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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CAPITOLO 9.

 

CONCILIABILI DIFFERENZE

 
Quel pomeriggio, mentre le bambine giocavano all'aperto con Kaleia e Bucky, Demi si diresse in cucina facendo una veloce carezza a Willow che dormiva su una sedia. La gatta si lamentò appena, ma non si mosse e la ragazza la lasciò riposare in pace. In fondo, a chi piacerebbe essere svegliato anche se per delle coccole? Ne aveva parlato con il fidanzato e si era detta che c'era una cosa importante che entrambi dovevano fare, così lo aspettò e poco dopo lui la raggiunse.
"Io, Noah e Christopher andremo a fare una passeggiata" la informò prendendola per mano. "Vieni con noi?"
"No, state pure fra uomini."
Non credeva che si sarebbe sentita un peso, ma dovevano conoscersi meglio tutti e aveva la sensazione che avrebbe legato più con le donne che con gli altri.
"Andiamo?"
"Andiamo" ripeté lei.
Entrarono in cucina dove Eliza, seduta, rammendava dei calzini.
"Demi, Andrew, vi serve qualcosa?"
"In realtà eravamo venuti a parlare con te" iniziò la ragazza.
L'altra appoggiò tutto sul tavolo lì accanto e dedicò loro la sua completa attenzione.
"Vi ascolto."
Si era fatta serissima, adesso. Chissà, forse si aspettava le parole che stavano per uscire dalle loro bocche, o magari pensava a tutt'altro, a qualcosa di grave o pericoloso.
"Volevamo ringraziarti per aver salvato e protetto nostra figlia" continuò Demetria. "I-io non so come ho fatto a non capire che si fosse alzata. A casa dorme con me, anche se lo farà ancora per poco e mi accorgo sempre quando si muove, o se respira male, o se ha qualcos'altro. E mentre eravamo sotto quell'albero e dormivamo sopra un mucchio di terra e foglie, quando ancora non ci rendevamo conto di essere a Eltaria, non l'ho sentita tirarsi su."
Le bruciava la gola e dovette lottare per non piangere, ma la sua voce ormai l'aveva tradita.
"Non è stata colpa tua, tesoro" mormorò Eliza, che si alzò e le posò una mano su una spalla.
"È quello che continuo a ripeterle anch'io, ma credo sia più facile a dirsi."
"Appunto" mormorò Demi, guardando tutti e due. “Ma vi sono grata per il conforto che mi date.”
Ci sarebbe sempre stata una parte di lei che avrebbe pensato di aver sbagliato qualcosa, quella notte. E lo stesso valeva per Andrew. Non lo diceva, ma lo facevano i suoi occhi pieni di tristezza e dolore.
Come si fa a perdere una bambina? La propria bambina? continuavano a pensare i due.
"Comunque, la cosa importante è che Hope stia bene" proseguì Eliza, sperando di non usare parole che avrebbero potuto ferire la ragazza in quel momento di fragilità.
"Hai ragione" convenne invece quest’ultima, asciugandosi le lacrime e sorridendo.
"Se non fosse stato per te, non vogliamo nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere, Eliza" riprese Andrew. "Dobbiamo ammettere che abbiamo pensato cose orribili."
"E che io ho creduto che l'avessi rapita, l'ho detto ieri mattina alle tue figlie e me ne vergogno da morire."
"Sì, me l’hanno riferito. Chiunque l'avrebbe fatto in una situazione del genere. Non riesco neanche a pensare a come mi sarei sentita, se fosse capitato a me, e non posso immaginare che giorni difficili e pieni di paura abbiate passato. Ma siamo pari."
E così spiegò loro l'idea che all'inizio si era fatta quando aveva visto le cicatrici sul volto di Hope e quello che aveva compreso dopo, vedendo quanto voleva la mamma.
"Ti giuro su Dio che non le abbiamo fatto noi quei segni, né a lei né alla sorella."
Demi ora era ancora più seria e il suo tono di voce più grave.
Eliza rimase colpita dal suo sguardo intenso e non poté non crederle.
"Ma allora chi è stato?"
"Un uomo ha ucciso i loro genitori e ha fatto questo alle bambine, dopo che avevano assistito all’omicidio."
Tante volte la ragazza aveva provato a immaginare il momento in cui quel fottuto bastardo aveva premuto sulle guance delle sue figlie, una sigaretta passandola avanti e indietro fino a spegnerla, ma non ci era mai riuscita perché le era sempre venuto da vomitare. Come si poteva fare una cosa tanto orribile?
Il cuore di Eliza perse un battito. Si trattava solo di un terribile incubo, giusto? Ora si sarebbe svegliata. No, era tutto reale e un'espressione di puro orrore si dipinse sul suo volto.
“E Mackenzie, dopo aver raccontato alla polizia quanto ha visto, ha non solo smesso di parlare, ma anche rimosso ogni ricordo di quella sera, a causa del trauma che ha subito. È stata da vari psicologi, durante il periodo in affidamento da altre famiglie e, ancora prima, in casa-famiglia, ma non le è servito a ricordare.”
“Mi dispiace così tanto per loro" mormorò Eliza. "E perdere la memoria dev’essere orribile.”
“Non l’ha persa” specificò Demi. “Si tratta di un meccanismo di difesa: non ricorda per non soffire, ma in realtà i ricordi sono lì, sotto la superficie.”
“Capisco. Per fortuna lei e Hope hanno trovato voi."
"Me, Andrew non le ha ancora adottate. Comunque anche lui è una figura importante per loro, lo considerano un papà da un bel pezzo."
"E perché no? Insomma, se le avete trovate insieme…"
La coppia fece due più due.
"Aspetta, aspetta. Cosa intendi tu per trovate?" le domandò Andrew, calcando su quell’ultima parola.
"Io stavo camminando nel bosco, una sera, quando ho incontrato Sky e Kaleia sotto la pioggia. Non è successa anche a voi una cosa simile?"
I fidanzati dovettero trattenersi dallo scoppiarle a ridere in faccia. Era necessario che tenessero conto del fatto che Eliza non abitava nel loro mondo e che, come per loro Eltaria era diversa dalla Terra, per la donna accadeva il contrario.
"Forse devo spiegarti alcune cose sull'adozione e su come funziona da noi" osservò Demetria, pensosa.
Poco dopo Noah e Christopher vennero a prendere l’uomo per uscire.
"Demetria, se vuoi rimango."
"No, vai. Sto meglio adesso, e poi non sono sola. Andrà tutto bene. Posso farcela. Ho già affrontato brutte situazioni."
Si riferiva ai problemi che per anni aveva tenuto nascosti a tutti.
"Sì, è vero. Ma sei sicura?"
"Sicurissima, goditi la tua passeggiata in tranquillità."
Dopo un abbraccio, Andrew uscì con gli altri due che lo trascinarono via correndo e ridendo.
 
 
 
Gli uomini si erano inoltrati nel bosco e stavano seguendo un sentiero sconnesso che si perdeva all'orizzonte, tanto che ad Andrew pareva che non sarebbe finito mai. Christopher era in testa, Noah in mezzo e lui, il più inesperto di tutti, dietro. Restavano vicini per non perdersi mai di vista e il terzo rifletteva sul fatto che era finito proprio in uno strano posto. Eppure, quelli non erano selvaggi. Abitavano nelle case, anche carine a giudicare da quella di Eliza e da altre che aveva visto nel villaggio, mangiavano cibi uguali o simili a quelli della sua civiltà e sì, il luogo era pieno di creature magiche e di chissà quali altre stranezze, ma Andrew era sicuro di aver trovato nei due uomini, in Eliza e nelle loro compagne, nonché in Aster, persone buone delle quali potersi fidare e che forse col tempo sarebbe riuscito a considerare amiche.
"Che pace c'è qui!"
Fu questa la prima cosa che riuscì a dire, mentre calpestava degli aghi di pino che scricchiolarono sotto i suoi piedi. Non c’era nessuno lì intorno, tranne forse alcuni animali nascosti sotto, sopra gli alberi o dentro le loro cavità. Qualche uccellino cinguettava.
"Noi ci siamo abituati, ma hai ragione, si sta proprio bene" concordò Noah.
"A Los Angeles, la città in cui vivo io, non c'è tutto questo silenzio. Lo trovi nei boschi, ma altrimenti ci sono solo persone, automobili, confusione."
"Aspetta amico, cosa?" chiese Christopher che, come il fidanzato di Sky, non ci stava capendo niente. "Dov'è che vivi tu? Una città? Cosa sarebbe? Ti spiego: qui consideriamo città tutto ciò che sta dalla piazza in poi, quindi negozi, scuola, orfanotrofio, ma non credo sia qualcosa di simile a quel che intendi."
Senza farsi vedere, Andrew si portò le mani al volto.
Oh, Dio! Ma devo proprio spiegare loro tutto? Va bene, porta pazienza e parla.
"È come un villaggio ma molto, molto più grande del vostro, che si trova dentro lo Stato, quello enorme di cui vi accennavo ieri. Le città in uno Stato sono moltissime e hanno case, palazzi, alte torri che si chiamano grattacieli anche se non ci sono dappertutto, scuole, negozi e tante macchine. Le automobili, si chiamano anche così, sono il nostro mezzo di trasporto, strutture con le quali ci muoviamo. Impariamo a guidarle non appena diventiamo adulti."
"Forte!" esclamarono insieme i due uomini.
"La mia città si chiama Los Angeles, che in una lingua diversa dalla mia, lo spagnolo, significa gli angeli. Infatti viene anche chiamata Città degli angeli."
"Perché?" domandò Chris.
"Lunga storia. Comunque, nelle città le case spesso non hanno erba davanti, quindi nessun giardino con piante o altro, ma a volte invece succede, dipende. E la vita è frenetica, tutti corrono e non solo per strada."
"Ragazzi, posso chiedervi una cosa?"
"Certo Noah, parla pure" gli risposero i due quasi all'unisono e, dato che temporeggiava, cercarono di fargli coraggio dicendogli che di loro si poteva fidare.
"Perdonatemi se cambio argomento, ma mi stavo solo chiedendo se voi siete sicuri delle relazioni con le vostre mogli o fidanzate."
"Che domande! Certo, io e Kaleia siamo sposati. Se non fossimo stati convinti, non avremmo fatto il grande passo."
Il tono di Christopher si era alzato di alcune ottave, così l'altro si affrettò a spiegare.
"Non volevo offenderti, era solo una domanda perché poi avrei bisogno di dirvi una cosa, ma prima vorrei ascoltare Andrew."
"Non so se io e Demi un giorno ci sposeremo, ma ci amiamo, sono sicuro di voler rimanere con lei per sempre e le ho dato un anello come simbolo del nostro amore."
"Io non sono bravo con le parole come voi" ammise il terzo, con la voce che gli tremava. Continuava a guardarsi intorno, come temendo che qualcuno a parte quei due lo ascoltasse. "Il fatto è che amo tantissimo Sky, ma ho paura a proporre la convivenza."
Andrew e Christopher, allora, gli domandarono se temeva che la fata non fosse stata pronta o che avrebbe potuto rifiutare per qualche altro motivo.
"N-no, è solo che io sono una frana nel parlare dei miei sentimenti" mormorò. "E se non riuscissi a spiegarmi? O non fossi in grado di farle capire quanto questa cosa per me sia importante?"
"Sono sicuro che ne sarai capace, hai più forza di quanta credi."
"Grazie, Chris."
"Sarà l'amore a guidarti."
Quella frase di Andrew colpì i due così tanto che rimasero in silenzio per lunghi minuti, mentre un sorriso illuminava i loro volti.
 
 
 
"E quindi le hai adottate in un modo diverso da come ho fatto io" osservò ancora Eliza, che pareva non crederci. "Sei andata in un orfanotrofio?"
"No, da noi gli orfanotrofi non esistono. O meglio, sì ma non nel posto in cui vivo. La Terra, il mondo in cui sto, è enorme e ci sono luoghi poveri in cui quei posti si trovano ancora, ma sono lontanissimi da Los Angeles, la mia città. E non sono bei luoghi, a volte i bambini vengono maltrattati."
E anche lei spiegò a Eliza cosa significava Los Angeles e cosa voleva dire la parola città, mentre questa le ripeté quanto detto da Christopher. La donna era affascinata. In quel momento entrò anche Sky.
"Ho sentito tutta la spiegazione e non potevo perdermela" affermò, correndo in cucina come un uragano. "Le tue figlie sono fuori a giocare con Kaleia e Bucky, stanno benissimo, non preoccuparti."
"Grazie. Sono felice che trascorrano del tempo all'aria aperta. Ogni tanto le porto a giocare al parco o in giardino, ma c'è talmente tanto inquinamento! Ad ogni modo, sono convinta che rimanere fuori faccia bene a tutti i bimbi."
Le chiesero cosa fosse l'inquinamento, e avanti a parlare in termini semplici delle automobili e di ciò che producevano.
"Caspita! Vorrei guidare una macchina" trillò Sky.
"Saresti un pericolo pubblico" osservò Eliza, rimediando un'occhiataccia.
"Grazie, mamma. Sei sempre incoraggiante" scherzò la ragazza.
Anche Kaleia fece il suo ingresso.
“Di che parlate?” trillò, poi si accorse dei loro sguardi seri. “Qualcosa di importante. Potrei sentire anch’io? Usciamo, così vedremo comunque le piccole.”
Si accomodarono a terra, con le schiene addossate a un muro della casa di Eliza e le gambe incrociate. A Demi sembrò di tornare bambina, ai momenti nei quali si sedeva sul tappeto a divertirsi, e sorrise. Il suolo era caldo, lì, ma non troppo, dato che erano in parte in ombra. Demi, che aveva le maniche lunghe, sospirò di sollievo, dicendosi che avrebbe dovuto restare il più possibile sotto gli alberi, almeno fino a quando non avrebbe detto la verità, sempre che se la fosse sentita. Spirava una leggera brezza tiepida che aiutava tutte a respirare meglio.
"Non hai caldo, con quei cosi addosso?" le chiese Kaleia.
"Un po', ma preferisco tenerli."
L'altra le lanciò uno sguardo interrogativo e Demi rimase immobile per qualche secondo, attendendosi una domanda che l'avrebbe costretta a rivelare il suo segreto, che però non arrivò.
Le piccole si trovavano ad alcuni metri di distanza, rincorrevano lo scoiattolo e parevano non accorgersi di loro, quindi le tre furono sicure che non le avrebbero ascoltate. Per stare più tranquille, si accordarono per parlare piano.
"Se non sei andata in orfanotrofio, allora come hai fatto?" riprese Sky, dopo aver riassunto il resto alla sorella che, a sentir parlare dell’omicidio, si era immobilizzata.
"Volevo avere un figlio, ma ho scoperto di essere sterile, cioè di non poter restare incinta.”
“È terribile!” non poté trattenersi dal commentare Eliza. “Scusa, non avrei dovuto. Per te sarà già abbastanza doloroso, senza che altri vengano a rincarare la dose.”
“Non fa niente.” Le sorrise. “Comunque sì, lo è. Nel nostro mondo esistono delle procedure a cui una donna ha la possibilità di sottoporsi e grazie alle quali riesce a diventare mamma anche se non può averli in modo naturale, e anche senza un compagno.”
“Ah, meno male!” esclamò Kaleia. “Immagino che questo dia speranza a molte persone.”
“Già, ma io mi sentivo più portata per l’adozione. Fin da piccola ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto adottare un bambino oltre ad averne di miei e il pensiero dell’adozione mi ha accompagnata per anni, diventando sempre più importante. Per la fecondazione in vitro o procedure simili ci vogliono iniezioni e farmaci che possono avere forti effetti collaterali che scompaiono non appena si smette di fare punture o assumere medicine, certo, e non tutte le donne li provano, ma non è detto che una rimanga incinta, nemmeno dopo anni. Per un lungo periodo sono stata male e non riuscivo a pensare a un figlio. La mia famiglia e gli amici mi hanno aiutata e, quando mi sono sentita pronta, ho iniziato a farlo.”
Proseguì dicendo che aveva parlato con il suo ginecologo ed era andata in una clinica per la fertilità, a un colloquio con uno specialista che le aveva anche illustrato altre opzioni oltre alla fecondazione in vitro, ma dopo averci pensato con attenzione e averne parlato con famiglia e amici, era giunta alla conclusione che non se la sentiva di affrontare anni di trattamenti e di probabili malesseri per poi, magari, arrivare ogni volta con un test di gravidanza negativo.
Lo sguardo dolce di Eliza la avvolse. Sky e Kaleia non parlarono, le diedero il tempo necessario per riprendersi e ricominciare solo quando se la sarebbe sentita. Demi fu loro grata per questo, respirò a fondo, rientrò per bere un bicchier d’acqua e nel tornare fuori contò fino a venti.
“Una procedura del genere non faceva per me o, almeno, non in quel momento della mia vita. Non escludo, in futuro, di iniziare i trattamenti con Andrew accanto. Adottare da single mi spaventava, ma la fecondazione lo faceva di più. In qualsiasi caso essere una madre single, dover gestire tutto senza qualcuno vicino, non è semplice. La famiglia e gli amici possono aiutare, ma spesso sei tu a doverti occupare da sola di molte cose, l’avevo messo in conto.”
“E l’adozione cos’aveva di diverso?”
“È stato un processo lunghissimo e non privo di ostacoli, ma credo che essere mamma non voglia solo dire partorire un bambino, è qualcosa che va oltre. Si può diventare genitori in tanti modi, amandone anche uno che non è proprio, come se lo fosse dal punto di vista biologico. E in un certo senso mi sentivo, almeno in parte, destinata ad adottare. Tutti quegli anni passati a pensarci, anche se magari non sempre in modo serio, dovevano pur dire qualcosa.”
“E quindi hai preso la decisione finale” commentò Sky. “Una scelta difficile, ma la tua riflessione è d’impatto.”
“Profonda” commentò Eliza.
“Direi che è impossibile restarne indifferenti” aggiunse Kaleia.
“Non è stato semplice arrivarci, ma alla fine ero convinta. Ci ho messo poco più di un anno da quando ho fatto i primi esami grazie ai quali ho scoperto la mia sterilità. Ho incontrato una donna, che nel nostro mondo svolge la professione di assistente sociale e sono stata sincera riguardo le mie motivazioni, le ho fatto capire che ci avevo pensato bene. Lei mi ha posto molte domande per comprendere come mai non avevo scelto la fecondazione o altri trattamenti e se fossi stata pronta a un passo del genere. Ha dovuto fare tanti controlli sulla mia casa, parlare con la mia famiglia, gli amici, i colleghi di lavoro, controllare la mia disponibilità economica, sapere se avevo avuto o avevo ancora dei problemi di salute o di altro tipo e accertarsi, grazie a visite mediche, che fossero risolti. Insomma, un processo che è durato mesi."
“Pazzesco” mormorò Eliza.
Demi raccontò loro l'intero procedimento con tutti gli alti e bassi, mentre le tre la ascoltavano attonite. Non avrebbero mai creduto che sulla Terra ci volesse tanto per adottare un bambino, che ci potessero essere tutti quei problemi.
"Mi ha spiegato che molti bimbi in attesa di adozione sono gruppi di fratelli, o di un’etnia diversa e possono aver subito traumi, abusi fisici, psicologici o… o peggio.” Tutte rabbrividirono, mentre quel freddo bloccava loro il respiro. “Voleva capire se fossi pronta ad adottare un bimbo con dei problemi, o più di uno. I mesi sono diventati anni. Alla fine, dopo un periodo in cui sono andata dai genitori affidatari per conoscerle, sono riuscita a portare a casa Hope e Mackenzie. Le ho avute in affidamento preadottivo – si chiama così – per quasi sette mesi, dopodiché siamo andate in un posto e un giudice, una persona importante, ha finalizzato l'adozione, cioè l'ha riconosciuta di fronte alla legge."
"Quanto cavolo di tempo ci hai messo per fare tutta questa roba?"
"Sky!" la rimproverò la donna, ma Demi stava ridendo.
"Non ti preoccupare, capisco che per voi sia una sorpresa. In totale, da quando ho parlato con l’assistente sociale fino al momento in cui sono venute a casa con me, due anni e mezzo. Tre anni e tre mesi da quel colloquio fino alla finalizzazione."
"È tantissimo! Nemmeno all'orfanotrofio le cose durano così a lungo, benché comunque la procedura vada avanti per almeno un anno" disse Eliza.
"Come hai fatto a resistere tutto questo tempo?"
"Ci sono coppie o single che ci mettono di più, Kaleia, soprattutto se adottano da uno stato straniero, anche sette anni."
"Dolce Dea!" esclamarono le sorelle, dandosi una manata una in faccia e l’altra sulla fronte.
Visto lo sguardo truce di Eliza, Demi capì che nel loro mondo quella doveva essere una parolaccia.
"E perché non avresti dovuto essere, com'è che hai detto mentre ci spiegavi? Idonea?"
"Esatto, Eliza. I motivi sono tanti e riguardano la mia storia passata. Ora mi sento bene, ma non è sempre stato così. Ho avuto dei problemi che avrebbero potuto rendere difficile un'adozione. Per questo sono stati necessari tutti quei controlli, ma nel mio mondo è normale che sia così, anche se sei sempre stato benissimo."
Demi non parlò più e le tre compresero che non aveva voglia di aprirsi oltre o che non era pronta a farlo. Non se ne stupirono, in fondo si conoscevano da pochissimo tempo e nessuno racconterebbe il proprio vissuto alla prima persona che capita. Le avrebbero dato i suoi tempi e, se e quando se la fosse sentita, ci sarebbero state per ascoltarla. Non fecero altre domande e Demetria le ringraziò in silenzio per questo.
"Qui non c'è nessuna legge che vieta di tenere un bambino che si trova nel bosco o in qualsiasi altro luogo" continuò Sky.
"È vero," incalzò la minore, "basta solo che il piccolino abbia fiducia."
"Da noi invece una cosa del genere è illegale. Se si trova un bambino abbandonato o solo bisogna chiamare la polizia, credo, non mi sono mai informata, ma penso lo farei se fossi in una situazione del genere. Forse chiamerei anche i servizi sociali. Nel caso in cui tutto ciò succeda, il piccolo verrà accompagnato in ospedale dai poliziotti, visitato e, una volta dimesso, affidato agli assistenti sociali che lo porteranno in una casa-famiglia, una sorta di orfanotrofio se volete, e da lì si cercherà di trovare la madre o altri membri della famiglia e di capire che fine farà il bimbo. È tutto più complicato da noi, ma lo si fa per proteggere i bambini.”
“Proteggerli?”
“Sì, Sky. Ci sono delle persone crudeli che fanno cose orribili ai piccoli."
"Quali?" domandò Eliza.
"Succede soprattutto nei paesi più poveri: alcuni genitori vendono i bambini a qualcun altro per farglieli adottare illegalmente, perché magari loro non riescono a tenerli mentre l'altra persona sì. Si chiama adozione illegale, ma ci sono traffici di minori peggiori di questo."
In realtà quella tematica era molto più complessa, un’adozione del genere poteva avvenire in molti modi, come per esempio se il bambino veniva rapito, ma Demi aveva cercato di spiegarlo nella maniera più semplice possibile.
"Traffico di minori" mormorò Sky, mentre un sapore amaro le invadeva la bocca. "Non mi piacciono queste parole. Non c'è nessuno che li ferma? Insomma, è una cosa orribile!"
Era impallidita e non aveva una bella cera. Kaleia restava con le braccia penzoloni lungo i fianchi e fissava il vuoto.
"Sì, molte persone lottano per fermare questo scempio. Ci provano, ma non riescono sempre nel loro intento, purtroppo. Per questo il sistema delle adozioni è cavilloso, per evitare che succedano cose del genere."
Demetria parlò loro delle prime tre famiglie affidatarie di Mackenzie e Hope, di tutto quello che era accaduto loro prima di incontrare lei.
“Spero che riuscirà a ricordare, un giorno" commentò Eliza.
"Anch'io. Da alcuni mesi Mackenzie va da una psicologa, cioè una persona che la sta aiutando a sentirsi meglio. Lei, anche grazie alla diagnosi di un altro medico, uno psichiatra, e visti i sintomi, continua a fare giochi ripetitivi, dorme poco, ha incubi e così via, hanno capito che soffre di una malattia chiamata disturbo post-traumatico da stress, o PTSD. Si può curare con la psicoterapia, come sta facendo lei, anche se ci vorrà tempo e con farmaci, che però non prende. Qui comunque si sente meglio e a casa la situazione sta migliorando.”
“Ma è grave?” domandò Eliza.
“Può diventarlo, ma nel suo caso non molto, per fortuna. Non ha problemi di concentrazione, o di relazione con gli altri, si affeziona alle persone quando chi soffre di PTSD spesso fa fatica, però ha qualche altra difficoltà. Questa malattia non è fisica, è mentale” ci tenne a specificare per essere più chiara. “Lei e Catherine parlano anche del fatto che non ricorda, ma la psicologa non la forza mai a rammentare, perché mi ha spiegato che questo può generare falsi ricordi. L’obiettivo della terapia è che Mackenzie stia bene con se stessa e con gli altri. Sarebbe una gioia per i cuori di tutta la famiglia se un giorno ricordasse, ma anche se non dovesse capitare spero sarà comunque felice."
Pochi giorni dopo l’arrivo delle bambine a casa si era verificato un piccolo incidente. Mentre Demi si trovava in salotto, Mackenzie si era diretta nella camera della sorellina. Hope stava piangendo e lei aveva provato a prenderla in braccio, credendo di potercela fare. La bambina più piccola, però, aveva sbattuto la testa e Mackenzie avuto una crisi. Si era messa a urlare, a scalciare e per Demi era stato molto difficile calmarla.
“Hope non si è fatta niente, anche Mackenzie stava bene, ma in ospedale una dottoressa mi ha consigliato di portarla da uno psicologo.”
“E tu l’hai fatto?” chiese Eliza.
“Ne ho parlato con Andrew e le assistenti sociali, quella che seguiva me e l’altra, Lisa, che si occupava del caso delle bambine. Ne abbiamo discusso con Mackenzie, ma non c’è stato niente da fare. Non ci è voluta andare, ha detto che aveva parlato con tante persone come quelle parole sue, per la precisione uno in casa-famiglia e un altro quando si trovava dalla terza famiglia affidataria. Dalla prima è rimasta pochi giorni, dalla seconda un mese, per cui non c’era stato tempo sufficiente. Comunque, ha aggiunto che non l’avevano aiutata. Ho insistito nel corso di diversi giorni, le ho spiegato che da alcuni psicologi si può andare anche assieme alla famiglia, credendo che in quel modo non si sarebbe sentita sola, ma nulla. Holly e Lisa dicevano che se l’avessi portata a forza lei si sarebbe allontanata da me, così ho smesso di parlarne, ma non di pensare che mandarla in terapia era la cosa giusta e che, prima o poi, l’avrei fatto. L’anno dopo, quando ha iniziato, l’ha fatto senza sentirsi forzata. Credo abbia capito ancora di più che non stava bene e che le serviva una mano.”
"In tutto questo, aver trovato te è stata la cosa migliore che sia capitata a lei e a Hope" osservò Sky, seria. "Hai dato loro una casa, un'istruzione e soprattutto l'amore e la stabilità di cui avevano tanto bisogno. Ti ammiro, Demetria."
"Ti ringrazio, ma non devi. Ho fatto solo quello che mi sentivo e che era giusto. E comunque, Eliza, grazie per essere stata per Hope come una mamma mentre io non c'ero."
La donna si commosse.
"Non credo sia stato così, ma ci ho messo il cuore. Hope voleva sempre te, non faceva che chiamarti."
Le due mamme si strinsero in un forte abbraccio. Non c'era bisogno di altre parole, tutto era già stato detto e ciò che era rimasto silente fu espresso grazie a quel gesto. Sapevano quanto fosse difficile essere madri, soprattutto di due bambine dal passato turbolento, ma allo stesso tempo erano consapevoli del fatto che averle adottate era stata la cosa migliore che avevano fatto nella loro intera vita, sia per loro stesse che per le figlie.
Tutte si alzarono e si avvicinarono a Hope e Mackenzie. Erano distese sull'erba. Sonnecchiavano, ma Demi le svegliò perché era pomeriggio e, se avessero continuato a dormire, la notte l'avrebbero fatta impazzire, in particolare la più piccola.
Dopo un'abbondante merenda a base di latte e biscotti al cioccolato, Mackenzie mostrò alla mamma che Bucky le saliva sulla spalla.
Hai visto? Lo fa anche con me, non solo con Kaleia! esclamava, tutta contenta.
Intanto Hope era andata a disturbare Willow, anche se Demi le aveva ripetuto di non farlo, e ora la gatta si era spostata e dormiva sul prato in un cestino. Stranamente si lasciò accarezzare, fece le fusa e le leccò una mano.
Il pomeriggio passò tranquillo e al ritorno degli uomini Eliza preparò la cena, stavolta a base di petto di pollo e verdure cotte. Era tutto tenero in modo che anche Hope andasse bene a mangiarlo. Demi le spezzettò ogni cosa e non ci furono problemi. A Mackenzie non piacquero gli spinaci, non li aveva mai apprezzati, troppo amari per lei, ma adorò i fagiolini e le zucchine, dolci e che si scioglievano in bocca.
Quella sera, ognuna nel proprio letto, le tre coppie raccontarono quanto accaduto loro in particolare durante il pomeriggio.
"E così hai detto a Noah che sarà l'amore a guidarlo, eh?"
"Già, perché per quanto possa sembrare una frase banale, ci credo davvero. In realtà avrei voluto aggiungere che capivo di cosa stava parlando. Non ho mai avuto problemi a dirti che ti amo," e i due si baciarono, "ma a raccontarti del mio passato, di Carlie e di tutto il resto sì."
"Volevi dire ogni cosa? Andrew, li conosciamo da ieri."
"Lo so, infatti mi sono trattenuto, ma se diventeranno miei amici mi piacerebbe farlo sapere loro.”
“Anche a te hanno chiesto se avevi caldo con quei vestiti?”
Avevano indossato un pigiama a maniche corte per la notte, non sopportando più gli abiti lunghi e sperando che nessuno avesse visto le loro braccia, se si fossero mossi in corridoio.
“No, siamo stati sempre all’ombra.”
Demi gli raccontò quanto accaduto.
“Per fortuna non ti ha chiesto altro.”
“Già, non avrei saputo cosa rispondere.”
“Tu credi che dirai a Eliza, Sky e Kaleia quello che ti è successo?"
La ragazza sospirò.
"Non ne ho la più pallida idea! Come potrebbero prenderla? Rimarranno scioccati sapendo che queste" e toccò le sue cicatrici e quelle di lui, mettendo una mano sotto le maglie leggere ma ancora a maniche lunghe "ce le siamo fatte noi stessi. Potrebbero pensare che siamo pazzi. Per ora hanno creduto alla storia che siamo freddolosi, ma non so quanto durerà. Anzi, ho il sospetto che abbiano dei dubbi."
“Ma non ci hanno guardati in modo strano,” considerò Andrew, “né insistente. Sono stati rispettosi nei nostri confronti.”
“Sì, infatti. Non credo ci chiederanno altro. Forse sospettano che nascondiamo qualcosa, ma non penso sappiano quanto sia grave e di certo non immaginano…”
“Sembrano rispettosi, non credo ci faranno altre domande a riguardo.”
“Non lo credo nemmeno io. Comunque è strano portare questa maglia, a casa non lo faccio quando sono con altre persone, non più.”
“Nemmeno io, Demi. Ho smesso di vergognarmi di questi segni.”
Si sorrisero.
“Qui da loro è tutto diverso."
Demi batté un pugno sul letto, mentre il battito del suo cuore accelerava.
"Va bene, senti." Andrew le prese una mano. "Non agitarti prima del tempo. So che è difficile, ma così fai peggio. Non sappiamo nemmeno se glielo diremo e lo faremo soltanto quando e se ci sentiremo pronti. Okay? Non dicendolo, o rispondendo in modo vago alle loro domande, mentiamo solo per proteggerli, non per ferirli. E a volte le bugie vanno dette a fin di bene."
"Okay, hai ragione."
Dopo un altro po' di coccole decisero di dormire. Li aspettava una giornata altrettanto lunga.
 
 
 
NOTE:
1. non sono stata in grado di trovare informazioni su come comportarsi quando si trova un bambino abbandonato in California, ma con una ricerca generale ho scoperto ciò che ho scritto.
2. Esistono dei gruppi di supporto per le famiglie che hanno adottato bambini, e anche il sostegno psicologico. In Cuore di mamma volevo che all’inizio Mackenzie rifiutasse di andare, inoltre non sono riuscita a incastrare prima nella storia anche questo avvenimento e ho deciso di posticipare il tutto a molti mesi dopo. Ritengo importantissima la terapia con uno psicologo, la seguo da anni, ma so anche bene che a volte non ci si sente subito pronti ad affrontarla a causa di insicurezze, paure, sfiducia, e che forzarsi, o essere forzati, peggiora le cose. Per quanto Demi volesse affrontare il problema non se l’è sentita di costringere la figlia, pur mantenendo comunque l’idea di mandarla in terapia.
   
 
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