Edward
sbadigliò annoiato, si rivestì, raggiunse lo
studio
di Roberts.
Lo intravide
attraverso la vetrata, aveva lasciato le tendine aperte.
Era assorto nel
compilare cartelle, lo osservò mentre rifletteva prima di
scrivere, non era uno
sconsiderato nel suo lavoro e lo assolveva con precisione. Era contento
che
fosse a capo della clinica, era un bravo medico, forse si preoccupava
un po'
troppo per gli altri. Si rese conto che di lui sapeva poco o nulla. Che
era
Scozzese, e aveva un fratello che era medico e professore ad Edimburgo.
Di 10
anni più vecchio a cui era molto legato. Del resto della
famiglia non aveva mai
parlato, solo brevi accenni ai genitori anziani.
Bussò
ed entrò. “Spero di avere finito per
oggi.” Lo
apostrofò deciso, John alzò la testa e
annuì. “Puoi pure andare, credo di avere
sufficienti informazioni su di te.” Edward si
spostò per prendere la sua
valigetta.
“Bene,
quando mi dirai qualcosa?”
John
ci pensò. “Domani, o forse più tardi.
Ti avviso stai
tranquillo. Comunque
da quel poco che ho
visto, sei in salute, ma sotto peso. Vediamo le analisi.”
Edward
sospirò più sereno, poi si rabbuiò un
po'.
“Non
pretenderai che mi ingrassi, perché è una partita
persa. Non prendo un etto.”
John
rise. “Beh, però non voglio nemmeno che tu perda
peso
ulteriormente. Ti farebbe solo male.”
“Parli
come Steve. Spero non mi starai col fiato sul collo
anche tu.”
“Certo
che no, ma diventare un po' più responsabile
nell’alimentazione non guasterebbe.”
Soffiò via dell’aria inesistente.
“Non
sono un irresponsabile! A volte lavoro fino a tardi e
me ne scordo.”
“Non
ci si scorda di mangiare Ed, non se ci si vuole bene. A
lungo andare pagherai le tue scelte sbagliate.
“Non
mi fare la paternale, ti prego non essere
ridicolo.” John
si alzò e scostò delle
cartelle, fece posto sulla scrivania.
“Sei
testardo, ma ora basta. A proposito visto che sei qui e
sei polemico ora mi ascolti.”
Edward
riappoggiò la valigetta a terra e lo fisso truce.
“Cosa c’è adesso? Mi sembra
di averti concesso molto.”
“Potevo
obbligarti, non essere presuntuoso, ti sto facendo
un favore.”
“Che
altro vuoi!” Era
sospettoso. John tornò a sedersi nella poltrona.
“Quello
che ti dirò non ti farà piacere, ma vista la tua
insolenza credo che potrai ascoltare.”
Edward
si lasciò cadere sulla sedia di fronte a lui.
“Avanti
allora o continuerai a offendermi? La mia pazienza ha un
limite.” John
portò le mani unite sotto al mento, si
concentrò sul volto di Cooper.
“Un
padre non prende a cinghiate un figlio, qualsiasi cosa
abbia fatto.” Fu secco come uno sparo, Edward
saltò su furente.
“Lo
immaginavo che ti saresti concentrato su quello! Per
questo non volevo!”
Si piantò con le
mani
allargate sulla scrivania e lo fissò velenoso.
“Sono
affari miei e della mia famiglia, di quello che è
stato mio padre. Non posso negare che fece degli sbagli, ma tu non sai
nulla di
quello che era. Del perché era così.”
“So
quanto lo amavi, per questo temevo la tua reazione. Ma
di te non mi importa, perché lo hai perdonato. Lo hai
accettato.”
La
reazione di Edward fu di stupore, socchiuse gli occhi
chiedendosi dove andasse a parare.
“Tu
non sai se l’ho perdonato! Non sai nulla di me!” Fu
aspro, tagliente. “Cosa vuoi da noi John?”
“Mi
preoccupo di Steve, per il suo rapporto conflittuale con
te, adesso che ho visto cosa ti ha fatto temo per lui. Non era il
figlio
perfetto, e tuo padre potrebbe aver infierito su di lui. Spiegherebbe
molte
cose, specie i suoi scatti d’ ira verso di te, il fatto che
non ci sia nemmeno
la sua, di cartella clinica.” Edward si staccò
dalla scrivania, camminò per la
stanza con le mani affondate nelle tasche. Era dubbioso. Sembrava
portare un
peso sulle spalle.
John
sentì lo stomaco stringersi, non gli piaceva vederlo
soffrire, ma la sua arroganza a volte lo irritava.
Lasciò
che fosse lui a riprendere la conversazione. Infatti
senza voltarsi ammise qualcosa.
“Potrebbe
essere.” Mormorò a testa bassa. “Ma non
ne sono
sicuro. Ero spesso lontano e lui cambiò improvvisamente,
papà ci metteva
contro. Lui era forte, io riflessivo.
Lui veloce, io lento. Aveva qualità da vendere,
ma mio padre si
concentrò su di me.”
Edward
si avvicinò di nuovo alla poltrona e si lasciò
letteralmente cadere. John capì che stava cedendo, prese un
bicchiere, gli
versò del tè freddo che aveva nella caraffa e
glielo offrì.
Mantenne
un tono piatto, ma rassicurante. Edward mandò giù
un sorso, tossì un po'.
“Non
voglio darti delle colpe, ma tutto sembra ruotare attorno
a tuo padre. Credo
che tuo zio sappia
molto di più di quello che sembra.”
“Forse
non volli vedere. Forse fui semplicemente un codardo,
non ammettendo che papà avesse problemi mentali.” Edward respirò
profondamente, teneva il
bicchiere in mano con troppa forza. Poi iniziò a parlare con
un tono monotono.
“Mio
nonno, era un uomo violento, severo e autoritario verso
i suoi quattro figli. Anthony, William Costance ed Henry il terzo, e
più
piccolo. Uno zio che non ho mai conosciuto, e di cui si parlava
poco.” Mandò
giù un sorso di tè. Prese un lungo respiro.
“A
quindici anni volò giù dalle finestre di Roses
House.
Ufficialmente un incidente, in verità un suicidio per le
botte subite. Nonno
scoprì che amava ed era corrisposto da un suo compagno di
corso, non accettò la
sua omosessualità e non si risparmiò in
punizioni.” Edward
si fermò. Respirò con fatica. John si
alzò e si avvicinò, gli appoggiò le
mani sulle spalle sconvolto, certamente non
si aspettava una rivelazione del genere.
“L’ala
ad est fu chiusa e demolita. Ma nonno non perse il
vizio di picchiare i suoi figli e toccò ad Anthony, il mio
povero padre. Rimase
a Roses House, mentre William che aveva venti anni se ne
andò in accademia.
Costance si salvò protetta dalla nonna, ma era
già minata dalla perdita di
Henry, non
riuscì a proteggerli
tutti. Papà
subì senza che William
potesse fare nulla. Passò l’inferno, il
primogenito doveva esser forte perché
doveva portare avanti l’eredità dei Cooper. Questo
per un lungo periodo finché,
morta mia nonna, preso dal rimorso Sir Geoffrey Adam Cooper si uccise
nella
tomba di famiglia accanto a quella di Henry. Papà aveva
diciotto anni e fu
marchiato per sempre.” Edward
appoggiò
il bicchiere, tremando, si portò le mani sugli occhi e
abbassò la testa fino
quasi a raggiungere le ginocchia.
John
teneva le mani strette sulle sue spalle.
“Mi
dispiace.” mormorò “Non potevo
immaginare, tutto
questo.” John
lasciò che si riprendesse,
Edward si raddrizzò si appoggiò con gli occhi
chiusi alla poltrona.
“Se
papà fece del male a Steve, lo zio deve saperlo, forse
anche Mary a me non dissero nulla. Dovevo portare avanti il nome della
famiglia, il marcio che c’era dentro.” Fece una
pausa e mormorò. “Ma non sono
come mio nonno, né come mio padre.”
Edward
lo sussurrò lento, come un dolore portato per troppo
tempo, un male che lo stava divorando. John prese la sedia e si
sistemò di
fronte a lui. Lo prese per le spalle, lo scosse.
“Guardami
Ed, apri gli occhi guardami.”
Obbedì gli occhi
arrossati, un’immensa tristezza li percorreva. “Non
sei Anthony, non sei
Geoffrey, sei semplicemente Edward, sei un uomo e un fratello
amorevole. Sei un
comandante responsabile, sei un amico sincero. Non hai dentro di te
nulla,
nemmeno una traccia della loro pazzia.”
Lo
scosse con forza.
“Sei
un fratello protettivo, non hai mai fatto del male a
nessuno di loro. Sai benissimo che anche se
sono lontani ti vogliono bene.”
Edward annuì silenzioso. “Ho
sbagliato molto anch’io, volevo tenerli uniti.”
“E
lo hai fatto, perché siete solidali, basta che uno di voi
stia male e subito ci siete. O Eddy non essere cieco lo sai che siete
una
famiglia. Quella
che hai creato tu.”
Edward
si coprì gli occhi con l’interno delle mani
sbiancate, e pianse, silenzioso,
senza
sussultare, senza chiedere conforto.
John
lo tenne stretto per le spalle lo massaggiò piano, lo
lasciò sfogare. Non era difficile capire che stava
decomprimendo anni di
silenzio e dolore.
“Sono
orgoglioso di essere tuo amico, anche se ci pungiamo
un poco, sei la persona più disperatamente sola che abbia
conosciuto.” Sorrise
senza che lo vedesse. “A parte me.”