Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    04/03/2021    9 recensioni
Prima guerra mondiale. A un giovane e ardimentoso pilota tedesco viene assegnata una strana missione: dovrà atterrare con il suo aereo dietro le linee nemiche e lì caricare a bordo una persona, poi rientrare alla base. Tutto semplice, all'apparenza, peccato che la persona che dovrà caricare, una pericolosa spia tedesca, sia inseguita dal suo arcinemico: una spia inglese di pari livello, disposta a tutto pur di catturare il rivale.
Questa storia è stata scritta per Crazy_person, come modesto ringraziamento per tutte le bellissime recensioni che mi ha sempre lasciato.
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Gente mia,
poiché ci sono alcuni capitoli di questa vicenda che sono lunghi come l’anno della fame, ve li mando in onda metà per volta, per non sfrangiarvi troppo le gonadi.
Come sempre un grande ringraziamento a chiunque passi da queste parti, dia un’occhiata o mi metta in qualche lista.
Baci e abbracci a chi mi ha anche lasciato un commento.^^




Capitolo 4 – Prima parte

Rannicchiato nell'erba alta accanto all'agente segreto, von Knobelsdorff lasciava vagare lo sguardo sulla campagna. Il sole era alto, il cielo era una tavola turchese. Ovunque regnava il silenzio estatico del mezzogiorno.
I contadini sedevano in gruppetti attorno a tovaglie stese a terra, le donne distribuivano il pasto traendo mestoli colmi da grossi tegami di coccio.
Una forma di pane passava di mano in mano e tutti ne tagliavano una fetta.
Fin da quella distanza si coglieva ogni tanto l'eco flebile di una frase o di una risata.
Il tenente realizzò di essere affamato. Di solito a quell'ora i voli di guerra erano finiti e i piloti della Jasta si fermavano per il pranzo. Nel pomeriggio capitava a volte qualche missione, ma perlopiù si ingannava il tempo fino a sera.
Ripensò a quando aveva mangiato l'ultima volta e si accorse che era dal giorno prima che non toccava cibo.
Come se gli avesse letto nel pensiero, l'uomo gli rivolse uno sguardo gelido e sibilò: “Stia concentrato.”
Il tenente stava per replicare quando vide l'altro irrigidirsi in ascolto. Tese a sua volta l'orecchio, si guardò intorno, ma nulla sembrava turbare la quiete.
Poi d'improvviso udì un paio di brevi sibili e a poca distanza dalla sua testa vi fu uno scomposto frullare di foglie. Prima che potesse rendersi conto di cosa stava succedendo, si sentì afferrare per un braccio e trascinare via.
Si ributtarono nella golena, entrarono in una macchia fitta, piena di acacie e rovi. Von Knobelsdorff si trovò a correre con le mani tese davanti a sé per proteggersi la testa dai rami spinosi, mentre lottava per non perdere il contatto visivo con l’uomo.
Raggiunsero la sponda. Il tenente si fermò sforzandosi di non ansimare e udì flebile alle loro spalle un lieve tramestio come di rami smossi.
L'altro si guardò rapidamente intorno e adocchiò un tronco caduto, coperto di rampicanti. “Mi aiuti,” ordinò asciutto, quindi estrasse dalla cintura un coltello e cominciò a tagliare la vegetazione che l'avviluppava.
Von knobelsdorff cercò di afferrare i rami che man mano che venivano recisi, ma le spine lo costrinsero ad arretrare. “Cosa vuole fare?” chiese.
Mi aiuti a buttarlo in acqua.”
Perché?”
Ci farà stare a galla.”
Il tenente fissò il fiume, all'apparenza placido, ma costellato qua e là di sinistri mulinelli, poi rivolse uno sguardo all'uomo. Fece per aprire bocca, ma l'altro lo fermò, si protese verso di lui e gli sussurrò all'orecchio: “Faccia quello che le dico, se vuole vivere.”
Il giovane si voltò verso la macchia che avevano appena attraversato: i rumori che gli pareva di aver percepito fino a poco prima erano scomparsi. Si chiese se quello fosse un bene o un male: chi li inseguiva aveva rinunciato oppure si era appostato da qualche parte pronto a sorprenderli?
La voce dell'uomo lo richiamò alla realtà: “Si muova.”
Spinsero il tronco in acqua, ma quando il tenente fece per immergersi a sua volta, l'altro lo trattenne per la collottola. Gli fece cenno di tacere, quindi gli indicò una macchia di arbusti particolarmente fitta.
L'ufficiale diede un ultimo sguardo al tronco che si allontanava lentamente, così coperto di rampicanti recisi da sembrare un viluppo di rovi alla deriva, poi rivolse uno sguardo interrogativo all'uomo.
Questi gli ripeté il gesto di tacere, scrutò di nuovo la boscaglia che avevano appena attraversato, quindi si infilò nella macchia con l'agilità di un felino e vi scomparve dentro nel giro di pochi secondi.
A von Knobelsdorff parve di aver capito quale fosse il piano dell’uomo: il loro inseguitore doveva crederli nascosti sotto il tronco, mentre loro sarebbero stati acquattati nei rovi.
Come le lepri, pensò con un sospiro, poi si rassegnò a strisciare sotto la massa vegetale.
Rasoterra l'aria manteneva l'umidità. Trattenuto dal fogliame, anche il calore ristagnava. Gli insetti zampettavano e frinivano ovunque.
L'uomo, rannicchiato al punto da risultare praticamente invisibile, pareva non risentire per nulla di quelle disagevoli condizioni. Il tenente notò che si manteneva teso, come pronto a balzare via da un momento all'altro. Gli occhi vigli guizzavano, sondando continuamente i dintorni.
Gli ricordò un animale selvatico. Uno di quelli pericolosi, ai quali è meglio non avvicinarsi troppo, nemmeno quando si ha un fucile.
Un lieve tramestio attirò la sua attenzione: qualcuno si stava avvicinando. Tese l'orecchio, cercando di capire se fossero i passi di una o più persone. D'istinto si voltò verso l'uomo, che si limitò a fargli cenno di tacere.
Il rumore frattanto si avvicinava. Era una persona sola, probabilmente molto cauta. Von Knobelsdorff immaginò che facesse un passo per volta, prendendosi prima del successivo tutto il tempo per sondare i dintorni. Strinse gli occhi cercando di scrutare oltre la cortina di rami intricati che li nascondeva, ma non riuscì a vedere nulla.
Un altro passo. Un chiurlo mandò un richiamo, quindi prese il volo con un frullo improvviso, facendolo sussultare.
L'istinto del cacciatore si fece nuovamente sentire ed egli ebbe la certezza che a pochi metri di distanza ci fosse qualcuno.
Si girò verso l'uomo e quasi sobbalzò quando vide che era scomparso. Si guardò spasmodicamente intorno e colse un guizzo della sua camicia chiara apparire e scomparire tra le foglie.
Si morse il labbro indeciso. Che fare? L'aveva lasciato solo? Se n'era andato? E come, se non aveva sentito il minimo rumore?
Si fece avanti cauto: se il tizio l'aveva lasciato solo, come minimo doveva farsi un'idea precisa della situazione, prima di stabilire in che modo procedere.
Presso la riva c'era un uomo. Era in borghese e aveva in mano una pistola, stava scrutando poco convinto le tracce che il tronco si era lasciato dietro quando l'avevano buttato in acqua.
A un tratto, con un fruscio di vegetali smossi un'ombra piombò addosso al nuovo arrivato. Ci fu una breve colluttazione, poi si udì un suono secco come di un ramo spezzato.
Delle due figure avvinghiate, una si afflosciò al suolo e vi rimase immobile.
Von Knobelsdorff stava per arretrare verso il folto della vegetazione quando realizzò che quello rimasto in piedi era il suo misterioso accompagnatore.
Strisciò fuori dal nascondiglio, lo raggiunse. “Mi aiuti a buttarlo in acqua,” disse l'altro.
È morto?” chiese il tenente. Per quanto gli fosse razionalmente chiaro che più o meno ogni volta che abbatteva un aereo uccideva qualcuno, non era abituato alla concretezza brutale di trovarsi un cadavere davanti agli occhi.
Mosse esitante un altro passo, quasi aspettandosi che quel corpo contorto potesse d'improvviso balzare su e avventarglisi contro. Gli gettò uno sguardo e vide che era un giovane uomo, forse un militare, a giudicare dal taglio di capelli. Aveva gli occhi spalancati e la testa in una posizione innaturale. La morte doveva essere sopravvenuta in un istante, perché il volto era rimasto pietrificato in un'espressione di doloroso stupore.
Si muova,” lo richiamò alla realtà l'uomo, “non siamo ancora in salvo.”
Von Knobelsdorff aggrottò le sopracciglia. “Ma non ha appena abbattuto quello che ci inseguiva?”
L'altro scosse la testa come di fronte all'ennesima domanda di un bambino poco sveglio. “The Bishop non si sarebbe fatto sorprendere così facilmente, questo è solo uno dei suoi tirapiedi.”
Chi è the Bishop?”
Andiamo.”

Uscirono dalla golena molto dopo, arrampicandosi su un argine mezzo incolto, coperto di arbusti.
Von Knobelsdorff si terse il sudore dalla fronte e si slacciò qualche bottone della giacca. Era il primo pomeriggio, il cielo aveva assunto un colore azzurro pallido, quasi bianco. Dopo aver mangiato, i contadini dormivano all'ombra dei covoni. Gli unici rumori che si udivano erano il frinire di qualche insetto e il tintinnare dei finimenti, se un cavallo alzava la testa dal sacco della biada.
L'uomo, al suo fianco, fece scorrere lo sguardo attento sui campi, poi fece un sorrisetto e disse: “Mietitura.”
Il più giovane si girò a fissarlo. “Prego?”
Mietitura, di Bruegel il vecchio. Ce l'ha presente?”
Che c'entrano i quadri, adesso?”
L'uomo alzò le spalle, quindi fece scorrere lo sguardo sulla campagna. Dopo una lunga osservazione indicò un carro di fieno che si trovava un po' distante dagli altri. “Quello.”
Quello, cosa?”
Ci saliamo sopra. Cerchi di muoversi senza fare rumore, se ci riesce.”
L'ufficiale aggrottò le sopracciglia. “Certo che ci riesco,” ringhiò.
L'altro si limitò a un'alzata di spalle, poi coprirono rapidi la distanza che li separava dal veicolo. A qualche metro da esso, distesi in una macchia d'ombra, con la giacca appallottolata sotto la nuca e il cappello sul volto, tre contadini dormivano in attesa che la calura del primo pomeriggio si attenuasse.
Mentre avanzava facendo del suo meglio per non far frusciare le stoppie, von Knobelsdorff si trovò a deglutire preoccupato. Cosa sarebbe successo se, ad esempio, uno di quei contadini si fosse svegliato? Cercò di immaginare lo scenario: avrebbe gridato al ladro, avrebbe svegliato anche tutti gli altri?
Una mano sulla spalla lo fece quasi sussultare. In un sussurro, il suo accompagnatore gli disse: “Salga su e si nasconda.”
Lanciando di tanto in tanto sguardi preoccupati alle tre figure riverse, il tenente raggiunse il veicolo, vi si si inerpicò e con qualche fatica si infilò sotto il carico, buttandosi addosso manciate di fieno per occultarsi maggiormente.
In breve tempo, la faccenda cominciò a rivelarsi penosa: pur profumata e dall'aspetto soffice, la massa che gli pesava addosso stava diventando sempre più fastidiosa. Le pagliuzze si infilavano ovunque, prudevano e pungevano. Il caldo era soffocante, respirare era una pena.
Si chiese quanto sarebbe riuscito a resistere, nascosto lì sotto. Quanto sarebbe stato necessario resistere, più che altro. Minuti? Ore?
Si impose di vuotare la mente. Per quel che ne sapeva, uomini santi in India erano in grado con la stessa tecnica di sdraiarsi su un letto di chiodi senza ricavarne danni. Il fieno era certo meno pericoloso dei chiodi, quindi forse anche un neofita come lui avrebbe potuto padroneggiarlo.
I fili d'erba si ostinavano a infilarglisi nei posti più impensabili, un pizzicore che gli procedeva lungo il braccio faceva supporre che un insetto gli si fosse infilato in una manica.
Si agitò inquieto, cercando di trovare una posizione se non più comoda, almeno non così scomoda.
Stia fermo,” sibilò l'uomo al suo fianco.
Il tenente si voltò verso di lui: a differenza sua, l'agente segreto sembrava del tutto a proprio agio, o perlomeno non dava alcun segno di non esserlo. Giaceva a pancia in giù, con le braccia in avanti e il mento appoggiato alle mani sovrapposte, ed egli fugacemente pensò che gli ricordava certi grandi felini che aveva visto negli albi illustrati sulle colonie africane.
Fece del suo meglio per imitarlo, anche se sentiva il sudore ruscellargli lungo la schiena, punture ovunque e le membra sempre più indolenzite.
Per distrarsi, si diede a osservare quel poco che si vedeva attraverso i fili d’erba che lo nascondevano: vi erano un lontano scorcio dell’argine, una piccola striscia di cielo sopra di esso, la distesa giallastra del campo appena mietuto, un albero che per contrasto era così scuro da sembrare quasi nero.
A un tratto gli parve di scorgere un movimento tra gli arbusti che coprivano l’argine. Guardò con più attenzione ed ebbe la sensazione di scorgere per un istante una figura. Non sapendo in che altro modo attirare l'attenzione dell'agente segreto, spinse una mano a toccare le sue.
L’altro si girò di scatto verso di lui, con tale repentinità che egli istintivamente si fece indietro.Cosa c’è?” sussurrò.
Von Knobelsdorff scrutò di nuovo all'esterno, ma tutto appariva perfettamente immobile.
Si protese comunque verso il suo accompagnatore e gli sussurrò all'orecchio: “Ho visto qualcuno sull'argine.”
L'altro non parve sorpreso dalla notizia. “Stia fermo,” si limitò a dire, “finché siamo qui non può avvicinarsi.”
Ma...”
L'uomo gli fece cenno di tacere.
Il tenente rimase in silenzio. Guardò di nuovo, ma tutto era immobile. Come un quadro, gli venne da pensare. Come il quadro dei Mietitori.
Si voltò cauto verso l'agente segreto e vide che aveva estratto la pistola: teneva la mano sinistra sotto il mento come prima, ma la destra stringeva la Mauser Marine.
Rimase stupito: non si era nemmeno accorto che si fosse mosso.

Il Werwolf strinse gli occhi e fece scorrere lo sguardo sul poco che si vedeva della campagna. Probabile che the Bishop fosse già sulle loro tracce, ma anche se avesse capito dove si erano nascosti, nemmeno lui avrebbe potuto dare l'assalto a quel carro di fieno in mezzo a dieci contadini. Non certo perché i contadini rappresentassero per lui una sfida, ma perché una cosa del genere avrebbe suscitato clamore, e il clamore è nemico della segretezza.
Sorrise fra sé e sé pensando a quante cose procedessero nella più totale segretezza, all'insaputa di giovani ufficiali ardimentosi come quello che si stava portando dietro.
Ragazzotti entusiasti di quel tipo erano di solito convinti che le guerre si decidessero sul campo, il valore degli uni contro il valore degli altri. Già ponderare quantità e qualità degli armamenti a disposizione delle due parti rappresentava per loro un gretto esercizio di logica, buono solo a distogliere le menti dalla tensione verso l'ideale.
Lo sentì muoversi appena, come un bambino a messa, che vorrebbe tanto andare a giocare ma sa che gli è proibito.
Si ripeté per l'ennesima volta che non sarebbe stato possibile lasciarlo indietro: l'avrebbero catturato e ovviamente interrogato. Per quanto quell'ufficiale fosse senza dubbio coraggioso, fisicamente forte e di carattere deciso, non ci avrebbero messo molto, con i dovuti sistemi, a farlo capitolare.
Strinse per un istante le labbra, serrò gli occhi cercando di allontanare ricordi che nonostante tutto continuavano a fargli rizzare i capelli sulla nuca.
Si concentrò di nuovo sull'esterno. Il suo udito allenato riusciva a cogliere uno scambio a bassa voce, in francese. Discorsi di pasti serali, di animali da rigovernare. Niente che gli destasse allarme.
C'erano anche rumori, un tramestio di passi, il tinnire metallico degli attrezzi agricoli raccolti. Il fruscio di una falce che ricominciava a recidere steli.
Il Werwolf scrutò il cielo: il sole era ancora alto. I contadini avrebbero lavorato fino al tramonto e solo allora avrebbero fatto ritorno a casa. Il che non era un bene, naturalmente, perché nel frattempo the Bishop non se ne sarebbe certo stato con le mani in mano.
Ricapitolò tutti i contatti che aveva in quella zona. Si trattava di pesci piccoli, perlopiù, che fino a quel momento erano stati lasciati in pace – o forse solo discretamente controllati a distanza – dai servizi segreti nemici perché appunto troppo piccoli per giustificare un intervento, ma era pronto a scommettere che ora, nella necessità di recuperare lui e ciò che stava portando con sé, li avrebbero passati al setaccio uno a uno.
Non sarebbe stato quindi prudente approfittare della protezione che essi avrebbero potuto offrirgli.
Non potevano nemmeno rimanere alla macchia, barbe lunghe e abiti stazzonati avrebbero attirato eccessivamente l’attenzione, mentre la prima regola per portare a termine con successo le missioni era proprio quella di passare inosservati.
Gettò uno sguardo al giovanotto, sul cui volto lucido di sudore si era appiccicato qualche filo di fieno.
Sentendosi osservato, questi si girò a fissarlo e per un attimo si trovarono occhi negli occhi. Il Werwolf considerò che quelli del giovane ufficiale erano di un verde che ricordava il sole attraverso le foglie. Allungò la mano per togliergli una pagliuzza dalle labbra ed egli aggrottò la fonte, facendosi istintivamente indietro.
L'uomo sorrise e scosse appena la testa, poi tornò ad appoggiare il mento alla mano, disinteressandosi di lui.

§

Acquattato in una macchia, the Bishop rifletteva.

E così, questo sarebbe il più abile agente dell'Impero Tedesco?”
La frase ha un tono vagamente derisorio. L'uomo a cui fa riferimento è un giovanotto snello, di altezza media, che siede composto su una cassetta rovesciata in un angolo della cella, con le gambe unite e le mani poggiate sulle cosce.
Ha l'aria di un impiegatuccio, di quelli molto volonterosi ma non troppo svegli.
The Bishop si volta verso quello che ha parlato – un giovane agente che sta addestrando, ancora privo del nome in codice – e gli fa cenno di tacere. Scruta di nuovo il prigioniero, che però sembra non aver nemmeno udito la frase.
Prende il collega per la spalla, lo fa allontanare di qualche passo. Ancora non ha capito come abbiano fatto a prendere il Werwolf, fatto sta che ce l'hanno lì, dentro una cella, formalmente alla loro mercé.
Ma il Werwolf non è soprannominato Lupo Mannaro per niente, e averlo come prigioniero è forse più pericoloso che averlo come avversario.
Non ti avvicinare a lui,” raccomanda all'allievo.
Il più giovane si volta scettico verso la porta sbarrata. Al di là c'è quello che gli pare poco più di un ometto. Un contabile, un piccolo artigiano. Un biondino dall'aria slavata, con gli occhi costantemente rivolti verso il basso e le spalle curve di chi ha passato la vita su registri di partita doppia.
L'Impero Tedesco deve essere ridotto proprio male, pensa, se quella è la punta di diamante del loro spionaggio.

Il giovane agente è a terra morto, gli occhi sono spalancati in un'espressione di doloroso stupore. Il Werwolf è scomparso.
The Bishop non fa fatica a immaginare cosa sia successo.
Vede l'agente passare davanti alla porta della cella di massima sicurezza, fermarsi a scrutare attraverso lo spioncino. Di là è troppo buio per distinguere qualcosa.
Sa che stanno interrogando quella specie di contabile da giorni. Sa che stanno usando certi sistemi, anche se non sa esattamente quali, dato che lui non glieli ha mai voluti descrivere.
Sa anche che nonostante tutto il contabile non parla.
Si chiede quello che si è già chiesto tante volte, cioè se davvero portarlo lì non sia stato solo un clamoroso errore. Magari quello è realmente un impiegatuccio da quattro soldi, magari stanno seviziando la persona sbagliata.
Lo immagina guardare di nuovo dentro, cercare di distinguere qualcosa nel buio e poi riuscire finalmente a vederlo: una sagoma bianca sul pavimento, un corpo nudo che giace scomposto, verosimilmente nella posizione in cui le guardie l'hanno buttato dopo averlo riportato in cella.
Immagina che da lì a decidere di aprire la porta, impietosito dalle condizioni del prigioniero, il passo sia stato brevissimo.
Con un sospiro chiude gli occhi al giovane collega.

The Bishop fece scorrere lo sguardo sulla pianura. In altre occasioni, con altri avversari, forse avrebbe anche sportivamente accettato la sconfitta, ma con il Werwolf, a prescindere dalla necessità di recuperare le informazioni in suo possesso, aveva troppi conti in sospeso.
Il giovane agente in addestramento, ad esempio, ma anche quello che giaceva morto lungo la sponda del fiume. In ogni caso, l'elenco era lungo: il Werwolf non si lasciava mai dietro persone che potessero identificarlo.

Notte, tempesta. La pioggia scroscia sulle lastre metalliche del tetto in un rombo folle, che costringe a urlare per farsi capire.
Scambia uno sguardo con i due colleghi, che annuiscono consapevoli: sanno che lui arriverà. Un loro agente in Germania ha lavorato bene e la notizia è sicura.
Passa il tempo, la pioggia non accenna a diminuire, il vento ulula.
Ci sono i lupi,” dice uno dei colleghi. La frase quasi si perde nel frastuono.
Lui alza la testa: è comparso un rumore dissonante. Un raschiare lieve, a malapena percettibile nella furia scomposta degli elementi.
Abbandona il suo punto d'osservazione, divora i gradini che conducono al tetto, spalanca la porta che conduce all'esterno. Il Werwolf è là, acquattato sulla linea di colmo come uno spaventoso gargoyle. Appare e scompare alla luce livida dei lampi.
D'un tratto si volta verso di lui, lo fissa. Il suo sguardo pietrifica come quello di Medusa.
Egli tira fuori d'istinto la pistola, fa fuoco. Il lampo successivo illumina solo il tetto vuoto. Il Werwolf è caduto? È morto?
Corre giù, percepisce una corrente d'aria gelida. Nella stanza che fino a poco prima occupava c'è la finestra spalancata, uno dei suoi colleghi giace a terra esanime, l'altro sta agonizzando in un angolo col fianco squarciato.
Si guarda intorno, si sposta verso il centro del locale. Percepisce un'ombra ai margini del campo visivo, d'istinto si fa indietro ed evita di stretta misura una lama fulminea.
Si gira e si trova faccia a faccia con lui. Il volto è una pallida maschera impenetrabile, in cui brillano occhi color ghiaccio. La camicia bagnata gli aderisce al corpo, mettendo in risalto una muscolatura da predatore, guizzante e letale. Nella destra stringe un pugnale dalla lama sporca di sangue.
È la Morte, pensa, poi è di nuovo l'istinto a guidarlo ed egli afferra la pistola. Spara, la detonazione echeggia trafiggendogli i timpani, l'odore di cordite invade la stanza, ma di nuovo il Werwolf è scomparso.
Gli piomba addosso un istante dopo. Crollano a terra, la lama balugina, la pistola rimbalza via. Rotolano per qualche istante avvinghiati, poi lui riesce a spingerlo lontano da sé.
Balza in piedi, si gira, corre, l'acciaio gli morde la carne in una ferita leggera, che invece di rallentarlo gli conferisce l'energia dell'animale braccato.
Scende le scale a precipizio, chiama i colleghi superstiti, ordina di circondare l'edificio, il luogo si anima come un formicaio incautamente disturbato.

Nessuna traccia del Werwolf, ovviamente. L'avevano cercato ovunque, ma l'agente tedesco sembrava essere scomparso nel nulla.
   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned