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Autore: Signorina Granger    12/03/2021    4 recensioni
[Louis Murray de "The vengeance of Sins"]
Dal testo:
“Zio, ma tu mi vuoi bene?”
“Perché me lo chiedi?”
“La mamma dice che non vuoi bene a tante persone.”
“E’ vero, ma la tua mamma è una di queste, quindi per forza di cose voglio bene anche a te.”
[...]
“E’ assurdo, considerato che lo hanno cresciuto i Sette Peccati Capitali. Ma hai un figlio meraviglioso, nanetta.”
“Avevi dubbi, elegantone? Ho dei geni fantastici.”
“O forse è stata la mia influenza come seconda figura paterna.”
“Per quella devo ringraziare che non sia già deviato mentalmente, povero il mio tesoro!”
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Le mirabolanti avventure di Lu e dello zio Loki
 


 
 
“Davvero non mi capacito del clamoroso successo di questo libro. È ovvio che siano tutte scemenze!”
La minuta strega dai lisci capelli scuri e la pelle dorata parlò con un leggero sbuffo carico di disappunto prima di portarsi alle labbra il bicchiere di limonata: seduta sulla sua poltrona di pelle marrone, Willow Evergreen si dilettava nella lettura del più celebre volume sulla vita pre-parto mai scritto.
Eppure, c’erano fin troppe cose che non le tornavano tra le righe di “Cosa aspettarsi quando si aspetta”.
“Che cosa te lo fa pensare?”
“Il fatto che non si parli d’altro che di repentini sbalzi d’umore! Io non noto nessun cambiamento particolare.”
L’uomo che le sedeva accanto sul bracciolo del mobile non rispose, ma alla strega non sfuggirono né la sua espressione scettica, né il debole risolino che uscì dalle labbra della terza persona presente nella stanza: una seconda donna appoggiò un vassoio pieno di biscottini glassati sul tavolino da caffè di vetro prima di rivolgere un sorriso paziente all’amica, suggerendo che forse Fitzroy la pensava diversamente.
“Se fosse così me lo direbbe, vero Fitz?”
Il marito non le rispose, limitandosi a sorriderle vagamente a disagio e cercando una rapida scappatoia per uscire da quel vicolo cieco. Fu allora che Willow udì una voce, una voce così placidamente annoiata e allo stesso tempo così sbeffeggiatrice da procurarle un fastidioso prurito alle mani ormai molto noto.
“No che non te lo direbbe. Non che ci sia qualcuno tra noi non avvezzo ai tuoi sbalzi d’umore, ma da qualche settimana sono evidentemente peggiorati.”
“Non mi risulta che qualcuno ti abbia interpellato, smorfioso. E che cosa dovresti saperne tu, di gravidanze, sentiamo.”
“Assolutamente niente, ma mi faccio carico dell’onere di dirti le cose come stanno. Qualcuno deve pur farlo, visto e considerato che anche l’uomo più pericoloso del Paese ha troppa paura dei tuoi sbalzi d’umore.”
Louis accennò a Fitzory con un pigro cenno del capo mentre sedeva sul divano con grazia, accavallando le lunghe gambe fasciate dai pantaloni scuri dal taglio sartoriale e prendendo distrattamente la copia della Gazzetta del Profeta che il padrone di casa aveva letto poco prima.
“Io vado a preparare altra limonata…”
Mackenzie parlò in un sussurro prima di prendere la caraffa di vetro e dileguarsi provvidenzialmente in cucina con estrema rapidità, udendo comunque il colorito epiteto che l’amica rivolse a Louis prima di far evanascere il libro, decretando di non volerne più sapere un bel niente mentre l’amico celava un sorrisetto dietro al giornale aperto.
 
 
*
 
 
“Posta per te.”
“Un pacco? Da parte di chi?”
Fu con un sorriso che Willow accolse il pacchetto quadrato e avvolto in una sottile carta marroncina che Fitzroy le porse, guardando il marito ricambiare con un luccichio divertito negli occhi cerulei:
“Nessuna firma.”
“Allora è di Loki, solo lui si da tanta importanza da neanche firmarsi….”
La strega roteò i caldi occhi scuri mentre strappava impaziente la carta, aggrottando la fronte quando si rese conto che il mittente aveva lasciato un biglietto all’interno del pacchetto. Era un piccolo frammento di carta quadrato con solo alcune parole scarabocchiate con una calligrafia elegante, ma superava comunque di gran lunga le sue aspettative.
 
Ho saputo che è un maschio
 
Su una cosa Willow non si era sbagliata: nessuna firma.
Ciononostante, non avrebbe potuto dubitare sulle origini di quel dono nemmeno volendo, e fu con una sincera risata – forse anche un tantino commossa – che la strega sfiorò i due minuscoli straccali blu e bianchi custoditi nella scatolina nera senza coperchio che teneva in mano.
 
 
*
 
 
In quel caldo pomeriggio di luglio, la sala d’attesa del reparto nascite del San Mungo ospitava non pochi “strani individui”, o almeno così li additava il personale e la maggior parte degli altri visitatori di passaggio. Eppure nessuno di loro sembrava farci caso: una strega alta dai lunghi capelli biondo cenere continuava imperterrita a fare avanti e indietro da un capo all’altro della stanza stringendo le braccia esili al petto mentre una donna dai capelli rossi fissava pensierosa il soffitto e un uomo dai corti capelli scuri sbuffava di continuo tamburellando le dita sul proprio ginocchio, lanciando al contempo occhiate di sbieco alla porta che avrebbe dovuto aprirsi a breve.
“Sai Loki, fissando la porta non la farai aprire prima del tempo.”
Grazie Sider, non ne avevo idea.”
“Figurati, mi fa piacere essere d’aiuto.”
Louis lanciò un’occhiata decisamente seccata alla strega che gli stava accanto, ma dopo anni di esperienza decise di non replicare di fronte al tono vago e trasognato di Rebecca, che non fece caso alla reazione dell’ex “collega” prima che il mago si rivolgesse a Mackenzie con uno sbuffo esasperato:
“Mac, mi stai facendo venire il mal di mare.”
“Allora chiudi gli occhi, lo sai che non riesco a stare ferma quando sono nervosa!”
Mackenzie si fermò brevemente al centro della stanza, grattandosi nervosamente la nuca prima di riprendere a misurare la distanza tra una parete e l’altra sotto lo sguardo rassegnato dell’amico, che all’improvviso si chiese come diavolo ci fosse finito, in quella situazione.
Come era passato da allibratore senza scrupoli a vigilare la sala parto del San Mungo in attesa che la nanetta partorisse un mostriciattolo, per di più sicuramente destinato a diventare logorroico tanto quanto la madre?
“Lo dici a me? Ma quanto ci vuole a sfornare un marmocchio urlante?”
“Beh, vedi Loki, immagina di dover far uscire un melone da delle parti intime…”
Grazie Sider, preferisco restare all’oscuro.”


 
Furono i dieci minuti più lunghi da quando era evaso da Azkaban, ma finalmente accadde: la porta bianca si aprì permettendo a Fitzroy di fare la sua comparsa nella sala d’attesa, sorridendo eccitato ai tre prima di rivolgersi direttamente a Louis.
“Ti vuole.”
“Che cosa? Io non ci vengo là dentro, non voglio vedere un bel niente!”
“E’ già nato, idiota! Forza, muoviti, non ho intenzione di tornare senza ciò che ha chiesto.”
Pensandoci su, nemmeno lui aveva voglia di contraddire la nanetta – né tantomeno suo marito –, e Louis si vide costretto ad alzarsi e a seguirlo nel corridoio che portava alle varie stanze sotto lo sguardo quasi invidioso di Mac, che gli urlò dietro di non far innervosire la loro amica dopo ore di travaglio.
“Pensi che gli diranno come hanno intenzione di chiamare il bambino, finalmente? Lo sanno tutti tranne lui, dopotutto.”
“Sì Sider, penso proprio di sì.”

 
*
 
 
“Ah, eccoti finalmente. Persino quando partorisco ti fai attendere, reginetta del ballo?”
“Vedo che ti sei ripresa in fretta, mi fa piacere. Allora? Perché hai voluto che venissi?”
Louis raggiunse il letto dove sedeva l’amica sforzandosi di apparire il più annoiato e disinvolto possibile, lanciando un’occhiata scettica al minuscolo esserino dai radi capelli scuri che Willow teneva tra le braccia mentre sedeva sulla sedia posta accanto al letto. La strega invece gli sorrise, radiosa nonostante la stanchezza, e abbassò lo sguardo sul bambino mentre Fitzroy la raggiungeva circondandola con un braccio e dandole un tenero bacio sulla tempia, guardando a sua volta la creaturina prima che la voce dolce della moglie colmasse il silenzio:
“Saluta Louis.”
“Ebe, non sono esperto di marmocchi, ma anche se è figlio vostro – e probabilmente crescerà sollevando edifici o cose del genere – dubito che sappia già parlare.”
“Infatti parlavo con te, idiota.”
Parlando con il tono di chi spiega qualcosa di elementare ad un bambino, Willow piazzò il figlio tra le braccia dell’amico prima di dargli il tempo di sottrarsi, guardando Louis osservare il piccolo omonimo più confuso che mai e rigido come un tronco, le braccia tese e la fronte aggrottata.
“Cioè chiamerete il marmocchio Louis?”
“Esattamente. E smettila di chiamarlo “Il marmocchio”!”
“Non hai un briciolo di originalità, Ebe, ma convengo che sia un gran bel nome. Adesso riprenditelo, per favore.”
Louis porse il bambino alla madre simulando una sorta di smorfia disgustata, ignorando l’espressione rassegnata della strega e la risata divertita di Fitzroy:
“Avete mai pensato di mettere su un cabaret?”
“Potremmo anche, ma poi io mi prenderei tutti gli applausi e Ebe finirebbe nel dimenticatoio. Ora vado a lavarmi le mani.”
Il mago si alzò dalla sedia per uscire dalla stanza e cedere il suo posto ad una Mac sempre più impaziente di vedere “il nuovo nipotino”, ma voltate le spalle ai neogenitori un accenno di sorriso gli incurvò le labbra sottili verso l’alto.

 
*
 
 
“Eccomi qui, dov’è il mio piccolo angiolett- LOUIS!”
Ebe era appena uscita dal camino quando si portò le mani nei capelli, inorridita: il suo piccolo angioletto volava da una parte all’altra del salotto, facendo avanti e indietro dalla cucina, a bordo di una piccola scopa giocattolo mentre il suo zio degenere leggeva un libro, seduto sul divano con le gambe accavallate e Tristano accocolatoglisi accanto come nulla fosse.
“LOKI, ma non hai intenzione di fare nulla? Lu, scendi subito, vieni dalla mamma!”
“Non essere noiosa, guarda, si diverte.”
“E si romperà anche l’osso del collo, di questo passo! Ti avevo detto di non comprargli una scopa giocattolo prima dell’anno prossimo. LU, VIENI QUI!”
Ebe sbuffò e cercò di afferrare il figlio, che però rise e volò via mentre Loki tentava di non ridacchiare davanti all’espressione dell’amica, che sembrava furiosa. Mai avrebbe creduto che la nascita del marmocchio avrebbe solo moltiplicato le occasioni in cui poter dare fastidio alla nanetta.
“Bene, allora… Accio Lu!”
Il bimbo di due anni si ritrovò, con un urletto spaventato, a schizzare verso la madre fino ad atterrare tra le sue braccia, facendo cadere la scopa sul tappeto mentre Loki tirava un sospiro di sollievo: una volta l’amica aveva scordato di chiamarlo “Lu” lanciando l’incantesimo e aveva finito con l’Appellare anche lui.
“Ciao piccolo, ti è mancata la mamma? Vediamo se hai ferite gravi…”
Ebe sollevò il bimbo, controllandolo da tutte le parti mentre l’amico, alzando gli occhi al cielo, chiudeva il libro e si sfilava gli occhiali, pulendoli con un fazzoletto mentre parlava con tono annoiato:
“Rilassati, sta benissimo.”
“Meglio controllare.”
“Se non ti fidi perché ce lo porti tutte le settimane?”
“Perché c’è Jess, per grazia divina! Fosse per te a sei mesi avrebbe bevuto Whisky nel biberon, probabilmente… e perché vi vuole bene, quindi lo faccio felice. Ok tesorino, saluta lo zio e Tristano e andiamo. Jess non c’è?”
“E’ andata a fare la spesa. Anche lei mi avrebbe ucciso se avesse visto il bambino volare, così ne ho approfittato visto che insisteva tanto.”
Louis sgambettò fino al divano e allungò le braccine per accarezzare Tristano, che lo lasciò fare docilmente finchè il bambino non si rivolse all’adulto, allungando le braccia nella sua direzione. Il mago, sbuffando, appoggiò gli occhiali sul dorso del libro e lo prese per metterselo sulle ginocchia, guardando quel visino allegro sorridergli:
“Ciao Zio!”
“Ciao piccolo Lu… ci vediamo la prossima settimana, ok?”
Il bambino annuì e, circondatogli il collo con le braccine, gli diede un bacio su una guancia prima di scivolare dalle sue gambe e correre dalla madre, che intanto aveva recuperato la scopa giocattolo e lo aspettava davanti al camino con la mano tesa.
“Bene, allora andiamo. Ciao Loki, salutami Jess! Allora amore, cosa hai fatto con lo zio? Lo hai disturbato come ti ha insegnato la mamma?”
Loki roteò gli occhi, tornando a leggere in santa pace quando amica e figlio furono spariti, avvolti dalle fiamme verdi prodotte dalla Polvere Volante.
Dovette ammettere, però, che dopo una giornata intera passata in sua compagnia c’era quasi troppo silenzio, senza la vocina allegra di Louis a chiedergli di giocare con lui.
 

 
*
 
 
“Volevo che vedessi questo, elegantone.”
Ebe gli porse un grande foglio bianco che Loki prese con una buona dose di scetticismo, ritrovandosi ad osservare un disegno colorato e decisamente poco fedele alle proporzioni.
“Lo hai fatto tu? Non sapevo avessi questa vena artistica…”
Sorrise, sapendo di meritare la poderosa gomitata che gli arrivò come punizione, e l’amica scosse la testa prima di indicare le figure:
“Idiota, guarda cos’ha disegnato Lu. La maestra gli ha detto di disegnare la sua famiglia.”
Louis, cercando di non soffermarsi sulle proporzioni evidentemente sbagliate – Ebe era alta quasi quanto la casa e il bambino come un girasole – osservò il piccolo Louis, disegnatosi tenuto per mano dai genitori. Poi si soffermò su un ammasso marrone che doveva essere Tristano e infine su una figura dai capelli neri vestito di blu, l’unico che non sorrideva, che teneva per mano una sorridente Jess.
“Beh, direi che il bimbo deve studiare di più, tu sei alta come me, praticamente.”
“Ha tre anni, non pensi sia carino che ti abbia incluso nel disegno? Ha detto che voleva mettere anche i suoi zii preferiti. Vuoi tenerlo?”
“Penso che Jess lo vorrebbe, quindi sì.”
Loki annuì, stringendosi nelle spalle prima di tornare al suo libro. Ebe sorrise soddisfatta e andò in cucina per farlo vedere alla strega, lasciandolo insieme a Tristano. Solo una volta solo il mago si permise di abbozzare un lieve, rapido sorriso.

 
*
 
 
“Non voglio i broccoli! Fanno schifo!”
“Lu, ti avverto. Hai due secondi per prendere la forchetta. Non ti alzerai da qui finchè non li avrai mangiati.”
Alla minaccia della madre il broncio del bambino si intensificò, e Lu asserì di non volerli prima che Ebe, sospirando, si voltasse verso Louis, che aveva già finito di pranzare e stava leggendo il giornale mentre Jess lavava magicamente i piatti in cucina e Mac cercava di tenere Fitzroy e Richard* lontani dal dolce.
“Elegantone, mi dai una mano?”
“Lu, mangia i broccoli.”
Rivolgersi all’elegantone era sempre l’ultima carta, ma quasi sempre si rivelava anche quella vincente: Louis Senior parlò senza neanche distogliere lo sguardo dal giornale, e un attimo dopo il bambino seduto a capotavola prese la forchetta di plastica e infilzò un broccolo lamentandosi a mezza voce, il bavaglino blu e bianco allacciato attorno al collo e i capelli scuri pettinati con cura sulla nuca.
“Merlino, non è possibile… Prima o poi scoprirò che incantesimo usi su mio figlio, Loki.”
“Magari gli sto più simpatico di te. Lu, chi è più simpatico, lo zio e la mamma?”
Il visino del bambino e i suoi occhi chiari s’illuminarono, ma Lu evitò di rispondere di fronte all’occhiata torva che la madre gli rivolse, chinando il capo e iniziando a mangiare i broccoli in religioso silenzio.
 
 
*
 
 
Lu adorava andare al Luna Park. Soprattutto quando ce lo portava “zio Loki”, che a detta del bambino era lo zio migliore del mondo.
Tanto per cominciare, a differenza della mamma o del papà – ma anche della zia Mac o della zia Jess – lo zio gli faceva mangiare quello che voleva: gelato, zucchero filato, frittelle piene di zucchero. Tutto ciò che voleva.
Ma soprattutto, lo faceva salire su tutte le giostre. Anche quelle per i grandi dove di norma lui non sarebbe potuto andare.
Non dirlo alla mamma” era ormai una frase di rito che Loki pronunciava ogni volta in cui gli dava il permesso di fare qualcosa che, lo sapevano entrambi, Ebe non avrebbe di certo apprezzato.

“Guarda, peluche!”
Un gomitolo di zucchero filato mezzo divorato in mano, una camicetta a maniche corte bianca e un paio di bretelline blu notte addosso, Lu si fermò e indicò concitato il tiro al piattello, dove facevano capolino una sfilza di peluche di tutti i tipi e tutte le dimensioni.
“Quale ti piace?”
Lo zio si inginocchiò accanto a lui, accarezzandogli la testa coperta dal minuscolo cappellino di feltro che il bambino indossava, identico al suo. Lu sembrò pensarci per un istante, poi sorrise e indicò un panda più grande di lui appeso accanto ad un leone albino altrettanto mastodontico.
“D’accordo. Vieni, peste.”
Lu trotterellò obbediente al seguito dello zio – l’unica cosa su cui non transigeva quasi quanto la mamma era sul non doversi allontanare: una volta lo aveva perso di vista per venti minuti e quando lo aveva ritrovato lo zio gli aveva dato una strigliata indimenticabile – e lo guardò imbracciare il fucile a pallini con occhi carichi d’ammirazione.
Cinque minuti dopo Lu stringeva felice il panda – un po’ a fatica, viste le dimensioni – e sorrise radioso allo zio prima di stringergli la mano pallida che l’uomo gli porgeva in un gesto ormai automatico:
“Grazie zio Loki! Sei lo zio migliore del mondo!”
Loki sbuffò, borbottando di non fare il ruffiano mentre stringeva la sigaretta tra le labbra – solo per abitudine e spenta, perché se l’avessero beccato a puzzare di fumo dopo essere stato col marmocchio lo avrebbero eviscerato –, ma anche se non lo diede a vedere qualcosa, dentro di lui, si ammorbidì un poco.
“Zio, ma tu mi vuoi bene?”
“Perché me lo chiedi?”
E secondo te se non ti volessi bene perderei tutte queste ore in tua compagnia ogni settimana?
“La mamma dice che non vuoi bene a tante persone.”
“E’ vero, ma la tua mamma è una di queste, quindi per forza di cose voglio bene anche a te.”
La mano di Loki andò dritta sul cappellino del bambino, calandoglielo sul volto e facendolo ridacchiare prima che Lu gli chiedesse per la centesima volta come fosse diventato amico dei suoi genitori.
“Te lo racconteremo prima di andare ad Hogwarts, che ne dici?”
 
 
*
 
 
Louis teneva gli occhi chiari fissi sul tabellone, spostandoli pigramente sullo schermo mentre picchiettava la penna sul foglietto che aveva davanti, in piedi al banco.
Stava quasi per scrivere qualcosa quando una vocina acuta giunse alle sue orecchie, costringendolo a voltarsi aggrottando la fronte: un uomo della sicurezza in divisa scura teneva un bambino in spalla, ignorando le sue sonore lamentele.
“I bambini non possono stare qui, tantomeno gironzolare a ficcare il naso dove non devono.”
Il bimbo, sull’orlo delle lacrime, asserì che non era solo appena prima che Louis, dopo aver sospirato debolmente, dicesse qualcosa con tono gelido:
“Il bambino sta con me.”
L’uomo si fermò di scatto, voltandosi verso di lui. Lo guardò con tanto d’occhi, a dir poco sorpreso dalle sue parole, ma si affrettò a mettere giù il bambino dopo aver sfoggiato un sorriso forzato:
“C-con lei? Scusi tanto Signor Murray… doveva dirlo subito, il ragazzino.”
Il bambino si raddrizzò stizzito il minuscolo cappellino di feltro che indossava e poi trotterellò allegro da Louis, che però invece di sorridergli di rimando gli lanciò un’occhiata torva:
“Ti avevo detto di non allontanarti da me Lu, o sbaglio?”
“Scusa…”
 Il bambino chinò il capo, mortificato e temendo un rimprovero, ma l’uomo decise di lasciar perdere e, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo, gli mise una mano sulla spalla per avvicinarlo alla sua gamba.
“Non sapevo avesse figli, Signor Murray.”
“Non è mio figlio. Tenga.”
Dopo aver frettolosamente firmato Louis consegnò il foglio all’uomo che aveva davanti, che lanciò un’occhiata carica di curiosità al bambino prima di allontanarsi per registrare la scommessa.
“Adesso cosa succede, zio Loki?”
“Adesso si aspetta, Lu. E se tutto va bene, poi si ritira la vincita. Vieni, e stammi vicino.”
Il bambino gli prese la mano, allontanandosi insieme a lui mentre tutti i presenti lanciavano all’improbabile due occhiate perplesse. Mai si era visto Louis Murray, molto noto nell’ambiente delle scommesse sulle corse dei cavalli e tra gli allibratori, trascinarsi dietro un marmocchio.
 
 
“Quanti soldi hai vinto zio?”
“Abbastanza. Tieni, peste.”  L’uomo allungò un Galeone al bambino, che prese la moneta d’oro con un sorriso prima di ringraziarlo con gli occhi scuri luccicanti. Louis, che stringeva una sigaretta spenta tra le labbra, gli rivolse un mezzo sorriso e lo invitò a metterla via prima di dargli un buffetto sul capo coperto dalla minuscola coppola a otto spicchi con visiera.
“Posso prendermi un gelato con questo?”
“Un gelato enorme, direi. Vieni, andiamo. Ma non dirlo alla zia, o mi rimprovererà per averti rovinato l’appetito.”


 
“Prego.”
La cameriera appoggiò la coppa piena di gelato sul tavolo e rivolse un’occhiata intenerita al bimbo, che si sfilò il cappello – lo zio diceva che bisognava sempre toglierlo al coperto – e le rivolse un largo sorriso:
“Grazie! Zio, posso chiederti una cosa?” 
“Certo Lu.”
Il bimbo di cinque anni prese il cucchiaio e iniziò a divorare panna montata ricoperta di topping al cioccolato e granella di nocciole a tutto spiano, parlando tra un boccone e l’altro e con la bocca sporca:
“Come mai la mia mamma ti chiama Loki, e anche papà, e invece la zia ti chiama come chiama me?”
“Perché Loki non è il mio vero nome, è un… soprannome con cui mi chiamano i tuoi genitori, e anche altri nostri amici. Sai perché la tua mamma ti ha chiamato Louis?”
“Perché ti vuole bene. Me l’ha detto papà.”
Louis parlò senza scomporsi e continuando a mangiare gelato, come se avesse detto qualcosa di ovvio, ma le parole del bambino quasi colpirono l’adulto, che abbozzò un lieve sorriso prima di annuire:
“Immagino di sì. Dopo il gelato mi accompagni a fare spese?”
“Ok.”
Il piccolo Louis annuì mentre si dedicava al gelato alla vaniglia e Louis, guardandolo, non poté far altro che notare per l’ennesima volta quando gli ricordasse sua madre: stesso sorriso e stessa parlantina esasperante. La pelle di Louis era più chiara di quella di Ebe e aveva ereditato gli occhi chiari del padre, ma quando apriva bocca si rivelava esattamente la copia sputata della madre.
Forse era per questo che non aveva potuto fare a meno di affezionarsi a lui, ma ben si guardava dal farlo notare ad anima viva.
 
 
*
 
 
“Ti ho fatto una lista di tutti i passaggi segreti di cui ho memoria, custodiscila con cura. Non dirlo alla mamma.”
“Certo zio!”
Prima di salire sull’Espresso per Hogwarts per la prima volta Lu lo aveva abbracciato per ultimo, mormorandogli che gli voleva bene. Sapendo quanto poco l’amico dei genitori fosse avvezzo alle “effusioni”, come era solito chiamarle storcendo il naso, era piuttosto raro che il ragazzino gli si rivolgesse pronunciando quelle parole, ma quella mattina di settembre Loki lo lasciò fare, anche se non rispose.
Glielo disse a sua volta solo qualche giorno dopo, quando Lu ricevette una sua lettera al tavolo dei Grifondoro dopo aver informato zii e genitori di essere stato Smistato nella stessa Casa della madre.
“Le mie speranze che tu possa non diventare un caso disperato come tua madre si affievoliscono di giorno in giorno, ma ti voglio bene anche io, Lu.”
 
 
Quando aveva compiuto 11 anni? Quando aveva smesso di essere il bambino dai brillanti occhi chiari che lo seguiva ovunque carico di ammirazione?
Louis non lo sapeva, così come non sapeva quando di preciso la madre di quel bambino dallo sguardo vispo era diventata forse la prima persona a ricevere il suo affetto incondizionato.
“So che mancherà anche a te, elegantone.”
Appoggiata allo stipite della porta – proprio come faceva anche anni prima, quando vivevano sotto allo stesso tetto – Willow parlò sorridendogli e guardandolo alzarsi dopo aver finito di montare l’ennesimo modellino della sua collezione, intercettando lo sguardo dell’amico quando Louis indugiò sulla soglia della stanza, proprio accanto a lei.
“E’ assurdo, considerato che lo hanno cresciuto i Sette Peccati Capitali. Ma hai un figlio meraviglioso, nanetta.”
“Avevi dubbi, elegantone? Ho dei geni fantastici.”
“O forse è stata la mia influenza come seconda figura paterna.”
“Per quella devo ringraziare che non sia già deviato mentalmente, povero il mio tesoro!”
 
Willow scosse la testa mentre l’amico la prendeva sottobraccio, conducendola fuori dalla stanza udendo solo distrattamente le sue insistenti chiacchiere.
 
Potevano anche passare decenni, la gente poteva persino scordare i loro volti un tempo noti e infissi sui manifesti.
Mac aveva ragione: sarebbero sempre rimasti Loki ed Ebe.
 
 
 
 
 
 
 
*Richard: per la felicità della mia povera, sfortunata bambina, ho deciso di non uccidere Salem. Immaginate che l’abbiano liberato dopo essere stati scagionati dal Ministero.
 
 
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Angolo Autrice:
 
Nostalgia portami via, dopo quella che sembra un’eternità finalmente mi cimento a scrivere qualcosa che progettavo da tanto. Forse anche da troppo, motivo per cui non ho potuto esimermi dal mettere per iscritto queste idee, anche se la storia non ha avuto la fine che meritava.
Come si può intuire, siamo in un futuro che vede i nostri Peccatucci scagionati e assolti dalle loro condanne, impegnati a condurre vite normali e tranquille (se quei sette davvero possono condurre vite del genere, io personalmente ne dubito).
Questa OS era nella mia testa da più di un anno, e spero che qualcuno possa gradirla. Prima o poi, è una promessa, usciranno anche altre OS per Sider, Flagro e Alanis, i Peccati che non ho avuto modo di approfondire quando la storia era in corso. Non so di preciso quando, ma le avrete, mi sembra il minimo.
A presto,
Signorina Granger
 
 
   
 
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