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Autore: walpurgis    05/03/2021    1 recensioni
Una mattina di marzo, in contrappunto sincronico, Harry Potter e Ron Weasley realizzarono di essersi innamorati e, altrettanto urgentemente, decisero di dichiarare i loro sentimenti a Romilda Vane.
Storia partecipante al contest “Cosa sarebbe successo se…” indetto da Freya_Melyor sul forum di Efp.
Una continuazione ad "Amore Liquido".
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Romilda Vane, Ron Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Storia partecipante al contest “Cosa sarebbe successo se…” indetto da Freya_Melyor sul forum di Efp. 
 

Premessa: Questa è una tragedia ed è il seguito di “Amore Liquido” che non avrei mai pensato di scrivere. 
 
 
«Ne vuoi uno?» farfugliò Ron, offrendogli una scatola di Cioccalderoni. 
«No, grazie» rispose Harry alzando gli occhi. «Malfoy è sparito di nuovo!» 
«Non è possibile» biascicò Ron, ficcandosi in bocca un secondo Cioccalderone mentre scivolava giù dal letto per vestirsi. «Andiamo, se non ti spicci dovrai Materializzarti a stomaco vuoto… forse sarebbe più facile, chissà…» 
Guardò pensieroso la scatola di Cioccalderoni, poi scrollò le spalle e ne prese un terzo. 
 
 
(Harry Potter e il Principe Mezzosangue, Cap. 18: Sorprese di compleanno)
 
 
 
 
Odio solido 
 
I. 
 
Una mattina di marzo, in contrappunto sincronico, Harry Potter e Ron Weasley realizzarono di essersi innamorati e, altrettanto urgentemente, decisero di dichiarare i loro sentimenti a Romilda Vane. 
 
In verità fu un banale incidente a innescare una serie di eventi disastrosi.   
Era il compleanno di Ronald, il quale, ritrovandosi a diciassette anni fidanzato con una bella ragazza, nominato portiere della squadra di Quidditch di Grifondoro e ad appena un anno al completamento della sua istruzione, si sentiva, più o meno, il re del mondo. 
Il suo migliore amico, Harry Potter, aveva atteso che finisse di scartare i suoi regali, prima di scendere insieme a lui a fare colazione. 
Ai piedi del festeggiato si stava accumulando una discreta pila di carta stracciata e sul suo letto rimanevano ormai pochi pacchettini, tra cui quello di Harry, che rivelò di contenere un nuovo paio di guanti da portiere. 
“Fantastici!” Esclamò Ron, infilandoseli subito. 
“Prego,” rispose l’altro, distrattamente, piegato sul suo baule. 
Da cinque mesi, infatti, la principale preoccupazione di Harry era quella di controllare ogni singolo movimento di Draco Malfoy, spiandone i passi tra i contorni della Mappa del Malandrino. Quel giorno non lo trovò alla tavola dei Serpeverde a fare colazione, né nell’ufficio di Piton, bensì al settimo piano.  
“Molto strano…” commentò sorpreso “perché si trova là?” Ma non ebbe tempo di darsi una risposta perché così il suo nome sparì improvvisamente dalla Mappa così come era apparso.
Harry aggrottò la fronte.  
“Ne vuoi uno?” chiese Ron, porgendogli qualcosa per attirare la sua attenzione. 
Harry allungò la mano e sbirciando il cioccolatino sul suo palmo se lo infilò in bocca.  
Masticò, immerso nei suoi pensieri, finché la verità divenne lampante. 
“E’ nella Stanza delle Necessità!” esclamò, balzando in piedi. 
La testa gli vorticava per l’emozione e la sua vista si era un poco annebbiata.  
Si voltò verso Ron, frenetico, e lo trovò appoggiato ai piedi del letto, inebetito.
“Forza, dobbiamo andare al settimo piano e trovare Malfoy prima che esca dalla Stanza” lo incitò, barcollando sui piedi incerti.
Ron gli rivolse uno sguardo appannato. 
“Non posso venire, Harry. Devo andare da lei…” farfugliò. 
“Ti sembra questo il momento di andare da Lavanda?”
Harry lo fissò severo e riconoscendo la scatola di Cioccalderoni che ancora stringeva fra le braccia sbiancò: il regalo di Romilda. 
 
Romilda si dondolava sulla sedia, annoiata. 
Era da almeno un’ora che era stata rinchiusa nell’ufficio del professor Vitus per ordine della McGranitt e dubitava che la vecchia l’avrebbe lasciata tornare nella sua stanza, almeno per quella notte. 
Probabilmente temeva per la sua incolumità e a buon ragione, visto che Hermione Granger e Ginny Weasley avevano giurato vendetta di fronte all’intera Sala Grande, promettendo di affatturarla alla prima occasione propizia. 
A ripensarci la scena era stata completamente surreale. Surreale e magnifica.
 
Stravolgendo il ritmo di una mattinata altrimenti banale, Harry Potter era entrato nella Sala Grande, facendosi spazio a spintoni fra i tavoli imbanditi per la colazione, fino a gettarsi lungo disteso ai suoi piedi, giurandole, a voce altissima, amore eterno. 
Impressionato da un gesto così eclatante, l’intero studentesco si era ammutolito e quello docente si era sporto dal lungo tavolo, già in allerta. 
Romilda, fantastica come sempre, circondata dalle più fedele delle sue amiche, era scattata in piedi come una molla, prontissima per il grande momento. 
“Si,” aveva detto, languidamente, come se avesse appena ricevuto un’eccentrica proposta di matrimonio. 
Poi c’era stato un boato e Harry era stato placcato con grande violenza dal suo amico che, a giudicare dal colore dei capelli e dal fisico mascolino, doveva essere parente della Weasley. 
I due ragazzi si era accapigliati, rotolandosi per terra, fra il clamore generale della Sala impazzita. Prima di venire separati dai loro compagni e dai professori, i due erano riusciti a rifilarsi dei colpi piuttosto violenti, tanto che uno aveva un occhio pesto e l’altro il naso sanguinante. 
“Sono io ad amarti non lui, Romilda!” aveva urlato l’altro. 
Ma prima che potesse chiedergli chi fosse, il ragazzo era stato nuovamente buttato a terra da Harry che, divincolatosi dalla presa di chi lo stava trattenendo, gli era saltato addosso in preda alla gelosia. 
A quel punto era scoppiata una grande confusione.
La Granger era arrivata trafelata, accompagnata dalla Weasley in tenuta da Quidditch, inzuppata e inzaccherata di fango, e le aveva puntato contro un dito accusatore, dicendo qualcosa che non era riuscita a sentire; Lavanda Brown le si era lanciata contro, tentando di afferrarla per i capelli; alcuni studenti Grifondoro se l’erano presa con altrettanti di Serpeverde fra le grida dei professori e Ginny, con gli occhi in fiamme e la scopa sollevata, era partita dal fondo della Sala per romperle il suo manico di scopa in testa. 
L’unico a rimanere seduto, piacevolmente intrattenuto sulla sua bella sedia intarsiata, era stato il professor Silente che aveva detto con aria sognante: “Ah, i tormenti d’amore giovanili…”
 
Il pomeriggio, le parti interessate erano state convocate per dare le loro spiegazioni. 
La McGranitt, rossa in volto e con i capelli scarmigliati dopo aver separato i due ragazzi e averli portati in due ali opposte del castello, aveva condotto gli interrogatori. 
Hermione e Ginny avevano accusato Romilda di aver somministrato a Harry un filtro d’amore, un piano da lei lungamente premeditato e di cui Ron era stato probabilmente una vittima collaterale. 
Lei aveva ovviamente negato tutto, dichiarandosi offesa delle loro maliziose insinuazioni e facendo allusioni, neanche troppo velate, al fatto che fossero gelose di lei. 
“Se essere belle e desiderabili è un crime allora mi arresti, professoressa!” aveva detto con arroganza, seduta scompostamente sulla poltrona con le braccia e le gambe incrociate.
La McGrannit l’aveva guardata, severa. 
“Signorina Vane, si tratta di una faccenda molto seria” disse asciutta “Il professor Lumacorno verificherà i sintomi del signor Potter e del signor Weasley corrispondano a quelli causati dall’Amortentia. Se così fosse, la situazione avrebbe severe conseguenze.”
La ragazza provò a rivolgerle uno sguardo sprezzante, ma la donna non batté ciglio.  
“Per far luce sulla questione, domani ascolterà altri studenti” continuò imperturbabile “Io e lei avremo modo di avere un ulteriore colloquio, ma per il momento lei rimarrà qui.”
Ciò detto, la professoressa si era alzata e aveva lasciato la stanza, chiudendo la porta dietro di sé e Romilda. 
 
Così era rimasta lì, sola e imprigionata. 
Romilda ragionò su quella grande ingiustizia arrotolandosi un riccio di capelli corvini intorno al dito, appoggiata al davanzale della finestra. 
Che colpa ne aveva lei se quell’altro Weasley aveva mangiato i Cioccalderoni destinati a Harry? Non era certo una sua responsabilità, ma piuttosto un incidente. Sorridendo, con lo sguardo sognante alle stelle, pensò però di aver ottenuto ciò che voleva: Harry Potter, il Prescelto del Mondo Magico, si era innamorato di lei e ora tutti lo sapevano. 
Che invidia che aveva letto negli occhi delle altre ragazze. 
Potevano mentire finché pareva a loro, ma era innegabile che chiunque di loro avrebbe voluto essere al suo posto: Romilda così bella, così desiderata. 
Quella sera, tutto il Castello la invidiava. 
Assaporando il vento leggero sulla sua pelle, chiuse gli occhi. 
I suoi genitori l’avrebbero difesa, le sue amiche l’avrebbero compresa, ma se Lumacorno avesse deviato il corso del suo amore liquido tutta la sua fatica non sarebbe valsa a nulla. 
Forse, già l’indomani Harry Potter non l’avrebbe più amata. 
Il suo nome che prima pronunciava così dolcemente, così teneramente avrebbe preso la forma di un sibilo d’odio solido.
Romilda
Romilda
“… Romilda?”
Romilda
Aprì gli occhi. 
Davanti a lei c’era Harry Potter. 
 
 
II. 
                         
Sorvolando la Scozia, stretta al mantello scuro di Harry, Romilda strinse le cosce per mantenersi in equilibrio sulla scopa. Non era il massimo viaggiare così, ma l’altro si stava dimostrando un eccellente pilota. Tutto a riprova che quegli occhiali fossero finti, pensò distrattamente. 
“Hai freddo?” chiese Harry, rivolgendole un sorriso da sopra la spalla. 
“Non quando mi stringo a te.” 
“Mia Romilda!” la vezzeggiò teneramente “Finalmente siamo insieme e nessuno potrà più dividerci. Quel maledetto Castello e i nostri nemici sono ormai lontani.”
Era stato Harry a proporre il piano di fuga. 
Forte delle sue passate esperienze, era sgusciato via dalla sua prigione, aveva recuperato la sua scopa, un paio di mantelli pesanti e si era precipitato a cercarla, volando tra le torri. 
Non era chiaro dove fossero diretti, ma Romilda era certa che quello fosse il momento più bello della sua vita. 
Premendosi contro di lui poteva sentirne i muscoli guizzanti e captare l’intensità con cui concepiva nella sua testa progetti e idee che fremeva di esporle. 
“Naturalmente vivremo dove più ti piacerà. Al mare, in città o ovunque tu voglia. 
Poche persone ne sono a conoscenza, ma posseggo una piccola fortuna lasciatami dai miei genitori nella mia camera blindata alla Gringott. Ora è anche tua e la potrai usare come vorrai.”
“È vero che hai un ippogrifo tatuato sul petto?” chiese lei, sbattendo le lunghe ciglia. 
Era rapita. Era in estasi. 
“Che cosa hai detto?”
“È vero che hai un ippogrifo tatuato sul petto?” ripeté. 
Il ragazzo si mise a ridere. 
“Temo di no. Ma se tu vorrai, lo farò per farti contenta” 
Lei s’illuminò.
Era chiaro che ciò che sarebbe successo di lì in poi sarebbe plasmato dai suoi capricci. E lei era bravissima a fare i capricci. 
In un futuro asservito alle sue capacità immaginative, l’equazione era semplice: Romilda chiedeva e Harry esaudiva. 
E perciò Romilda fece le sue prime richieste.
“Voglio che tu mi sposi. Voglio che tu interrompa ogni tipo di rapporto con i tuoi amici e che ti concentri solo su di me. Vivremo insieme e frequenteremo solo la mia famiglia e poche, selezionate, conoscenze. Sei d’accordo, vero?” 
Harry si voltò a guardarla con un grande sorriso. 
“Mi sembra perfetto, signora Potter.”
Lei gli restituì un sorriso ancora più largo e più bello. 
Era innamoratissima e completamente appagata. 
“Ma prima di tutto questo, c’è una che devi assolutamente sapere su me e Voldemort.”
 
 
III.
 
“Così o lui uccide te o tu uccidi lui?”
“Esatto, non è possibile per noi vivere o morire. Sarà o l’uno o l’altro a sopravvivere: è il nostro destino.”
Romilda rabbrividì.
Rifletté su cosa Harry le avesse detto, ripercorrendo le parole della Profezia. Come era possibile che il mondo ne fosse all’oscuro? Come avevano fatto il professor Silente e Harry a nascondere un segreto del genere? 
Quel messaggio le risuonò in testa, sinistro e desolante, tanto che non si accorse che stavano planando verso il basso, nei pressi di una radura. 
La scopa si mise in posizione di atterraggio e Harry vi smontò, porgendo una mano a Romilda per aiutarla a scendere. 
“Dove siamo?” chiese lei, confusa. 
“Non ti preoccupare,” rispose lui con calma “ci metteremo pochissimo. È un’ultima questione che devo risolvere prima di poter vivere la nostra lunga e felice vita insieme.”
E senza aggiungere altro, le riprese la mano. 
“Seguimi.”
E lei lo fece.
Camminarono per qualche minuto, in silenzio.
La radura era piuttosto umida, ma il sentiero era ben battuto e pareva condurre fuori di essa. 
Mille pensieri ronzavano nella testa di Romilda, finché uno non le scivolò fuori dalla bocca. 
“Ma tu sei convinto che sconfiggerai Tu-Sai-Chi, non è vero? D’altra parte sei il Prescelto…”
“Così mi ha soprannominato la Gazzetta. Personalmente non so se mi definirei così.”
“E come ti definiresti, allora?” 
“Una vittima, forse. Una vittima del destino.”
“Una vittima?” chiese lei, atterrita.
Harry fece una pausa e poi riprese a parlare. 
“Ho paura che ci sia dell’altro che devo dirti.” Proseguì con attenzione. 
“Oltre alla Profezia?” 
“Esatto. Ha a che fare con il motivo per cui Voldermort sia così potente. E anche così difficile da uccidere.”
E così le raccontò tutto. 
 
Sentì il suo stomaco ribellarsi e un conato le invase la gola. 
Faticosamente lo respinse, ma non fu altrettanto autoritaria con le sue gambe che non smisero di tremare. Si rannicchiò per un momento, chinando la testa e appoggiandola sulle ginocchia raccolte. Davanti a sé i contorni delle figure parevano più sfumati, quasi accennati. 
Harry le passò una mano sulla schiena, amorevole. 
“Temo sia tutto vero.”
“Non è possibile,” rispose lei “quelli di cui parli sono atti inumani.”
Lui scrollò le spalle e voltandosi le indicò una luce fioca che ormai illuminava i loro passi.
“Siamo quasi arrivati.”
Guardando nella stessa direzione, Romilda vide i contorni regolari di un edificio. 
Si rimise in piedi. 
“C’è una casa lì!” esclamò “Forse possiamo chiedere del cibo e magari un riparo…” provò. 
Si rese conto di essere infreddolita ed esausta. E ora anche molto, molto spaventata. 
Harry si fermò, lo sguardo fisso sulla magione nera, circondata da un cancello dalle punte aguzze decisamente poco invitanti. 
“Eccola…” disse pacifico. 
Romilda lo guardò, confusa.
“Tu sai chi ci abita qui?” chiese lei. 
Ci fu di nuovo una pausa.
“Harry tu sai chi vive lì dentro?” ripeté con voce flebile. 
“Si e lo sai anche tu. Questa è Malfoy Manor, la residenza della famiglia Malfoy.”
 
“Che cosa ci facciamo qui Harry?” 
Sentì la sua voce tremante uscirle dalla bocca come quella di un fantasma. 
Erano di fronte al cancello e intorno a loro non c’era niente, solo la grande casa nera. Poteva intravedere qualcuno muoversi dietro le pesanti tende scure. 
Fu presa dal panico.
“Non voglio stare qui! Andiamo via Harry! Andiamo via subito!” urlò, avvicinandosi per tirargli il mantello. 
Stava piangendo e stava urlando ora, anche se nella sua testa si ripeteva che fosse un errore: stava solo attirando l’attenzione. Ma in quel momento la paura aveva preso il sopravvento e Romilda si era ritrovata a supplicare l’unica persona che potesse portarla via di lì. 
“Ti prego, andiamo via!” lo pregò, gettandosi ai suoi piedi, scossa dai tremiti. 
Teneva ancora i lembi del mantello fra le mani e realizzò che la fodera fosse umida. 
Si guardò le mani e sussultò. Con le ginocchia sporche di terra e il viso distrutto, si rimise in piedi e parandosi di fronte a lui gli levò la cappa. 
Sotto vi trovò la camicia della sua uniforme impregnata di sangue fresco. 
“Che cosa…” balbettò prima di udire uno schiocco. 
Harry la guardò, dispiaciuto come un bambino che confessasse una marachella. 
“Ho dovuto farlo, perdonami Romilda. Ti voleva troppo, ti amava troppo, quasi quanto me. Ha detto che ci avrebbe seguiti, ha detto che ti avrebbe tolta da me. Ho dovuto. Non volevo che si mettesse in mezzo fra noi due.”
Delle figure nere si strinsero in cerchio intorno a loro. Indossavano maschere di teschio e tonache nere, da cui spuntavano braccia tatuate e mani con bacchette. 
“Il mio amore per te mi rende in grado di fare qualsiasi cosa, anche la più impossibile” annunciò con voce forte e sicura.
“Non possiamo più aspettare. Nessuno può mettersi in mezzo. Nemmeno Lui.” 
Si guardarono. Romilda vide gli occhi di un pazzo.
E poi arrivò Voldemort.
 
In verità si risolse tutto in pochi istanti. 
Giunto a Malfoy Manorpoté constatare che fosse effettivamente il Ragazzo, venuto, a suo dire, a sconfiggerlo una volta per tutte. 
Gentile da parte sua presentarsi al suo funerale. 
Un gustoso regalo che gli aveva risparmiato ulteriori dispiegamenti di forze e imperdonabili prolungamenti al suo piano di conquista del Mondo Magico. 
Una Maledizione Senza Perdono scagliata in pieno petto e tutto finì, prima che lui potesse terminare il suo discorso sull’amore che doveva aver imparato dal vecchio Silente. 
Appena il suo corpo era caduto con un tonfo al suolo, privo di vita, qualcuno aveva urlato.
I Mangiamorte gli avevano portato una ragazza, una studentessa di Hogwarts a giudicare da suoi vestiti, arrivata insieme al Ragazzo. 
Aveva il viso scavato, gli occhi colmi di terrore e le labbra tremanti. 
Esattamente come preferiva le sue vittime. 
“Che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto?” farfugliava in continuazione.  
Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. 
Quando ci provò perse i sensi e ripresasi iniziò a gridare, impazzita dal dolore. 
Pigramente, le inflisse una Maledizione Cruciatus e le lesse la mente. 
Inaspettatamente, quella volta il destino aveva preso le sembianze di una ragazzina petulante. 
 
Romilda, agonizzante a terra, girò la testa verso di Lui. 
Il suo corpo era spezzato, distrutto e non rispondeva più. 
La sua testa era vuota, una cassa senza suono contro la terra fredda.
“Filtro d’amore” disse lui, ponderando con gravità le sue parole, meditabondo. 
Poi con uno scatto di rabbia sfoderò la bacchetta e gliela puntò contro. 
“Feccia. Voi non meritavate di vivere” disse con voce cavernosa, la testa di serpente sbilanciata all’indietro, gli occhi sottili e la bocca pronta ad attaccare. 
Romilda chiuse gli occhi e pregò che finisse in fretta.
Fu così. 
  
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