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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 5.

 

LA BIMBA E L’ALTRO POPOLO

 
Sky e Kaleia cercavano i genitori di Hope da ore, volando e camminando. Noah e Christopher le seguivano. Non si erano mai fermati da quella mattina se non per mangiare frutti e funghi.
"Ragazze, capisco che ci teniate a questa cosa e anche noi," sottolineò Noah, "ma si sta facendo tardi e, anche se conosciamo bene il bosco, non è sicuro rimanere ancora per molto."
"Perché siamo donne e quindi più deboli, è questo che vuoi dire?" ribatté Sky.
"No! Non mi permetterei mai, senza contare che voi donne siete migliori di noi sotto tanti aspetti. Sai benissimo che non sono quel tipo di persona” replicò lui, offeso.
“Scusa, amore, hai ragione. Non avrei dovuto, mi perdoni?”
La voce della fata si era addolcita a mano a mano.
“Sì, tesoro mio.” Si sorrisero e lui riprese: “Intendevo che di notte girano creature strane o pericolose come i lupi, per esempio, e non vorrei mai venissimo attaccati."
"Ha ragione" intervenne Christopher. "Torniamo a casa. Li cercheremo domattina."
"No."
Le sorelle parlarono insieme, proprio come facevano a volte da piccole.
"Abbiamo vissuto giorno e notte nel bosco di Primedia per non so quanto tempo quando avevamo solo otto e sei anni" ricominciò Kaleia. "Non ci spaventa.” Non era vero, allora avevano tremato più di una volta sentendo scricchiolii e versi poco rassicuranti, ma doveva dimostrarsi forte. “Se proprio volete rientrare, lo faremo. Prima, però, ci fermeremo nella piazza del villaggio a chiedere se qualcuno ha visto qualcosa."
Quell’affermazione non ammetteva obiezioni. Bussando a qualche casa nel bosco erano riusciti a scoprire che la gente aveva apewrto a tre creature che avevano descritto, ma delle quali non conosceva la razza. Le fate che avevano parlato loro non ricordavano bene come fossero, ma avevano descritto Demi e Andrew, in particolare i loro occhi e i capelli, e le cicatrici sul volto della bimba.
Una volta tornati al villaggio lo percorsero fino al centro, dove si trovava la piazza. Lì c'erano le solite due bancarelle. La prima, gestita da un leprecauno, vendeva dolci e la seconda, sotto la gestione di un elfo, giocattoli. Alcune fate e dei folletti stavano parlottando tra loro mentre passeggiavano o seduti sui muretti. Qualche famiglia con bambini si trovava intorno alle bancarelle.
"Che posso servirvi, ragazzi?" chiese loro il leprecauno quando si avvicinarono.
"Niente, grazie" rispose Kaleia. "Stiamo cercando i genitori di una bambina che mia madre ha trovato stamattina nel bosco. Ha la pelle scura. I suoi dovrebbero avere un'altra figlia e i capelli castani, mentre lei ha gli occhi marroni e lui verdi. La donna si chiama Demi. La figlia ha delle cicatrici sul viso."
Lo disse forte in modo che anche gli altri sentissero e molti si girarono verso di lei.
"Ma che creature sono?" chiese il venditore.
"Umani."
"Beh, non ce ne sono molti qui, a parte la famiglia di Christopher" osservò una fata con i capelli rossi raccolti in una treccia.
"Se qualcuno ha visto qualcosa, qualsiasi cosa, per favore ce lo dica" continuò Sky. "Hope piange e vuole la sua mamma."
"Ma chi lascerebbe la figlia sola nel bosco?" Un folletto anziano che passeggiava lì intorno con il suo bastone ad aiutarlo si inserì nella conversazione. “E così piccola, poi.”
Dalla folla si levò un mormorio insistente, ma i quattro non riuscirono a capire nulla.
"Insomma, pensateci" Continuò lui. "Sarà stata abbandonata. Solo una persona senza cuore lo farebbe. O una poveraccia, ma anche in questo caso non sarebbe un gesto giustificabile. Non potete tenere i bambini? D'accordo. O chiedete aiuto, o li portate all'orfanotrofio di Eltaria, dove verranno accuditi e, si spera, adottati."
Si spera. Quelle parole fecero raggelare il sangue a tutti e quattro, ma le più toccate furono Sky e Kaleia, perché si erano sentite abbandonate nel bosco di Primedia molti anni prima e non ricordavano nulla di quanto successo in precedenza. Un nodo serrò loro la gola e non riuscirono a scioglierlo in nessun modo, né facendo respiri profondi, né deglutendo. Intanto, tutti applaudivano. In particolare le donne alcune delle quali, Kaleia lo sapeva, avevano adottato bambini proprio da quell'orfanotrofio.
"Forse si è persa, non ci avete pensato?" chiese in difesa di quella coppia.
Si rifiutava di credere all'abbandono e alle violenze, perché erano azioni troppo terribili.
"Sì, può essere" concesse l'anziano che, però, non pareva convinto. "Ma ha la pelle nera?"
"Sì, e allora?" si intromise Christopher.
"I pochi umani che vivono qui sono bianchi e non hanno mai parlato di gente della loro razza di un diverso colore. Magari è così perché è pericolosa. Rifletteteci, il nero può essere simbolo di oscurità e male. Chi ci dice che non metterà in pericolo la nostra comunità? Dobbiamo difendere Eltaria!"
Alcuni gridavano che era solo una bambina e che non poteva essere cattiva, che i bambini sono creature innocenti, altri invece difendevano la tesi del folletto. C'era chi batteva le mani, o asseriva:
"Dobbiamo combattere il male."
Dire che Kaleia, Sky e i due ragazzi erano allibiti e senza parole era poco. Quelle persone non avevano nemmeno visto Hope e già se la prendevano con lei. I quattro non sapevano come muoversi. Sarebbe stato meglio andare a casa, tenere alta la guardia e rimanere lì finché le acque non si fossero calmate, per precauzione. C'era chi parlava di andare a prendere la bambina e portarla dalle fate anziane. Qualcuno mandò in frantumi qualcosa, non riuscirono a capire di che si trattasse, e la gente lì intorno si muoveva frenetica, tanto da far girare la testa.
Kaleia tremava più delle foglie al vento d'autunno e si mise una mano sulla pancia e abbracciò il suo sposo. Sky rimase immobile.
“Prima hai pietà di quella creatura innocente e ora ti metti contro di lei?” chiese in tono accusatorio. “Sei davvero una brava persona, complimenti! Prendersela così con una bambina.”
“Come ti permetti di rispondermi in questo modo, insignificante fata del vento?” la apostrofò l’altro.
Non sono insignificante, folletto dell’acqua. Sto solo dicendo che ti contraddici con facilità, non ti pare? Da quando il colore della pelle stabilisce se una persona è buona o cattiva? E come fa una bambina a essere malvagia?”
"Tutto questo deve finire" sibilò Noah. "Facciamo qualcosa, Chris. Ora" mimò con le labbra.
L'altro, che si era momentaneamente bloccato a causa di quella reazione tanto violenta, si riscosse.
"Smettetela subito!" urlarono insieme i due amici e batterono i piedi per terra più forte che poterono.
“Non ci stiamo riferendo a te, Sky” sussurrò Noah.
"Basta, ora basta!" Christopher diede un calcio a un sasso. "Queste sono tutte assurdità. Come può una bambina, e ripeto una bambina, essere l'incarnazione del male se è proprio ai bambini che viene insegnata la nostra cultura? Nei loro libri, nelle favole, negli insegnamenti dei genitori, persino nei loro giochi e nella fantasia, la cosa più bella che i bimbi possiedono, possono imparare qualcosa su questo mondo. Non sono miscredenti."
Da quando aveva iniziato quel discorso, urlando, era calato un silenzio totale.
solo una bambina" aggiunse Sky. "Stamattina era terrorizzata, così come lo sarebbero tutti i vostri figli se si trovassero nella stessa situazione. Mia madre ne ha avuto compassione e l'ha portata a casa. Stiamo cercando i suoi genitori e, se non li troveremo, la terremo con noi. Voi ci avete accettati qui. Avete accettato il matrimonio tra Christopher e Kaleia. Perché non dovreste farlo con una creatura innocente?"
Il folletto anziano se ne andò senza dire una parola e abbassò lo sguardo come per vergogna. Tuttavia, non sembrava del tutto convinto. Gli altri, dopo interminabili istanti di silenzio, ritornarono pian piano a ragionare con la loro testa e a credere che fossero quei quattro a essere nel giusto. A seguito dei discorsi di Christopher e Sky, avevano capito che le parole del folletto erano prive di senso. In fondo, quella era solo una bimba come i loro.
"Perdonateci."
A uno a uno si scusarono con Kaleia e gli altri, dicendo che non sapevano cos'era preso loro.
"Ci piacerebbe vederla" asserì una fata. "Non le faremo niente di male, sul serio. Parola di fata."
"Parola di gnomo" dissero tutti gli gnomi.
“Parola di elfo.”
Via via lo fece ogni altra razza lì presente, ovvero folletti e leprecauni.
I bambini continuavano a scorrazzare intorno alla piazza. Qualcuno si era fermato durante il discorso del folletto, ma nessuno di loro sembrava essersi spaventato a causa delle grida, ritenendole probabilmente manifestazioni di gioia.
"Avete visto la sua famiglia?" chiese Sky agli adulti.
"No" risposero tutti, e molti asserirono che lì nel villaggio non avevano scorto nessun umano differente dai pochi presenti.
A quanto pareva si trovavano in altre zone del bosco. Ma dove? I cuori delle coppie battevano all'impazzata, ma non riuscivano a parlare del caos che si era appena scatenato. Decisero di mangiare qualcosa alle bancarelle e di fermarsi per due chiacchiere con gli altri, sempre che fossero riusciti a mantenere una conversazione decente dopo quanto accaduto, per poi tornare a casa.
 
 
 
Da tanto Eliza non stringeva un bambino fra le braccia mentre dormiva. Credeva non sarebbe più riuscita a provare quel senso di calore e protezione se non con i suoi nipoti, e invece adesso eccola lì, sul divano, con in braccio quella che per lei ora era la creatura più dolce del mondo. Hope aveva già riposato quel pomeriggio, si era svegliata e aveva fatto merenda. Eliza aveva cercato di tenerla sveglia, ma non c'era stato nulla da fare. La donna, senza faccende da sbrigare, l'aveva tenuta con sé. Doveva preparare da mangiare ed era il caso di svegliarla, altrimenti quella notte non avrebbe dormito. Stava riflettendo su tutto questo quando dei rumori in lontananza catturarono la sua attenzione. Forse un bicchiere rotto, o qualcosa di più grosso visto che era riuscita a udirlo. Il respiro accelerò, anche se non c'era nessuna apparente ragione. Più avanti, nella piazza, la gente correva e anche alcune urla riempivano l’aria. Non era normale. Lì i litigi accadevano di rado, e non così presto, quando c'erano bambini presenti.
"Che succede?" chiese ad alta voce e con una nota di panico.
Hope si svegliò e si guardò intorno.
Eliza aprì la finestra.
"Pelle nera? Pericolosa."
Furono queste le parole che udì appena in lontananza. Qualcuno stava urlando. Non formavano nemmeno una frase di senso compiuto, ma bastarono a farla scattare in piedi. Che qualcuno volesse fare del male a Hope? Non le piacevano quelle parole, in particolare pericolosa. Aveva la nausea e respirava con difficoltà.
“Dovrei proteggerla? Nasconderla? O mi sto solo facendo mille paranoie?”
Le pareva strano che la gente di Eltaria si agitasse tanto da voler nuocere a una bambina solo per un colore di pelle che non aveva mai visto. L’ignoto spaventa, ma così tanto? Sarebbe stata in guardia.
"Apri, Eliza" la pregò la voce gentile di Isla, una fata. "Io e Oberon dobbiamo parlarti un momento."
Dopo qualche attimo d’esitazione, la donna eseguì, ma socchiuse la porta rimanendo fuori.
"Ditemi che mi sto immaginando tutto, vi prego!"
Il suo sguardo saettava da una parte all'altra per captare qualsiasi segnale d'allarme. Era impallidita e si sforzò per respirare regolarmente, con scarsi risultati.
"No, cara" mormorò Oberon e le spiegò la situazione.
Isla si sistemò i capelli castani, scarmigliati a causa della corsa.
"Del male? Hope il simbolo del male?" strillò Eliza, perdendo ogni controllo. "Ma come si permettono di dire una cosa tanto orribile, eh? Hanno perso il senno, per caso?"
"Ti prego, cerca di stare tranquilla. Posso solo immaginare quanto sia difficile, ma provaci. Fallo per lei."
"Non sono nemmeno io la madre. Che dirò alla sua se la troveremo? Che in questo villaggio Hope è in pericolo anche se io l'ho soccorsa? Non mi perdonerà mai per averla portata qui, mai" prese a ripetere, mentre calde lacrime le correvano lungo il viso. "Che devo fare? Aiutatemi, vi prego."
Dopo aver terminato di parlare con i due, Eliza prese le cose che le avevano dato e le portò in casa. Erano ciascuna in uno scatolone. Li tenne entrambi, anche se erano pesantissimi. Se ne pentì subito perché la schiena e i polsi iniziarono a dolerle. Una volta dentro, i pacchi le caddero sul pavimento con un rumore secco. La bambina si era seduta sul tappeto a giocare. Isla e Oberon non erano riusciti a dire alla donna se la situazione fosse grave o meno, anche se propendevano per la seconda ipotesi. Non dandosi pace, per sicurezza Eliza si precipitò a chiudere le imposte e le finestre di salotto, bagno, cucina e delle quattro camere della casa e tirò ogni singola tenda. Conosceva l’abitazione a memoria, avrebbe potuto muoversi anche senza accendere le luci, ma lo fece perché, almeno per cucinare, ne avrebbe avuto bisogno.
Se c'è qualcuno che vuole farle del male, che non venga qui. O che prenda me al posto suo pregò.
Se avesse sentito delle grida vicino casa, si sarebbe nascosta con la piccola sotto il letto rimanendo lì fino al ritorno delle sue figlie. Isla e Oberon se n’erano andati quando in piazza c’era ancora confusione. L’umana temeva che quell’uomo sarebbe andato a casa sua per ferire la piccola, seguito magari da altra gente che aveva convinto. Forse stava ingigantendo il problema, oppure no. Che ne sapeva? A volte, una scintilla può scatenare un incendio.
“Cos’è?” chiese Hope.
Immaginando che intendesse chiedere “Cosa succede?”, Eliza rispose:
“Niente. Va tutto bene, Hope. Ti proteggo io.”
Trasse un profondo respiro per ricacciare indietro le lacrime. Non voleva agitarla.
Il tempo passò e ogni secondo sembrava eterno. C’era silenzio, il che avrebbe dovuto calmarla, ma non era così. La donna si sedette sul letto e le insegnò un gioco con le mani, ma Hope si stancò in fretta.
“Pappa” disse.
L’altra si sentì stringere il cuore. La bambina non capiva cosa stava accadendo e pensava ai suoi bisogni, come qualsiasi bimbo avrebbe fatto.
“Ascoltami. Ora io ti tengo in braccio e andiamo a preparare la cena, ma dobbiamo fare pianissimo e camminare in punta di piedi, d’accordo?”
“Piano.”
“Sì, piano come le fatine.”
Erano le sette di sera. Ancora presto, ma comunque ora di preparare qualcosa. Di nuovo, non sapeva se stesse esagerando ad avere o no quella reazione, per cui andava a istinto. Portò la bambina con sé e, mentre lei giocava con il peluche di un coniglietto bianco, accarezzandogli le orecchie lunghe e pelose e facendolo correre per terra, la donna preparò la tavola e cucinò della pastina. In seguito aprì il frigo e scaldò del brodo di verdure che aveva in una pentola, versò tutto nei piatti, mise il formaggio e l'omogenizzato per Hope e si sedette con lei sulle gambe. Uno degli scatoloni che Isla le aveva dato aveva un seggiolone, ma lei non aveva la più pallida idea di come montarlo. Nell'altro, invece, c'era un lettino, con cuscino e coperte annessi, anche quello ovviamente smontato.
"Apri la bocca." Le avvicinò la pappa. “Su!”
Pur avendo fame, la piccola non accennava a voler obbedire.
"Che cos'hai? Non hai voglia di mangiare?"
"Voio mamma. Dove?"
Quella frase detta nel modo sbagliato intenerì Eliza e le fece spuntare un sorriso.
“Kaleia e Sky la stanno cercando. Non so quando, ma tornerà."
Almeno spero.
Si augurò anche che, nel caso in cui non avessero trovato la sua famiglia, Hope non ne avrebbe risentito troppo, almeno da piccola. L'avrebbe allevata lei come una figlia e un giorno le avrebbe raccontato… che cosa? Non lo sapeva e per il momento non voleva nemmeno pensarci. Era tutto così confuso: lei da sola nel bosco in mezzo a quella bufera d'acqua, le sue cicatrici e le ore che passavano senza avere notizie.
Hope continuò a sorridere e a tenere la boccuccia chiusa, anche quando Eliza provò a far entrare il cucchiaio forzando un po'. Le avvicinò il bicchiere di plastica e la bambina lo prese con entrambe le manine e bevve da sola.
“Piano” le sussurrò la donna, facendole vedere che beveva a piccoli sorsi.
Mangerà solo con la sua mamma. Ma non può, morirà se non lo fa.
A pranzo era andato tutto bene, aveva nutrito la bambina senza problemi. Ora doveva mancarle di più la madre.
"Fai la brava, su. Senti che buona è questa pappa."
"No, no. Mamma!"
Eliza le lasciò il cucchiaio in modo che cercasse di mangiare da sé, ne prese uno di plastica e glielo passò pensando che le sarebbe risultato più facile usarlo, ma niente da fare. Lo sollevava, pieno di minestra, per poi rimetterlo giù. La cosa andò avanti così, tanto che Eliza dovette riscaldare il piatto. Il suo, nel frattempo, era sicuramente diventato freddo.
"Hope, per favore!"
Doveva avere pazienza, quella bambina ne aveva passate tante, ma quella piccolina la stava mettendo alla prova.
"No" rispose infatti.
"Dolce Dea, ora smettila. Chiaro?" urlò.
Si sforzava di restare calma, di non scaricare la sua agitazione sulla piccola, ma era difficile e ora aveva esagerato.
Hope prese il cucchiaio, lo sbatté forte nel piatto e un po’ di minestra schizzarò sul tavolo. Avrebbe colpito anche lei ed Eliza, se la donna non avesse spostato la sedia all’indietro. La piccola mise il broncio e poi scoppiò a piangere, stringendo le mani l'una con l'altra. Con uno scatto scese dalle gambe della donna, che non reagì abbastanza in fretta per stringerla di più a sé e corse verso la porta della casetta di legno. In quel momento un forte colpo di vento la aprì un poco e fu allora che Eliza si rese conto che forse, nella fretta e con la mente piena di pensieri, non l'aveva chiusa ma appoggiata, altrimenti non sarebbe successo. Fu subito dietro a Hope che, però, era uscita qualche secondo prima di lei e continuava a correre per la strada lastricata del villaggio.
Oh no. E se qualcuno le facesse del male? È tutta colpa mia.
Non sarebbe stato così difficile prenderla se la piccola non avesse continuato a nascondersi dietro a ogni casa, sicché lei girava attorno a ciascuna per rendersi conto che Hope era passata alla successiva.
"Piccola?" la chiamava in continuazione.
Non urlava e non diceva il suo nome, si fermava ogni volta che le veniva alle labbra. Aveva paura che qualcuno la riconoscesse e le facesse del male. Le lacrime le offuscavano la vista e, facendo attenzione a non sbattere contro qualcosa, continuava a camminare. Saltò un muretto che, assieme a un altro, formava uno stretto passaggio nel quale solo i bambini come Hope riuscivano a entrare. La piccola continuava a correre e a ridere battendo le manine e lanciando gridolini di gioia. Giocava, non si rendeva conto di quello che stava succedendo. Ma Eliza sì, eccome. Cercava di salvarla. Magari non c'era nessun pericolo, ma quelle strane parole le erano entrate nel cuore e nella mente e ora pungevano come spine che non riusciva a togliere nonostante mille sforzi, forse perché non aveva mai udito nessuno parlare così di un bambino prima d’allora, né si sarebbe aspettata una reazione del genere da parte della gente. Non c'era nessuno lì in giro, molti si trovavano a casa e forse credevano che quella bambina che rideva fosse una creatura di qualche razza che stava tranquillamente giocando, per cui non ci davano peso.
"Dove sei?"
Deglutì a vuoto: l'aveva persa. Dovette piegarsi in due per il dolore allo stomaco che le si aggrovigliò, mentre tutto il suo corpo era scosso da violenti tremori. Non lasciandosi vincere dalla paura corse in avanti, più perché sapeva di doverlo fare che perché la sua testa glielo stesse imponendo, e riuscì a prenderla. Si precipitò a casa e si sedette con lei sul divano per riposare.
"Guardami" le disse, con tono imperioso. "Guardami, Hope."
La bambina alzò gli occhietti verso di lei e si fece improvvisamente seria.
"So che vuoi giocare, ma oggi hai rischiato di farti mal… ehm, la bua due volte, sai? Mi hai fatto prendere tanta paura. Finché non torna la tua mamma devi stare sempre vicino a me, o a Kia, o a Sky, capito? Questo" proseguì, mettendo una mano sullo schienale del divano, "e quello" e indicò fuori "non si fa. No."
Perché comprendesse ancora meglio fece un cenno di diniego con la testa.
"No" ripeté la bambina. "Scusa."
"L'importante è che tu stia bene, cucciola" mormorò la donna. “Sei dolcissima, lo sai? La mia piccola principessa.”
Aveva detto questo anche a Kaleia e Sky. Si era già affezionata troppo a lei. Non andava bene, non andava bene per niente, soprattutto nel caso in cui i suoi fossero tornati, perché lei ne avrebbe sofferto tantissimo, ne era sicura. Ma ormai era tardi.
"Mamma, siamo a casa" annunciò Kaleia entrando.
"Ciao ragazzi" li salutò la donna. "Avete fatto un po' tardi."
La voce le uscì fioca: le troppe emozioni l’avevano indebolita in tutti i sensi.
"C'è stato qualche piccolo problema."
Christopher le disse ogni cosa con quanta più calma possibile, raccontandole che dopo essersi scusate, diverse persone si erano messe a litigare e a correre, alcune dando ragione all’anziano, altre no, ma che non credeva che avessero davvero voluto fare del male a Hope e che, alla fine, loro e altri avevano calmato le acque.
Eliza tratteneva a stento le lacri,e. Le parve di annusare l’odore, nauseabondo del suo stesso terrore. Era simile a quello del sangue, ma peggiore.
"Sai già, vero?" le chiese Sky a voce bassa.
"Ho sentito qualcosa, ma poi Isla e Oberon mi hanno detto tutto. Per questo ho chiuso."
Raccontò quello che era accaduto.
"Non dovrebbe succedere niente, Eliza" la rassicurò alla fine Noah. "Quel folletto è solo uno sbandato."
"Esatto. Cerca sempre di mettere paura a tutti, ma la gente a volte gli dà ancora credito" continuò Christopher. "Mi sono stati ad ascoltare, alla fine."
"Immaginavo di aver esagerato. Quindi non c'è bisogno di portarla dalle anziane? Non voglio che ci vada."
"Mamma, non le farebbero niente se non valutare se è buona o meno" disse Kaleia.
"Ma io non voglio che ci vada!" protestò alzando appena la voce, non troppo per non far piangere la bambina che si stava già agitando. "Lo so, Kaleia" continuò, "è che ho paura. Devo proteggerla, altrimenti la sua mamma non me lo perdonerà mai; farla stare con delle sconosciute, lì da sola mentre le leggono l'anima, mi terrorizza. Non voglio che le succeda niente."
"Cosa proponi? Di tenerla dentro forse per sempre?"
Eliza sospirò.
"Se domani mattina tutto sarà tranquillo, si potrebbe pensare di portare Hope fuori per una passeggiata per il villaggio, per convincere la gente che non è cattiva” considerò Christopher. “Verremo tutti. Nel caso qualcuno dovesse anche solo provare a farle del male, interverremo. E se sarà in pericolo qui, vedremo come comportarci."
"Se non sarà al sicuro io me ne andrò con lei, non so dove, ma lo farò" decretò Eliza.
Nessuno di loro quattro l'aveva mai vista così determinata.
"Va bene, sentite, cerchiamo di mantenere la calma e non pensiamo a ciò che faremmo se le cose dovessero andare male. Aspettiamo domani per decidere il da farsi. Magari non accadrà niente, anzi, ne sono convinto" concluse Noah.
Eliza si commosse, si strinse Hope al cuore e la riempì di baci mentre gli altri sorridevano, anche Sky.
"Kia" mormorò Hope.
"Sì, tesoro, vieni."
 
 
 
Qualche tempo dopo, i due uomini avevano montato seggiolone e messo il lettino nella camera di Eliza. Dopo aver cambiato la tovaglia, la donna poté mangiare la sua minestra mentre pensò Kaleia a nutrire Hope.
"E se ti cantassi una canzoncina?" propose, sperando di farla rilassare.
"Sì!" esclamò la piccola.
"Passo, passo, dove vai?
Ci scommetto, non lo sai.
Il cinghiale qui si è mosso,
ogni zampa scava un fosso.
E il riccio che punzecchia,
ha le dita di una vecchia.
Un coniglio nella neve,
la sua impronta ha il passo lieve.
[…]
Si trattava di una filastrocca che un giorno aveva canticchiato Lucy, una delle figlie di Isla, e che Kaleia aveva ascoltato volentieri per poi mettersi a cantare con lei.
Pur capendo la metà delle parole, Hope batté le mani per tentare di seguire il ritmo. Doveva esserle piaciuta, perché lasciò che la fata le desse da mangiare senza capricci e, anzi, qualche volta prese anche il cucchiaio per nutrirsi da sola, riuscendoci con un po’ di difficoltà.
"Voi avete già mangiato?" Eliza iniziò a lavare i piatti. “Posso scaldarvi qualcosa, se volete.”
"Ci siamo fermati in piazza a prendere dei dolci" le raccontò Sky, "e insomma, lo sai che noi due siamo golose."
Kaleia rise, fece scendere Hope dal seggiolone e andò con lei in salotto, mentre gli altri rimasero in cucina a chiacchierare.
“Ma la sua famiglia non c'è, oppure è…"
"Speriamo di no, Eliza” disse Christopher, “comunque nessuno l'ha vista e nei boschi non c'era alcun umano, almeno non nelle zone nelle quali abbiamo cercato, anche se qualche fata ci ha detto di aver notato delle persone che non aveva mai visto, nel pomeriggio, e che hanno chiesto informazioni."
Dal salotto Kaleia ascoltava e anche Hope aveva lasciato i suoi cubi di legno, con i quali stava costruendo una delle torri che le piaceva tanto fare a casa. La fata si intristì subito e la bambina dovette notarlo perché le si avvicinò, la accarezzò con una manina e disse qualcosa di incomprensibile, ma che la fece sorridere.
"Domani ripartiremo con le ricerche e, se non li troveremo, nel pomeriggio andremo dalle ninfe" disse Sky. "Kaleia pensa che forse Aster ci potrà aiutare, ma prima vogliamo fare un altro tentativo da soli."
Alla fata della natura non sarebbe dispiaciuto avere una sorellina minore. In fondo Sky aveva avuto lei, ma Eliza non si era mai sposata, non aveva adottato nessun altro bambino e quindi la fata non aveva potuto fare la meravigliosa esperienza di avere un fratellino o una sorellina. Sky le aveva detto più volte che era cresciuta anche grazie al fatto di avere lei, di essere stata per Kia una mamma non solo quando erano nel bosco ma anche dopo, visto che aveva sempre avuto un forte istinto protettivo nei suoi confronti. Tuttavia, non ritrovare i genitori di Hope era stato bruttissimo e lei voleva che avesse accanto la sua vera famiglia, se questo fosse stato possibile. Grazie al cielo la piccola non se ne rendeva ancora conto del tutto a causa della sua tenera età.
"Guarda cosa faccio adesso."
Kaleia tenne sotto la mano un cubo che si trovava ancora sul tappeto. L'energia scorse nelle sue vene fino a entrare nel giocattolo, lo lasciò andare e questo levitò, volteggiando sopra Hope che lo prese ridendo. "Hai visto? Ti è piaciuto?"
"Sì, sì, tanto. Ancoa, Kia, ancoa."
Di volta in volta i cubi giravano, andavano su e giù, si muovevano in orizzontale, prendevano direzioni diverse e la piccola non staccava mai loro gli occhi di dosso finché riusciva a prenderne un paio.
"Eccomi."
Kaleia si sorprese quando Sky si unì a loro.
"Pensavo non ti volessi avvicinare a lei" osservò. "E comunque, stamattina ti saresti potuta risparmiare."
"Mi dispiace, d'accordo? È solo che non ci so fare con i bambini."
"Eppure, ti vedrei bene con un figlio."
"Io? Tu ti immagini una persona silenziosa, che da fuori può sembrare fredda e senza pazienza con un bambino?"
"Sì, e hai detto bene: non sei affatto fredda."
"Hope, cosa sono questi?" le domandò Sky.
"Che stai facendo?"
"Cerco di capire quanto riesce a parlare."
"Imparerà, dalle tempo. E poi ha avuto una giornata difficile, sarà stanca."
"Dai, Kia. Se non impara più parole già da adesso quando lo farà?"
"Cubi" rispose la bambina.
"Brava, cubi. E di che colore sono?"
"Blu e gligi."
"Esatto.” Passò sopra il fatto che non avesse detto la r. “E cosa fai con i cubi?"
"Gioco" trillò.
"Sì, sì, anche quello" le rispose ridendo. "Ma cos'altro?"
Hope si immobilizzò. Non capiva, che cosa voleva sapere quella donna? Giocava con quegli oggetti, non ci faceva nient'altro. Eppure si concentrò per provare a rispondere, mettendosi le manine sui lati della testina.
"Non importa, piccolina" la tranquillizzò Kaleia. "Sei bravissima."
Sky stava per scusarsi e si dette dell'idiota per averle posto una domanda troppo difficile, quando la bambina parlò.
"Una torre alta."
Le stupì con quella risposta.
"Brava" si complimentarono le sorelle all'unisono.
Poco dopo, in braccio alla minore delle due sorelle, Hope si divertiva ad allungare un braccino dietro la schiena della fata per giocare con una delle sue ali. La accarezzava e tirava piano, rischiava di strapparla per quanto era fragile, e di tanto in tanto qualche stilla di polvere magica le finiva sulle manine, il tutto con quello sguardo curioso tipico dei bambini e qualche risata che riempiva la stanza.
"Lo adoro" mormorò Kaleia.
"Che cosa?"
"Tenere in braccio bambini così piccoli."
"Non pensavo che l'avrei mai detto ma sì, anch’io" concordò Sky, ma il suo sguardo sognante si spense subito.
"Le racconti una favola?"
"Eh? Ma sei matta? Io non ne conosco."
"Andiamo, saprai quelle classiche, no? La mamma ce le raccontava sempre, non puoi averle dimenticate."
"Ma sono ogni volta le solite" si lamentò Sky. "Perché nessuno ha inventato qualcosa di più originale? E poi tu sei più brava di me."
"Va bene, allora facciamo così. Hope, tesoro, guardami. Ti vogliamo raccontare una favola" Kaleia scandì piano le parole. "Chi te la dice?"
La domanda "Chi vuoi che te la dica?" o "Chi vuoi che te la racconti?" sarebbe stata troppo complicata per lei.
La bambina le lanciò uno sguardo confuso per un momento, poi rispose:
"Sky."
E ti pareva, ha scelto me. Ci avrei scommesso qualsiasi cosa.
"E adesso che ti racconto? Kia, vedi in che situazione mi hai messa? Grazie tante!" borbottò.
Kaleia avrebbe voluto ridere, ma si rese conto che la sorella era davvero in difficoltà. Certo, si disse quest’ultima, si sarebbe spaventata di più se avesse dovuto occuparsi di Hope da sola, però… Oh, era una fata del vento, aveva affrontato tanti problemi con Kaleia e si spaventava nel raccontare una semplice storia a una bimba di due anni?
"Va bene, ho una favola per te" mormorò. Appariva diversa. Sorrideva e la sua espressione era serena, la voce si era addolcita, come se la fata fosse stata sotto l'effetto di qualche incantesimo, tanto che Kaleia per un istante si preoccupò. "Sto benissimo" la rassicurò. "Dammela, gliela racconto meglio se ce l'ho in braccio." Una volta tra le sue braccia, Hope appoggiò la testina alla spalla della fata e si tirò indietro per stare più comoda, poi ascoltò. "Quando sono arrivata a casa di Eliza, da piccola, mi sentivo spaventata come lo sei tu. Non ero sola perché avevo mia sorella, ma provavo comunque un gran senso di solitudine. Spesso, la sera, mi ritrovavo a guardare le stelle e a immaginare che fossero gli sguardi e i sorrisi di tanti genitori felici con i loro figli. Mi domandavo se anche quelli dei miei fossero stati così quando ci avevano con loro e dove si trovavano. Me lo chiedo ancora adesso, come Kaleia del resto. Io non so se diventerò mamma. Non ho idea se avrò la pazienza che ha mia sorella. Ma se succederà, so una cosa." Una lacrima le scese fino a sfiorare la testina di Hope. "Se accadrà, voglio avere anch'io un sorriso pieno d'amore e di gioia, proprio come quello che ha avuto Eliza da quando ci ha trovate, e come quello che di sicuro ha la tua mamma."
“È stata una storia bellissima, Sky” mormorò la sorella, colpita. “E lo è ancora di più perché è vera e ti è venuta dal cuore.”
Sky si asciugò gli occhi.
“Grazie!”
Hope non capì moltissimo di quella favola, ma le sorrise, poi sbadigliò.
“Credo abbia sonno.”
“Addormentala tu, già che ci sei” disse Eliza.
“Che? Ma siete pazze? Vanno bene le coccole, i giochi, la storia, ma questo proprio no. Oh, d’accordo” sbuffò, arrendendosi solo perché la bambina le rivolse uno sguardo dolcissimo. Sky le cantò un’altra ninnananna. “Hope, adesso dormi, okay?”
“Mamma!” supplicò quest’ultima.
Non capiva dove fosse finita e le mancava.
“Non sono la tua mamma” le spiegò con pazienza la fata.
“Mamma!” insistette la piccola.
“Ti ho detto che non sono… tornerà presto, vedrai. Ora, Hope, fai finta che uno spiritello cattivo ti abbia mangiato la lingua e sta’ zitta, va bene?”
“Sky!” la rimproverò Eliza con un’occhiata di fuoco.
Stava per prendere la bambina, ma quest’ultima chiuse gli occhi dopo un po’ e si addormentò, non prima di aver regalato a Sky un sorriso.
"Mi ha sorriso. Hope mi ha sorriso!"
Sky non ci poteva credere. Certo l'aveva fatto anche prima, ma quell’ultimo sorriso, dopo ciò che le aveva raccontato, per lei era stato speciale.
"Sono positivamente impressionata" disse Kaleia dopo qualche secondo.
"E io senza parole" commentò Eliza.
"Non ci avevi mai dimostrato che te la sai cavare bene con i piccoli e le favole. Ora dammela, la porto a nanna."
 
 
 
Mentre la metteva nel suo lettino, eseguendo quei gesti dolci che spesso aveva fatto con le sue figlie, Eliza si immerse nei ricordi. Ripensò ai loro caratteri diversi, al differente modo di affezionarsi a lei, ai giochi, ai discorsi, alle cose che avevano fatto insieme, ai momenti belli ma anche a quelli brutti e si disse che, se avesse potuto tornare indietro, avrebbe voluto rivivere ogni singolo attimo. Guardò Hope e tornò al presente: avrebbe dovuto cambiarla, ma ormai si era addormentata e pazienza, l'avrebbe fatto una volta che si fosse svegliata.
I ragazzi le dissero che sarebbero rimasti tutti lì, che avrebbero dormito in due camere della casa visto che avevano ognuna un letto matrimoniale. Non restarono solo per aiutare Eliza con la bambina, ma anche nel caso ci fosse stato bisogno per quell'altra questione che, anche se tutti avevano cercato di dimenticare, li preoccupava.
La donna infilò il pigiama e si mise a letto, ma non riuscì a prendere sonno. Si rigirava sotto le coperte, poi aveva caldo e se ne liberava, ma dopo freddo e si copriva di nuovo, mentre il cuore sembrava esploderle. Sudata e con il respiro corto, si alzò
E si preparò una tisana ai frutti di bosco che, sperava, sarebbe riuscita a rilassarla, ma invano. Presto fu colpita da un mal di testa martellante. Le tempie le pulsavano. Hope si svegliò qualche volta piangendo disperata. Una sola dovette essere cambiata, le altre aveva bisogno di coccole o di una ninnananna. Trovarsi in una nuova casa, con persone differenti e dormire in un letto diverso la rendeva agitata, anche se con loro si era trovata bene e da fuori pareva tranquilla. Tutti non fecero altro che girarsi e rigirarsi nel letto sognando avvenimenti intricati e strani che, ai frequenti risvegli, non ricordava più.
“Non è possibile” mormorava Eliza, con la voce impastata dal sonno, mentre aveva ancora nella testa l’immagine delle sue figlie che le dicevano che i genitori e la sorella della piccola erano deceduti.
Come si sarebbe comportata, allora? Cosa potevano sapere i bambini della sua età della morte? Fu percorsa da un brivido glaciale alla sola idea di quella povera coppia con un’altra figlia, dispersi chissà dove. Se fossero morti e non ci fossero stati indizi sulla loro provenienza nessuno avrebbe potuto riportarli a casa loro, ridarli alla famiglia.
Ma perché penso a tutto questo? Non è ancora detto e poi ho sempre creduto che fossero vivi.
Si riaddormentò con un sospiro, cercando di convincersi che tutto sarebbe andato per il meglio.
 
 
 
CREDITS:
canzone tratta dal film La volpe e la bambina
   
 
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