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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Con i bambini capirsi è semplice. Quando ti prendono per mano, hanno già scelto di fidarsi di te.
(valvirdis, Twitter)
 
 
 

CAPITOLO 3.

 

L’UMANA TRA LE FATE

 
Eliza stava attraversando il villaggio degli umani di Eltaria. Aveva sbrigato alcune commissioni, la mattina presto, e non vedeva l’ora di rientrare a casa per riposare.
“Ciao, Molly!” Si era rivolta a una fata che passava di lì con le buste della spesa. Il villaggio, infatti, era abitato da pochissimi umani e per lo più da creature magiche. “Che tempo, eh?”
“Già, questa pioggia non ci voleva” rispose l’altra, affannata. “Oggi è il compleanno di mio figlio. Dovrà festeggiare dentro con i suoi amichetti, purtroppo.”
“Sono sicura che si divertirà comunque.”
Anche se le sarebbe piaciuto fermarsi a chiacchierare, vista la pioggia Eliza affrettò il passo. Si fermò sotto un pioppo, riparata almeno in parte dall'acqua. Per fortuna il vento si era calmato. Doveva ammetterlo: per quanto il cuore le battesse più forte, mentre un sorriso luminoso le riempiva il viso per aver adottato e cresciuto due figlie stupende, ora che erano grandi e che una era fidanzata e l'altra sposata, lei provava un senso di vuoto che le faceva contorcere lo stomaco. Che fosse perché ormai da tempo più nessun bambino girava per casa? Aveva preso con sé le due sorelle alle età di otto e sei anni. Pur non essendo piccolissime a lei erano parse tali: avevano avuto bisogno di tantissime attenzioni, soprattutto dopo quanto era accaduto loro. Negli anni seguenti non aveva sentito la necessità di adottare un altro bambino dall’orfanotrofio del villaggio di Primedia in cui stava prima, anche perché due figlie erano già impegnative. Ma ora che era sulla quarantina, la tristezza era piombata su di lei come una pesante mano dalla cui presa non riusciva a sottrarsi. Guardava i bambini – fate, folletti e altre creature – di Eltaria, sospirava, abbassava gli occhi e si diceva che avrebbe voluto abbracciarli tutti.
"Potrei adottarne uno adesso" mormorò.
No, non era il caso. Ormai iniziava a non avere più le energie per occuparsene, anche se era ancora giovane. E allora come avrebbe potuto riempire quel vuoto e chiuso la profonda voragine che le si era creata nel cuore? Sembrava che le dolesse sul serio, mise un dito nel punto in cui sentiva più male e, per un momento, faticò a respirare. Fece un passo in avanti e, nonostante la pioggia battente, un suono che, sulle prime, non fu capace di identificare catturò la sua attenzione. Tendendo l’orecchio, si rese conto che non era quello di un animale. Assomigliava al pianto di un bambino. Forse era una pixie, come la piccola Lucy che sua figlia minore aveva trovato e salvato qualche anno prima a Primedia, tenendola con lei finché i suoi genitori erano tornati a prenderla. Era disperato.
È straziante ascoltarlo senza fare niente.
Trasse un profondo respiro e prese a correre. Doveva almeno capire che stava succedendo. La pioggia le rallentava i movimenti. Muoversi nel bosco non era facile, ma non le importava, continuò nonostante le mancasse il fiato e le bruciassero i polmoni, mentre i vestiti le si inzuppavano sempre più. L’acqua le era entrata anche nelle scarpe e lei tremava, era bagnata e le sfuggì un lamento. Corse per qualche centinaio di metri, ma meno di quello che parve al suo fisico. Il bosco non era un bel luogo dove stare durante un temporale. Se quel bambino aveva bisogno di aiuto, doveva trovarlo subito. Un gran lampo illuminò il cielo e un potentissimo tuono lo squarciò. Eliza cacciò un urlo, temendo che venisse giù un fulmine e il pianto, che si era fermato per qualche secondo, ricominciò più forte di prima. Lo seguì e quando ci arrivò vicino si bloccò. Lì c’era un bambino. Non poteva ancora identificarne il sesso, data la pioggia fitta che le annebbiava la vista, ma era sdraiato su un mucchio di foglie, tremante e fradicio. Anche se il cuore le diceva di correre da lui, la mente le suggerì di muoversi piano per non spaventarlo. Una volta raggiunto gli si chinò accanto. Non poteva vederle il viso perché immerso nelle foglie, ma dai capelli lunghi dedusse che fosse una bambina. Indossava un paio di sandali e un pigiamino corto, un abbigliamento non consono viste le intemperie.
“Su piccola, non piangere” mormorò la donna.
Sentendo una presenza accanto a sé, la bambina smise subito, sollevò il volto e guardò Eliza con i suoi occhietti neri.
"Ciao" la salutò l’altra e le sorrise. "Che cosa ci fai qui da sola?"
Valutò se ci fosse stato qualcuno, un familiare nelle vicinanze, ma non notò nessuno. Del resto, chi l’avrebbe lasciata lì se fosse stato presente? Le due si osservarono per un lungo momento, confuse. La signora si chiedeva come mai una bambina, per di più così piccola, si trovasse lì con quel tempaccio, anche se aveva già cominciato a formulare qualche ipotesi, e Hope per un attimo credette che fosse tornata sua mamma, invece lì c’era una persona che non conosceva.
Eliza si sarebbe aspettata che non essendo piccolissima avrebbe avuto paura di lei, invece le sorrideva come se si fidasse già. Di sicuro era un’umana, dato che sulla sua schiena non c’erano le alucce che spuntavano alle pixie fin da neonate. Aveva la pelle scura, che la donna non aveva mai visto in nessun umano fino a quel momento, e doveva avere circa due anni. Oltre ad assomigliare a un pulcino bagnato, aveva assoluto bisogno di un cambio di pannolino.
"Dov’è mamma?"
La delusione sul volto della bambina era evidente, si aspettava di trovare lì la madre e non una sconosciuta.
"Non lo so, tesoro, ma se vieni con me la cerchiamo."
Da tanto tempo Eliza non incontrava un suo simile così piccolo e in quella sconosciuta c'era qualcosa che attirava Hope, anche se la piccina non sapeva di che si trattasse. Aveva più o meno compreso il discorso della signora, quindi si alzò a fatica e lasciò che questa le prendesse la mano.
La donna estrasse un fazzoletto di seta dalla tasca e le pulì il viso sporco di terra.
"Ecco, ora sei ancora più bella. Oh mio Dio!” Le due cicatrici profonde sul volto della bambina la scossero. Si girò dall’altra parte e lasciò che qualche lacrima sfuggisse dai suoi occhi marroni mentre una metaforica lama le trafiggeva il petto, poi si concentrò sulla piccola. Doveva portarla al sicuro. “Adesso andiamo a casa mia, ci cambiamo, ci asciughiamo e mangiamo qualcosa" continuò, sentendo che la pancia della bambina brontolava.
Vista l’età non poteva aver camminato moltissimo, aveva un visetto tondo, era magra ma a occhio e croce il peso era giusto per la sua età, il che era un buon segno. Tuttavia, doveva essere rimasta lì un bel pezzo. Come mai era finita in quel posto? O qualcuno ce l’aveva portata? Eliza fece il più in fretta possibile. Aveva l'ombrello e le proteggeva entrambe, ma la bambina era bagnata fin dentro le ossa, tremava, batteva i dentini e doveva essere riscaldata e asciugata al più presto. C'era il rischio che prendesse un raffreddore, la febbre o, peggio, la polmonite soprattutto perché, anche se era primavera, il vento dall'inizio di quel temporale si era fatto freddo. Stava per arrivare a casa quando la bambina si sdraiò a pancia in giù come prima. Doveva essere esausta.
"Vieni qui" sussurrò.
Chiuse l'ombrello, se lo mise sottobraccio e poi la sollevò.
Questa le accarezzò il viso e si disse che giocare con i suoi capelli, come faceva con la mamma quando era più piccola, poteva essere un'occupazione più interessante. Li muoveva, li tirava e rideva tantissimo. Aveva una risata argentina che scaldava il cuore.
Eliza sorrise e non si lamentò per il lieve dolore.
Come si poteva non adorare una creatura così dolce?
 
 
 
Kaleia, che stava rientrando a casa in quel momento, fermò la madre.
"Mamma, ma cosa…"
"Avevi ragione, cara. È arrivato qualcuno."
"Io" disse la piccola, come se avesse capito che stavano parlando di lei.
Lì davanti aveva una ragazza con delle cose strane sulla schiena. Non ricordava come si chiamavano, ma servivano per volare. Eppure, la mamma le aveva sempre detto che nessuno può farlo, a parte gli uccelli e qualche altro animale. Forse si sbagliava.
La ragazza spalancò gli occhi, azzurri come quelli della sorella, per lo stupore.
"È ciò che sto pensando che sia?"
"Sì, è una bambina umana" rispose l'altra. “E a quanto pare capisce benissimo ciò che diciamo, il che è normale alla sua età, solo che in parte non mi aspettavo che comprendesse che quel qualcuno è lei. Comunque pare proprio parli la nostra lingua.”
"Sembra un amore."
"Lo è. Ma entriamo a casa mia. Ha freddo e dobbiamo occuparcene."
Una volta dentro, le due furono accolte da Sky che commentò:
"E quello che cavolo è?"
"Sii gentile" la rimbrottò la mamma. "È un'umana, avrà circa due anni."
Eliza mise giù la bimba per posare l'ombrello, togliersi il cappotto e correre a cambiarsi. Hope stava già meglio e, dopo aver osservato per qualche momento il piccolo salotto, si diresse proprio verso Sky che, seduta sul divano, leggeva un libro. Mise la manina sopra la pagina e poi le tirò la manica del vestito.
"Ehi!" protestò la ragazza.
"Sky, su. È piccola" la difese Kaleia.
"Ciò non significa che le possa essere concesso tutto. E cosa vuole, scusa?"
"Essere presa in braccio."
"No, è fuori discussione. Non sono brava con i piccoli, le farei male. Non sarebbe meglio cambiarla subito? È tutta bagnata."
"Hai ragione."
Kaleia portò la bimba nel bagno vicino alla cucina, le tolse i vestiti, la asciugò e la avvolse in una coperta. Aveva le manine e i piedini freddissimi. Ma la piccola si lamentò.
“Lo so, lo so. Troverò dei pannolini e ti cambieremo, okay? Sarai asciutta e profumata in men che non si dica e ti sentirai benissimo. Adesso starai meglio, tesoro, te lo prometto. Tra poco rimedio dei vestiti nuovi.” Tornò in salotto e si rivolse alla sorella. “Comunque dai, Sky, avanti. È una bambina e sono sicura che sarai bravissima."
"Oh, e va bene."
Messo il libro da parte, Sky aspettò mentre Kaleia le posava Hope sulle gambe. Se la sistemò meglio, forse in modo troppo brusco perché questa piagnucolò.
"Ecco, le ho fatto male" sbottò.
"Ma no, sta già sorridendo."
"Ehm, ciao" tentò Sky, non sapendo cosa fare.
"Ciao tata."
"Non mi chiamo…" Stava per rispondere con il suo solito modo un po' burbero, ma Kaleia la incenerì con lo sguardo. "Intendevo, sono Sky. Sai dirlo?"
"Sky."
La fata non l'avrebbe mai ammesso, ma sentì il suo cuore scaldarsi. Una bambina aveva pronunciato il suo nome, non era accaduto nulla di eclatante. Eppure, per lei il fatto che ci fosse riuscita chissà perché valeva moltissimo.
"Brava!" si complimentò, con la voce rotta per l'emozione.
"Io mi chiamo Kaleia, ma il mio nome è difficile."
"K-Kia."
"Bravissima, va bene così."
"Haha, è riuscita a dire il mio" la canzonò la sorella.
"Solo perché è più facile. Hope, guarda cos'ho qui."
Le mostrò il ciondolo che portava al collo.
"Oh!"
"Hai visto che bello? Sai dire che forma ha?"
“Foglia.”
“Sì, bravissima.”
La piccola lo scosse.
"Immagino che adesso dovrò farla divertire io" considerò Sky.
Mosse una mano, poi schioccò le dita e fece uscire uno spruzzo di magia. Hope lanciò gridolini di gioia e rise un sacco. Quando vide Eliza, però, si lanciò in avanti per essere presa in braccio da lei e se non ci fosse stata Sky a tenerla sarebbe di certo caduta.
"Aspetta, fammi capire. Avevamo ragione, Kia? E questo significa che ce ne sono altri?”
“Umani che non sono di qui, dici? Se la sua famiglia è viva, cosa che mi auguro, sì.”
“Quindi avremo in casa un essere che piangerà, a cui dovremo dare il latte, cambiare i pannolini, cantare le ninnenanne e tutte quelle stupidaggini?"
"Almeno fino a quando non troveremo i suoi genitori, sì!" La minore saltellò sul posto. “E comunque non è così piccola, se ha due anni o giù di lì mangia anche il nostro cibo e non dovrà essere cambiata troppo spesso.”
Sky sbuffò.
"Avrei cercato io i suoi genitori, ma pioveva troppo" riprese Eliza. "Ho ritenuto più importante riscaldarla; e comunque, non sappiamo se dovremmo trovarli o meno."
Le due figlie le lanciarono uno sguardo interrogativo.
"Potrebbe essere stata abbandonata.”
Quella frase aleggiò nella stanza seguita da un pesante silenzio. Le tre rimasero immobili per eterni istanti.
“Chi lascia una bambina sola nel bosco?” riprese la donna più anziana. “Di quest'età, poi. Lucy si era persa, ma lei è così piccola. Quanta strada può aver fatto da sola?"
Sky rimase a bocca aperta per qualche secondo.
"Mamma, sei seria? Credi davvero che qualcuno sia stato capace di una cosa tanto schifosa?"
Lei e Kaleia non ci credevano. Era semplicemente troppo. Il solo pensiero provocava loro emozioni contrastanti, ma più di ogni altra cosa avrebbero voluto urlare e spaccare tutto.
"Ragazze, gli uomini sono capaci di questo e altro.”
Sospirò e indicò il volto della piccola.
Sky fece un verso indefinito, più osservava i segni e più si sentiva in pena per quella povera creatura. Si avvicinò a Eliza e accarezzò il viso della bambina.
"Qualsiasi cosa ti sia successa, sei al sicuro adesso" mormorò con dolcezza, lasciando stupite madre e sorella. "Sono cicatrici vecchie."
Il che non cambiava niente, era solo una constatazione.
"Chi ti ha fatto questo?" le chiese Kaleia, che non poteva credere ai suoi occhi. "Mamma?"
Non avrebbero potuto fidarsi del tutto della parola di una bambina della sua età, ma era sempre meglio tentare.
Lei fece un cenno di diniego.
"Papà?" domandò Sky.
"No."
Quella risposta diede un minimo di sollievo alle tre.
"Chi?" provò Eliza.
"Uomo cattivo."
E questo cosa significava?
"Va bene, ora occupiamoci di lei. Penseremo dopo al resto" decretò la donna.
Misero i vestiti bagnati nel cesto dei panni da lavare, dato che la pioggia ma soprattutto la terra e l'erba li avevano macchiati. La fata più giovane corse in un negozio e tornò dopo pochi minuti con alcuni cambi d’abito, pannolini, biscotti e un biberon.
"Hai fatto bene a prendere anche quelli, cara" ragionò Eliza indicando le ultime due cose. "I bambini della sua età iniziano a mangiare come i grandi, ma almeno una volta al giorno è bene dar loro del latte. Anche se dopo l’anno il biberon andrebbe utilizzato sempre meno, sostituendolo con una tazza con il beccuccio.”
“Mi sono dimenticata il ciuccio” gridò la fata dandosi una manata sulla fronte. “Potrebbe averne bisogno.”
“A quest’età? Non è grande?”
“No, Sky, ci sono bambini umani che lo usano, non tutto il giorno, fino ai tre anni. Non so come l’abbiano abituata i suoi, ma non uscire, Kaleia. Se piangerà, per stanotte la calmeremo e domani ce ne procureremo uno, sperando che il tempo sia migliore.”
"Se dovete cambiarla, per favore non fatelo sul divano" borbottò Sky.
"E dove altro vuoi che ci mettiamo, scusa? Non abbiamo un fasciatoio, sorellina, e non è il caso di farlo su un letto, a meno che non mettiamo un asciugamano sul materasso."
L'altra sbuffò e si alzò, poi uscì dicendo che non voleva vedere.
Eliza misurò la temperatura alla bambina per sincerarsi che non avesse la febbre. Era così, per fortuna, e respirava bene. Con l'aiuto della figlia minore le fece un bagnetto caldo. Quando entrò a contatto con l’acqua la piccola sorrise e si rilassò.
Kaleia, intanto, le lavava la schiena.
“Ti piace l’acqua, vero?”
“Tutti i bambini la adorano” rispose Eliza.
Come per dimostrare che era vero, Hope sollevò una mano e la fece ricadere schizzando entrambe.
“Ma… Piccola monella!” esclamò la fata, mentre asciugava le gocce sulla sua maglia.
Hope rise ed Eliza commentò:
“Visto? Ora abbiamo la conferma che le piace.”
La parte che apprezzò di meno fu il lavaggio dei capelli e delle orecchie, ma dopo qualche pianto si calmò.
Una volta finito il bagnetto, la rivestirono.
“Non dovrebbe parlare di più a quest’età?”
“Sì, Kia, ma ci sono bambini che non sanno farlo un granché e bisogna stimolarli. Qualcosa mi dice che lei ne sia capace, ma trovandosi qui con persone che non conosce non si sente ancora a suo agio.”
“Comprensibile.”
"Come ti chiami?"
Kaleia si era resa conto che non gliel’avevano ancora domandato.
"Hope" Rispose questa.
"Oh, è un bellissimo nome."
"Mi piace" asserì Sky rientrando.
"Non dovevi stare fuori?"
"Piove troppo, mamma. Posso aiutare in qualche modo?"
"Scalda del latte in un pentolino e mettilo nel biberon. Proviamo a darle quello, intanto, e vediamo come reagisce. Poi sbriciola i biscotti e quando hai chiuso il tappo scuoti più volte."
Hope era così stanca che si lasciò cambiare senza fare i capricci. Adesso indossava una tutina rosa di cotone con il disegno di una betulla sul davanti. Rifiutò la tettarella spingendola fuori con la lingua, quindi la padrona di casa chiese a Kaleia di versare il latte e i biscotti ormai sciolti in una tazza con il beccuccio che aveva in credenza. Dato che era di ceramica, e non volendo che la bambina si sporcasse o la facesse cadere, preferì tenergliela e sollevarla per aiutarla a bere. Le prossime volte avrebbe inzuppato altri biscotti nel latte, non come quelli per bambini che si scioglievano, in modo che la piccina potesse mangiarli con un cucchiaio e non bere soltanto. Hope divorò tutto con gusto, a proprio agio tra le braccia di Eliza.
Anche Christopher e Noah, che arrivarono poco dopo, furono sorpresi di vedere lì quella bambina. "Ciao, Hope. Benvenuta a Eltaria" la salutò Christopher.
La bimba si ritrovò davanti un ragazzo biondo con gli occhi verdi, simili a quelli del papà e ciò le trasmise sicurezza.
“Ciao” rispose, decisa.
"Posso farle una tisana, se ha bisogno di qualcosa di caldo."
"Magari dopo, Chris. Ha appena mangiato, ma grazie lo stesso" gli rispose la moglie.
Noah guardò la fidanzata.
"È bellissima."
"Che c'è?" gli domandò lei, stizzita.
"Niente, calmati. Pensavo solo che…"
"Scordatelo."
Che gli saltava in mente? Vedeva una bambina e gli veniva improvvisamente voglia di averne uno?
"Uhm, okay."
Lui non riprese quell’argomento. Non era facile per la fata e per varie ragioni.
Hope diede un’occhiata all’altro ragazzo. Lui invece assomigliava al papà per il colore dei capelli, castani come quelli di Andrew e aveva grandi occhi marroni. Volle scendere dalle gambe di Eliza e corse verso la porta. Dopo aver messo le mani sul legno batté i piccoli pugni e chiamò "Mamma" sempre più forte, piangendo e muovendo tutto il corpo. Ebbero dunque la prova: non l'avrebbe mai fatto se fosse stata lei a ferirla in quel modo.
"Ragazzi, dobbiamo cercare i suoi genitori" disse Eliza. "Sarebbe bello tenerla con noi, e se non li troveremo io la crescerò volentieri. Non ho più le energie di una volta, ma dato che nessuna legge ci vieta di occuparcene, di sicuro non la abbandonerò in quell’orfanotrofio. Tuttavia, dobbiamo provare a rintracciarli. È giusto così, e poi vedete come chiama la mamma."
La voce le tremò più di una volta; si stava già affezionando a quella bambina e l'idea di separarsene le spezzava il cuore. Ma se aveva una famiglia che la stava cercando e che soffriva per la sua perdita, era giusto che tornasse dai genitori.
Intanto, Kaleia era corsa a coccolarla.
"Shhh, va tutto bene amore. Ora starai qui con Eliza e noi andremo a cercare la tua mamma, d'accordo? Calmati."
Hope tornò infine tra le braccia di Eliza che la distrasse giocando. Si girò da una parte e poi, una volta nella posizione di prima, esclamò "Cucù!" facendola ridere.
Sky, Kaleia, Noah e Christopher decisero di andare insieme a ritrovare la sua famiglia. Con quel tempaccio era meglio essere in tanti. In fondo non sapevano dove cercare, i suoi genitori avrebbero potuto essere ovunque. Hope riuscì a dire il nome della sua mamma, Demi, ma non quello del papà. Continuò a ripetere "Mac Mac", così i quattro dedussero che forse aveva una sorella. Uscirono di casa con quelle pochissime informazioni, non essendo affatto sicuri di tornare vittoriosi dalla loro impresa. Senza contare che, se li avessero trovati, gli umani sarebbero stati spaventati. Se erano arrivati lì da chissà dove non conoscevano Eltaria, i quattro avrebbero dovuto spiegare tutto e non era nemmeno detto che avrebbero creduto loro. Molte incertezze accompagnavano quella sorta di missione, ma Hope, per fortuna, stava bene ed era salva.
 
 
 
NOTA:
le informazioni sull’uso del biberon, della tazza e, come scriverò in seguito, del bicchiere sono prese sia dal sito www.nostrofiglio.it che da quanto mi ha raccontato mia mamma. Mio fratello ha utilizzato il biberon fino a un anno e mezzo (io meno a causa di alcuni problemi), quindi ho pensato che per Hope potesse valere lo stesso. Poi ha cominciato gradualmente con la tazza, mentre a bere dal bicchiere già diversi mesi prima anche se aiutata.
   
 
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