Il
ritorno di Papillon
*
Capitolo 4
*
La
prima cosa che fece Gabriel, fu quella di soccorrere la moglie.
“Nathalie”
L’aveva chiamata più volte e scossa leggermente perché riprendesse conoscenza
al più presto, senza rincorrere all’aiuto medico.
Ma
è quello che in ogni caso avrebbe fatto, visto l’enorme livido e bernoccolo che
aveva sulla tempia destra.
Tossì
un paio di volte e si tenne la testa dolorante.
“Stai
bene?” Le chiese in tono pacato.
“S-si”
Ma una smorfia di dolore aveva tradito le sue parole.
Gabriel
l’aiutò a sollevarsi e a sedersi poi sulla poltrona poco distante, mentre i
suoi nipoti lo cercavano.
“Nonno?
Sei qui?” Chiese la biondina aprendo la porta.
“Si”
Aveva risposto.
La
bimba si portò le mani sulla bocca, quando vide la nonna con quell’enorme tumefazione.
“E’
caduta” La precedette lo stilista prima che potesse dire qualcosa “…e ha
sbattuto la testa sullo scalino”.
“Sono
inciampata” Aveva aggiunto la donna.
Emma,
e Louis si avvicinarono ai nonni con un espressione alquanto preoccupata in
volto.
Il
quasi incidente di Hugo, che non sembrava affatto scosso, in quanto stava
mangiando un panino al cioccolato, mentre si godeva il suo cartone preferito; e
ora la nonna Nathalie che cade.
Non
poteva essere una coincidenza, si ritrovò a pensare Louis, il più grande dei
fratelli, e anche se era solo alle media, la sua intelligenza gli permetteva di
capire che quella era una situazione alquanto bizzarra.
“Vuoi
che chiami il dottore?” Aveva chiesto io moro sistemandosi gli occhiali sul
naso.
“Non
è necessario” Gli aveva risposto il nonno.
Intanto
Emma, abbracciò la donna “Un bacino e passa la bua”.
Nathalie
sorrise all’innocenza di quella dolcissima bambina.
“Andate
di là, alla nonna penso io” Ordinò lo stilista.
*
Attese
che chiudessero la porta prima di parlare, sapeva che la moglie non gli avrebbe
detto che era stato compito di ladri, ma che c’era sotto dell’altro.
“Che
è successo?” Le aveva chiesto tenendola tra le braccia amorevolmente.
“Ricordo
solo che mi hai chiesto di aprire la cassaforte, il che è strano, visto che
conosci anche te le combinazione” Spiegò la donna reggendosi la testa.
“Io?”
Domandò sorpreso “Ero con i nostri nipoti, sono entrato ora in casa”
Nathalie
scosse la testa e farfugliò qualcosa, il suo racconto era confuso e a tratti
non aveva senso.
Diceva
che in cuor suo sapeva che chi aveva di fronte a lei, non fosse il marito, ma
non riusciva a dire di no, come se fosse ipnotizzata e il suo corpo si muovesse
da solo, manovrato come un burattino.
“Sembri
scosso, Gabriel.”
“Hugo
stava per essere investito poco fa.” Soffiò come vergognandosi di non riuscire
a badare a un bambino di sei anni.
Nathalie
ebbe quasi un mancamento apprendendo quella notizia terribile.
“Come?
Cosa? Quando?” Si era alzata di scatto, ma il braccio dello stilista l’aveva
trattenuta e riportata alla stessa posizione di prima.
“Sono
riuscito ad evitare il peggio!”
“Dobbiamo
dirlo ad Adrien e Marinette” Soffiò come se fosse la cosa più naturale del
mondo.
“Sono
a Londra, lasciamoli tranquilli finché non scopriremo qualcosa di più.” Sarebbero
tornati senz’altro immediatamente, e questo non poteva di certo permetterlo.
Gabriel
allungò alla moglie un bicchiere d’acqua che gli aveva chiesto qualche attimo
prima.
“Chi
pensi ci sia dietro?”
“Un’idea
me la sono fatto, ma non se sono sicuro.” Si avvicinò alla porta finestra e con
uno sguardo accigliato osservò le auto che passavano sfrecciando sulla strada.
Non
sapeva bene cosa si aspettava di vedere, forse ancora quell’auto sospetta fuori
dalla sua proprietà per l’ennesima volta.
“Pensi
sia tornata?” Incredibile come quella donna riuscisse a leggere così bene tra
le righe e a capire cosa pensasse quell’uomo in ogni singolo istante.
Nathalie
aveva preso posto accanto a lui, sembrava stare meglio, la testa non vorticava
più, anche se il bernoccolo pulsava, ma era un dolore abbastanza sopportabile,
che andava sempre più scemando.
Gabriel
increspò un labbro “Non saprei chi altro” Scosse il capo in segno di
disappunto, se Lila Rossi era tornata dal suo lungo viaggio, se avesse rubato
il miraculous della farfalla e se fosse stata lei a provocare il quasi
incidente di Hugo, sarebbe un bel guaio.
Maledisse
il giorno che stinse quell’alleanza con lei, e tutto per la sua smania di
riportare in vita la sua amata Emilie, perché non si dava pace per averla persa
per sempre, perché si era sempre addossato la colpa per aver perso la madre di
suo figlio.
Lei
voleva di più, ma non glielo poteva dare.
*
Adrien
guardò fuori dalla finestra della sua cabina di quel treno, che tra qualche
minuto si sarebbe fermato alla stazione ferroviaria di Londra.
Sprazzi
di nuvole bianche, continuavano a susseguirsi una dopo l’altra.
Sospirò.
Qualcosa
lo preoccupava, e la cosa ormai era evidente anche a Marinette, che fino a quel
momento se ne era stata zitta e buona, attendendo che il marito sputasse fuori
il rospo.
Un’ora
era passata da quando si erano imbarcati, e per un’ora Adrien non aveva
spiaccicato mezza parola.
Stava
per aprire bocca, quando il controllore irruppe nell’abitacolo e controllò loro
i biglietti e documenti di viaggio.
Dopo
essersi assicurato che tutto fosse in ordine, si congedò ai presenti con un
semplice “Fate buon viaggio, signori Agreste”.
E
dopo tutto questo tempo, a Marinette faceva sempre uno strano effetto essere
chiamata con il cognome di Adrien.
“Grazie”
Avevano detto all’unisono.
Quando
il controllore chiuse la porta, l’espressione serena del biondo scomparve,
lasciando posto alle nuvole, che aveva appena oscurato il cielo.
Qualche
minuto e avrebbe piovuto.
Pioveva
sempre a Londra, per questo Marinette e Adrien non amavano particolarmente
quella città.
“Vuoi
dirmi che cos’hai?” Gli aveva chiesto.
Adrien
si morse un labbro, non voleva dirglielo, soprattutto perché era una cosa
stupida, una sensazione infondata, non voleva farla preoccupare per niente.
“E’
tutto apposto, mi mancano i miei figli” Aveva inventato una scusa, in parte
però, perché i suoi figli gli mancavano veramente.
“Li
abbiamo lasciati da neanche un’ora” Marinette si sedette vicino a lui e gli
prese la mano, costringendolo a guardarlo negli occhi.
Lei
gli sorrideva.
“Chaton”
Da quanto non lo chiamava così, forse da quando avevano deposto le loro armi da
battaglia dentro quella cassaforte “…a me puoi dire tutto.”
“E’…e’
una cosa stupida” Balbettò distogliendo lo sguardo.
“Non
credo, ho fatto o detto qual…”
“No”
L’interruppe prima che potesse continuare, prima che si addossasse una colpa
che non aveva “…tu non c’entri.” La discolpò subito “…ho una terribile
sensazione, come se dovesse accadere qualcosa di brutto. E credimi, non mi
capitava dai tempi che indossavamo la maschera.”
“Da
cosa è dipeso secondo te?”
“L’altra
mattina, quando ho accompagnato i ragazzi a scuola, ho avuto la percezione che
qualcuno mi spiasse”
“Un
paparazzo? Ce ne sono tanti in giro” Azzardò alzando le spalle.
“No,
non erano fotografi in cerca di uno scoop. Potevo sentire il suo sguardo
attraversarmi la pelle, come se fosse di ghiaccio. Volevo solo andarmene via.”
Marinette
dopo quella confessione, iniziò a preoccuparsi anche lei, aveva promesso ad
Adrien che una volta ritornati a Parigi, avrebbero approfondito il discorso,
ora non era il caso di parlarne.
*
Continuò
a rigirarsi tra le dita quella spilla a forma di farfalla, come se fosse la
sigaretta che teneva nell’altra mano.
Non
aveva fretta di usarla, anzi a dire il vero, non conosceva nemmeno quale fosse
il suo reale potere.
Sapeva
che Papillon, ovvero Gabriel Agreste, usava delle farfalle come principale
vettore di quel veleno che annebbiava la mente umana, e gli costringeva ad
agire per conto suo.
Anche
lei era una vittima, ma una vittima che voleva esserlo.
In
tutti quegli anni, aveva sempre pensato a come impossessarsi di quel gioiello
magico, di spiare ogni mossa di Gabriel Agreste, per capire dove fosse
nascosta.
Strano
che non l’avesse consegnata al guardiano dei Miraculous, la cui identità era un
mistero per lei, anche perché non era interessata a sapere chi fosse o se si
trovava a Parigi, o in qualche altro posto isolato o abitato; o che
quest’ultimo gli abbia permesso di tenerla.
Troppe
domande, troppi dubbi.
Ma
che al momento non aveva intenzione di sbrogliare.
Aveva
altro a cui pensare e tante cose da fare.
Appuntò
la spilla al petto, da cui ne uscì un animaletto con le ali viola.
Espirò
una boccata di fumo, che finì addosso al malcapitato kwami.
Tossì
convulsivamente, e quando la nuvola grigiastra si diradò, il volto della
persona che gli stava davanti, si palesò e divenne più nitido.
Non
era il suo solito padrone.
“Ciao,
io sono la tua nuova portatrice.”
“B-buongiorno”
La salutò balbettando, capì subito che la donna che gli stava davanti,
possedeva un’aura malvagia e crudele, lo poteva capire dai suoi occhi, oltre
che sentirla, perché lui sentiva le emozioni negative, le persone più
vulnerabili al suo potere.
Nooro
non era affatto un kwami cattivo, ma attraeva molte persone che possedevano
quella indole.
“Tu
mi darai un grande potere” Disse in un ghigno sadico, facendolo rabbrividire e
spaventare ancora di più di quanto non lo fosse.
“Non
si possono usare i poteri per scopi personali e nemmeno per vendetta”.
“Ma
Gabriel Agreste lo faceva”
“Gabriel
Agreste ne ha pagato le conseguenze”
“Balle”
Battè i pugni sulla tavola di legno facendolo sobbalzare “…è ancora in libertà,
doveva marcire in galera, solo per aver akumizzato mezza Parigi.” Si alzò dalla
sedia facendola stridere “…e per essersi preso gioco di me” Aggiunse
digrignando i denti dalla rabbia.
*
In
redazione il telefono continuava a trillare insistentemente.
Una
mano mulatta con unghie lunghe laccate di rosso, alzò la cornetta.
“Alya
Cesaire” Rispose irritata, stava lavorando al prossimo servizio, un importante
servizio, e aveva detto alla sua assistente di non disturbarla per nessun
motivo.
“So
chi è il famigerato Papillon”.
*
continua