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Autore: Lamy_    25/02/2021    1 recensioni
Ivar e Hildr sono i nuovi sovrani di Kattegat. Devono far riemergere un regno dalle ceneri, e una tale azione richiede sacrificio e impegno costante.
I nemici circondano i neo-sovrani: Oleg e il suo esercito sono pronti a eliminare chiunque minacci il trono di Kiev. Ma il principe Dir ha altri piani che includono l’appoggio di Ivar e Hildr.
A incrinare una situazione già di per sé delicata sarà la guerra dei vichinghi contro il Wessex. L’esito sarà doloroso e le conseguenze porteranno a nuovi equilibri mai visti in precedenza.
Tutto è nelle mani di Hildr.
Amore e morte, forze antiche quanto il mondo, giocheranno una partita in cui le pedine avranno solo due possibilità: splendere di gloria o piegarsi alla sconfitta.
(6B; contiene spoiler a vostro rischio e pericolo)
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. AMARTI E ONORARTI

Un mese dopo
Ivar non credeva che il fatidico giorno sarebbe arrivato. Aveva fantasticato a lungo e più volte, ma si prospettava qualcosa di diverso da come si era immaginato. Quel giorno avrebbe sposato Hildr, la sua migliore amica, la sua fedele Valchiria, la persona più cara della sua vita. Avevano scelto di sposarsi nel mese di thrimilce perché considerato un periodo propizio in quanto l’erba era più verde e abbondante, un segno positivo. Sebbene fosse il suo secondo matrimonio, Ivar sentiva che questa era la volta giusta. Non aveva dormito per l’agitazione, a stento aveva mangiato e ora stendeva gli abiti meglio che poteva affinché non fossero stropicciati.
“Ivar, posso entrare?”
“Certo, fratello.”
Hvitserk entrò con un pacco sotto il braccio, la pelle che lo avvolgeva era morbida e lucida.
“E’ appena arrivato. Cos’è?”
Ivar prese il pacco e lo aprì per assicurarsi che il contenuto fosse integro. Aveva faticato per ottenerlo ma ne era valsa la pena.
“E’ un regalo per Hildr. Mi è costato due navi e un gregge di pecore, però non importa.”
“Due navi per un regalo? Mi sembra esagerato.” Disse Hvitserk.
“Niente è esagerato quando si tratta di Hildr. Sei andato dal fabbro? La spada deve essere perfetta.”
Ivar aveva programmato ogni singolo dettaglio. Quella giornata doveva essere spettacolare a tutti i costi, non erano concessi errori o ritardi.
“Ora vado dal fabbro. Ci vediamo in spiaggia?”
“Sii puntuale. La cerimonia inizia a mezzogiorno.”
Hvitserk non capiva l’entusiasmo del fratello, del resto si era già sposato e avrebbe dovuto essere più rilassato. Senza porsi altre domande, si incamminò verso la bottega del fabbro per non incappare nell’ira di Ivar se avesse fatto tardi.
 
Quando Isobel andò a casa di Hildr, quella che Ivar aveva costruito per lei, rimase delusa. Si aspettava che l’amica fosse già in piedi, invece dormiva beatamente; ogni tanto russava pure.
“Hildr! Andiamo, svegliati! Forza!”
Hildr si sentì scuotere per il braccio, ma continuò a dormire. Si stava così bene sotto le coperte che non avrebbe mai voluto lasciare il letto.
“Hildr! Oggi ti sposi! Svegliati!”
Isobel non andò per il sottile, non c’era tempo da perdere. Saltò addosso all’amica e la prese dalle spalle per scuoterla. Hildr aprì gli occhi e sbuffò, indifferente al peso di Isobel addosso.
“Non si può mai dormire in pace.”
“Come fai a dormire quando fra due ore ti sposi? Abbiamo tantissime cose da fare. Devi farti il bagno, devi indossare l’abito, devi sistemarti i capelli, dobbiamo ritirare la nuova spada.”
“Ho il tempo per uno spuntino?” domandò Hildr, la voce assonnata.
“Mangerai al banchetto, ora muoviti!”
Hildr si mise seduta e si sfregò gli occhi, però il sonno non voleva svanire. Il suo stomaco brontolava, quindi si alzò per mangiare una mela e scolarsi un boccale di acqua.
“Che hai detto che devo fare?”
Isobel spalancò la bocca, era surreale l’indifferenza della vichinga.
“Ma ti ricordi che giorno è oggi?”
Hildr addentò la mela e fece spallucce, non capiva tutta quell’ansia. Era ancora troppo stordita dal sonno per connettere con la realtà. Pian piano notò un abito appeso alla porta, una ghirlanda sul tavolo e un paio di orecchini luccicanti.
“Per tutti gli dèi, oggi mi sposo!”
Isobel sospirò per il sollievo, ora era certa che l’amica fosse sveglia. Ricordava ancora l’emozione di quando aveva sposato Hvitserk, all’epoca lo amava e credeva che sarebbero invecchiati insieme. La vita, però, sa essere imprevedibile e spesso divide le strade di chi si è unito.
“Temevo lo avessi dimenticato. Tu fatti il bagno, io vado a ritirare la spada.”
“Ai vostri ordini, generale!” scherzò Hildr.
Isobel alzò gli occhi al cielo e si precipitò a Kattegat per l’appuntamento con il fabbro. La cerimonia vichinga richiedeva che gli sposi facessero voto di matrimonio usando delle spade, ecco perché il fabbro aveva lavorato senza sosta per realizzare le armi più belle di sempre.
“Isobel, buongiorno!” esclamò il fabbro.
“Buongiorno a te, Galmr. E’ pronta la spada?”
“E’ pronta ed è una meraviglia.”
Galmr le mostrò la spada più spettacolare che avesse mai visto. La lama era piatta e ben affilata, ornata su entrambi i lati da rune di buon augurio. L’elsa era fatta di metallo coperto da inserti di ambra, un omaggio alla pietra preferita di Hildr. Alla luce del sole si accorse che la lama era percorsa da una scritta incisa a caratteri sottili. Ormai viveva a Kattegat da un anno ma faceva ancora fatica a imparare la lingua; era più facile parlarla che leggerla.
“Che cosa significa questa frase?”
“Significa ‘l’amore cancella le distanze’, lo diceva sempre mia madre.” Rispose Hvitserk.
Isobel non lo degnò di uno sguardo, sforzandosi di rimanere impassibile. Riconsegnò la spada a Galmr perché la incartasse.
“Perché sei qui? Eravamo d’accordo che fossi io a ritirare la spada.”
“Lo so, ma è l’unico modo per vederti. Faccio il possibile per poterti parlare.”
Hvitserk si avvicinò e Isobel indietreggiò, era ancora ferita dal suo tradimento per perdonarlo.
“E’ la sposa che porta la spada, quindi puoi anche andartene. Qui me la sbrigo io.”
“Isobel, ti scongiuro, dammi la possibilità di spiegarti.”
Isobel ritirò la spada e la puntò contro Hvitserk, sebbene fosse custodita dalla pelle e quindi innocua. Il gestito serviva a rendere chiara la sua posizione ostile.
“Non abbiamo nulla da dirci. Hildr ha ragione quando dice che sei stupido e inutile, lo hai dimostrato più volte. Ti tollero solo perché sei il padre di Aila, ma da me non avrai niente di più.”
“Isobel, ti prego …”
Isobel gli diede le spalle e andò via senza voltarsi, anche se sentiva un peso opprimerle il petto.
 
“Ahia! Non tirare così forte!” si lamentò Hildr.
Dopo aver fatto il bagno e aver mangiato altre due mele, si era seduta davanti allo specchio per lasciare che Isobel la preparasse. Sul tavolino davanti a sé giaceva la collana di sua madre, quella con il pendolo di ambra, e Hildr la strinse fra le mani. Era strano pensare che si sarebbe sposata senza i suoi genitori, eppure quel giorno era arrivato e lei non riusciva ad essere totalmente felice. C’era qualcosa che non andava, lo sentiva fin sotto la pelle. L’incontro con la Nix a Samsø aveva stravolto la sua prospettiva, aveva messo in agitazione il suo animo. Era convinta che gli dèi le stessero inviando un messaggio, difficile era decifrarlo.
“Ho finito. Ora puoi guardarti!” disse Isobel, battendo le mani.
Hildr tornò alla realtà e scosse la testa, era una giornata importante e le preoccupazioni non erano ammesse. Quando si guardò allo specchio, quasi non si riconobbe. La cerimonia vichinga prevedeva che la sposa portasse i capelli sciolti giacché rappresentava l’ultimo baluardo della sua vita da nubile. Le lunghe ciocche nere erano lisce sulla schiena, alcune erano adornate da piccole pietre bianche. Sulla testa era posta una coroncina di fiori e di nastri rossi, simile a quella che aveva indossato Aslaug quando aveva sposato Ragnar.
“Grazie, Isobel. I miei capelli sembrano decenti adesso.”
Isobel rise, anche se in effetti quella semplice acconciatura era costata un pettine rotto per via dei nodi di cui Hildr non si curava.
“E’ il momento di indossare l’abito. La sarta ha fatto un lavoro egregio, è stupendo.”
Hildr non era appassionata di abiti, aveva sempre indossato casacca e calzoni per muoversi con agilità, ma doveva ammettere che quello era davvero un capolavoro di sartoria. Si trattava di una tunica bianca di base su cui andava indossata una giacca color oro lunga e
con le maniche svasate. La giacca aveva intarsi blu notte lungo le cuciture e una cinta in vita dello stesso colore. A completare il tutto c’erano gli orecchini a forma di conchiglia e la collana di ambra. Erano tessuti pregiati, lavorati con cura a mano, e l’attenzione alle minuzie era strabiliante. Gli intarsi, infatti, erano rune di amore e fortuna che si alternavano.
“Come sto?” chiese Hildr, facendo una giravolta.
Isobel si commosse e sfoggiò un ampio sorriso. Era la sposa più bella che avesse mai visto.
“Come direbbe Ivar, sei più bella di Freya.”
“Difatti Ivar si sbaglia. Fosse stato per me, mi sarei sposata in mezzo al bosco con la tenuta da battaglia.”
“Hildr, prova ad essere vagamente romantica almeno oggi.” La rimproverò Isobel.
Hildr ridacchiò, consapevole che la dolcezza non era una caratteristica che possedeva. Qualcuno bussò alla porta e Isobel aprì, trovandosi di fronte una giovane donna in abiti eleganti.
“Mia signora, è ora di andare.” Disse Sigrid.
Hildr si diede un’ultima controllata allo specchio. Sospirò, l’ansia che iniziava a farsi sentire.
“Sono pronta.”
 
Ivar aveva deciso di svolgere il rito in spiaggia nell’esatto punto dove si erano sposati in passato Floki ed Helga. Hildr aveva accettato subito la proposta, per lei era importante ripercorrere i passi dei suoi zii.
“Smettila di muoverti come un cane con le pulci.” Disse Hvitserk, sgranocchiando una noce.
Ivar proprio non riusciva a stare fermo. Continuava a sistemarsi la giacca e i capelli, faceva scricchiolare le dita della mano, disegnava cerchi nella sabbia con la stampella.
“Voglio solo che sia tutto perfetto, io compreso.”
Tutta Kattegat si era radunata in spiaggia per assistere alla cerimonia, pertanto il ragazzo sperava che le cose filassero lisce. Già era il suo secondo matrimonio e la gente spettegolava, ci mancava l’ennesimo fallimento e il suo cuore si sarebbe spezzato per sempre.
“Ci siamo.” Disse Hvitserk.
Il corno suonò per annunciare l’arrivo della sposa. Ivar sentì il respiro mancargli, le emozioni si dibattevano in lui come farfalle intrappolate. Intravide Hildr che superava la cunetta per scendere in spiaggia, era accompagnata da Isobel e Sigrid. Notò subito la sua chioma nera come il manto di un corvo.
“Ivar, va alla tua postazione.” Gli disse la sacerdotessa.
Per officiare la cerimonia era stata chiamata una delle sacerdotesse nate a Kattegat e che poi aveva viaggiato in cerca dei luoghi sacri agli dèi. Ivar raggiunse l’altare, ovvero un banchetto di legno sotto un arco decorato da nastri bianchi e fiori, e si mise in attesa.
 
A un certo punto Isobel si staccò da Hildr per precederla e porta la spada forgiata. In verità, spettava ad un consanguineo quell’azione, ma Hildr non aveva altri parenti in vita e quindi la scelta era ricaduta sulla persona più vicina a lei. Da lontano riconobbe la figura di Ivar, vestito di blu e oro come lei. Indossava un mantello e un’ascia alla cintola in onore di Thor.
“Sigrid, dammi la mano.” Bisbigliò Hildr.
La ragazza, per la quale era un immenso privilegio accompagnare la futura regina all’altare, le strinse la mano per rassicurarla.
“Andrà tutto bene, mia signora.”
Hildr voleva scappare, rifugiarsi nei boschi e accucciarsi dietro un albero. C’era l’intera città a presenziare, facce verdi di invidia e altre rabbiose; poche erano le persone emozionate. Piantò i piedi nella sabbia, bloccando anche Sigrid. Ivar inclinò la testa nel tentativo di capire quella interruzione.
“Hildr, cammina. Non essere ridicola.” Sussurrò Isobel.
“Qualcosa non va?” chiese la sacerdotessa.
Il silenzio avvolse la spiaggia, soltanto la brezza marina spezzava l’atmosfera. Hildr sentiva i battiti del cuore nelle orecchie, temeva che esplodesse da un momento all’altro. Si calmò solo quando guardò l’espressione triste di Ivar. Non poteva lasciarlo lì da solo.
“Procediamo.”
Sigrid la scortò fino all’altare e Isobel si posizionò alla sua sinistra come testimone. Quando Hildr osò alzare lo sguardo, Ivar stava sorridendo raggiante. Poche volte lo aveva visto così felice.
“Stavi scappando, vero?”
“Taci, Ivar. Non vorrei darti un pugno in faccia proprio oggi.”
Ivar ridacchiò, finalmente la tensione si stava sciogliendo un poco.
“Sei incantevole. Freya è nulla paragonata a te.”
Hildr era troppo nervosa per replicare, quindi si girò verso la sacerdotessa e annuì per incominciare il rituale.
“Prima della cerimonia ho sacrificato una capra per Thor e ne ho raccolto il sangue per garantire fertilità e gioia a questa coppia.”
La sacerdotessa sollevò la scodella in modo che i presenti la potessero vedere, dopoché intinse un mazzetto di ramoscelli d’abete e schizzò il sangue sugli sposi e sugli invitati.
“Ora che gli sposi si scambino le spade!”
Come stabilito dal rituale, il giorno prima Ivar aveva recuperato una delle spade di Ragnar seppellite nella sua tomba. Prese dunque l’arma, ne baciò la lama segnata da tante battaglie e la donò a Hildr. La ragazza a sua volta gli donò la spada forgiata quella mattina. Ivar sorrise nel leggere la frase incisa.
“L’amore cancella le distanze.”
“Nella speranza di restare sempre vicini.” Disse Hildr con un sorriso.
La sacerdotessa prelevò le spade, le benedisse con il sangue restante nella scodella e le depose da parte. Innalzò le braccia al cielo come a voler richiedere l’intervento degli dèi e chiuse gli occhi per maggiore solennità.
“Gli dèi hanno riunito tutti noi in questo giorno sacro per assistere all’unione di due anime e di due corpi. Per volere degli Aesir, procediamo con lo scambio degli anelli.”
Sigrid infilò gli anelli nella punta della spada di Ivar e la sacerdotessa allungò l’arma verso gli sposi.
“Durante lo scambio pronunciate il giuramento.”
Ivar per primo afferrò l’anello, prese la mano di Hildr e ne baciò il dorso. Le infilò la fascia all’anulare e chinò il capo.
“Sei sangue del mio sangue, ossa delle mie ossa, ti dono il mio corpo così noi due saremo uno, ti dono il mio spirito fino alla fine della nostra vita.”
Poi fu il turno di Hildr, che sfilò l’anello dalla spada e lo fece scivolare all’anulare di Ivar.
“Ora siamo reciprocamente legati da una promessa non facile da spezzare, impareremo insieme a crescere in saggezza e in amore affinché la nostra unione sarà forte e durevole in questa e nella prossima vita.”
La sacerdotessa prese la spada e rivolse la punta a terra, il sangue iniziava a seccarsi sulla lama.
“Mettete le mani sull’elsa per l’ultima parte del rito.”
Hildr e Ivar unirono le mani sull’elsa, le loro dita si incastrarono alla perfezione. La sacerdotessa schizzò altro sangue sulle loro mani congiunte per l’estrema benedizione.
“Per volere di Odino e con la benevolenza di Freya, io vi dichiaro marito e moglie.”
“Ora baciatevi!” esclamò Isobel.
L’attimo dopo Ivar attirò Hildr a sé per baciarla, suggellando quella promessa di matrimonio per sempre. E mentre intorno a loro esplodevano applausi e fischi, Freya con la sua mano invisibile consacrava la nuova coppia.
 
Hildr si sentiva soffocare per il caldo eccessivo. La sala reale era gremita di gente, alcuni bevevano, altri giocavano a dadi e altri ancora danzavano. L’atmosfera si era fatta asfissiante, e di certo la giacca dell’abito era fin troppo stretta per respirare.
“Esco un momento.” Disse, sventolandosi la mano sul viso.
Isobel, che stava allattando Aila, annuì e la seguì con lo sguardo. Ivar aveva visto la scena, perciò si congedò dal gruppo con cui stava parlando per tornare a tavola.
“Che ha?”
“E’ uscita. Va da lei.” disse Isobel.
Ivar uscì in terrazza, le torce illuminavano il cammino. Hildr era di spalle, poggiata al parapetto, con la testa rivolta al cielo.
“Freya, sei tu?”
Lei rise senza voltarsi, riconoscendo subito quella voce.
“Smettila, idiota.”
Ivar l’affiancò e le diede una leggera spallata, non smetteva di sorridere.
“Come desiderate, regina Hildr.”
“Non chiamarmi così. Suona così … strano.”
“Suona benissimo.” Replicò lui, facendo l’occhiolino.
“Lo sapevo che lo avresti detto.”
Hildr si mise una ciocca dietro l’orecchio e ridacchiò.
“Perché sei uscita?”
“Perché faceva troppo caldo dentro, e questo vestito mi soffoca.”
“Non è che stai cercando di scappare? Stamattina mi hai fatto preoccupare.”
Hildr sospirò, non poteva fingere di non aver pensato alla fuga poche ore prima.
“Stamattina volevo scappare. Il matrimonio, il trono, il potere, sono cose lontane da me.”
“Lo so che fai tutto questo per me, Hildr. Lo so che resti al mio fianco perché lo hai promesso a Odino e a Ragnar. Io te ne sono molto grato.”
Ivar sapeva che quel matrimonio era il risultato di un giuramento, sapeva che Hildr era leale e che mai avrebbe infranto ciò che aveva giurato.
“Ivar, io voglio essere tua moglie e starti accanto, ma non volevo che fosse coinvolto anche il trono. Lo sai che ho sempre desiderato una vita semplice insieme a te, magari in una bella casetta lontana da tutto.”
Hildr gli accarezzò le nocche e fece incastrare le loro dita. Ivar abbozzò un sorriso malinconico.
“Vorrei darti tutto ciò che desideri, ma quel trono è nostro. Meritiamo di regnare su Kattegat.”
“Meritiamo di essere felici, Ivar. Conta solo questo.”
La sete di potere di Ivar offuscava il suo giudizio, spesso non era in grado di vedere al di là del trono. Lo aveva voluto e se l’era preso, ora meritava di regnare.
“Tu mi rendi felice, Hildr.”
“Amore e potere non vanno mai d’accordo.” Disse Hildr.
Floki ed Helga avevano vissuto un amore felice e puro perché non erano stati contaminati dal potere, mentre Ragnar aveva più volte tradito le sue mogli perché accecato dal suo status di re.
“L’amore cancella le distanze.” Sussurrò Ivar.
Hildr sorrise, non riusciva a resistere al romanticismo smielato di Ivar. Se lei era salda come una roccia, lui era magmatico come lava.
“Ti odio quando sei melenso.”
Ivar le stampò un bacio sulla bocca e uno sul naso.
“Non è vero, mi adori quando sono melenso. E sappi che le sorprese non sono finite qui!”
“Ivar, che cosa hai combinato?”
“Oh, lo vedrai e resterai a bocca aperta!”
 
Ivar aspettava in corridoio da circa mezz’ora, iniziava ad essere irrequieto. La parte finale della cerimonia di matrimonio stabiliva che la sposa tornasse in camera con la sua testimone per prepararsi alla notte. Isobel comparve sulla soglia pochi minuti dopo con un sorriso soddisfatto.
“Abbiamo finito. Puoi entrare. Buonanotte!”
Ivar la salutò con un cenno della testa, d’improvviso era nervoso e gli sudavano le mani. La prima notte di nozze lo terrorizzava. Hildr era una donna ed era in perfetta forma, magari avrebbe voluto passare la notte come una qualsiasi coppia normale. Le paure di Ivar si dissiparono quando, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, vide Hildr seduta per terra a mangiare un pezzo di pane alle noci.
“Stai ancora mangiando?”
“Fuefto fane è fuoniffimo!” disse lei masticando.
Ivar scoppiò a ridere, ogni dubbio che si scioglieva davanti a quella scena comica.
“Puoi lasciare il pane e venire qui?”
Hildr a malincuore abbandonò il piatto sul tavolo e andò da lui, che stava rovistando nella giacca in cerca di qualcosa.
“Che c’è?”
Ivar estrasse un panno di pelle nera e lo depositò nelle mani della ragazza.
“Aprilo, è per te. E’ un regalo da parte mia.”
Hildr rimase sbigottita quando vide cosa si celava nel panno: era una splendida collana a girocollo di metallo prezioso decorato da pietre rotonde di ambra.
“Ivar, questo è un …”
“E’ un brísingamen simile a quello di Freya.”
Il brísingamen era un gioiello che i nani avevano forgiato appositamente per Freya, era uno dei simboli con cui la dea veniva identificata. Nessuna donna aveva mai osato indossare un gioiello simile.
“Tu sei pazzo! Ti sarà costato una fortuna … io … non posso accettarlo.”
“Certo puoi, anzi devi! Hildr, meriti questo e altri mille gioielli. So che non sei il tipo che indossa monili, ma questa collana è perfetta per te.”
“Tu hai la testa bacata, Ivar.”
Ivar prese il brísingamen con cautela, fece voltare Hildr e le appuntò il gioiello al collo.
“Sei splendida.” Le disse, baciandole la spalla.
“Devo aspettarmi altre folli sorprese?”
“Solo un’altra.”
Ivar si sbottonò la camicia e le indicò un segno sul petto. Sotto il tatuaggio dei nodi ce n’erano due nuovi: il nome di Hildr e accanto una freccia la cui punta era rivolta verso il cuore.
“Sei definitivamente pazzo. Tatuarti il mio nome? Che cosa stupida!” disse Hildr, ridendo.
“E’ una cosa romantica. E poi, dico sempre che sei letale e tagliente come una freccia.”
Hildr era arrossita, sebbene tentasse di mascherare l’imbarazzo. Quei gesti plateali di Ivar la stupivano ogni volta. Se anni addietro lo aveva considerato solo il suo migliore amico, adesso considerarlo suo marito era una sensazione strana ma bella.
“Io non ti ho fatto nessuna sorpresa, mi dispiace. Pensavo che non fosse necessario.”
“Hai accettato di diventare mia moglie, questo è un immenso regalo.” Sussurrò Ivar.
“Non ho accettato, diciamo che me lo hai imposto chiedendomelo davanti a tutti!”
Hildr si scostò da lui e si avvicinò al tavolino per bere, anche se continuava a sghignazzare per l’espressione offesa di Ivar.
“Con te spesso ci vuole il pugno di ferro altrimenti mi scivoli via dalle mani.”
“Ivar Senza Ossa, re di Kattegat, flagello dell’umanità, che ha paura di una semplice shieldmaiden! Uh uh!”
Ivar ridacchiò, confortato nel sapere che quella giocosità nel loro rapporto non era cambiata negli anni.
“Non prenderti gioco di un povero uomo che soffre per amore.”
Hildr si appoggiò al bordo del tavolino, un sorriso malizioso dipinto sulle labbra. I capelli neri come inchiostro erano in netto contrasto con il bianco candore della camicia da notte.
“Spogliati.”
“Come, scusa?” fece Ivar, confuso.
“Spogliati e stenditi sul letto.”
“Hildr …”
Lei si morse le labbra, la lussuria baluginava nei suoi occhi scuri.
“Spogliati, Ivar. Voglio vederti nudo.”
Ivar ebbe un momento di incertezza, poi ricordò a se stesso che quella era Hildr e che non doveva provare nessuna vergogna. Si tolse la casacca, si liberò dei supporti alle gambe e indugiò sui calzoni. Lei lo fissava con interesse e malizia, questo diede l’impulso al ragazzo di togliersi anche l’ultimo indumento.
“Contenta?” chiese lui, nel tentativo di smorzare la propria ansia.
Hildr lo osservò con attenzione, ammirando ogni singolo muscolo che rivestiva le spalle, il petto e l’addome. I tatuaggi si rincorrevano sulla pelle in nere linee intricate, rune e simboli, parole di buon auspicio, e i due nodi sul pettorale sinistro. Il suo sguardo scese fino alle gambe, che Ivar cercava di nascondere con le braccia. La cosa assurda era che Hildr amava anche quegli arti diversi, non erano un difetto bensì un punto di grande bellezza.
“Molto contenta.”
Ivar si irrigidì sotto lo sguardo di Hildr, detestava che qualcuno guardasse le sue gambe malate. Eppure negli occhi della ragazza non c’era indiscusso, c’era solo amore.
“Hai intenzione di lasciarmi qui tutto solo?”
Hildr si tuffò letteralmente sul letto, facendo svolazzare le coperte. Ivar si tirò con le braccia indietro fino a poggiare la schiena alla parete.
“Ci conosciamo da quattordici anni.” disse lei, pensierosa.
“Ci sopportiamo da quattordici anni.” la corresse Ivar.
Si misero a ridere entrambi, spezzando quella malinconia che stava avendo la meglio. Hildr gli strinse la mano e si accoccolò a lui.
“Se penso alla mia vita, vedo te in ogni singolo momento. Tu ci sei sempre stato.”
“E ci sarò per sempre. Te lo prometto.”
Ivar si chinò a baciarla, un modo per rasserenarla. Loro non si sarebbero mai divisi, cascasse il cielo su Midgard.
“Anche io prometto che ci sarò per sempre.” bisbigliò Hildr.
I minuti successivi trascorsero in silenzio, ognuno perso nella propria testa. Poi fu Ivar a mettersi sul fianco e a tracciare con l’indice il contorno delle labbra di Hildr.
“Perché sono l’unico senza vestiti? Non mi sembra corretto.”
“Perché tu obbedisci agli ordini della regina.” Rispose lei con fare teatrale.
“E cosa desidera ora la mia regina?”
Hildr gli cinse la nuca con la mano e lo attirò in un bacio carico di dolcezza. Alle volte era strano baciare il suo migliore amico, il ragazzo con cui era cresciuta, ma ogni bacio era la riprova di quanto fossero forti i loro sentimenti. La mano di Ivar scivolò con delicatezza lungo la schiena di Hildr, infilandosi nei capelli, per arrivare a tirare i lacci sul davanti della camicia da notte; una lenta ma piacevole tortura. Quel semplice bacio ora era diventato un groviglio di pura passione, un gioco di labbra e di lingue che cresceva di intensità. Le dita della ragazza si serrarono sulla treccia di Ivar come quando impugnava la sua spada e sciolse l’acconciatura intricata, lasciando che i capelli ricadessero liberi sulle spalle. Se Ivar era bello con i capelli intrecciati come soleva la tradizione vichinga, era ancora più bello con le ciocche sciolte.
“Ivar …” sussurrò Hildr.
Lui la guardò con un fuoco negli occhi che avrebbe potuto farla bruciare all’istante. Ivar stava ansimando sulle sue labbra, provocandole una caterva di brividi in tutto il corpo.
“Che c’è?”
“Ti amo.”
Lei non era il tipo di persona che pronuncia le famose paroline molto spesso, perciò quelle rare occasioni erano speciali. Fra i due Ivar era sempre stato quello più aperto in fatto di sentimenti.
“E io amo te.” ribatté lui con un sorriso.
Hildr gli accarezzò le labbra e poi fece scendere la mano sul mento, sul petto tatuato e giù fino a toccare i muscoli sodi dell’addome. Ivar reagì con un respiro brusco, le dita sottili della ragazza erano come fiamme sulla pelle. Hildr gli scivolò sopra, mettendosi a cavalcioni senza fargli male alle gambe; ogni gesto era così accorto che era in conflitto con la furia che aveva in battaglia. Ivar le sfiorò il collo e lei ne approfittò per stringergli la mano, baciando ciascuna nocca. La fede, una semplice fascia metallica, era incisa all’esterno con i loro nomi.
“Ivar, giurami che niente e nessuno ci separerà. Non voglio che il potere corrompa il nostro rapporto.”
Ivar amava il potere, lo bramava sin da quando era bambino e tutti lo sottovalutavano per la sua disabilità. Ma amava anche Hildr, forse l’amava da quando era entrata in casa sua con le guance sporche per via dell’incendio. Cosa desiderava di più, Hildr o il potere?
“Te lo giuro.”
Prima che Hildr potesse fare altre domande, lui la zittì con un bacio. Insinuò le mani sotto la camicia da notte per liberarsene, voleva sentire la sua pelle contro la propria. Sospirò quando si trovò il seno nudo di Hildr sotto gli occhi. A volte stentava a credere che tutta quella bellezza appartenesse solo a lui.
“Vedi qualcosa che ti interessa, Ivar?”
“Decisamente sì.”
Ripresero a baciarsi con maggiore foga finchè non furono un intrico accaldato di corpi. Un bacio inghiottiva un gemito, una mano toccava pelle bollente, e così via. Ivar emise un gemito gutturale quando Hildr incominciò a muovere i fianchi, strofinandosi contro di lui.
La notte proseguì ricca di amore e lussuria, con mani che toccavano punti deboli e caldi e sguardi lascivi.  
 
Ivar si svegliò di soprassalto, aveva avuto un incubo di cui non ricordava molto. Accanto a lui Hildr dormiva serena, avvolta nel calore delle coperte. La luce di un nuovo giorno albeggiava sul mare, inondando Midgard con i suoi primi raggi. Guardò fuori dalla finestra e a stento trattenne una imprecazione. Il Veggente lo fissava con i suoi bulbi oculari neri e vuoti, eppure capaci di scorgere immense verità. Si rivestì in fretta e con la stampella zoppicò fino al balcone, lontano il più possibile da Hildr.
“Perché sei qui?”
“Perché ho visto. Ho visto, Ivar.”
“Che cosa? Parla, avanti.”
Le labbra del Veggente si contrassero in una smorfia, la sua testa ondeggiava mentre la sua mente leggeva fra le righe del mondo.
“Ho visto un manto bianco. Luci infuocate bagnate nel sangue. Ho visto cascate dagli occhi. Ho visto pezzi sparsi nell’erba. E ho visto lei.”
“Lei chi?”
Ivar trasalì quando il Veggente si voltò verso di lui con uno scatto. La sua bocca putrida tremolava.
“La Valchiria piangerà sangue e nessuno potrà impedire al Fato di spezzarle le ali.”
“Ti riferisci a Hildr?”
Il Veggente allungò la mano rugosa nel buio come se volesse afferrare la scia di verità che gli aveva trafitto la mente.
“Oh, la Valchiria giungerà sul campo per raccogliere i caduti. Giungerà e Freya spezzerà le sue ali e la sua armatura. La Valchiria giacerà al suolo, il petto trafitto da una ferita che non si risanerà.”
Ivar agguantò il braccio del vecchio, ma toccò solo l’aria.
“Hildr morirà?”
“Il corpo vivrà, ma l’animo perirà.”
Il Veggente scomparve, al suo posto un raggio di sole illuminava la pietra della dimora reale.
“Ivar? stai bene?”
Hildr si era svegliata e, avendo notando la sua assenza, si era allarmata. Ivar si sforzò di sorridere, anche se dentro stava crollando.
“Sto bene. Guardavo Kattegat con gli occhi di un re.”
La ragazza rise e scosse la testa, ignara di quella profezia che pendeva su di lei come una spada.
“Re dei miei stivali, torna a letto. E’ ancora presto.”
“Ai vostri ordini, regina.”
Ivar si distese a letto e Hildr appoggiò la testa sul suo petto, ascoltando il battito accelerato del cuore.
“Il tuo corre batte davvero veloce. Davvero stai bene?”
“Batte così perché sono vicino alla mia fantastica moglie.”
Hildr gli diede un pugno sulla spalla, però doveva ammettere che tutte quelle smancerie non erano poi tanto fastidiose.
“Sta zitto, idiota.”
Ivar sorrise e la strinse forte fra le braccia. Se tutto stava per andare in malora, che almeno la stringesse ancora una volta.
 
 
Salve a tutti! ^_^

Vi avevo promesso un capitolo melenso, ma come sempre c’è qualcuno che deve rovinare l’atmosfera con le sue premonizioni. Chissà!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
- Tutti particolari relativi al matrimonio e il brísingamen sono vere, mi sono informata per bene.
- thrimilce è il mese di maggio secondo un antico calendario germanico.

 
  
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