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Autore: FairyCleo    14/03/2021    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La nebbia nel cuore
 
Erano trascorse settimane dalla volta in cui lo aveva trovato nel capanno dietro casa. Vegeta non era solito svegliarsi durante la notte, data la stanchezza accumulata a causa del duro lavoro svolto nei campi, ma quella volta era stato diverso. Quella volta, aveva aperto gli occhi di scatto, in preda a un’ansia che non era stato in grado di spiegarsi. Era sudato, talmente sudato da aver inzuppato le lenzuola grezze che lo accoglievano ogni volta che si stendeva. Nel buio di quella casa minuscola si era messo a sedere sul bordo del letto, scalciando via le coltri con i piedi nudi, e in preda al timore crescente aveva diretto le pupille dilatatissime verso il letto su cui dormivano i bambini, scoprendo che la sua apprensione era più che lecita: Trunks non si trovava al suo posto.
Portava ancora i postumi della ferita che si era procurato alla pianta del piede: per la fretta di uscire e ritrovare suo figlio non aveva indossato le scarpe, e un sasso acuminato nascosto tra l’erba gli aveva squarciato la pelle deturpata da calli ed escoriazioni.
Aveva bestemmiato a denti stretti, Vegeta, ed era andato avanti nella sua ricerca forsennata. Il cuore gli batteva all’impazzata e i pensieri avevano cominciato a volare in ogni dove, formando scenari terribili e anche un po’ incoerenti.
Se qualcuno, lì, avesse sospettato che loro non erano come tutti gli altri uomini e come tutti gli altri bambini? Se avessero capito, in qualche modo, che conservavano la memoria di ogni cosa, proprio come era successo alle donne? Se una delle guardie della prigione avesse sentito i discorsi affrontati da Marylin? O se, peggio ancora, se lei lo avesse tradito? Se, per salvarsi la vita, avesse raccontato tutto quello che era successo, se avesse confessato e fossero venuti a prenderli, uno a uno, cominciando da Trunks per farlo impazzire di dolore?
Lo aveva chiamato a squarciagola, infrangendo il silenzio di quella notte fredda e quieta.
Dove potevano aver portato suo figlio? Dove potevano averlo condotto, e in che modo? Aveva dovuto raccogliere tutto il suo coraggio per trovare la forza di far uscire la voce necessaria a farsi sentire da Trunks, ma non aveva sortito alcun effetto. Era uscito di fretta e non aveva portato con sé un lume o qualcosa che potesse rischiarare quel buio denso come petrolio, ma non aveva avuto il tempo di darsi dell’idiota. Era agitato, terrorizzato all’idea di aver perso l’ultimo legame con lei, con la sua Bulma, ma il suo estremo raziocinio e un forte sentimento paterno gli suggerivano che Trunks non fosse poi così lontano. Vegeta aveva perso l’abilità di percepire le presenze spirituali altrui diverso tempo fa, ma era certo di aver avvertito qualcosa, o qualcuno. Non avrebbe saputo definirlo. Zoppicante ma deciso, si era diretto presso la baracca pericolante, continuando a chiamare il figlio a squarciagola.
 
Lo aveva trovato, per fortuna, ma il sollievo era passato nello stesso istante in cui si era accorto della ferita aperta sul suo braccio. Il taglio era visibilmente profondo, ma Trunks non sembrava avvertire dolore. Era chiaro che fosse sotto shock.
Non aveva perso troppo tempo a chiedersi cosa fosse accaduto: Vegeta lo aveva semplicemente preso tra le braccia e, anche se a fatica, lo aveva portato in casa, lasciando dietro di sé non solo una vistosa scia di sangue, ma anche l’oggetto che era stato la causa di quel maledetto incidente.
Era entrato in casa come una furia, sotto lo sguardo di un Goten ancora assonnato e confuso e aveva adagiato Trunks sul tavolo, chiamandolo a gran voce e cercando sul suo corpo i segni dell’attacco subito.
Aveva perso il conto delle volte in cui lo aveva chiamato, in cui lo aveva scosso. Non sembrava che i tagli fossero profondi, ma proprio non capiva perché sanguinasse così copiosamente.
La paura provata in quei momenti era una cosa che non avrebbe mai dimenticato. E se lo avesse perso? Se Trunks non avesse più aperto gli occhi?
Il cuore galoppava così velocemente da fargli dolere il petto e la testa sembrava fosse sul punto di esplodere.
Tra la confusione generale, non si era accorto che Goten si era avvicinato, spaventato, e che aveva provato ad aiutarlo. Non si era accorto di nulla, era come se fosse piombato in una dimensione in cui esistevano solo lui, suo figlio, e il disperato desiderio che aveva di vederlo sveglio, di sapere che stava bene. E, per fortuna, non aveva dovuto attendere ancora a lungo. Era stato solo quando aveva sentito sussurrare il suo nome dalle labbra di suo figlio che aveva ripreso il contatto con la realtà.
Aveva trascorso il resto della notte al capezzale di Trunks, addormentatosi accanto a Goten solo dopo diverse ore.
Trunks era rimasto a casa per diversi giorni, vegliato dal piccolo Son. Vegeta aveva lavorato con l’angoscia nel cuore, ma non era potuto venire meno ai suoi doveri: avrebbe perso il posto di lavoro, e questo significava perdere un tetto sulla testa e la possibilità di comprare il cibo che quotidianamente metteva in tavola.
Ancora non riusciva a spiegarsi perché suo figlio si trovasse in quel posto, perché avesse deciso di uscire da casa nel bel mezzo della notte, di nascondersi in quella stupida baracca che stava in piedi per miracolo. Aveva provato a chiederglielo diverse volte, ma il bambino era stato evasivo, sfuggente, e aveva deciso di non insistere. Lo vedeva stanco, provato, e non aveva intenzione di peggiorare la situazione, seppure fremesse per il desiderio di conoscere la verità. Suo figlio non era uno sprovveduto: era un ragazzino e a volte commetteva azioni avventate, ma aveva capito che non poteva più concedersi il lusso di mettere se stesso in pericolo, Vegeta ne era sicuro. Allora, perché diamine era uscito pur sapendo di non essere in grado di difendersi? E perché era andato proprio lì dietro?
Il giorno dopo, nonostante la stanchezza, era tornato in quella stupida baracca con l’intenzione di capire dove potesse essersi ferito suo figlio e di raderla al suolo poco dopo. Aveva come l’impressione di avere la soluzione sotto il naso ma di non essere in grado di vederla. Stava di fatto che in quel luogo non ci fosse niente di strano, e che le tracce di sangue che aveva ritrovato facessero pensare a una ferita provocata accidentalmente. Magari, con il tempo, Trunks si sarebbe aperto e avrebbe raccontato perché si trovava lì e cosa stava combinando.
Per il momento, sarebbe stato meglio non insistere, seppure bruciasse dalla voglia di conoscere la verità.
 
Goten non aveva lasciato il suo fratellino neppure per un istante. Sapeva di dover andare a scuola, che continuando ad assentarsi sarebbe rimasto indietro rispetto ai suoi compagni, ma non aveva intenzione di allontanarsi dalla loro casa, di allontanarsi da Trunks. Si era dato dell’idiota per non essersi reso conto che fosse sceso dal letto. Come poteva non essersi accorto di essere rimasto da solo? Aveva deciso di rimanere accanto a lui per espiare quella colpa che sentiva su di sé.
Pazienza: i compiti avrebbero aspettato.
 
*
 
I preparativi, in paese, erano quasi al culmine. Presto, molto presto, una nuova esecuzione sarebbe avvenuta in pubblica piazza. La caserma era in fermento, il boia era all’opera da diverso tempo. Aveva deciso che quella sarebbe stata la sua performance migliore: stranamente, in quel caso, avevano preferito rivolgersi a lui e alla sua infallibile lama, piuttosto che utilizzare il fuoco purificatore. Forse, si erano resi conto che le adoratrici di Satana potevano essere abbattute in un modo sicuramente meno spettacolare ma decisamente più remunerativo e sicuro per chi faceva un mestiere come il suo. Non poche volte quelle diavolesse avevano piegato le fiamme a loro piacimento, causando gravissime ustioni a coloro che le avevano appiccate, e poi, per quanto il fuoco fosse un mezzo atto a purificare le anime di quelle empie creature, era convinto che in verità non fosse che una carezza per quelle donne così disgustose, una carezza simile al tocco del mostro che adoravano segretamente.
Non aveva mai creduto alla storia che il Demonio vivesse circondato dai ghiacci, quindi, perché causare a quelle donne un sì perverso piacere e condurle in estasi tra le braccia dell’essere che le aveva corrotte?
Erano questi i pensieri di Akira il Boia, dell’uomo che affilava con pazienza la lama della sua katana sino a renderla talmente affilata da tagliare a metà seta leggiadra: più tagliente sarebbe stata la sua arma, meno fatica avrebbe fatto nel privare della testa le condannate a morte. Più tagliente sarebbe stata la sua arma, più veloce sarebbe stato il trapasso.
Egli non desiderava provocare dolore, ma dare la giusta punizione ai trasgressori. Il suo compito era punire gli assassini, gli stupratori, gli adoratori del Demonio. Non importava che si trattasse di giovani o anziani, di donne o uomini, di neonati o bambini: chi sbagliava, doveva essere punito, doveva essere purificato e condotto così sulla via del Paradiso. Lui doveva solo favorire il trapasso. E per favorire il trapasso doveva prepararsi a dovere.
Erano queste le cose a cui pensava mentre affilava la sottile lama sfavillante, mentre la mano faceva scorrere la pietra con gesto netto e deciso che generava un’infinità di scintille.
La donna dai capelli rossi avrebbe avuto quello per cui era stato chiamato. E dopo di lei, altre avrebbero ricevuto lo stesso trattamento finché il mondo non sarebbe tornato a essere un luogo sicuro, un luogo purificato dal male generato dalla viscere della Terra.
 
La condannata si chiamava Kaori. Kaori aveva ventiquattro anni, la pelle color del latte, gli occhi gialli e i capelli rossi come il fuoco. Era stata arrestata diverso tempo addietro con l’accusa di stregoneria, ed era stata imprigionata e condannata a morte poco tempo dopo. I suoi compaesani sapevano che lei non fosse una strega, un’adoratrice di Satana, ma nessuno aveva fatto niente per difenderla, neppure le donne che aveva aiutato grazie alle sue conoscenze: nella vita di prima, lei era stata la migliore infermiera del suo reparto, ma questo suo prodigarsi per gli altri aveva finito con il farla apparire come una strega agli occhi di chi aveva aiutato con fin troppo zelo.
Ricordava il giorno in cui l’avevano prelevata come se lo avesse visto da lontano, come se fosse stata una spettatrice in mezzo alla folla, e non la protagonista di quell’assurdo e crudele dramma. Non aveva capito immediatamente quello che le stava capitando, ma nell’attimo in cui se n’era resa conto aveva urlato e lottato, professando a gran voce la sua innocenza, arrivando persino a supplicare i suoi compaesani di aiutarla, rimanendo però inascoltata. Aveva tentato di far notare ai suoi accusatori, a quel punto, che se fosse stata una vera adoratrice di Satana, avrebbe usato le sue arti per fuggire da lì e mettere in salvo la sua vita, ma neppure questo sembrava aver convinto quegli uomini ottusi e ignoranti.
In quei giorni di prigionia, non avevano fatto altro se non torturarla, fisicamente e psicologicamente. L’avevano ridotta a un fantoccio, una schiava sessuale, un corpo da usare a proprio piacimento. A nulla erano valse lacrime e suppliche, ancor meno erano serviti insulti e urla. Il suo destino era stato scritto nello stesso istante in cui aveva curato la prima ustione, nel momento in cui aveva ricucito la prima ferita e aveva somministrato il suo primo decotto contro l’influenza.
Lontani erano i tempi in cui si aggirava tra i reparti, in cui le si rivolgevano dandole del lei e la ringraziavano per il lavoro svolto. Lontano era il tempo in cui era stata libera. Adesso, suo malgrado, aveva compreso che solo la morte avrebbe potuto renderla di nuovo tale.
 
La data era stata stabilita, e lo stesso destino sarebbe toccato a colei che si trovava a poca distanza dalla sua cella, dalla donna che aveva ricevuto la visita di quel giovane dai capelli neri e dallo sguardo deciso, l’unico che si era fermato per parlare invece che prendersi quello che volevano tutti gli altri.
Kaori non era un’impicciona, non lo era mai stata, ma le voci sommesse dei due avevano attirato la sua attenzione, e quello che si erano detti l’aveva scossa sin nel profondo.
Marylin ricordava ogni cosa della vita di prima, proprio come lei, proprio come Vegeta – questo era il nome di quel ragazzo – e i suoi figli. Il racconto di come si erano incontrati, di come lei li avesse messi in salvo sacrificando la sua stessa famiglia, di come avesse incontrato poco dopo quello strano uomo di nome Goku e di come, dopo che questi era sparito, fosse stata catturata e imprigionata lì, in attesa di morire in un modo atroce.
Quella storia l’aveva toccata sin nel profondo, non tanto per l’intimità che sembrava essere nata tra i due – non era il momento di pensare a smancerie romantiche – ma perché l’aver compreso che alcuni uomini si erano resi conto del cambiamento che le esistenza umane avevano subito le aveva dato nuovamente speranza. E se quel Vegeta avesse trovato un modo per riportare le cose come erano state un tempo prima della sua esecuzione? Se avesse riportato le cose com’erano prima che le venisse tolta la vita?
Marylin aveva perso la fede, ma lei no. Lei non voleva morire. Lei voleva uscire da lì, voleva trovare chi l’aveva tradita e vendicarsi. Non voleva uccidere nessuno, non avrebbe mai potuto farlo, ma di sicuro avrebbe trovato un modo per far soffrire atrocemente coloro che si erano arrogati il diritto di far soffrire lei. O, forse, una volta uscita da lì, avrebbe deciso di perdonarli… Non era una persona crudele, non era vendicativa o cattiva, e lei per prima era inorridita nel momento in cui si era resa conto dei pensieri che aveva avuto. Forse, allora, era veramente diventata un’adoratrice del Demonio? Sarebbe realmente finita all’Inferno?
Probabilmente sì, ma se Vegeta avesse trovato un modo per risolvere le cose, forse avrebbe avuto modo di rimediare ai pensieri crudeli che aveva formulato, avrebbe avuto modo di espiare e avrebbe avuto accesso alle porte del Paradiso.
 
Da quel giorno, aveva atteso il ritorno del bel ragazzo moro con una smania che non pensava le potesse appartenere. Ma le ore passavano, i minuti, i secondi erano interminabili, non facevano altro se non susseguirsi senza sosta e di lui non c’era alcuna traccia. Gli uomini andavano e venivano, si fermavano e ripartivano, ma nessuno era mai il giovane Vegeta.
Perché lei gli aveva chiesto di non venire più? Perché Marilyn aveva osato tanto?
 
“Sei una stupida” – le aveva urlato una sera, tra le lacrime – “Sei una donna stupida. Lui poteva aiutarci! Perché lo hai mandato via?”.
“Piangi?”.
 
Marylin non le aveva mai rivolto la parola prima di allora. L’aveva più volte sentita urlare e sbraitare contro le guardie e contro gli uomini che entravano nella sua cella, ma mai prima di allora si erano rivolte la parola. Non conosceva neppure il suo nome, né voleva conoscerlo. Perché legarsi a qualcuno e provare pena per lui o lei, se presto dovevano morire?
 
“Certo che piango! Presto morirò! E io non voglio morire!” – aveva urlato, afferrando con forza le sbarre e cercando di sporgersi quanto bastava per poter vedere la donna con cui stava parlando.
 
“Non credi che la morte sia una liberazione?”.
“No… O meglio, sì… Meglio la morte che subire un’altra umiliazione. Ma allo stesso tempo io… Io non voglio morire… Non ho fatto niente di male… Non sono una strega… Io non adoro il Demonio o quello che dicono loro… Io… Io…”.
 
Non aveva finito la frase: piangeva lacrime amare di disperazione, Kaori, e niente avrebbe arrestato quella cascata in piena.
 
“Piangere non ti salverà la vita. E lui non tornerà. Non ha motivo di farlo”.
“Non tornerà perché tu glielo hai impedito! Lui poteva…”.
“Lui non è in grado di aiutarci… Non è in grado di aiutare neppure se stesso, in questo momento… Ha troppa paura di perdere quelli che sono rimasti”.
 
Kaori si era morsa le labbra fino a farle sanguinare. Vegeta non era di certo il principe azzurro senza macchia e senza paura che le avrebbe condotte fuori da lì in groppa al suo bianco destriero, ma il suo cervello aveva fantasticato su ciò e aveva fatto in modo che lei si convincesse che una cosa così assurda potesse essere reale.
 
“Lui poteva aiutarci… Lui è forte… Io lo sento… Lo so…”.
 
Mentre pronunciava quelle parole sconnesse, nella sua mente aveva preso forma la strana visione di Vegeta vestito di blu, con un’armatura bianca, che si librava in aria e attraversava il cielo. Le ore trascorse lì dentro dovevano averla fatta impazzire. Eppure… Eppure…
 
“Ma lui è… Sì… Lui è lui!”.
 
Lo aveva detto talmente piano che Marylin non era stata in grado di sentirla.
 
“Come dici?”.
“Ma sì… Adesso ricordo dove l’ho già visto… Adesso comprendo la sensazione di déjà-vu provata la volta scorsa… La nebbia si sta diradando ed è tutto sempre più chiaro! L’ho visto in tv… Durante la diretta del Cell-Game… Ti ricordi? Lui ha abilità straordinarie! Lui può veramente aiutarci!”.
 
In un primo momento, Marilyn aveva pensato che quelli fossero i deliri di una donna imprigionata da troppo tempo, ma con il trascorrere dei minuti sembrava che l’immagine descritta da Kaori fosse reale.
 
“È lui, ti dico. Ne sono sicura! Lui aveva affrontato Cell insieme ai suoi amici! Come può essere che ora non possa salvarci? Che non possa farci uscire da qui?”.
“No… Sono certa che ti sbagli… Io l’ho visto… Lui ha bussato alla mia porta come il più indifeso degli uomini… I miei fratelli volevano consegnarlo… Avrebbero ucciso lui e i bambini…”.
“Marilyn, non è possibile! Ricordo ogni cosa di quei momenti terribili documentati dai reporter! Certo, non sarà forte come il nostro mr. Satan, ma sa il fatto suo! O non si sarebbe mai presentato allo scontro… Era uno di quei ragazzi arrivati in gruppo. Ne sono sicura!”.
 
Marylin era rimasta spiazzata. Kaori aveva ragione, Vegeta corrispondeva perfettamente all’immagine del guerriero mostrata in Tv. Era lui. Come poteva non averci pensato immediatamente? Eppure, era certa Vegeta non fosse più il guerriero che aveva accettato di partecipare a quel sadico torneo. Se fosse stato in grado di aiutarle, di farle fuggire, lo avrebbe fatto di sicuro.
 
“E se…” – non aveva il coraggio di dirlo – “E se ti avesse presa in giro?”:
“Come?”.
“Se avesse finto, Marylin? Se lui avesse finto di essere debole e lo avesse fatto per incastrarti? Se fosse uno di loro?”.
“MAI! NON OSARE! Non è possibile! Vegeta è un giusto, non è uno di questi pazzi esaltati! Lui ricorda tutto, proprio come Goku! Lui non è malvagio, non...”.
“Eppure… Io sono convinta che… Oddio, sì… Ora ricordo altro… Marilyn… Vegeta… Lui è un alieno”.
“Tu sei completamente folle”.
 
Non sopportava più quei deliri. Perché continuava a tormentarla in quel modo così crudele? Cosa voleva da lei?
 
“Non sono pazza! Ascoltami, tutto diventa più chiaro ogni secondo di più… Vegeta è l’alieno che è atterrato sulla Terra insieme a quell’energumeno pelato quasi dieci anni fa…”.
“Ma cosa stai… Cosa… Tu…”.
“Ne sono sicura… Lui era venuto sulla Terra per sterminarci tutti”.
 
*
 
Marylin aveva perso il sonno da quando aveva avuto quella unica e sola conversazione con Kaori. A nulla erano valse le suppliche della donna di ascoltarla, di crederle. Marylin non l’ascoltava più, e questo perché non si trovava più lì, in quella prigione, ma era in un altro luogo di detenzione: la sua mente.
Vegeta l’aveva imbrogliata. L’immagine dell’uomo giusto, del padre irreprensibile, dedito alla famiglia, si era sgretolata sotto i suoi occhi come una statua di sale al sole.
Adesso, non vedeva altro se non il mostro sanguinario venuto sulla Terra per assoggettarla o, peggio ancora, per distruggerla.
Era stata una sciocca a credere alle sua parole. Era stata una sciocca a fidarsi, e ora la sua vita era distrutta.
Che Kaori avesse ragione? Che fosse lui l’artefice di tutto quello che era capitato? Che fosse lui il mostro?
Ormai, se n’era convinta, e non riusciva a pensare ad altro.
Vegeta aveva interpretato magistralmente una parte che evidentemente non gli si addiceva. Non si sarebbe affatto meravigliata se, il giorno della sua esecuzione, lo avesse visto seduto su un comodo scranno adagiato su un palchetto pensato per rendergli una visione privilegiata. Avrebbe riso di lei, della sua idiozia, della fiducia che aveva riposto in lui e poi avrebbe gioito nel sentirla urlare di dolore, nel vedere un’adoratrice di Satana annientata non dalle fiamme, ma dalla crudeltà dell’uomo che aveva protetto fino alla morte.
Marilyn, che credeva di non avere più lacrime in corpo, aveva pianto amaramente per la sua sorte, e per la sorte di tutte le donne che erano venute prima e sarebbero venute dopo di lei. Era vero, forse: erano tutte adoratrici del Diavolo. Ma non sapevano che quel Diavolo, sulla Terra, rispondesse al nome di Vegeta.

 
*
 
Da quando si era mostrato, dopo aver ricevuto in dono qualche goccia di sangue del giovane Trunks, il mostro dentro il libro aveva deciso di stare zitto e buono, sperando che così nessuno potesse scoprire la sua esistenza.
Sapeva di aver compiuto uno sciocco gesto, sapeva di aver attirato l’attenzione su di lui, ma non poteva permettere a nessuno di attaccarlo. Come aveva fatto a non accorgersi che altre ombre, che altre creature si erano aggrappate a Trunks quando era scappato dalla grotta? Quell’ombra strisciante puzzava di fango e terra, ed era certo di aver sentito un vago odore di cane, lo stesso cane che quel moccioso di Goten portava sempre con sé.
Avrebbe dovuto stare attento e non permettere più che accadesse una cosa tanto pericolosa.
Non era pronto a mostrarsi, e non era il sangue di Trunks che voleva per rimettersi in sesto. No. Lui voleva il corpo di Son Goku, e voleva divorare con calma il principe dei saiyan prima di sedersi su quello che qualcuno, un giorno, aveva definito il Trono del Mondo e rinchiudere nella grotta quel bastardo che aveva osato fare lo stesso con lui centinaia di anni prima.
Sentiva la sua presenza minacciosa a centinaia e centinaia di chilometri. Era invecchiato, poteva sentirlo dal suo Ki, ma era vigoroso almeno quanto lo era un tempo. Se chiudeva gli occhi, riusciva a udire il suono della sua voce, l’odore della sua pelle, riusciva a vedere il proprio riflesso sugli occhiali scuri che portava anche nei giorni di pioggia.
Lo aveva illuso. Quell’uomo non aveva fatto altro se non alimentare in lui false speranze, che il suo duro lavoro sarebbe stato ripagato con il più grande dei trofei. Invece, non era stato così.
Il suo modo di fare gli aveva fatto capire che per lui era uguale a tutti gli altri, seppur avesse dimostrato di potersi distinguere, che non era degno di essere l’unica e sola scelta.
Era stato lui a costringerlo a fare quello che aveva fatto, a portarlo sul punto di doversi ribellare alle regole millenarie dell’ordine in cui era stato accolto. Ed era stato lui a punirlo, sigillandolo lì sotto, tra l’altro in compagnia di coloro che aveva da sempre ritenuto inferiori.
Ma era evidente che Muten lo avesse sottovalutato, che non si aspettasse di vederlo tornare, un giorno, per giunta con un piano ben studiato, e ora non sapeva bene come contrastarlo. Lo sapeva che era così… Lo sentiva.
Lui doveva avere Goku, doveva prendere possesso del suo corpo, e doveva far sì che fosse pronto non solo ad accoglierlo, ma a compiere l’atto finale. In quel periodo trascorso sotto forma di spirito confinato all’interno del suo oggetto più caro, aveva potuto ripercorrere tutto quello che aveva scritto durante l’adolescenza, analizzando le sue debolezze, rispolverando i suoi punti di forza, tentando di colmare con la meditazione i vuoti che gli insegnamenti di Muten non avevano colmato, a lavorare sulla sua mente e a studiare una tecnica per poter dominare quelle altrui.
Trunks era stato il colpo di fortuna che aspettava da tanto tempo, e non avrebbe permesso che gli accadesse alcunché. Sapeva benissimo a che gioco volevano giocare le altre ombre. Volevano provare a distruggere il bambino, in modo che il quaderno fosse dimenticato in un angolo, in modo che il suo piano finisse in un nulla di fatto. Ma non avevano preso in considerazione il fatto che avesse in un certo senso previsto anche quelle mosse così subdole. Non era uno sprovveduto, non lo era mai stato, in verità, ma mai meno di allora.
Il suo piano era perfetto, se non in una piccola parte per cui non aveva ancora trovato una spiegazione: nel mondo ideale che aveva deciso di plasmare, un mondo simile a quello in cui lui aveva vissuto da bambino, uomini e donne vivevano dei prodotti della Terra, erano esseri superstiziosi non capaci di comprendere pienamente i progressi della scienza e della tecnologia, e le donne erano completamente soggiogate al loro volere. Perché, allora, il suo influsso non aveva agito su di loro? Perché, stando a quello che scriveva Trunks sulle sue pagine ingiallite, il sesso debole ricordava ogni cosa così come era sempre stata?
Aveva provato a tergiversare col ragazzo e le sue migliaia di domande, ma proprio non riusciva a trovare una spiegazione. Non aveva sentito nessuna di loro opporre resistenza al suo potere psichico, allora perché era successo quello che era successo?
Per quanto provasse a darsi una spiegazione, proprio non era in grado di rispondere.
Poco male, però… Presto, Goku sarebbe stato pronto a riceverlo, e non sarebbe stato di certo un gruppetto di donne a mettergli i bastoni tra le ruote.
Avrebbe dominato il mondo. E lo avrebbe fatto dopo aver consumato lentamente la portata principale di quel lauto banchetto.
Per questo, aveva deciso di rimanere lì, sotto le assi sconnesse del capanno, aspettando che Trunks tornasse a prenderlo. Perché sapeva che il bambino non avrebbe più potuto fare a meno di lui.
 
*
 
Si era risvegliato dopo un lasso di tempo che gli era parso interminabile, indolenzito per la posizione in cui era stato costretto a stare, e spiazzato per essersi reso conto del perché e del come fosse finito in quella spiacevole situazione.
 
“Genio…”.
 
Lo aveva sussurrato appena, mentre cercava di capire se il corpo rispondeva ai suoi comandi. Purtroppo per lui, si era reso conto molto presto che questo sembrava impossibile. Più Goku provava a concentrarsi e sforzarsi, più otteneva l’effetto opposto, irrigidendosi ulteriormente.
 
“Urca! Genio, perché mi stai facendo questo? Che fine hai fatto, eh? Urca…”.
 
Era stato in quel preciso istante, mentre cercava di darsi una spiegazione, che si era reso conto di non avere la più pallida idea di quanto tempo avesse trascorso in quello strano luogo.
 
“Chissà da quanto sono qui… Chissà come staranno Goten e gli altri! Chissà se hanno paura, sete, fame, e… Ehi… Fa-fame? Urca, ma io non dovrei avere fame, adesso?”.
 
Quel pensiero così semplice e così apparentemente innocuo si era rivelato, in realtà, rivelatore di una verità a cui non aveva fatto caso in precedenza: non avvertiva i morsi della fame. Lui, abituato a mangiare ogni mezz’ora, lui, incapace di alzarsi da tavola prima di arrivare sul punto di scoppiare, non sentiva alcuno stimolo provenire dal suo stomaco, o dal suo cervello.
 
“Ma com’è… Com’è possibile? Perché non avverto né fame, né sete? E, ora che ci penso… Ora che ci penso, non avverto neanche sonno, o stanchezza dovuta al non aver dormito… Sì, mi sento strano per via di quello che mi ha fatto Genio, ma questo è diverso… Già da prima di finire qui non avevo fame o sete, già da prima di finire qui non ero stanco… Che cosa significa? Perché mi succede questo?”.
 
Goku era confuso e agitato. Avrebbe tanto voluto posare le dita sulla fronte e teletrasportarsi da Re Kaioh per chiederglielo, ma proprio non riusciva a muovere neanche un muscolo. Sarebbe rimasto lì dentro in eterno, sino all’arrivo di Genio? E se quest’ultimo non fosse più tornato, che ne sarebbe stato di lui?
 
“Trascorrerò il resto dei miei giorni sigillato qui sotto? No… Non posso crederci… Non ci voglio credere… Non posso stare qui… Non voglio!
Ma se questa… Se questa fosse l’unica soluzione… Sì, se questo fosse il solo modo per farli tornare tutti? Urca! Mi fa male la testa… Io non sono buono a ragionare… Sono stanco di ragionare… Il cervello sembra che stai per esplodermi e io non so come fare per uscire da qui. Non so come fare ad aiutare… Perché? Perché non capisco come posso aiutare?”.
 
*
 
Il giorno era giunto.
Kaori avrebbe perso la vita alle 14.00 in punto di un venerdì pomeriggio. La folla si era riunita attorno al patibolo costruito appositamente per l’occasione, in attesa che il macabro spettacolo prendesse vita. Donne, uomini, giovani, anziani, persino bambine e bambini scalzi e sporchi avevano fatto a gara per prendere un posto in prima fila, per vedere la testa della strega rotolare sulla terra battuta e imbrattarla con il suo sangue denso e caldo.
I carcerieri erano in fermento. Non avevano staccato gli occhi di dosso dalla condannata neppure per un istante, non le avevano risparmiato ulteriori violenze e umiliazioni, e avevano lasciato che fossero i dadi a decidere chi di loro l’avrebbe accompagnata durante il suo ultimo viaggio sino al patibolo.
Kaori non aveva fatto altro che piangere per tutta la notte. I suoi sogni di salvezza si erano infranti alle prime luci del mattino, quando aveva udito il suono dei martelli che inchiodavano le assi destinate a comporre il luogo in cui avrebbe perso la vita.
Le avevano comunicato che sarebbe morta mediante decapitazione. Un vero e proprio trattamento di favore, considerando che la punizione per la stregoneria fosse morire sul rogo.
Marilyn non le aveva più rivolto la parola da quel lontano giorno.
La odiava, Kaori lo aveva capito, ma quell’atteggiamento proprio non riusciva a condividerlo, né a comprenderlo. Non avevano più niente, se non la vicinanza l’una dell’altra, perché lasciarla sola negli ultimi istanti della sua miserabile vita? Perché farla sentire abbandonata proprio in quel momento? Non l’aveva neppure guardata in viso quando l’avevano portata via, eppure era certa di averla vista piangere. Forse, alla fine, Marylin aveva davvero iniziato a provare qualcosa per lei. Kaori non avrebbe mai saputo che le lacrime della sua dirimpettaia fossero per se stessa e per la sua sventurata sorte.
 
Aveva male alle ossa, la testa sembrava sul punto di scoppiarle, e non aveva più la forza neppure di piangere.
Quando i soldati erano giunti a prelevarla, il sole era alto, ma lei non sentiva il suo calore sulla pelle: tremava, di paura e di rabbia, di sconforto e di dolore. Il terrore provato era talmente tanto da averle fatto perdere il controllo sulla vescica, e lei si era ritrovata con la gonna zuppa e le cosce appiccicose, mentre cercava di rifuggire gli sguardi delle persone accorse a vedere la sua morte.
 
Il boia aveva il volto coperto. Indossava un lungo abito nero dotato di cappuccio, e aveva la katana ancora inserita nel suo fodero, nero anch’esso.
Presto, quella lama affilata avrebbe squarciato le sue carni e avrebbe posto fine alla sua breve vita. Presto, sarebbe morta. Forse, a quel punto, avrebbe potuto incontrare i suoi cari che non c’erano più? O forse, avrebbe raggiunto l’Inferno, come aveva creduto?
Improvvisamente, senza sapere perché, Kaori aveva iniziato a ridere in maniera a dir poco sguaiata. Quelle risate avevano fatto accapponare la pelle persino ai soldati, ma non sembravano aver turbato il boia, che con un gesto della mano aveva ordinato ai soldati di farla chinare e di poggiarle la testa sul ceppo.
 
“MORIRETE TUTTI!” – aveva urlato, quasi in preda a una specie di ossessione – “MORIRETE TUTTI! MORIRETE PERCHÉ LUI CAMMINA FRA DI VOI! LUI VI TRADIRÁ DOPO AVERVI OFFERTO IL SUO CONFORTO! E IO LO MALEDICO, PER QUESTO, LO MALEDICO!”.
 
“Ma di chi sta parlando?” – aveva cominciato a chiedersi la gente presente in piazza, preoccupata.
 
“Tu, strega, stai per morire!” – le aveva urlato una della guardie, allontanandosi da lei.
 
“Io morirò, ma voi mi seguirete presto! TUTTI VOI MI SEGUIRETE PRESTO! Perché lui e i suoi figli verranno a trovarvi! E non avrete scampo!”.
 
Un taglio. Era bastato un solo taglio per staccarle la testa di netto. Nessuno spreco di energia, nessuno spreco di tempo. Kaori era morta velocemente, in poco tempo, proprio come aveva vissuto. Nessuno avrebbe mai saputo a chi si stesse riferendo nei suoi ultimi istanti di vita. E nessuno avrebbe saputo perché, in quel momento, un ragazzo che lavorava in un campo si era accasciato al suolo.
 
Continua…


 
Ciao a tutte/i!
Come procede la vita in questo strano déjà-vu?
Spero che voi e vostri cari stiate bene. <3
 
Abbiamo avuto modo di conoscere diversi punti di vista, e abbiamo finalmente visto anche il povero Goku, sempre più incredulo rispetto a quello che gli sta accadendo.
La donna dai capelli rossi ha creduto in qualcosa di impossibile e, alla fine, ha lanciato la più crudele delle maledizioni su chi, per una volta, non ha fatto nulla di male.
Ah, ho inventato praticamente ogni cosa: non ho idea di come i giapponesi portassero a termine le esecuzioni capitali, nel passato.
La prossima a salire sul patibolo sarà Marilyn… Marilyn, che ora è piena di dubbi e ha il cuore doppiamente infranto.
Ma chi sarà il ragazzo svenuto nei campi?
Vedremo…
 
A presto!
Un bacino
Cleo

 
   
 
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