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Autore: AlessandraCasciello    25/02/2021    0 recensioni
“Il mio cuore sei te, Olly. Sei sempre stata te, dalla prima settimana che ci siamo conosciuti. Lo sei ora, e lo sarai anche quando non mi vorrai seguire e dovrò salire su quell’aereo da solo. E forse è un discorso egoista ma io senza di te non sono più io. Perché non mi ricordo chi ero prima di te. E lo so che è una follia, che ci conosciamo da pochi mesi e che rispetto a una vita intera è il nulla cosmico, ma io mi sento potenziato dalla tua presenza. Mi basta averti accanto per essere più forte, più intelligente, più buono, più caritevole, più, più, più. E sento che anche per te è la stessa cosa. Quindi ti prego, ti scongiuro, ti supplico con il cuore in mano, non lasciarmi da solo, perché non so più come si faccia, e il pensiero di una vita senza di te, per ora, mi fa venire la nausea.”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicono che un poeta è un individuo che vive al di fuori del mondo. Dicono anche che un poeta inganna, perché vive sempre in armonia con la sua arte, che in realtà è una prigione che non lo fa respirare.
Dicono che un poeta è un pazzo sognatore che non riesce a camminare per terra con i pieni ben fermi al suolo, e che non è mai felice. In realtà il poeta è felice nella sua miseria, nella sua tristezza e nella sua malinconia. Di contrario, è infelice se strappato da questa sua dimensione. Che pena vivere come tutti gli altri! Che pena alzarsi agli orari che il mondo ci detta, e mangiare il pane con i soldi che guadagniamo tramite lavori comuni che ci fanno assomigliare a degli automi!
Il poeta vuole vivere. Vivere di cuore ed emozione. Vivere di energia, di percezioni, di visioni. Il poeta vuole vivere di immagini, di scatti rubati, di attimi evanescenti. Forse è per questo che nessuno vuole essere amico di un poeta, e del perché tutti, se invitati a descriverne uno, lo raccontano come una persona rinchiusa tra le quattro mura domestiche intento a scrivere qualsivoglia pensiero su carta straccia.
Dicono che la poesia sia inutile ma io non sono d’accordo: ci ricorda che siamo esseri umani. Ritengo che il motivo della decadenza della società odierna sia l’assenza di poesia. Mi prendo tutta la responsabilità di quello che sto scrivendo in queste quattro righe, perché come la scrittura non può essere imprigionata, così anche i miei pensieri.
Il mondo fa schifo perché non ci sono più poeti ad abitarlo, e se ci sono si nascondono e fingono di essere manager credibili, avvocati decenti o commercialisti frustrati.
Oppure si fingono baristi come me.
Non che io possa lamentarmi, visto che è stata una mia scelta continuare gli studi, ma avrei solamente ritardato la mia condizione attuale, viste la mia scarsa attitudine allo studio. Purtroppo, in Italia, essere creativi, profondi, saper scrivere storie e poesie non basta. Devi anche, giustamente, studiare. E a me non andava per niente.
Non fraintendetemi, non voglio essere presa da esempio per le nuove generazioni che si stanno avvicinando all’esame di maturità – dove la mia ansia ha raggiunto l’apice -, ma devo essere sincera e concreta: appena preso in mano il diploma, sono andata a lavorare. Ho fatto di tutto: commessa, baby-sitter, promoter. Mi sono trovata con due spicci da dividermi con mia mamma per pagare le bollette e ho dormito con la schiena a pezzi per le troppe ore in piedi. Ho scritto di notte e fantasticato di giorno, ho litigato con i miei capi e fatto amicizia con i miei colleghi. E viceversa.
Mi svegliavo prestissimo, camminavo in solitaria per le vie storiche di Roma lasciandomi ammaliare dai suoi rumori delicati: lo scrosciare delle fontane, il verso dei gabbiani, il fischio del tram. Tornavo la sera godendomi i suoi meravigliosi tramonti rossastri, con le strade colme di romani e turisti meravigliati dalle rovine che riempivano la città, tappandomi le orecchie con le mie cuffiette e la musica ad alto volume.
Diciamo che, da quando vivo a Londra, quelle belle passeggiate sono cambiate.
È cambiato il clima, il panorama, la gente. È cambiato il cibo, ed è cambiata persino la musica che risuona nelle mie orecchie. Non è cambiato il mio lavoro, per il quale mi trovo sempre dietro un bancone di un comunissimo bar, questa volta a Carnaby Street. Ovviamente, sono la più brava a fare i cappuccini.
Gli inglesi mi intimoriscono e divertono allo stesso momento: il loro accento marcato e le loro tradizioni immutate nei secoli, sembrano dei personaggi di un libro epico-mitologico. Le ragazze non provano il freddo, non rinunciando alle loro minigonne sbalzate.
“Un caffè, grazie”. Alzo lo sguardo trovandomi Paolo di fronte. Sorrido, asciugandomi le mani sul grembiule che ho legato in vita.
“Buongiorno, signore. È urgente?”
“Sì, signorì. Devo correre dalla mia coinquilina a raccontare molte cose”. Alzo le sopracciglia mostrandomi curiosa.
“Ti hanno dato finalmente un ufficio in casa discografica?”
“Macchè, magari. Ancora in stage. Comunque, molto più emozionante di questo.”
“Vediamo... – mi accarezzo il mento, guardando in aria – ti hanno sentito cantare in bagno la nuova canzone di Taylor Swift e ti hanno offerto un contratto?” Paolo scoppia a ridere, sfilandosi gli occhiali. Li incastra sul collo della sua t-shirt bianca, sporgendosi verso di me sul bancone. Lo avevo riconosciuto subito, con il suo accento romano marcato ed il tuo timbro acuto.
“Sono stato invitato all’After Party dei BRIT Awards dar principale mio.”
“Figo.”
“E tu ce vieni co’ me”. Sbarro gli occhi, porgendogli il caffè che gli ho appena preparato. Lo sguardo divertito di Paolo mi mette ancora più agitazione, perché è ben a conoscenza della mia perenne insicurezza in queste situazioni goliardiche.
“Paolo, non se ne parla”
“Eddai, Olly, te prego - mi prende le mani dall’altra parte del bancone – mi hai raggiunto fino a Londra, t’ho detto de venì a divide l’appartamento co’ me, ti so’ stato accanto per cercà lavoro, mi hai supportato in tutti i miei successi ed insuccessi nella casa discografica. Insomma, me lo devi, sotto un certo punto di vista”.
“Questo è un colpo basso da parte tua”
“E’ uno degli eventi più fighi dell’anno, tra celebrità che non avremo mai occasione di incontrare di nuovo, e io di certo non ce vado da solo a fa’ ‘a figura dell’ennesimo italiano deficiente. Te prego”. Chiudo gli occhi, prendendo un respiro profondo. Paolo sapeva come colpirmi e convincermi allo stesso tempo. Quando lo riguardo, sta sorridendo con un ghigno malefico: sa di avermi in pugno.
“E poi, signorì” mi dice iniziando a bisbigliare “Potrebbe essere un’occasione pe’ conosce gente, non pensi?”
“Mi bastano i tuoi amici sfigati di Hampstead”.
“Non penso. O, per lo meno, a me non più. Ciao tesoro, se vedemo stasera a casa”.
Si dissolve nel nulla, dandomi le spalle coperte dal suo trench cammello. La sua arma per mimetizzarsi in mezzo agli inglesi.
 
 
 
La nostra casa si trova ad Hampstead, una delle zone più ricche del quartiere di Camden. Qui risiedono artisti, scrittori, poeti. E quindi, mi è sembrato naturale unirmi a Paolo qui. Ovviamente, mi sembra d’obbligo informarvi che il nostro appartamento – sempre se così possiamo chiamarlo – è una “tana” da pochi metri quadrati con un solo letto matrimoniale che dobbiamo dividere.
Insomma, ci camuffiamo bene tra la borghesia londinese. Paolo dice che non potremmo vivere da altra parte, perché anche noi siamo artisti. Sì, io scrivo, gli dico sempre, ma non ho mai pubblicato. Non penso ti poter essere considerata scrittrice. Lui si arrabbia sempre quando lo dico, perché è convinto che noi siamo quelli che vogliamo essere. Quindi, secondo il suo umile ma pretenzioso pensiero, io ho tutto il diritto di voler essere considerata una scrittrice emergente.
Il mio corpo si abbandona al freddo quando arrivo finalmente alla nostra porticina. La apro velocemente, chiudendomela alle spalle. Tolgo il cappotto e lo appoggio sull’attaccapanni che c’è nel nostro piccolo ingresso, dirigendomi velocemente in cucina a prepararmi un tè caldo. L’inverno inglese, soprattutto il mese di Febbraio, è così pungente da mozzare il respiro. Prendo la mia tazza bollente e corro sulle scale in camera.
Il dettaglio che più mi piace di questa casa è l’enorme vetrata che sta a fianco al letto, da cui trapassa la luce la mattina presto. Ora, per esempio, viene filtrata la luce dei lampioni che illuminano la strada, offuscando quella della luna.
La mia routine serale prevede che io prenda il mio diario, iniziando a scrivere qualcosa. Qualsiasi cosa. Spesso finisco per macchiare il foglio bianco con quello che mi passa per la testa, e quasi sempre si tratta di un bel casino. Quando lo rileggo, per dirvi, non riesco nemmeno io a capire bene quello che ho buttato giù: sono per lo più frasi senza senso che, nel marasma del mio cervello, creano un puzzle articolatissimo. Sospiro, mi lego i capelli marroni in una coda, e inizio a scrivere poggiandomi sul davanzale della finestra.
 
“20 Settembre 2018.
 
Che odio questa mia vita,
fatta da giri di parole,
e non da giri di cuore.
Ma se in fin dei conti,
l’amore è vapore,
le parole sono l’unica consolazione”
 

Angolo Ale:

E dopo anni di silenzio, io ci riprovo.
Ci riprovo a parlarvi, a raccontarvi qualcosa. sperando che qualcuno possa apprezzare e, insieme a me, a sognare senza limiti nè restrizioni.
Vi lascio così, con questo barlume di speranza e di condivisione.
Al prossimo capitolo,
Ale x

 
 
  
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