarsi mentre i due si scambiavano un lungo, intenso sguardo.
Infine il buio calò di nuovo…
WHOM!
"Io non esisto..."
"...E se io lo vedo, lui non esiste..."
WHOM!
Rachel era tornata di fronte a Nathan. Il ragazzo non poté evitare di schiacciarsi contro lo schienale. Quelle parole… quei gesti… Era solo uno spettacolo o Rachel stava parlando con lui?
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
WHOM! WHOM!
Buio
"Io sono sola... sopravvivo nello spazio ignoto..."
"...ignoto come la mia identità..."
"...chi siamo noi infatti se non possiamo mostrare il nostro vero volto a nessuno?"
"E se nessuno può vedere il mio volto... come posso io stessa conoscerlo..."
Rachel riapparve sul palco, nel punto in cui aveva iniziato, braccia protese verso il pubblico, imploranti.
Nel buio la sua voce echeggiò di nuovo.
"Non so chi sono... so solo cosa sono..."
WHOM! WHOM!
"Sono un Angelo Piangente..."
Rachel tornò alla sua posa iniziale con le mani davanti al viso.
Improvvisamente si rese conto di avere le guance completamente bagnate e un po' di trucco le stava colando sui palmi.
Stava piangendo.
Non se n'era nemmeno accorta! Non era previsto…
Da quanto stava piangendo?
Il trucco doveva essersi rovinato…
Merda…
Aveva rovinato tutto…
WHOM!
Oscurità.
Quando riapparve la luce Rachel era sparita dietro le quinte, sul lato opposto da cui era entrata.
Cazzo… ho fottuto l’esame. Non dovevo piangere… che cazzo mi è successo?
Ero troppo coinvolta… troppo.
Dovevo fare qualcosa di diverso e adesso ho fottuto tut…

CLAP!
Eh?
CLAP! CLAP! CLAP!
CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP!
 
CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP! CLAP!
 
Lo scrosciare di un applauso la destò dalle recriminazioni.
Improvvisamente Rachel cominciò a singhiozzare e le lacrime tornarono a fluire come fiumi in piena. Non poteva smettere, non ne aveva il controllo. Ma non era triste.
Al contrario! Era avvolta in una coperta di pace, la mente improvvisamente così leggera e silenziosa.
Una felicità ignota cominciò ad avvolgerla come una calda coperta, mentre l’applauso continuava come un’incessante pioggia battente.
Improvvisamente le fu chiaro.
Lei era un’attrice!
Non era solo un'attività che amava, non solo un esperimento o un corso che seguiva a scuola. Quella era la sua strada!
Era il suo sogno!
 
-
 
“Buon compleanno Rachel!” Megan sorrise caldamente mentre una cameriera bruna serviva una porzione di cheese cake ad entrambe. La cospicua fetta di Rachel era solcata da una candelina accesa.
“Grazie Meg!” le restituì il sorriso.
Il cielo era stranamente limpido. Nei giorni scorsi c’era stato molto vento e il sole splendeva libero dalla consueta foschia, caratteristica tipica di Arcadia Bay e di tutta questa zona dell’Oregon in realtà.
“Mi dispiace non poter fare di più, ma non volevo perdere il tuo compleanno…” Megan si massaggiò nervosamente la fronte mentre parlava, scompigliando involontariamente una ciocca di capelli castani sfuggita al suo cerchietto.
“Non preoccuparti. So che i tuoi impegni famigliari non si possono rimandare…”
“Davvero, è assurdo che mia madre abbia organizzato la cena del mese coi nonni proprio oggi. Avrei preferito passare la serata con te, invece li ascolterò litigare come al solito…”
“Non pensarci. Concentrati sulla cheesecake!” con due dita Rachel spinse il piatto verso Megan, che impugnò la sua forchetta con un sorriso.
“Prima esprimi un desiderio!” le disse con un cenno del capo.
Rachel sospirò e fissò la piccola fiammella tremolante davanti a sé. Ripensò alla sua performance all’Aladdin Theatre di un mese e mezzo prima, che le era valsa una A+ e la vittoria nella ‘sfida’ con Marisa. Aveva avuto tempo di pensarci da allora ed aveva capito cos’era accaduto. Su quel palco si era sentita davvero sé stessa. Durante tutto lo spettacolo, pur recitando una parte studiata, era riuscita a incanalare tutto ciò che provava, a sentirsi realmente autentica. Era un vero paradosso, sentirsi sé stessi quando si interpreta un altro. Ma Rachel non aveva indagato le sottigliezze logiche della questione. Come le aveva detto Keaton, non vedeva l’ora di salire nuovamente sul palco. Quello fu il suo desiderio!
Soffiò e la candelina si spense in una spirale di fumo.
Megan batté artificiosamente le mani.
“Non aspettarti che ti canti la canzoncina…” la ammonì.
“Te lo impedirei se ci provassi. Devo prepararmi psicologicamente a quando stasera lo farà mio padre…” affondò il viso nel palmo della mano.
Megan trafficò per alcuni istanti nella borsa, poi estrasse un piccolo pacchetto rosa accuratamente confezionato. Lo fece scorrere sul tavolo e il viso di Rachel si illuminò.
“Non dovevi disturbarti!” le disse.
“So che è prassi dirlo. Ma non dirlo!” replicò Megan sogghignando.
“Il protocollo è importante!” commentò Rachel scartando il regalo, che si rivelò incredibilmente leggero. Rachel spalancò gli occhi, un sorriso raggiante le apparve sul viso. Rimase senza parole a contemplare i due biglietti che aveva estratto dalla confezione.
“Ehm… ti piace?” indagò Megan.
“Se mi piace?? Due biglietti per Once Upon A Time al Forum Paradiso!! Grazie!!” si alzò, fece il giro del tavolo e avvolse Megan in uno strettissimo abbraccio, che la ragazza restituì con un po’ di imbarazzo.
“Volevo… insomma… incoraggiare la tua passione per il teatro!” spiegò.
“L’hai fatto alla grande. E tu verrai con me!” disse Rachel tornando al suo posto.
“No dai, non è per quello che ti ho preso due biglietti… cioè… puoi portare chi vuoi, non per forza me!”
“Bene! Voglio portare te!” sentenziò Rachel “Mi hai aiutato con Matematica e Chimica tutto l’anno, mi hai fatto conoscere Doctor Who, mi hai aiutato a preparare il mio spettacolo e quando ho avuto bisogno di parlare dei miei problemi mi hai ascoltata. Te lo meriti punto e basta!” Meg si arrese con un sorriso “E adesso mangiamo questa cazzo di torta!”
Le due aggredirono il piatto. La cheese cake del Two Whales era insuperabile. Aveva un sapore così casalingo, come tutto quello che servivano. Rachel non lo frequentava spesso, ma aveva imparato una semplice lezione: quando cucinava Joyce era tutto più buono. La cuoca-cameriera bionda del Two Whales era insuperabile e quella torta doveva essere opera sua, se le papille non la ingannavano. Anche se la conosceva solo per poche chiacchiere di circostanza che avevano scambiato, a Rachel piaceva!
“Allora… com’era Parigi?” chiese Megan pulendosi educatamente le labbra con un tovagliolo di carta.
Le lampadine si accesero nella mente di Rachel, una sequenza di diapositive fu caricata nel suo proiettore mentale. Non vedeva l’ora di ricevere quella domanda.
“Semplicemente meravigliosa!” passò in rassegna tutti i luoghi che aveva visitato nell’arco delle due settimane precedenti. Il Louvre dove aveva visto dal vivo la Zattera della Medusa di Gericault e il Giuramento degli Orazi di Jacque Louis David. La Gioconda non era riuscita ad avvicinarla a causa della folla che la circondava, ma raccontò di essere rimasta stupita e delusa scoprendo che era molto, molto più piccola di quel che credeva! Raccontò di quando era salita fino in cima alla Tour Eiffel, mostrò una foto che lei e i suoi genitori si erano fatti scattare da un passante ai Champs de Mars. Le disse del giro dei teatri, della maestosità dell’Opera Garnier, delle strane forme dell’Opera Bastille, della visita alla Comédie Fracaise e di molti altri. Passò in rassegna i suoi ricordi sulla bellezza degli Champs Elysee, l’intrigante Moulin Rouge, il giro in barca sulla Senna che avevano fatto e le colazioni a base di croissant, ogni mattina in un bistrot diverso.
“Mi stai facendo invidia…” commentò Meg, arrivata ormai a metà della propria fetta, mentre Rachel, troppo impegnata a raccontare, aveva a malapena iniziato.
“Se puoi vacci. È una città da vedere almeno una volta nella vita. Per qualche motivo mi ha ricordato un po’ Milano, solo con le vie più grandi e con più oro!”
“Vorrei essere una globetrotter come te!”
“Lo sarai. Un domani diventerai una giornalista d’assalto e girerai il mondo!”
“Lo spero! Per il momento mi basterebbe essere presa al Blackwell Totem!” bofonchiò Megan.
“Accadrà. Tu insisti!”
“Ma… con tuo padre com’è andata?” Meg era al corrente del difficile rapporto che Rachel aveva avuto con suo padre negli ultimi mesi. Non era mai entrata nei dettagli, ma aveva detto abbastanza per farle immaginare che quel viaggio era un’incognita.
“Sorprendentemente bene! Anzi, di più! È stato come se tutte le cazzate non ci fossero mai state. Abbiamo scherzato, riso e parlato come una volta. Non ha nemmeno mai menzionato i Prescott o Arcadia Bay!”
“Wow! Sicura che fosse lui e non un clone?” scherzò Meg.
“Pfft… se era un clone poteva usarlo prima! Comunque è stato bello. Questa sera festeggerò con lui e mamma.”
“Bene, sono felice che almeno questo si sia risolto. Armond continua a dire in giro che ti ha lasciato lui…”
Rachel sghignazzò: “Lo so! Me l’ha detto!”
Megan inarcò un sopracciglio e depose la forchetta nel piatto ormai vuoto: “Eeeh??”
“Mi ha detto che sarebbe stato troppo umiliante se si fosse saputo che una matricola l’aveva piantato, così mi ha avvertito che avrebbe diffuso la voce che era stato lui a lasciare me.” Rachel scrollò le spalle e diede l’assalto finale alla sua cheesecake.
“Ma… e ti sta bene?” Megan era confusa.
“Perché no? È politica scolastica, dall’anno prossimo non saremo più matricole e avremo più diritti!”
“Bah… non le capisco queste cose…” Megan afferrò la sua tazza di caffè mezza vuota e prese un sorso. Ancora tiepido! Bene!!
“È il sistema bellezza! Bisogna conoscerlo per poterlo aggirare!” Rachel ammiccò e Megan sorrise divertita.
“Beh… l’esperta di PR sei tu!”
Mentre le due ragazze proseguivano con le loro chiacchiere sorseggiando caffè e ordinando un secondo giro di cheese cake, nel parcheggio del Two Whales Chloe Price stava furtivamente decorando un muro con uno dei suoi Hole to Another Universe, approfittando della copertura offerta da un grosso pick-up verde parcheggiato lì accanto.
Una volta finito si piazzò nei pressi della fermata dell’autobus e si accese una sigaretta. Con calma aspirò le tossine, fissando lo sguardo sull’oceano oltre il distributore di benzina, incurante delle auto che le sfrecciavano davanti senza ritmo.
Ad un certo punto sentì delle risate provenire dalla sua sinistra, accompagnate dal famigliare tintinnio delle porte del Two Whales. Si voltò istintivamente e vide due ragazze uscire dal locale e fermarsi davanti alla porta. Le riconobbe entrambe come studentesse della Blackwell, ma solo di Rachel conosceva anche il nome.
Con noncuranza prese l’ultimo tiro fino al filtro e sbuffando fumo gettò il mozzicone a terra, lo schiacciò sotto la scarpa e si avviò nella direzione opposta…
 
-
 
La sala era elegante, le luci erano calde e leggermente abbassate, abbastanza sia per vedere chiaramente che per creare l'atmosfera desiderata. Le tovaglie erano raffinate, così come posate e piatti.
Rachel conosceva Rue Altimore, ma l'aveva sempre visto solo dall'esterno. Il Ristorante italo-francese, famoso per i prezzi esorbitanti. Armond aveva sempre detto che un giorno ce l'avrebbe portata, ma non l'aveva mai fatto.
Invece, Rachel ci stava festeggiando il suo quindicesimo compleanno in compagnia della sua famiglia.
In passato i compleanni erano sempre stati un'esperienza casalinga, ma James aveva giustificato il cambiamento dicendo che voleva portare un po' di Parigi ad Arcadia Bay...
L'intento era lodevole e Rachel lo apprezzava, ma Rue Altimore non aveva niente a che vedere con la splendida città europea. Però avevano le escargot! Si fecero portare degli assaggi per provarle, dato che in Francia avevano rimandato l'esperienza così a lungo da finire per evitarla. Alla prima forchettata, Rachel se ne pentì amaramente. Avevano la consistenza della gomma... una superficie viscida e collosa... nessuna spezia poteva migliorarle! Rachel sputò furtivamente la sua nel piatto. James lottò evidentemente con sé stesso per deglutire, mentre Rose prolungò la masticazione il più a lungo possibile e quando fu inevitabile, mandò giù insieme ad un lunghissimo sorso di Champagne.
"Ok... abbiamo capito che le lumache non sono cibo!" declamò James tamponandosi la bocca con il tovagliolo.
"Non c'era bisogno di provarle per capirlo..." scherzò Rachel allontanando il piatto da sé.
"Penso che dovremmo rimediare il prima possibile con una crepe!" propose Rose, cosa che fecero immediatamente.
Rachel si sentiva felice.
Sembrava che il viaggio a Parigi avesse davvero sistemato le cose e tutto fosse tornato come doveva essere.
In effetti non ricordava momenti spensierati come quelli in compagnia dei suoi genitori. Non dall’infanzia comunque. Sapeva solo che erano accaduti, ma se li cercava sbiadivano. Eppure eccoli lì. Se anche non ricordava quelli passati, ora ne aveva uno proprio nel presente.
Al termine della cena, James volle consegnare i regali prima della torta.
"Non è esattamente il protocollo tradizionale..." commentò Rachel.
"A volte bisogna mescolare un po' le carte in tavola!" ammiccò James allungando verso di lei una busta rossa con un fiocco argentato sul tavolo. Rachel la prese con noncuranza e meccanicamente la aprì, ben sapendo che era la solita mancia dei compleanni. Duecento dollari da spendere come preferiva. Era una prassi che Rachel non amava particolarmente, sembrava quasi una mazzetta. Avrebbe preferito che suo padre facesse lo sforzo di pensare a cosa avrebbe potuto piacerle, ma era così impegnato...
Rachel lo capiva...
"Beh, a questo punto..." Rose rovistò nella sua borsa e tirò fuori un pacchetto più voluminoso, avvolto in carta viola e nastri gialli. Anche in questo caso Rachel anticipò il contenuto. Era chiaramente un libro. Rose non era mai stata il genere di madre che regala vestiti o gioielli, era una donna di cultura e ci teneva che anche sua figlia lo fosse.
"Mary: A Fiction" Rachel lesse il titolo del libro "... di Mary Wollstonecraft."
"Quest'anno ho capito che sei cresciuta..." esordì Rose per spiegare "...Sei al Liceo, hai avuto il tuo primo ragazzo, hai debuttato in teatro... ormai sei una giovane donna, con tutto quello che comporta nel bene e nel male. Mary Wollstonecraft fu una delle prime combattenti per i diritti delle donne, questo libro è il primo dei suoi due romanzi in cui racconta e denuncia la condizione delle donne del suo tempo, ma scoprirai quanto è attuale. Quando l'ho letto la prima volta avevo 16 anni e ha stravolto le mie prospettive. Spero che ti piaccia e sia utile anche a te!" 
Rachel ascoltò con attenzione e sorrise caldamente a sua madre.
"Grazie mamma! Il patriarcato non ha speranze!" ammiccò.
"Vuoi trasformarla in una no-global?" ridacchiò James.
"Non credo ci sia il rischio, ma una donna deve sapere come mettere al loro posto gli uomini in questo mondo no?" Rose lanciò uno sguardo al marito, a metà strada tra il languido e la sfida. Fra i due passò una scarica di calda tensione che Rachel colse e cui reagì con profondo imbarazzo. Distolse lo sguardo.
Le effusioni tra genitori, anche non esplicite, sono sempre fottutamente disturbanti!
Mentre guardava altrove, Rachel notò un cameriere avvicinarsi con una sedia al loro tavolo. Rimase piuttosto confusa quando lo vide sistemarla proprio da loro, sparecchiando parte della tavola per far spazio ad un altro convitato.
Che diavolo...
James se ne avvide e annuì al cameriere: "Grazie!" disse con un sorriso cordiale.
Anche Rose parve confusa quando Rachel la guardò in cerca di spiegazioni.
"Che succede papà?" chiese Rachel.
"Prima di tagliare la torta volevo presentarti una persona..." disse ambiguamente.
Prima che Rachel potesse indagare oltre, suo padre si alzò, seguito da sua madre che dall'espressione continuava a non capire ma assecondava il marito.
"Buonasera Karen! Benvenuta! Spero tu non abbia avuto difficoltà con il parcheggio!" salutò James.
Rachel si voltò, incontrando una donna over trenta in tailleur grigio scuro, con una tracolla scura di finta pelle, capelli biondi raccolti in una crocchia.
"Grazie! Non ho avuto difficoltà. Ti ringrazio per l'opportunità!" rispose l'estranea.
"Lascia che ti presenti mia moglie Rose..." le due donne si strinsero la mano. Lo sguardo di Rose era passato dalla perplessità alla rassegnazione. Rachel poteva vederlo, aveva capito cosa stava succedendo... al contrario di lei!
"E mia figlia Rachel!"
Karen si voltò verso di lei e le allungò una mano, che strinse con diffidenza.
"Salve..." salutò.
"Ciao Rachel! Ho sentito davvero grandi cose sul tuo conto!"
"Grazie... papà?" Rachel si voltò verso suo padre con un sopracciglio inarcato e uno sguardo che implorava informazioni.
"Sediamoci!" fu la sua risposta.
Niente, questo gioco del mistero sembrava dover continuare. Rachel aveva imparato negli anni che quando c'era un ospite per suo padre bisognava stare al gioco, perché probabilmente era una questione di lavoro. Così Rachel stette al gioco, per l'ennesima volta... con la differenza che una fiammella si accese nel suo stomaco.
Era il suo compleanno, la sua festa, il loro momento in famiglia.
Chi era questa tizia che sbucava?
Perché suo padre era l'unico che sembrava sapere perfettamente cosa stava succedendo?"
Infine Rachel capì.
Fu evidente e incontrovertibile quando Karen estrasse penna, taccuino e registratore dalla borsa, depositandoli ordinatamente sul tavolo.
Era un'intervista.
Una cazzo di intervista...
Durante la sua cena di compleanno...
La fiammella aumentò un po'.
Rachel guardò verso Rose in cerca di un supporto, ma la madre non la stava neppure guardando. I suoi occhi passavano alternativamente tra James, Karen e un vago altrove. Ovunque tranne Rachel...
Braci avvamparono appena al di sotto del suo petto, mentre i battiti aumentavano e il calore saliva fino alla gola. Un insistente prurito alla laringe iniziò a infastidirla e Rachel si schiarì la voce tentando di grattarsi. Senza successo.
Dopo uno scambio di convenevoli ed un giro di Champagne, cui Rachel partecipò per inerzia, Karen disse: "Bene, se siete d'accordo" si rivolse solo a suo padre e Rose "Inizierei con le domande. Sono state tutte concordate con James e stopperò la registrazione ogni volta che lo chiederete. Se non volete che prenda in considerazione un argomento della conversazione basterà che diciate 'questo è fuori tema', così quando riascolterò l'audio saprò cosa omettere. Cominciamo?"
"Direi di si!" disse cordialmente James.
VRRROOOOMMMM!!
I tre al tavolo si voltarono all'unisono verso Rachel, che era scattata in piedi facendo rumoreggiare la sedia dietro di lei. Le spalle contratte, la fronte tesa, gli occhi tinti d'ambra nella luce del ristorante. James la guardò stupito e per un attimo gli balenò davanti l'immagine di Rachel la sera del suo spettacolo, quando in costume da angelo di pietra apparve davanti a lui, fissandolo con quello stesso sguardo.
"Scusatemi..." disse Rachel con un tono piatto "Vado un momento in bagno. Cominciate pure senza di me!" indossò un sorriso e si allontanò prima di ricevere risposta.
Quando fu fuori dalla loro vista accelerò il passo e raggiunse la toilette.
Circondata da strette pareti color panna, costeggiò i box chiusi e raggiunse la fila di lavandini con specchio quasi parietale. Si fermò, fissando negli occhi la sua immagine riflessa.
Il cuore batteva così forte da far rumore.
Sentiva pulsare le vene del collo, il calore invaderle il viso, mentre le braci erano diventate un vero e proprio fuoco.
Voleva gridare.
Quanto cazzo voleva gridare!
La gamba si mosse da sola.
Si voltò di scatto e sferrò un violento calcio contro la porta del box più vicino.
Fanculo!
Non le fregava se fosse chiuso
Non le importava se ci fosse dentro qualcuno
O se il suo colpo l'avrebbe rotto
Fanculo tutto
Fanculo suo padre e le sue interviste del cazzo!
Fanculo sua madre che le regala libri sul femminismo e poi non dice nulla quando suo marito interrompe il compleanno di sua figlia per l'ennesima stronzata pubblicitaria!
Fanculo anche a Karen perché che cazzo ti viene in mente di imbucarti ad una cena in famiglia??
 
Rachel ringhiò istericamente
Il piede impattò contro la porta con un fragoroso tonfo
L'anta rimbalzò all'interno, sbatté contro il divisorio e tornò indietro, sbattendo di nuovo richiudendosi.
Il punto d'impatto era marchiato da una crepa ed una rientranza.
Rachel ansimava con i pugni così stretti che le unghie iniziarono a ferirle i palmi.
Si voltò verso il lavandino, incrociando il suo riflesso furente, poi si accanì contro il muro.
Cominciò a colpire le piastrelle con tutta la forza che aveva
L'adrenalina copriva ogni dolore, ogni fastidio che quello sfogo potesse procurarle.
Ogni colpo un ringhio.
"Fanculo! Fanculo! FANCULO!!" sibilò attraverso i denti serrati, impedendosi con l'ultimo barlume di lucidità di gridare.
Infine si fermò.
Il cuore ormai le batteva direttamente in gola.
Ancora un po' e l'avrebbe vomitato ancora pulsante nel lavandino.
 
I capelli biondi le erano caduti davanti al volto in modo irregolare, l'elegante maglioncino che indossava era diventato improvvisamente una cappa che la opprimeva. Scambiò un lungo sguardo con sé stessa mentre lottava per ricomporsi.
 
Nella sua mente migliaia di voci infuriate gridavano all'unisono, dozzine di impulsi violenti la scuotevano, le sue gambe avrebbero potuto guidarla fuori da quel ristorante in men che non si dica, avrebbe corso con ogni oncia di energia (ed era veramente molta) in linea retta fino alla riva dell'oceano, dove si sarebbe tuffata e come l'elica di una barca a motore l'avrebbero condotta a nuoto verso il grande blu. Lontano da quel ristorante di merda e da tutte le stronzate di suo padre!
 
Aprì il rubinetto dell'acqua fredda e si sciacquò la faccia.
Il freddo dell'acqua contro la sua pelle le diede uno shock sufficiente a riportarla qui e ora.
Si sistemò i capelli controllando il risultato allo specchio.
Verificò che il trucco waterproof fosse davvero waterproof.
Prese un lungo e profondo respiro e portò le mani al viso, coprendosi il volto.
Chiuse gli occhi.
 
Non battere ciglio...
 
Riempì di nuovo i polmoni, espirando profondamente
 
Non battere ciglio...
 
Sentì le spalle rilassarsi, il fuoco che rischiava di divampare iniziò a scemare nel suo stomaco.
 
Se mi guardi io non esisto...
 
Le braci rimasero accese, ma il peggio era passato.
Tolse le mani dal viso e si guardò.
Si sentiva avvolta in un'atmosfera acida, un sapore metallico le riempiva la bocca.
Aveva stretto così tanto i denti che le gengive le sanguinavano.
 
Quanto sangue puoi ingoiare prima di vomitare?
 
Si sciacquò la bocca per togliersi quel fastidioso sapore.
Un ultimo sguardo, poi le gambe puntarono meccanicamente verso la porta.
Tornò in sala, percorse una strada a ostacoli finché avvistò il suo tavolo.
Indossò il suo volto più cordiale e la camminata più serena che aveva.
"Scusate se ci ho messo tanto..." disse mentre tornava al suo posto "... mi sono persa molto?"
"Niente di ché!" replicò James "Abbiamo appena iniziato"
"Visto che sei tornata, Rachel, posso farti qualche domanda?" Karen si voltò verso di lei avvicinandole il registratore.
"Certamente!" disse gioviale.
"Quali sono i tuoi progetti per il futuro?"
 
-
 
Il ritorno a casa fu silenzioso. Nessun viaggio in macchina ad Arcadia Bay era mai molto lungo, ma quei minuti sul sedile posteriore del Suv sembrarono moltiplicarsi per dieci. James non disse nulla, concentrandosi sulla guida. Rose guadava fuori dal finestrino. Era contrariata dalla faccenda dell’intervista, ma questo non consolava Rachel, che era rannicchiata il più possibile tra le ombre della macchina. Scorreva la sua rubrica in cerca di una via di fuga. Era tradizione che dopo la cena in famiglia festeggiasse con gli amici, così stava cercando qualcuno. Da quando aveva lasciato Armond non si erano più visti, ma in quel momento le sarebbe stata utile un po’ di quell’evasione dozzinale che il suo ex e la sua cricca le avevano sempre garantito. Nulla le vietava di contattare qualcuno di quel gruppo, come Drew North. No… escluse l’opzione.
Chiunque della Blackwell le avrebbe ricordato cose che in quel momento voleva escludere, così depennò dalle opzioni anche Megan, che aveva già i suoi affari famigliari in corso, Steph e sopra ogni altra, Marisa… Per come si sentiva avrebbe anche potuto strangolarla!
Finì col selezionare il numero di Ruth.
Sostò un po’ a fissare quel nome.
Forse era l’unica persona che in quel momento non l’avrebbe infastidita.
Dopo il loro primo incontro alla NACAO avevano messaggiato un po’ e all’inizio della primavera si erano anche viste quando Ruth era venuta ad Arcadia Bay con suo padre per incontrare il sindaco. Avevano fatto una sosta al Two Whales e poi una camminata fino al faro, dove aveva scoperto che la ragazza ed alcuni amici di tanto in tanto si riunivano per passare serate in compagnia davanti al falò. Ruth le disse “Alla prossima occasione ti ci porto…”
Si trovò a scorrere gli ultimi messaggi che si erano scambiate e… BINGO!

Ruth
  • Questa settimana sono in zona!
  • Affari burocratici da sbrigare…
Rachel
  • In missione per NACAO?
Ruth
  • Nah! Blackhell!
  • Mio padre mi ha intimato di iscrivermi all’università.
  • Teme che aiutandolo butti via il mio futuro… così mi tocca andare in segreteria a farmi dare della documentazione.
Rachel
  • È bello che tuo padre si preoccupi per te!
Già…
È quello che fanno i padri giusto?

Il punto centrale, comunque, era un altro: Ruth in quel momento si trovava ad Arcadia Bay!
Superando il messaggio d’auguri ricevuti quella mattina da Ruth, le dita saettarono sui pulsanti del cellulare.
Rachel
  • Hey Bluejay!
  • Fammi un regalo di compleanno.
  • Possiamo vederci?
Le mani caddero in grembo, stringendo ancora l’apparecchio mentre la macchina stava imboccando il vialetto verso il garage. Il cellulare, silenzioso, si illuminò per l’arrivo di una risposta.

Ruth
  • Certo!
  • Riesci a raggiungere il Two Whales?
  • Ti passo a prendere lì tra quindici minuti
  • Ok?
Rachel sospirò
  • Ok!
 
-
 
Fuoco
Fonte di luce e calore
Si stava bene vicino al fuoco
Rachel era persa in esso.
Lingue di fiamma che volteggiavano come danzatrici estatiche.
Apparivano e svanivano
Era ipnotico.
I pezzi di cedro che lo alimentavano si consumavano di momento in momento.
Vederli ridursi, annerirsi, creparsi e diventare cenere… nel mondo di Rachel non c’era nient’altro in quel momento.
Il legno diventava cenere, come i suoi pensieri.
Era calma, innaturalmente calma.
“Terra chiama Rachel!” la voce di Ruth la riportò alla realtà. Sgradevolmente. Nella realtà c’era una gelida e insistente brezza che le congelava la schiena. Sulla cima del promontorio del faro c’era sempre vento e faceva sempre freddo, anche in piena estate a mezzogiorno. Eppure c’era qualcosa di magico in quel punto, qualcosa di eterno e di intimo.
Rachel rabbrividì e si avvicinò al fuoco, accorgendosi solo allora che Ruth le stava porgendo la canna.
“Ehm... si grazie!” sorrise imbarazzata. Prese una lunga boccata, la trattenne un po’ nei polmoni ed espirò, sentendo il THC fare il suo effetto con incredibile rapidità.
“Ti eri incantata ancora!” ridacchiò la ragazza “Avevi detto di aver già fumato prima o sbaglio?”
“Si è così, però questa mi sembra faccia più effetto di quella cui ero abituata…” commentò Rachel passando la canna ad un ragazzo alla sua sinistra, che l’accettò di buon grado.
“Questa è roba buona, non come lo schifo che spacciano qui…” ammiccò Ruth.
Rachel dovette concentrarsi un po’ per mantenersi presente. Compresa lei erano in sei a riscaldarsi intorno al falò, una cassa di birre piena di ghiaccio era a disposizione del popolo, adeguatamente distante dal fuoco, mentre giravano in ordine sparso snack, nachos e patatine. Erano un interessante gruppo umano, tutti tatuati in punti ben visibili, una ragazza magrissima e con i capelli corti e tinti di platino chiacchierava amabilmente con un’altra ragazza avvolta in un giubbotto di pelle con spalline borchiate. Tutti avevano qualcosa di borchiato, oppure un piercing, anelli o altri accessori goth e punk rock. Anche Ruth, contrariamente al solito, indossava una giacca di pelle sopra la camicia a quadri blu, un braccialetto borchiato e un anello al naso. Rachel si sentiva altamente fuori luogo con il suo maglioncino di marca, coperto da una giacca invernale e un paio di ballerine rosse. L’unica cosa che la faceva sentire salva erano le due piume blu che pendevano dalle sue orecchie e il suo braccialetto, con i cui lacci giocherellava distrattamente.
“Non sembri molto allegra per una che compie gli anni…” commentò Ruth.
“No è solo…” Rachel scrollò le spalle “Diciamo che è stata una giornata piuttosto deludente. Avevo bisogno di… qualcosa di lontano dal quotidiano…”
“E hai pensato a me…” completò Ruth.
“Si… cioè… non voglio che pensi che…” Rachel si sentì strana. Di solito non sentiva di doversi giustificare, aveva sempre qualcosa di arguto da replicare. Quell’erba la stava incasinando parecchio.
“Tranquilla! Tieni, mangia un po’!” disse amabilmente Ruth porgendole un pacchetto di patatine. Rachel quasi glielo strappò di mano e iniziò a divorarle, mentre Ruth e altri che avevano assistito scoppiarono in una comprensiva risata.
“Benvenuta nel mondo della fame chimica!”
“Molta fame!” precisò Rachel “Quindi… dove andrai all’Università?” tentò di portare la conversazione ad un argomento che non la riguardasse.
Ruth sospirò: “Community College! Facoltà di Storia e Letteratura. Così non andrò troppo lontano e potrò tornare se mio padre avrà bisogno… so che non vuole che mi preoccupi, ma non si libererà di me così facilmente!”
“Ti ci vedo a fare la storica. Non vedo l’ora di leggere le tue pubblicazioni!” disse Rachel con la bocca unta e ingombra di briciole.
“Ho molto da raccontare su questa terra. Penso di avere una specie di missione o almeno una responsabilità. Ciascuno ha una sua chiamata e il contesto in cui nasci è determinante…” raccontò Ruth sorseggiando una birra.
“Forse ho trovato anch’io la mia… ma non è altruista come la tua…” commentò Rachel, deponendo il pacchetto ormai vuoto di patatine.
“Sarebbe?”
“Voglio recitare. A giugno ho debuttato con un monologo all’Aladdin Theatre. Era un test di Keaton…” a quella spiegazione Ruth sghignazzò e Rachel comprese perfettamente il motivo “Esatto… l’ho odiato per tutto il pre-spettacolo, ma poi l’ho amato di nuovo! Comunque, penso di non essermi mai sentita viva come quando sono stata sul palco!”
“Sembra proprio una chiamata allora!” ammiccò Ruth.
“Già. È quello che voglio fare, anche se probabilmente farà bene solo a me…”
“Ma di che parli? Secondo te perché la gente va a teatro?”
Rachel scrollò le spalle: “Per evadere dalla vita. Intrattenersi immagino. Cercare una fuga dal quotidiano…”
“Stiamo parlando del teatro non della televisione. E comunque anche in quel caso penso che non sia tutto lì…”
Rachel si sistemò seduta su un tronco, per guardare più direttamente Ruth, che continuò: “Penso che si vada a teatro o al cinema per lo stesso motivo per cui si studia storia, per capire chi siamo. La storia è il racconto di cose presumibilmente accadute, ma è un racconto. Non avremo mai la certezza che le cose siano andate precisamente come le conosciamo. Cinema e teatro sono solo delle invenzioni dichiarate, ma raccontano storie che parlano di noi e attraverso gli attori, ogni membro del pubblico vive una vita e fa esperienze che non farebbe mai. Da attrice avrai un grande potere ed una grande responsabilità… come Spiderman!”
Rachel aggrottò la fronte a quella citazione, poi scoppiò a ridere: “Vale anche per fumetti e videogiochi allora?”
“Certo! Le storie sono storie, non importa il mezzo di comunicazione. Se una storia è di valore e viene raccontata bene può aiutare il mondo intero!”
“Brindiamo a questo allora!” disse Rachel allungandosi verso una birra.
Rachel scivolò in un confortevole silenzio, cullata dalle chiacchiere del gruppo intorno a lei. Guardò verso il cielo nero, la luce del fuoco impediva di vedere le stelle, ma Rachel sapeva che c’erano. Erano il suo appiglio nei momenti più bui e in quel momento, nonostante lo stordimento dell’erba e dell’alcol, il suo sconforto non si era del tutto placato.
“Senti…” ancora una volta la voce di Ruth la richiamò all’ordine. Si voltò verso di lei e notò che la ragazza magra dai capelli platino si era avvicinata e la stava guardando.
“Io e Lily pensavamo una cosa… ma è altamente illegale!” il loro sguardo furbo puntato nella sua direzione intrigava e inquietava Rachel allo stesso tempo.
“Sentiamo!” rispose.
“C’è un posto qui ad Arcadia Bay… un vecchio mulino abbandonato lungo una sezione in disuso della ferrovia. Ci hanno fatto un pub e nel capannone principale tengono dei concerti underground. Ti ci vorremmo portare venerdì, ma non è che sia proprio un posto per minorenni. Quindi ti dovremo camuffare per bene da regina del punk. Ci stai?”
“Illegale?” chiese Rachel.
“Oh si! Come tutti i posti underground è frequentato da pessimi individui, ma anche da persone normali che vogliono solo rilassarsi un po’. In realtà la gente a posto è in maggioranza, quelli da cui bisogna star lontani li conoscono tutti…” spiegò Lily.
“Dai, dì di si!! Sarà divertente!” incitò Ruth.
Rachel sorrise da un orecchio all’altro.
Illegale, underground, pieno di criminali…
Cosa avrebbe pensato suo padre?
Nulla di buono sicuramente!
“Ovviamente ci sto!”
Le due ragazze esultarono!
“Allora dovremo vederci assolutamente venerdì pomeriggio per il make-up!! Prepara i vestiti più punk che hai perché ti serviranno!!”
 
-
 
Le 22 erano passate da quattro ore quando Rachel rientrò a casa.
Come le altre volte, aveva usato litri di deodorante e quasi altrettanti di caffè per avere un aspetto e un comportamento sufficientemente normali, ma questa volta il ritardo era troppo per passare inosservato.
Una sequela di messaggi senza risposta sul suo cellulare da parte di James e Rose non faceva ben sperare e quando trovò la porta d’ingresso chiusa con la catena, capì che non c’erano possibilità di evitare un confronto.
Venne James ad aprirle, era ancora vestito con camicia e pantaloni del completo che aveva indossato a cena. Non era nemmeno andato a letto. La sua espressione era dura come la pietra e gli occhi grigi proiettavano un vento ghiacciato. Rachel ne fu intimidita.
“Ti sembra l’ora di tornare a casa?” il tono pacato rese la situazione ancora più terrificante.
“Scusa…” disse Rachel entrando con il capo chino.
“Non basteranno delle scuse Rachel. Dove sei stata?” il tono si alzò di una tacca. Rachel apprezzò il calore della sua casa, dirigendosi verso il salotto notò che anche Rose era ancora sveglia e con uno sguardo preoccupato. Si alzò dalla poltrona e si diresse verso di lei.
“Ero con il gruppo di Armond!” mentì Rachel dicendo la prima cosa apparentemente sensata che le venne. Non voleva parlare di Ruth a suo padre.
“Non mentire! Ho chiamato sia Armond che Drew, non ti hanno vista stasera!” replicò James.
“Infatti ero a casa di Joel con lui ed altri che non conosci. Abbiamo perso la cognizione del tempo e ad un certo punto mi sono addormentata… quando mi sono svegliata sono corsa a casa!” Rachel fece appello a tutte le sue doti attoriali per risultare credibile. James la fissò con sguardo indagatore per un po’, dopodiché prese il cellulare e iniziò a digitare.
“Che fai?” chiese Rachel nascondendo un pizzico di panico.
“Joel Brown giusto?” si informò.
“Si, che fai lo chiami?”
“Certo! Il tuo ritardo di questa notte non è da te, ti sei comportata in modo strano a cena e appena a casa sei praticamente fuggita, potrai capire se dubito della tua versione…”
“Sono le due di notte papà… sveglierai la sua famiglia… Dormivano quando me ne sono andata.” Rachel fece in modo di avere un tono calmo e razionale. James si bloccò alle sue parole, la fissò, poi guardò verso Rose, infine appoggiò il telefono.
Rachel sospirò interiormente. Aveva guadagnato tempo, avrebbe scritto a Joel più tardi per avvisarlo e coordinare la versione dei fatti.
“In ogni caso il tuo ritardo non ha scusanti. Sei in punizione fino a lunedì.”
Rachel sentì del ghiaccio formarsi attorno alla sua spina dorsale. Significava niente uscita con Ruth…
“Papà è la prima volta che succede nella vita! Non puoi chiudere un occhio?” implorò Rachel
“Forse, ma solo se mi dici cosa c’è che non va.”
Rose era lì, in piedi, zitta e in ascolto. Come sempre quando James la rimproverava, sua madre non interveniva. Come ogni volta che James le aveva trascinate ad un party, aveva preso decisioni che le riguardavano senza avvertirle. Come quella sera a cena, quando aveva accettato placidamente l’intromissione di una completa estranea per un’intervista…
Le braci si riaccesero…
“Davvero non lo sai??” Improvvisamente il tono di Rachel si fece teso.
Sul volto di James passò un’onda di compiacimento, come se gioisse di aver colto in castagna sua figlia.
Alcune fiammelle si riaccesero.
“Spiegamelo…” disse James incrociando le braccia.
“Incredibile…” commentò Rachel “Quindi secondo te è normale interrompere la mia festa di compleanno per una cazzo di intervista!”
“Modera il tono e il linguaggio Rachel…” ammonì James.
“No! Sono stufa di moderarmi! È tutto l’anno che fai così! Organizzi cene, inviti persone, ci scarrozzi da un party a un altro, parli di me in radio e sui giornali fregandotene delle ripercussioni che le tue parole hanno sulla mia vita. Sono tua figlia o cosa? Non dovresti volermi bene? Non dovresti pensare a ciò che è meglio per me?? O forse ti frega solo delle elezioni!!” ora Rachel urlava, tutto quello che aveva tentato di sopprimere quella notte riemerse come nulla fosse.
E le fiamme si riaccesero.
“Non ti ho obbligata a far nulla. Se non volevi venire ai party o partecipare alle cene eri libera di farlo. Così come non mi hai mai detto che non potevo parlare di te. Dovrei dispiacermi per essere orgoglioso di mia figlia?” James era entrato in modalità avvocato e Rachel si sentiva in svantaggio. Era chiuso ermeticamente, ma lei non poteva fermarsi.
“Certo! Se non ti avessi assecondato o avessi protestato non sarebbe servito a niente. Guarda come stai reagendo adesso. Mi ribalti contro tutto quello che dico. Non ascolti nemmeno cazzo!”
“Ho detto modera il linguaggio e il tono!” ammonì James facendo un passo avanti.
La sua figura torreggiante di colpo più vicina fece indietreggiare Rachel. Di colpo il suo impeto si spense, o meglio, le si riflesse addosso.
Non c’era niente da fare…
Non ascoltava, come volevasi dimostrare…
Il fuoco però non si era affatto spento!
Non potendolo indirizzare verso l’esterno, iniziò a bruciarle il petto.
Bruciava… parole che avrebbe voluto dire…
Risposte che avrebbe voluto ricevere.
Furia che avrebbe voluto sfogare…
Non poteva…
Non poteva!
Rachel cacciò un ringhiò feroce, serrò i pugni fino e corse via su per le scale, ogni passo più pesante del necessario.
James e Rose rimasero troppo sgomenti da quella sfuriata per reagire.
 
Giunta in camera sua, Rachel chiuse la porta a chiave e ci si appoggiò contro.
Doveva fare qualcosa cazzo!
Non poteva finire così, qualche cazzo di cosa doveva cambiare!
Osservò la stanza, le pareti dipinte di rosa, i mobili bianchi, il letto perfettamente rifatto, le bacheche con le foto. Osservò attentamente ogni dettaglio, i poster delle località in cui era stata con la sua famiglia, le foto incorniciate sul comodino, la lampada, la libreria piena di libri regalati da sua madre… si aggirò per la stanza, sentendosi improvvisamente un’estranea. Voltandosi a sinistra lo sguardo incappò nel ricamo che Rose le aveva cucito per il suo decimo compleanno e che aveva appeso al muro.
Soprattutto… ricorda che sei amata
Così diceva.
E lei ci credeva.
Lei ci aveva sempre creduto.
Ma aveva creduto anche che sarebbe diventata una ballerina.
Che sarebbe diventata un’esploratrice.
Che sarebbe cresciuta in California e avrebbe frequentato il liceo con Tyler, Jordan e Cindy…
Fanculo quello che credeva!
Si avvicinò al quadro e lo afferrò staccandolo rudemente dal muro. Lo sollevò sopra la testa pronta a scaraventarlo al suolo…
Si bloccò.
Non ci riuscì.
Lentamente tornò a fissarlo, una lacrima scese sulla sua guancia sinistra senza il suo consenso.
Non poteva distruggerlo.
Eppure quella scritta non sembrava più corrispondere alla realtà.
L’amore secondo suo padre era disporre della sua vita e del suo futuro a piacimento? Senza interpellarla né ascoltare le sue proteste?
E per sua madre l’amore significava paralizzarsi ogni volta che Rachel aveva bisogno di lei?
Sicuramente la amavano, ma non erano in grado di dimostrarlo come le serviva…
Rachel avrebbe dovuto pensarci da sola.
E comunque… a quel ricamo serviva un cazzo di aggiornamento!
Si diresse alla scrivania e appoggiò il quadro. Notò con lo sguardo un libro chiuso accanto al computer, uno dei compiti estivi della Blackwell.
Il Principe di Machiavelli.
Rachel sogghignò. Aveva iniziato a leggerlo e per quanto una parte di lei odiasse profondamente ogni parola, un’altra parte ne era deliziata. Per la precisione la parte che dominava in lei in quel momento!
Prese un post-it e una penna. La sua mano tracciò in calligrafia elegante una frase:
“Prima di tutto, sii armata”
Machiavelli

Attaccò il post-it sul vetro nell’angolo a destra, incastrandolo nella cornice.
Così andava meglio…
Era sicuramente amata… ma doveva anche essere pronta…
Le persone che ti amano a volte lo fanno nel modo sbagliato. E lei doveva difendersi!
Inoltre, non aveva ancora finito. Aprì le ante dell’armadio dentro le quali aveva attaccato decine di poster di concerti rock cui avrebbe voluto andare, i pochi cui aveva trascinato Armond e di tutti i gruppi che amava e non voleva che i suoi genitori vedessero.
Da quel momento avrebbero dovuto vederli! Dovevano sapere.
Rachel non era più una docile bambina, non lo sarebbe più stata.
Aveva le sue parti da recitare, certo, ma aveva una vita sua, un destino che poteva percorrere solo lei.
Uno ad uno, accatastò sul letto i poster dei Green Day, Marilyn Manson, Metallica, Led Zeppelin, Pink Floyd e tanti altri.
Uno ad uno, trovò loro una collocazione in bella vista sulle pareti rosa…
Anche quel fottuto colore non le andava più a genio!
 
-
 
Il mattino seguente, Rachel si svegliò a pezzi. L’assurdo mix di alcol, erba, cibo spazzatura, caffè e adrenalina le provocò un sonno agitato, da cui si svegliò ben poco riposata. Ancora avvolta disordinatamente nelle coperte… rosa… fottutamente rosa… emise un rutto che sapeva di inferno. Il suo stomaco gorgogliava ancora come se tutto ciò che aveva ingerito la sera prima fosse ancora lì…
In effetti era così!
Corse in bagno e chiuse la porta. Arrivò giusto in tempo per riversare nel water tutti gli scarti di una nottata ai confini della realtà. Un lato vagamente lucido di Rachel sperò che i suoi genitori fossero già ben svegli e indaffarati così da non sentire i suoi rantoli mattutini.
Dopo una lunga doccia ed una seduta di restauro adeguata, scese per la colazione, ignorando effettivamente che ore fossero. Doveva essere tarda mattinata, suo padre leggeva il giornale in salotto sulla sua poltrona, mentre Rose era sul divano con un libro in mano e una tazza di tè a portata di mano. Rachel si accorse di essere ancora in pigiama quando li salutò.
“ ‘Giorno…”
Ricevette sguardi interrogativi quando i suoi genitori si voltarono. Rose balzò in piedi, come spinta da una molla. James si limitò ad un asettico: “Buongiorno Rachel.”
“Ti preparo la colazione? Sarà più un brunch vista l’ora…” offrì caldamente Rose.
“Si… cioè… ehm… forse mi basterà un tè, grazie. E una banana. Aspetterò il pranzo per qualcosa di più elaborato!” Rachel sapeva che abbondare in spiegazioni era un modo di fare sospetto, ma nello stato semi-confusionale in cui era non ci badò troppo. Ogni strategia comunicativa era franata.
Rose comunque la assecondò e andò in cucina a caricare il bollitore. Rachel si andò a sedere sul tavolo di vetro, fissando il vuoto davanti a sé.
Cazzo quanto aveva bevuto… e fumato…
I minuti volarono in un vuoto obnubilato e Rachel sobbalzò quando Rose le apparve a fianco, depositando gentilmente una tazza di tè con uno spicchio di limone davanti a lei ed una banana. Ringraziò sua madre e le sorrise. Sorseggiò il liquido caldo, sperando che rimettesse in sesto i suoi visceri in tempo per l’ora di pranzo.
“Rachel?” la voce di James la raggiunse e si voltò a guardarlo. L’uomo si era seduto accanto a lei, appoggiando il giornale sul tavolo.
“Come ti senti oggi?” le chiese.
“Bene… ho dormito male… forse il nervosismo…” la teina stava facendo un po’ di effetto sui suoi neuroni intorpiditi.
“Giusto…” convenne James, anche se Rachel poteva dire che non fosse del tutto soddisfatto della spiegazione “Volevo dirti…” continuò “…avevi ragione riguardo a ieri sera. Avrei dovuto avvertirti e soprattutto chiederti il permesso prima di invitare una giornalista al tuo compleanno…”
Queste scuse così esplicite confusero di nuovo la mente di Rachel, che rimase in silenzio.
“Quindi, mi dispiace.”
Rachel si accorse con la coda dell’occhio di Rose che sostava in cucina, evidentemente origliando e vegliando sulle parole di James. Dovevano essersi parlati. Improvvisamente tutta la furia e i pensieri della notte precedente si smorzarono. Rachel ricordò il ricamo di sua madre…
Ricordati che sei amata
Forse aveva davvero reagito troppo male…
Forse se si fosse espressa prima… magari con più calma…
“Va bene papà… è tutto ok!” disse regalandogli un sorriso.
“Ne sono felice!” rispose lui “Ora mi aspetto delle scuse per il tuo comportamento di ieri…”
E Rachel fu di nuovo delusa.
Un passo avanti, quaranta indietro.
“Non è da te parlare in quel modo. Con le dovute maniere sei sempre stata libera di esprimerti…” aggiunse James.
Non è da me… perché solo tu sai cos’è da me vero papà??
Tu mi conosci come nessun’altro vero…
Con le dovute maniere… giusto…
Libera di esprimermi… e di non essere ascoltata.

Rachel era stanca, non aveva la forza per replicare.
“Mi dispiace papà…”
“Ti perdono.” Disse lui con un sorriso bonario “Ora, riguardo alla tua punizione…”
Rachel deglutì.
“…visto che è la tua prima vera infrazione mitigherò la pena. Rimarrai a casa a studiare oggi e domani, senza telefono. Ma non dovrà più ripetersi niente di simile, tornerai a rispettare il coprifuoco e a dirci con chi sei e dove vai. Chiaro?”
“Chiaro…” sospirò. Avrebbe comunque perso il venerdì sera con Ruth… ma forse non era tutto perduto.
“Ora consegnami il telefono…” ordinò James pacatamente, mentre Rose, soddisfatta della risoluzione, era tornata in salotto.
“Certo… vado a prenderlo in camera…” disse Rachel.
La prima cosa che fece fu scrivere un messaggio a Ruth.

Rachel
  • Mi hanno messa in punizione per stanotte.
  • Venerdì non posso venire al locale ma sabato sarò libera.
  • Dimmi che possiamo rimandare di un giorno…
 
Rispondi rispondi rispondi…
“Rachel? Che fine hai fatto?” la voce di James arrivò ovattata dal fondo delle scale.
“Scusa papà non trovo il telefono!”
“Ti aiuto a cercarlo?” passi che salgono i gradini.
Merda! Rispondi Ruth
 
Rrrrrrmmmmmm
Rrrrrrmmmmmm

 
Ecco!!!
 
Ruth
  • Certo. Nessun problema!
  • Ci aggiorniamo sabato!
Rachel
  • Non scrivermi più, mi stanno per ritirare il telefono!!
 
Detto questo, le dita di Rachel saettarono cancellando la conversazione con Ruth e lanciò il telefono sotto il letto.
Pochi istanti dopo James varcò la soglia della sua camera, trovandola cambiata! Scrutò tutti i nuovi poster che avevano invaso i muri della stanza, ma non fece commenti a riguardo. Si avvicinò invece alla figlia che rovistava intorno al letto.
“Allora?” la incalzò.
“Eccolo!” disse lei recuperandolo da sotto il letto.
“Come ci era finito?” le chiese con un sopracciglio inarcato.
Rachel scrollò le spalle con fare innocente, ricevendo uno sguardo di rassegnato sospetto da James.
“Vieni a finire il tè” le disse prima di dirigersi verso la porta.
Rachel lo seguì tirando un lungo sospiro di sollievo, che le morì in gola poco dopo.
Merda… non ho cancellato i messaggi a Joel!
 
-
 
James, fortunatamente, non indagò nei suoi messaggi, si limitò a chiudere il telefono in un cassetto per due giorni. Rachel ringraziò Dioniso, Apollo, Zeus e tutti gli Dei dell’Olimpo per averle fatto questa grazia. Sabato mattina ottenne di nuovo il telefono e scrisse a Ruth. Organizzarono la serata e si incontrarono nel tardo pomeriggio per una sessione di trucco e parrucco estrema. Questa volta concordò una versione con Megan. Disse ai suoi che avrebbe fatto un pigiama party da lei e concordarono una versione da dare in caso i suoi telefonassero (e molto probabilmente l’avrebbero fatto). Rachel si presentò anche a casa Weaver e finse di salire in stanza con Megan, per poi sgattaiolare fuori di nascosto. Rachel benedisse l’amica in ogni modo possibile, sapendo di essere in debito!
Quel giorno scoprì un nuovo lato di Ruth, ancora più giocoso e spensierato, così come quello delle sue amiche. Tutto accadde appena fuori città, a nord, sul pianale del pick-up di Truman, con capelli bruni trasandati e un paio di baffi a manubrio, vestito di jeans logori dalla testa ai piedi, con un teschio in fiamme cucito sulla schiena del suo giubbotto dalle maniche strappate. Mentre Ruth, Lyli e Claudia giocavano con la faccia di Rachel e le facevano provare un vestito dietro l’altro, Truman leggeva Così parlò Zarathustra di Nietsche. Più tardi Rachel avrebbe intrattenuto con lui un lungo discorso su quel libro.
Alla fine il make-over di Rachel diede i suoi frutti. Indossava un giubbotto di jeans nero, una maglietta degli Iron Maiden, entrambi gli orecchini di piuma, il suo artiglio d’orso appeso al collo, un paio di leggins strappati con sopra degli shorts di jeans. Claudia, che aveva più o meno la sua taglia, le prestò un paio di anfibi con suole e tacchi particolarmente spessi. Per passare come maggiorenne dovevano farle guadagnare qualche centimetro! Poi il trucco… il più pesante che Rachel avesse mei messo. Le disegnarono anche delle finte rughe. Si sentiva come se dovesse salire sul palco e recitare in una commedia. In effetti era quello che doveva fare, almeno per entrare in questo fantomatico Vecchio Mulino…
Quando fu l’ora, con Truman alla guida, le tre ragazze si strinsero sui sedili del pick-up. Il mezzo si diresse per un po’ verso nord per poi svoltare a destra in uno sterrato. In tutto ci vollero quaranta minuti per arrivare e una volta scesi, Rachel si trovò di fronte ad una struttura cadente, dal cui interno proveniva ovattato il suono di una band che suonava. C’erano macchine parcheggiate ovunque, resti di antiche rotaie, un grosso vagone arrugginito ancora inserito in uno degli ampi ingressi del capannone principale, un falò e motociclette parcheggiate in lungo e in largo. A Rachel non sfuggì un bianco e sporco camper, più isolato rispetto agli altri mezzi.
Come volevasi dimostrare, il gruppo fu fermato all’ingresso da un imponente buttafuori. Rachel, anche con le suole spesse e i tacchi che le facevano guadagnare una decina di centimetri, arrivava a stento al petto di quell’enorme individuo con la mascella squadrata, dilatatori neri alle orecchie, anello al naso e piercing sotto il labbro, con tatuaggi tribali in faccia e su metà del corpo.
“Hey Rodney!” lo salutò Truman, che gli porse la mano come ad un vecchio amico.
L’omone rimase immobile, braccia conserte, a fissarlo con la testa inclinata: “Quante volte ti ho detto che non mi devi chiamare così?” la sua voce era profonda quanto ci si aspettava che fosse.
“E’ il tuo nome amico!”
“Il mio nome è Thunder, Truman Show!”
“Oh scusa… ‘Thunder’!” Truman sottolineò con artificiosa solennità il nome, condendo il tutto con ostentati gesti aulici. Rachel non era convinta che lo scherno fosse la strategia migliore con un tizio che poteva staccargli le braccia a mani nude…
Il buttafuori lo fissò per un lungo momento, con gli occhi socchiusi e minacciosi. Poi proruppe in una fragorosa e calda risata. “Testa di cazzo!” disse mentre spalancava le enormi braccia e avvolgeva Truman in un abbraccio ricambiato “Dov’eri finito stronzo?!”
“Mi hanno spedito a far consegne in Nevada…” disse Truman.
“Almeno fosse stata la California! Non c’è un cazzo di niente nel Nevada.”
“L’Arizona è peggio fidati…”
“Dipende… per viverci di sicuro. Per viaggiare in moto è il massimo!” Thunder fece un cenno verso la fila di Harley parcheggiate a pochi metri da loro.
“Ne sono sicuro! Quindi ci fai entrare?” disse Truman.
Thunder sorrise e spostò lo sguardo indagatore sulle ragazze che fino a quel momento aveva completamente ignorato.
“Ruth! Scusa se non ti ho cagata…” ridacchiò l’uomo.
“Tranquillo so che sei un maschilista di merda…” ammiccò lei di rimando provocando una nuova risata.
Anche Lily e Claudia ricevettero un saluto, ma quando lo sguardo si posò su Rachel gli occhi si strinsero di sospetto.
“E tu? Non ti ho mai vista!”
Rachel fece per rispondere, ma Ruth si intromise: “E’ una mia amica, ci iscriviamo al Community College insieme quest’anno!”
“E’ anche muta?”
“No parlo benissimo!” disse Rachel prendendosi spazio.
“Come ti chiami?”
“Jess!”
“Mi sembri un po’ piccola Jess!” Thunder le si avvicinò sovrastandola con la sua mole.
“Qualcosa contro le ragazze basse?” disse lei fingendo di fraintendere. Thunder inarcò un sopracciglio.
“Già… qualcosa da ridire sulla statura?” incalzò anche Claudia reggendole il gioco.
“Hai un documento?” chiese Thunder incurante.
“Succede tutte le volte…” sbuffò Rachel dandosi una pacca sulla fronte “Che cazzo… forse tra una decina d’anni mi sarà utile dimostrare qualche anno di meno ma adesso è davvero uno stress…” Rachel finse di cercare nella borsa. Sperò che qualcuno le venisse in soccorso.
“Senti amico, che problema c’è? È con noi, non ti fidi?” disse Truman.
“Ragazzi lo sapete per chi lavoro. Non è uno con cui si scherza…” il viso di Thunder si contrasse in un’espressione piuttosto seria. Rachel ripensò a tutti i discorsi sulle losche frequentazioni di quel luogo e improvvisamente si chiese se fosse stata una buona idea…
“Si lo sappiamo” disse Ruth “e non penso che controlli personalmente chi entra o esce giusto? Ha affari più grossi cui pensare…”
Thunder si massaggiò il mento, giocherellando con il piercing sotto il labbro, infine sospirò.
“Ok, fanculo. Entrate. Ricordate che ho controllato i documenti a tutti.”
“Sei il migliore Thunder!” esultò Truman.
“Si certo… voi stronzi mi farete finire nei casini un giorno…” bofonchiò in risposta.
Il gruppo superò il buttafuori, aprì la cigolante porta di legno alle sue spalle e Rachel fece il suo primo ingresso al Vecchio Mulino.
 
-
 
Dopo quella sera, Rachel iniziò a frequentare più spesso l’ambiente underground di Arcadia Bay. Era solo una ragazzina, quasi una mascotte per loro. Ruth non viveva ad Arcadia Bay, ma Lily e Claudia sì, mentre Truman, da camionista, andava e veniva facendo i suoi pit stop al Two Whales.
Andò con Megan a Portland per vedere Once Upon a Time, accompagnate dai suoi nonni, ma Rachel non se la sentiva di rimanere ad Arcadia Bay. Aveva ancora bisogno di evasione, così riuscì ad ottenere dai suoi il permesso per una seconda vacanza che avrebbe pagato con i soldi del suo compleanno. Quando disse che sarebbe partita con Ruth, Rose ne fu rassicurata e nonostante qualche smorfia anche James fu convinto. La ragazza appariva una compagnia affidabile agli occhi di sua madre, che ignorava del tutto il fatto che avesse portato la sua figlia adorata in un covo di spacciatori! Sapendo che sarebbe stato un viaggio on the road, James comprò un grosso kit d’emergenza da tenere in macchina in caso di necessità, con la promessa di telefonare ogni giorno, mattina, mezzogiorno e sera. Rachel accettò senza fiatare ogni condizione, purché potesse partire.
La vacanza durò fino ai primi di settembre, a bordo del pick-up di Truman che Ruth aveva convinto a prestarle. Oltre lei e Rachel c’erano anche Claudia, Lily con il suo ragazzo Daniel e il fratello di Ruth, Isaac. Superata Tillamook, il tragitto li condusse a Pacific City, poi Sheridan, Salem (quella dei processi alle streghe!), Albany, Eugene, Roseburg (città natia di Megan e dove ancora viveva sua madre), attraversarono Wolf Creek Park e superarono Medford oltre la quale, a pochi chilometri, si trovava il confine di stato. Rachel fantasticò a lungo durante quelle giornate on the road, dormendo sotto le stelle tutti ammassati nel pianale, avvolti da tre piumoni, che a poco a poco si riducevano più si andava a sud. Erano passati sette anni dall’ultima volta che era stata in California, aveva abbandonato le speranze di tornarci prima dei diciott’anni e l’idea che quella fosse la meta del viaggio la emozionava profondamente. Certo, non si stava trasferendo, ma era il principio che contava. Quando raggiunsero il confine di stato Rachel fece fermare il pick-up, scese e con grande cura scattò una foto della strada e del cartello che comunicava “California” con il simbolo dell’orso ben in vista. Quando tornò a casa, quella foto fu appuntata sulla sua bacheca con un commento scritto:
Road Trip!!
Avrebbe dovuto ricordare sempre quel momento. Il momento in cui aveva sperimentato che la California non era così lontana e che tornarci era possibile! Che andare ovunque volesse era possibile.
Mangiarono cibo spazzatura, fumarono, bevvero, esplorarono boschi, fecero i turisti nelle città che incontrarono e passarono serate meravigliose in pub isolati, ascoltando musica dal vivo. Quando tornarono ad Arcadia Bay, Rachel appuntò in bacheca una loro foto di gruppo, scattata al Greenhorn Park, vicino a Yreka.
 
Non molto tempo dopo il suo ritorno, Rachel dovette prepararsi per il rientro alla Blackwell. Lo fece come figlia del nuovo Procuratore Distrettuale della Contea. Infatti, tutti gli sforzi di James furono premiati con la vittoria elettorale. L’immagine di Miss Perfettina Amber fu amplificata e ben presto Rachel scoprì che, come temeva, la campagna elettorale non finiva mai. Che lo volesse o no, l’immagine pubblica di suo padre impattava su di lei e sulle aspettative che più o meno chiunque aveva nei suoi riguardi.
Rachel andò avanti, come faceva sempre.
Non si voltava indietro, farlo avrebbe significato fermarsi…
Se si fosse fermata avrebbe visto…
E non voleva vedere…
Non voleva sapere…
Era molto meglio fluire insieme agli eventi e renderli sopportabili, piuttosto che fare qualcosa per cambiare davvero le cose.
Come fermarsi, guardarsi allo specchio e riflettere.
 
Il flusso umano della Blackwell era qualcosa di spaventoso e intrigante allo stesso tempo. Un fiume con innumerevoli affluenti in cui, nonostante tutto, amava bagnarsi.
Ed in quel fiume nuotava anche Chloe Price.
 
-
 
“È un bene che io desideri lasciarmi alle spalle questo mondo deprimente per cercare un’utopia che forse non troverò mai?”
Henry Kendall
 
“Le persone mi hanno sempre detto che crescere non riguardava mai la destinazione,
ma il viaggio.
E se la destinazione ... sei tu ? ”

Mr. Robot
 
Always said I was a good kid
Always said I had a way with words
Never knew I could be speechless
Don't know how I'll ever break this curse
 
Now the world is only white noise
Frequencies that I can't understand
I can't be bothered with the teachers
Always trying to shape the way I act
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
 
I'll set fire to the whole place
I don't even care about our house
It's not the same in here since he left anyways
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
 
Always said I was a good kid
Always said I had a way with words
Never knew I could be speechless
Don't know how I'll ever break this curse
 
Now the world is only white noise
Frequencies that I can't understand
I can't be bothered with the teachers
Always trying to shape the way I act
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
 
Momma told me all of this is
Just a place we have to settle for
Less than anything we dream on
We'll continue to be disappointments
 
I feel down, I feel down, I feel down, I feel down
I feel down, I feel down, I feel down, I feel down
 
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it down
Burn it down, burn it down, burn it down, burn it
Burn it, burn it
 
Burn it Down - Daughter
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Life Is Strange / Vai alla pagina dell'autore: Viking86