Niente
per il verso giusto
“Com’è
andata?”
Lisa aspettava in macchina
da dieci minuti. Aveva parcheggiato e aspettato il messaggio di Maggie
e quando
l’aveva vista arrivare aveva sospirato di sollievo. Un conto
è esserci e sapere
cosa fare, un conto era spiegare a qualcun altro e non poter gestire il
tutto.
Così un po’ aveva avuto paura che potesse andare
male.
“Benissimo! Ho chiuso due
dei tre bagni, come mi avevi suggerito. Ho mangiato la torta e poi ho
detto che
stavo troppo male, che sarei andata a casa. Hanno iniziato a ridere,
penso che
fosse il momento in cui avevano previsto di fare lo scherzo a me, ma
poi Ashley
ha fatto una faccia strana ed è corsa in bagno. Quando anche
Tamara si è
alzata, sono uscita. Forse avrei dovuto aspettare per godermi un
po’ la scena…”
Maggie era salita in
macchina sorridendo. Lisa le batté il cinque a mano aperta e
le indicò la
cintura, prima di accendere il motore.
La sorellina sbuffò. Ma
poi obbedì e Lisa fece partire l’auto.
Quando
tornarono a casa,
ridacchiando, incrociarono Marge in salotto che copriva, con una
coperta, un
Homer addormentato sul divano. La madre sorrise alle figlie e chiese
loro se
andasse tutto bene. Maggie guardò Lisa ridacchiando e
annuì, salendo le scale
di corsa. Marge lanciò un’occhiata a Lisa e la
vide sorridente. Contenta
per le sue figlie, si sedette sul divano vicino al marito.
Maggie
entrò in camera
carica come una molla.
Aveva dato pan per
focaccia a quelle oche che volevano soltanto prenderla in giro e,
sorridendo,
si lanciò sulla sedia a rotelle della scrivania e la spinse
verso il muro prima
di farla girare. Girò ancora un po’ e poi
guardò Lisa.
“Oh, Lisa, è stato
fantastico! Mi sono sentita… come Bart!” Rise
ancora e ridacchiò verso la
sorella. “Grazie. Non mi divertivo così
da…” Poi divenne triste.
Sapeva da quanto tempo non
si divertiva così tanto. Ma non voleva dirlo: era stato
prima che sua sorella
partisse.
Lisa le venne vicino e si
sedette sul suo letto.
“Mi dispiace” iniziò.
Maggie scosse la testa e sentì le lacrime pungerle gli
occhi: doveva aver
capito. “So
che non…"Ma
Maggie non aveva intenzione di scusarla. Neanche per averla aiutata a
fare
quello scherzo strepitoso ad Ashley e alle altre.
“Tu non sai niente, Lisa:
non c’eri.”
Lisa
strabuzzò gli occhi
alle parole della sorella e si interruppe, incapace di andare avanti.
“Non c’eri, non chiamavi,
non ti facevi viva. Con tutti gli strumenti che abbiamo
adesso…” La sua mano si
sollevò a indicare il computer sulla sua scrivania, sotto le
foto di quando era
piccola appese al muro.
Lisa abbassò lo sguardo:
era vero. Aveva ignorato tutti. Infatti non aveva raccontato a nessuno
dei suoi
compagni di loro, solo Kristen era a conoscenza della sua famiglia e da
che
città venisse lei.
“Sì, ma io…”
“Non penserai mica che
quello che è successo oggi basti a sistemare tutto,
vero?”
“Come?” Lisa sbarrò gli
occhi: cosa intendeva Maggie?
“Mi hai aiutato, sei stata
carina, sì… Ma non è che basta che tu
torni per qualche settimana e noi siamo
di nuovo amiche, ci mettiamo a giocare con Malibù Stacy e
non è successo
niente…”
“No, Maggie, hai ragione,
ma…”
“Ma niente, Lisa. Tanto a
settembre te ne andrai di nuovo, no? Dov’è che
vai? Ah, sì, al Polo Nord…”
“Veramente è la
Groenlandia…” Lisa non riuscì a stare
zitta e sua sorella le scoppiò a ridere
in faccia.
“Come se ci fosse
differenza, precisina Lisa! Sarai sempre lontano da qui e farai finta
di non
conoscerci! Come se noi non fossimo veramente la tua
famiglia!” La voce della
sorella si incrinò un po’ e Lisa si
sentì in colpa.
Quando Maggie si buttò sul
letto, Lisa si avvicinò e provò a sedersi vicino
a lei.
“Senti, perché non te ne
vai nella tua stanza? Siamo uno schifo di famiglia ma almeno non
dobbiamo
dividere la camera per dormire…”
Lisa sentì la tristezza
nel cuore e non disse niente, ma si alzò e uscì
dalla stanza.
Maggie
appoggiò la faccia
sul cuscino e tirò su con il naso. Non voleva piangere.
Quando sentì la porta
chiudersi alle spalle della sorella, si girò sulla schiena,
prese il cellulare
dalla tasca della felpa e mandò un messaggio.
‘Che si fa quando i
fratelli maggiori ti fanno girare le scatole?’
La risposta non tardò ad
arrivare.
‘Si esce con un amico e si
sparla di loro.’
Maggie sentì il cuore
batterle forte. ‘Dove lo trovo un amico disponibile
adesso?’
‘Io sono disponibile.
Usciamo insieme?’
La ragazza sorrise, digitò
sullo schermo la risposta, poi si asciugò le lacrime,
aprì la finestra e sparì
nella notte.
Quando
chiuse la porta
della stanza di Maggie, Lisa era devastata. Andò nella sua
stanza trascinando i
piedi, come se avesse sulle spalle il peso del mondo. Voleva suonare
per
tirarsi su, ne aveva estremo bisogno. In quella famiglia, in quella
città,
niente le dava serenità come il suonare il sax. E, dopo la
discussione con la
sorella, doveva assolutamente trovare il modo per estraniarsi e lasciar
vagare
la mente. O almeno provarci, visto che non ci riusciva da troppo tempo.
Entrò nella sua stanza e
si diresse verso il sax, decisa a riprovarci, quando notò
che lo strumento non
era al suo posto, ma era vicino alla finestra. Probabilmente sua madre
aveva
pulito la stanza e si era scordata di rimetterlo vicino al letto. Lisa
sbarrò
gli occhi e sperò che il sax non fosse stato sotto il sole
tutto il giorno. Si
avvicinò e lo toccò: dannazione, non era freddo
come doveva essere il metallo.
Lo tirò giù dal
piedistallo e controllò le chiavi una a una. Sembravano
rigide, e si muovevano
con sforzo. Troppo. Avvicinò le labbra al bocchino e
provò a suonare, soffiò e
le sue dita si animarono magicamente sui tasti, ma quasi le scoppiarono
i
polmoni: il sax era muto. Dannazione!
***
La
mattina dopo Lisa uscì
dal ‘King's Toot's music store’ il negozio di
strumenti musicali di
Springfield, dove il nuovo proprietario le aveva consigliato qualche
piccolo
trucchetto per rimediare al danno dei tamburi secchi delle chiavi delle
sax.
Secondo lui sarebbero
bastate delle clamp sulle chiavi, ma ci sarebbe voluto qualche giorno,
così le
aveva anche consigliato di tenere il sax nella custodia da viaggio con
uno
straccio bagnato nella campana per qualche ora, poi avrebbe dovuto
riprovare a
suonare.
Lisa era scettica ma lui
le aveva assicurato che le sue chiavi non erano rovinate e che avrebbe
potuto
farlo tranquillamente, così era uscita dal negozio
alleggerita di cinquanta
dollari e con il pensiero di tornare al più presto a casa
per sistemare il
danno.
Quando uscì dal negozio si
diresse verso l’auto di sua madre e appoggiò la
custodia del sax nel bagagliaio
sopra alla coperta che vi aveva steso a casa: il suo povero strumento
aveva già
le chiavi in quello stato, l’ultima cosa che doveva succedere
era che prendesse
troppe vibrazioni. Chiuse piano il portellone del baule e fece qualche
passo
per salire in auto, quando vide un poliziotto dall’altra
parte della strada
parlare con un uomo vicino a un grosso escavatore, di quelli con un
braccio
mobile davanti, per raccogliere le cose di grosse dimensioni e
spostarle.
Quando il poliziotto indicò la strada e mosse la mano per
intendere di
proseguire la via l’uomo annuì e risalì
sul suo macchinario e Lisa osservò
altri due camion seguirlo.
“Lisa!” si sentì chiamare,
così tornò con lo sguardo verso la strada, verso
il poliziotto ancora fermo
sull’altro marciapiede. Poi, lentamente, lo riconobbe e un
sorriso le si
dipinse sul viso.
“Ralph!” gridò, tentando
di attraversare la strada. Ralph, il ragazzino pacioccone con cui aveva
condiviso insegnanti, merende e lezioni!
Quando riuscì ad arrivare
dall’altra parte della via lo abbracciò stretto:
Ralph era un ragazzo d’oro,
molto ingenuo e bersaglio facile per tutti, era stato un ottimo amico
per Lisa.
“Avevo sentito dire che
eri tornata” disse lui, sorridendo. Lisa abbassò
lo sguardo, sentendosi un po’
in colpa: mentre era lontano era stato facile dimenticarsi di tutti, ma
tornare
lì, voleva dire affrontare tutte le sue mancanze.
“Eh sì… Sono tornata
qui…”
affermò, guardandosi intorno. Purtroppo il traffico
mattutino non era una scusa
valida per non tornare a guardare il ragazzo, ma lui era sempre il
solito
Ralph, infatti sorrise in modo dolce.
“Hai visto?” le chiese,
indicando il distintivo.
“Sei un poliziotto!” Lisa
sorrise felice. Sapeva che Ralph voleva fare il poliziotto fin dalle
scuole
medie, quindi esserci riuscito doveva dargli molta soddisfazione.
“Ma che
bravo!”
Lui arrossì e poi guardò
la strada. Lisa ebbe l’impressione che le volesse dire
dell’altro ma, avendo capito
tempo indietro che la cotta per lei non gli era passata, decise di
cambiare
argomento, nel caso lui volesse farle qualche proposta a cui avrebbe
faticato a
dire di no. “Cosa voleva
quell’escavatorista?”
“Oh, chiedeva indicazioni.
Non era di qui.”
“Cercava qualcosa in
particolare?” chiese Lisa. Una brutta sensazione la
colpì, ricordandosi delle
parole di Milhouse e della storia della petizione firmata per far
chiudere lo
sfasciacarrozze di Nelson.
“Sì, cercava l’officina di
Muntz. Sai che adesso ha aperto…”
Lisa trattenne il respiro
e lo interruppe subito dopo. “Oh, Ralph, mi sono scordata di
una cosa
importantissima, devo scappare, scusami tanto. Magari un giorno di
questi passo
a trovarti. Oppure vieni tu, ora lavoro al diner sulla West Hickory, ci
prendiamo un caffè insieme!”
Appena il tempo dei saluti
e Lisa salì in macchina per cercare di raggiungere al
più presto la proprietà
di Nelson. Non si preoccupò del sax nel baule né
delle vibrazioni che stava
prendendo mentre lei schiacciava il pedale dell’acceleratore,
pensando solo al
fatto che se avesse avuto il suo numero di telefono ora avrebbe potuto
avvisarlo che gli escavatori stavano andando a casa sua per
espropiargli tutto.
***
Quella
mattina Steve
sapeva che non ci sarebbe stata Lisa al diner sulla West Hickory,
glielo aveva
detto lei proprio il giorno prima, ma aveva deciso di andarci lo
stesso. Sapeva
che lei ci sarebbe stata. Anche
quello glielo aveva detto Lisa, solo che lui non le aveva detto che lui
la
conosceva già. E che lei conosceva lui.
Davanti alla porta vetrata
fece un sospiro profondo e spinse forte sulla maniglia; il campanello
attaccato
al soffitto suonò e la ragazza, quella per cui era tornato
lì a Springfield,
alzò gli occhi sulla porta.
Ellie
stava togliendo le
stoviglie pulite dal cestello della lavastoviglie, quando la porta si
era
aperta, lasciando entrare un cliente. Con un gesto meccanico
alzò gli occhi
sull’uscio e lo vide lì, immobile.
“Che ci fai qui?” gli
chiese con la fronte aggrottata.
***
Lisa
arrivò a casa di
Nelson proprio nel momento in cui la prima ruspa stava per oltrepassare
il
cancello automatico. Accelerò, pigiando sul pedale con tutta
la sua forza e
passò fra il palo del cancello di ferro e il mezzo pesante,
fermandosi di
traverso proprio sulla sua traiettoria.
“Fermi!” gridò, scendendo
velocemente dall’auto con le braccia aperte. Si
sentì carica e piena di vita:
non le succedeva da una vita. Dall’ultima manifestazione a
cui aveva
partecipato, probabilmente.
“Ma che succede? Chi sei,
tu?” L’uomo che scese dall’escavatore era
basso e tozzo, con un accento
marcato. “Dobbiamo lavorare, ragazzina, spostati”
rimarcò, con esasperazione.
“Non potete entrare!”
Lisa, con la voce grossa, mantenne la sua posizione. L’uomo
guardò dietro di
lei e chiese ad alta voce: “Figliolo, potresti dire alla tua
ragazza di
spostarsi? Già siamo in ritardo, se vuoi il lavoro finito
entro la settimana,
ci conviene iniziare al più presto…”
Lisa non si voltò. Aveva
imparato da tempo a non distrarsi in quelle occasioni. “Non
potete…” esclamò
ancora, ma questa volta venne interrotta da una voce alle sue spalle:
“Lisa…
Lisa…” La mano di Nelson le prese il braccio e lei
l’abbassò prima di voltarsi.
“Nelson, so come funziona:
non devi farli entrare!”
“Ehm…” Nelson alzò una
mano verso l’uomo e disse: “Calvin, dammi un
attimo”, poi prese Lisa per mano e
si allontanò di qualche passo.
Nelson
si era allontanato
da Calvin e gli altri perché aveva già visto
sulle loro facce qualcosa che non
gli piaceva, ma prima doveva risolvere il problema davanti a lui,
vestito di jeans
e con una maglietta rossa a pois troppo accollata per essere estiva.
Sospirò
quando Lisa continuò a guardare verso gli operai. Cosa ci
faceva lì? E perché
diamine non voleva che Calvin portasse via tutto?
“Lisa… Che stai facendo?”
sussurrò.
La ragazza si voltò verso
di lui e i suoi occhioni lo immobilizzarono sul posto.
“Milhouse mi ha detto
della petizione. Non puoi farti portare via tutto!”
Nelson scoppiò a ridere.
“Milhouse? Petizione? Cosa dice
quell’idiota?”
Lisa
si bloccò nel momento
in cui lui rise. Sentì le guance prendere fuoco: stava
ridendo di lei? Di lei
che voleva aiutarlo?
“Diceva che volevano
buttarti fuori…”
“Buttare fuori me? Me?”
chiese lui, smettendo di ridere. Quando lei annuì, lui
sospirò. “Ok. Ascolta, ho
chiamato io Calvin. Lui e i suoi porteranno via tutto il ciarpame.
Li… li ho
chiamati io…”
Oh. Lisa sbarrò gli occhi
e arricciò le labbra imbarazzata. Oddio. Guardò
velocemente verso gli operai e
poi portò di nuovo lo sguardo su Nelson.
“Li hai chiamati per…
ripulire?”
“Già. Ti ricordi i topi?”
Il viso di Nelson ora era strano. Lisa annuì senza dire
niente.
“Se
avete risolto, noi
dovremmo iniziare i lavori…” Calvin fece un passo
e Nelson vide chiaramente
Lisa voltarsi verso di lui.
“Sì, potete entrate” disse,
con il tono di una regina e il disappunto di chi ha perso un incontro
di
pugilato.
Calvin rise un po’
sguaiatamente e indicò l’auto di Lisa.
“Allora, tesoro, dovresti spostarci la
macchina, il mio escavatore ancora non vola!” E rise ancora,
voltandosi verso
gli altri che gli fecero cenni d’assenso.
“Non mi chiami ‘Tesoro’!”
gridò Lisa, aggrottando la fronte e facendo un passo verso
di loro.
Calvin rise ancora e
disse, salendo sul mezzo: “Va bene, amore,
che ne diresti allora di portarci un bel caffè?”
Lisa, che stava per salire
in macchina, si voltò verso l’uomo e
gridò: “Il caffè lo può
venire a prendere
al diner per un dollaro e cinquanta la tazza!”
Nelson soffocò una risata,
mentre Calvin rimase a occhi spalancati fermo sul gradino della ruspa.
“Lo faccio io il caffè,
Calvin!” gridò e l’uomo fece una smorfia
di assenso.
Lisa
chiuse la portiera e
girò la macchina verso il cancello, ma questo era bloccato
dall’escavatore che
era venuto verso di lei, bloccandole l’uscita.
Aspettò che l’uomo maleducato che
guidava si spostasse per lasciarla passare, ma lui ghignò
nella sua direzione e
non si mosse.
Il colpo che Nelson diede
sul tettuccio della macchina per attirare la sua attenzione e farle
segno di
retrocedere fino all’abitazione, la stupì come se
le avesse dato uno schiaffo
sul sedere.
Lisa ingranò la retro e si
girò per percorrere la strada verso il piazzale davanti alla
casa. Quando
scese, Nelson l’aveva quasi raggiunta. “Vuoi un
caffè anche tu?” le chiese e
lei annuì. Se doveva rimanere lì, tanto valeva
bersi un caffè.
Il frastuono del ragno
meccanico che sollevava una carcassa la fece incassare la testa fra le
spalle e
le vibrazioni del terreno quando l’auto cadde per terra, le
fecero sbarrare gli
occhi. Guardò il baule dell’auto: il sax!
“Non
è che hai uno
straccio bagnato?”
Alla domanda di Lisa,
Nelson si chiese se per caso fosse finito su candid camera.
“Un… che?”
***
“Che
ci fai qui?”
Ellie aveva sentito il
cuore rimbalzare nel petto appena Steve era entrato dalla porta. Lui,
con i
capelli scuri che si arricciavano sul collo, il viso abbronzato e il
sorriso
più bello del mondo, stava lì, con lo sguardo
incerto.
“Ciao, Ellie, cercavo
proprio te.”
Oh. La ragazza pensò per
un attimo di averlo sognato. Poi si riscosse e prese la caffettiera,
uscendo da
dietro il bancone. “Mi spiace, sto lavorando” disse.
“Posso aspettare” rispose
lui, annuendo e sedendosi su uno degli sgabelli. Ellie non disse
niente, lo
guardò con la coda dell’occhio e annuì,
dirigendosi in fondo al locale per
servire un cliente vicino alla vetrina.
Steve
guardò la ragazza e
seguì tutti i suoi movimenti: sembrava che danzasse. Si
allungava e le sue
braccia volteggiavano verso il tavolo, accarezzando l’aria,
si spostava e
seminava nel mondo suoni e profumi, svegliando i sensi di tutte le
persone
presenti. Questo, perlomeno, era quello che sentiva Steve. Ma lei era
la
sorella di Nelson e Steve sapeva quando Nelson fosse protettivo nei
suoi
confronti. E cavolo, Nelson tirava di boxe da dieci anni.
Non che per Ellie non ne
valesse la pena, eh. Lei era speciale e Steve non la vedeva da due
anni. Due
anni in cui si era ripromesso di non cercarla. E sapeva che lei sarebbe
stata
arrabbiata con lui.
“Chi non muore si rivede,
eh?” Ellie era tornata al bancone e si era sporta per
appoggiare la caffettiera,
ma Steve non rispose alla sua provazione.
Ellie
un po’ ci rimase
male quando lui non disse niente. Il bello, fra di loro, era che si
erano
sempre detti tutto, Steve frequentava casa sua da quando lei era
piccola e, da
che lei ne avesse memoria, lui l’aveva sempre stuzzicata e
trattata come una
sorellina piccola. Beh, fino a due anni prima.
“Sono tornato la settimana
scorsa” disse solamente. Nient’altro.
“Buon per te”. Ellie girò
intorno al bancone, per mettere almeno quella distanza fra di loro. Se
lui era
tornato una settimana prima, perché lei non lo aveva saputo?
“Nelson lo sa che sei
tornato?”
Lui annuì. “Gli ho scritto
stamattina: vado da lui stasera. Ha detto che è impegnato
con lo sgombero del
cortile”.
Ellie scosse la testa su e
giù: era vero, suo fratello era impegnato. Sentì
il cuore in gola mentre
caricava i bicchieri sporchi nel cestello e chiese, senza guardarlo:
“E allora
perché sei qui?”
“Per te.”
Il bicchiere le cadde di
mano, ma prima di fracassarsi contro il piano, lui lo
afferrò al volo. Ellie
alzò lo sguardo e Steve le sorrise.
-
-
-
-