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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CAPITOLO 10.

 

IL VERDETTO DELLE ANZIANE

 
Christopher sedeva al tavolo della cucina, ma non aveva molta fame.
"Che succede, amore?" gli chiese Kaleia.
Perché non assaggiava la colazione a base di latte e biscotti con la Nutella che gli aveva preparato? Non gli piaceva? Stava per chiederglielo, ma vederlo scuro in volto la spaventò e la preoccupò allo stesso tempo.
"Ieri sera, prima di mettermi a letto, come sai sono andato in piazza." La sua voce era più grave del normale. "E molti sono ancora convinti che Hope sia pericolosa. Non solo, ora che sono arrivati anche i suoi genitori e Mackenzie, hanno iniziato a dire cose orribili su di loro, per esempio che sono venuti da chissà dove per portare scompiglio e terrorizzare la gente, che di sicuro sono umani che non credono nella magia e cose del genere.”
“Ma è assurdo! Su quali basi dicono questo?”
“Su nessuna, sono solo ipotesi che fanno perché sono spaventati, anche dal colore della pelle dlle bambine. Perciò è stata fatta una votazione."
"C-che genere di votazione?"
Per caso avevano votato riguardo il mandarli via o no da Eltaria? Era ingiusto e crudele, e poi dove sarebbero potuti andare con due bambine piccole e in una terra sconosciuta? Ora che avevano trovato un po' di serenità nessuno avrebbe dovuto portarla loro via.
Quello che le disse non la sorprese, ma la preoccupò.
"Potrebbero pensare che li consideriamo pericolosi" gli fece notare.
"Lo so, ma o questo, o dovranno andarsene, purtroppo. Concordo con te sul fatto che non sia corretto, ma dobbiamo cercare di spiegarlo loro e di farli sentire al sicuro allo stesso tempo."
"Va bene, andiamo."
Partirono con la testa piena di pensieri e uno sguardo funereo.
 
 
 
Demi e la sua famiglia avevano appena finito di fare colazione. Nonostante si fosse vestita, come Andrew, con una maglia leggerissima a maniche lunghe, la ragazza si augurò che gli altri non avrebbero fatto domande né su di lei né sul fidanzato. Che cos’avrebbe risposto se qualcuno le avesse posto altre domande? Non ne aveva idea, ma si convinse che nulla di tutto ciò sarebbe accaduto. Lei e Andrew dovevano tenersi coperti, anche se con abiti leggeri, almeno lì e per il momento. Non c’era altra soluzione. Nonostante i tatuaggi a coprire le sue cicatrici, la ragazza non si sarebbe sentita tranquilla se avesse fatto diversamente.
"Sai, mi piacerebbe aiutare all’orfanotrofio per il tempo in cui rimarremo a Eltaria" disse la ragazza a Eliza.
"Domanderò alla Direttrice. Ci lavorano persone che hanno studiato, professionisti insomma, ma anche volontari come me. Prima, però, devono passare una sorta di esame che valuta se la loro anima è buona o no, tenuto dalle anziane, per evitare che ai bambini venga fatto del male."
"Mi pare giusto. E in cosa consiste?"
La più grande era uscita e l’altra l’aveva accompagnata. Udivano appena le risate delle bambine e le chiacchiere di Andrew, Noah e Sky. Faceva ancora fresco e Demi fu felice per questo.
"È lunga da spiegare. Credo che lo scoprirai presto, ma non è nulla di preoccupante. Ora vado a lavare i piatti.”
“Va bene, io resto fuori, torno fra poco.”
Demi rimase un po' a godersi l'aria del mattino. Quando altro le sarebbe capitato di respirarne una così pura? Di certo non presto e non a Los Angeles. Gli uccellini cantavano come impazziti salutando quella giornata primaverile. Ogni tanto qualche coniglio con le corna da cervo, che aveva imparato chiamarsi jackalope, correva e saltellava senza mai avvicinarsi a lei. Un gruppetto di bambini, forse dei folletti, passò a gran velocità. I piccoli si rincorrevano, saltavano, rotolavano per terra e la fecero sorridere. Ma la frase di Eliza le rimase in testa.
“Credo che lo scoprirai presto.”
Che significava? Che per lavorare all’orfanotrofio avrebbe dovuto sostenere quell’esame o alludeva ad altro? Era il caso di preoccuparsi?
Appena rientrata, qualcuno bussò alla porta e Demi aprì.
"Ciao, Kaleia" la salutò andandole incontro.
"Ciao, cara. Come state?"
"Bene, grazie. Voi?"
"Tutto a posto."
La fata sorrise e, se la cantante notò qualcosa di strano nel suo sguardo, non lo diede a vedere. Dopo i vari saluti, anche Kaleia e il marito presero posto a tavola.
Christopher indicò la coppia.
"Vi dobbiamo parlare."
"È successo qualcosa?" chiese Andrew, una nota di apprensione nella voce.
"Purtroppo sì" continuò l’uomo. "E ci dispiace tantissimo."
"Ragazzi, parlate. Ci state spaventando" mormorò Demi, scossa da un forte tremore, mentre il suo respiro accelerava. Sky portò le bambine in salotto spiegando che i genitori dovevano dirsi cose da grandi con sua sorella e Chris. Le piccole, intente a giocare, non prestarono attenzione a nulla, al contrario della fata.
In cucina, intanto, fu Kaleia a prendere la parola.
"Ieri sera mio marito si è diretto nella piazza e ha sentito ancora commenti sprezzanti nei confronti di Hope e ora anche in quelli di Mackenzie e di voi due, benché la gente non conosca i vostri nomi.”
“La tensione si sarebbe potuta tagliare con un coltello, ma sono riuscito a calmare le acque. Per sicurezza sarebbe meglio che voi andaste dalle fate anziane. Dovranno esaminarvi per capire se la vostra anima è buona o no. È stata fatta una votazione a cui io non ho partecipato: se non accetterete, dovrete andarvene."
"Esaminarci?" tuonò Andrew, battendo un pugno sul tavolo. "Una votazione per decidere il nostro destino? Cazzo, non siamo dei fottuti criminali! Siamo qui in questo sogno e, anche se ce ne andassimo, non sapremmo dove dirigerci. Non potremo tornare a casa finché non terminerà."
“Andrew, ti prego, calmati.” Eliza gli poggiò una mano su una spalla. “Ne possiamo parlare e sistemare le cose, d’accordo?”
“Calmarmi? Come accidenti faccio a stare tranquillo dopo tutto questo, me lo spieghi? E d’accordo un corno” la attaccò.
"Noi non vogliamo mandarvi via" si intromise Kaleia, parlando con dolcezza.
"Voi no, ma altri sì, a quanto pare. La mia famiglia non rimarrà un minuto di più in un posto dove non ci vogliono e nel quale non possiamo decidere se restare o meno a causa delle chiacchiere della gente che fa votazioni su di noi, neanche fossimo nell’antichità, trattandoci alla stregua di oggetti. Demi, prendiamo le nostre cose e andiamocene. Ora."
Si alzò di scatto facendo cadere a terra la sedia, mentre tutti lo guardavano senza riuscire a proferire parola.
"Vado da lui.” Non appena la porta della loro camera sbatté la ragazza si alzò. “Non posso lasciarlo solo.”
Noah la fermò.
"No, aspetta. Non è il caso."
"Come non è il caso? È il mio fidanzato, i problemi si risolvono insieme."
"E su questo hai ragione," intervenne Sky, "ma se andassi ora finirebbe per prendersela anche con te. Diamogli il tempo di calmarsi, d'accordo?"
Seppur non proprio convinta, Demetria tornò a sedersi e attese con gli altri continuando a contorcersi le mani e a battere le punte delle scarpe sul pavimento mentre parlavano dell’accaduto.
Andò da Andrew dopo un quarto d'ora, dato che ancora non usciva. Lo trovò seduto sul letto a gambe incrociate e con lo sguardo perso nel vuoto.
"Possiamo parlare?" gli chiese con dolcezza.
"Sì" rispose lui, più tranquillo ma ancora alterato.
"So che quello che ci hanno detto ti fa incazzare. Fa arrabbiare moltissimo anche me, non credere che sia il contrario.”
“Sul serio? Non sembra, sai?”
La sua risposta sprezzante le fece venire voglia di dargli uno schiaffo, ma la ragazza si trattenne. Voleva chiarire e calmarlo, non litigare e peggiorare quella situazione già strana e complicata.
“Ti assicuro che è la verità. Se prima non ho alzato la voce anche io, è stato solo perché c’erano le bambine a pochi passi e non volevo spaventarle, hanno già avuto dei giorni difficili e fuori dall’ordinario. Ma è stata dura trattenersi, molto dura” sottolineò, con le mani strette in due pugni.
“Continua.”
“Anch'io ho pensato di andarmene."
"Ma? Perché c'è un ma, vero?"
"Esatto. Ma, più che sul resto della gente di questo posto, dovremmo concentrarci sugli abitanti della casa in cui viviamo, sui membri di una famiglia così bella. Loro ci hanno accettati, al pari di Aster e le sue compagne. E se l'hanno fatto, siamo già un bel passo avanti. Non ci vogliono cacciare e qui non ci sentiamo degli intrusi, come non abbiamo avuto questa sensazione nella grotta delle ninfe. Nessuno di loro ci tratta come oggetti, qui siamo persone con dei sentimenti. Eliza ha fatto sentire Hope a casa e lo stesso con noi, per lei siamo come se fossimo a tutti gli effetti parte della sua famiglia e anche per gli altri è così, perfino per Sky. Io mi sono sentita accolta con calore, non hai avuto anche tu questa sensazione?"
“Beh, sì. Sono tutti gentili.”
“Ecco, appunto.”
"Quindi stai dicendo che secondo te dovremmo comunque sostenere quell'esame?"
"Ti risponderei che, dato che queste persone ci accettano, ne farei volentieri a meno. Che mi importa di ciò che pensano gli altri? Niente, nemmeno li conosco. D'altra parte, però, voglio anche che le acque si calmino, che non ci siano pericoli né per noi né, soprattutto, per le nostre figlie se resteremo e che quando cammineranno per strada non riceveranno sguardi o commenti malevoli.” Mackenzie ne stava passando già troppe con il bullismo, si sarebbe sentita ancora peggio se fosse accaduto qualcosa del genere anche lì, in particolare se fatto dagli adulti. La storia non doveva ripetersi. Lo disse al fidanzato che assentì. La ragazza riprese: “Mi hanno spiegato che c'è un anziano che ha aizzato tutti contro di noi com'era accaduto in precedenza, e detto che lo manderanno via se le fate anziane ci considereranno puri e buoni di cuore."
In quel quarto d'ora era venuta Aster e l'aveva comunicato loro.
"In parte mi sento ancora trattato come un criminale e questa cosa non mi piace, non mi piace per niente" sibilò Andrew. “È come se mi stessero mancando di rispetto, giudicandomi senza nemmeno conoscermi, cosa che è a tutti gli effetti.”
"Nemmeno a me, e concordo."
"Ma il tuo ragionamento ha senso, e se la gente è stata aizzata la colpa non è di certo di tutti, anche se avrebbero potuto tranquillamente non seguire le insensatezze di quel tipo. In fondo, ognuno dovrebbe ragionare con la propria testa. La questione dell’esame è particolare, non c’è dubbio.”
“Insolita, sì.”
“E poi scusa, come mai non è successo niente di tutto questo a Mackenzie, prima, se è già venuta qui? O invece è accaduto?”
“No, tranquillo. Ho avuto anch’io il tuo stesso timore e ne ho parlato con tutti, anche con lei. Mi hanno detto che, dato che restava poco, la sua presenza non è praticamente stata notata e la voce non è circolata.”
“Meglio così. Ripeto, è assurdo, però va bene, per stare tranquilli faremo questo cavolo di esame, visto che a quanto pare è importante."
"Okay." Si baciarono. Fu un bacio leggero ma caldo che li aiutò a tranquillizzarsi. C'era troppa tensione nell'aria perché fosse un gesto d'amore appassionato, ma l'affetto restava. "Grazie per aver capito e dato a queste persone una possibilità."
"Spero che tutti la daranno a noi."
"Sono sicura che sarà così" gli rispose la fidanzata con un gran sorriso.
"E visto che ci siamo, grazie a te per avermi fatto ragionare".
Anche Andrew sorrise, benché la sua espressione risultasse ancora tirata.
“Un’ultima cosa: Aster mi ha detto che le anziane si rivolgono agli altri dando loro del voi, noi dovremo fare lo stesso.”
“Cavolo, addirittura! D’accordo. Spero perdoneranno il fatto che Mackenzie forse non ci riuscirà, non credo sappia neanche cosa significa.”
“Sono convinta che capiranno, non preoccuparti.”
Una volta tornati in salotto i fidanzati uscirono con le bambine, Aster e le due coppie.
Mamma, dove andiamo? Chiese Mackenzie.
“A parlare con delle signore, tesoro. Tranquilla, sono buone, non succederà niente di brutto.”
E perché vogliono parlare con me? Ho sbagliato qualcosa?
Non le sembrava. Si era sempre comportata bene fino a quel momento, era stata educata. Strinse i denti fino a che una fitta di dolore le attraversò la bocca.
“No, desiderano solo conoscerti.”
Mackenzie si rilassò e si accontentò di quella risposta.
“Dovranno parlare anche con te, Hope,” aggiunse Andrew, “ma non dovete avere paura.”
La più piccola non capì bene, ma sorrise.
"Dove sono le anziane?" chiese Andrew.
"Vicino alla grotta dove stiamo io e le mie sorelle ninfe. Vi consiglio di prendere le bambine in braccio, la strada sarà lunga."
Hope si stancò dopo un quarto d'ora di cammino, Mackenzie resistette di più, ma alla fine trovò posto fra le braccia del padre. Nessuno parlò un granché durante il tragitto, se non di cose come il tempo atmosferico e il silenzio che li circondava. Per il resto, tutti ammiravano le fronde degli alberi che frinivano mosse dal vento. Le foglie erano di un color verde acceso che conferiva allegria all'ambiente e sui rami, invisibili agli occhi, gli uccelli cinguettavano felici. Ogni tanto qualche jackalope saltellava e poi correva a nascondersi alla vista di quegli sconosciuti. Gli animi di Andrew e Demi erano cupi, i due sudavano in maniera più copiosa rispetto agli altri, mancava loro il fiato e nessuno dei presenti era in vena di chiacchiere. Perfino Hope, che a volte era chiacchierona, capì che era il caso di rimanere in silenzio. Le gambe e i piedi della coppia cominciarono a dolere dopo diverso tempo, complici la stanchezza e il fatto che sì, erano abituati a camminare, ma non tanto a lungo.
"Grotta! Una grotta!"
Hope la indicò dopo aver parlato.
"Sì, tesoro, lì abitiamo io e le mie sorelle. Ora, però, dobbiamo andare da un'altra parte. Non è lontano, ci siamo quasi."
Si avvicinarono all'abitazione di Aster e svoltarono a destra, passando sotto alcuni rami di diversi alberi che quasi si univano a creare un intrico di foglie. Al di là non si vedeva niente. Passarono dall'altra parte. Tre donne se ne stavano sedute ognuna su una pietra rotonda e alta diversi centimetri, con uno schienale fatto dello stesso materiale. Assomigliavano a tre veri e propri troni, anche se non avevano nessun elemento decorativo a impreziosirli. Le tre anziane erano magre e avevano gli occhi socchiusi, diverse rughe sul viso e i capelli lunghi e canuti.
"Salve. Vi stavamo aspettando" decretò quella al centro con voce roca. "Abbiamo sentito le voci che girano al villaggio, perciò supponevamo che prima o poi sareste venuti qui. È necessario che vi esaminiamo a uno a uno per capire se il vostro cuore e la vostra anima sono buoni e puri. Acconsentite?"
Mackenzie strinse forte la mano del padre – allora erano venuti lì per un motivo più importante che conoscerle! –, Hope invece quella della madre. Mac si domandò perché i genitori non le avessero detto la verità, né spiegato che voci giravano al villaggio, ma quando scese dalle braccia di Andrew e lo scrisse l’uomo le rispose che, per quanto lei fosse matura, quelle erano cose troppo difficili per una bambina. Anche se odiava risposte del genere perché, cavolo, lei si sentiva grande, Mackenzie non ribatté. Non era il momento.
"Va tutto bene, non vogliono farci del male. Devono solo guardarci e parlarci, promesso. Nessuno di noi ha fatto niente. Al villaggio dicono che siamo pericolosi, ma non è vero, okay?” spiegò Demi alle figlie, con il tono più dolce che le riuscì.
Le pareva lo stesso che utilizzava Dianna quando lei, da piccola, aveva avuto paura del lupo cattivo delle favole e la donna aveva cercato di farle capire che erano storie e che non sarebbe mai uscito a mangiarla e aggiunto che, anche se fosse stato così, lei l'avrebbe sempre protetta. La ragazza si augurò che anche le anziane l’avrebbero capito.
"Adesso siamo tutti insieme, non c'è niente di cui aver paura se ci sono mamma e papà con voi" continuò Andrew.
Rimasti in disparte, i loro accompagnatori sorridevano e così anche le anziane, pur mantenendo la loro compostezza.
Mackenzie e Hope trassero un lungo sospiro. La minore non aveva capito bene tutto quel discorso, ma i genitori erano relativamente calmi, per cui si disse che forse poteva esserlo anche lei. Quelle donne non le facevano poi così paura, forse erano più vecchie di sua nonna ma chissà, magari simpatiche quanto lei e avrebbero giocato insieme. Mackenzie era più sospettosa. Non staccava loro gli occhi di dosso, temendo che avrebbero potuto farle del male, ma le tre rimanevano immobili. La cosa strana era che, nonostante tenessero gli occhi quasi del tutto chiusi, parevano vederci, il che le faceva battere il cuore all’impazzata, ma cercò di stare tranquilla anche per il bene della sorellina.
“Acconsentiamo” risposero i suoi genitori.
Mamma, che significa acconsentire?
“Essere d’accordo, tesoro.”
Mackenzie guardò le donne e annuì,.
Fu proprio lei la prima a essere chiamata dall'anziana di destra. Si avvicinò alle donne fino a quando, a pochi centimetri di distanza, le ordinarono di fermarsi.
"Sappiamo che non puoi parlare, per cui non ti chiederemo niente" dissero in coro.
"Siamo anche a conoscenza del fatto che sei brava a scrivere e una bambina buona e dolce. Proprio perché sei piccola, il tuo cuore e la tua anima sono puri. Benvenuta a Eltaria!"
Mackenzie allungò una mano, che le tre le strinsero. Avevano la pelle grinzosa, ma le loro strette erano materne.
All'inizio, Hope non volle andare. Scese, ma continuava a stringere la mano di Demi in modo convulso, mentre con l'altra si aggrappava a una delle sue gambe.
"Non voio, mamma, non voio!" piagnucolava, mentre la ragazza e Andrew, oltre a ripeterle di non temere e che non era sola, non sapevano cosa fare per convincerla.
Le anziane la rassicurarono con parole dolci e vennero verso di lei, ma ora che le vedeva più da vicino Hope aveva paura di quelle tre donne e si mise a urlare a più non posso. I genitori le cantarono qualche canzoncina continuando a camminare per calmarla. Le anziane li guardavano dispiaciute. Avrebbero fatto volentieri a meno di sottoporla a quell'esame visti tutti i suoi pianti, ma benché i bambini fossero sempre puri e innocenti era obbligatorio che lo facessero anche loro, non potevano esserci eccezioni.
"Si chiama Hope, giusto?" chiese quella di sinistra.
Se non per le voci diverse, alcune più acute e altre più gravi, sarebbe stato impossibile distinguere le anziane l'una dall'altra. Fisicamente erano uguali e anche nel modo di vestire, indossavano tutte e tre una gonna bianca lunga fino ai piedi e una maglia dello stesso colore.
"Sì" rispose Andrew.
"Hope? Hope?" insistette la signora con voce vellutata.
"Su, tesoro, guardala. Non ti fa niente" la incalzò Demi che ancora la stringeva.
Quando la piccola volse lo sguardo in quella direzione, l'altra tirò fuori da chissà dove un sonaglio. Forse era opera di magia, o magari lo teneva in una tasca che non avevano visto, ma catturò l'attenzione della bambina. Il colore argentato di quel campanellino appeso a un sottile filo risplendeva ai raggi del sole che filtravano tra gli alberi.
"Vedi che bello?" continuò l'anziana scuotendolo con vigore. "Se vieni da noi te lo regalo."
Hope rise di cuore e scese dalle braccia della mamma per precipitarsi dalle anziane. Per prima cosa le diedero il sonaglio, poi le dissero di fare qualche passo indietro e fermarsi.
"Sei bella, sai?" considerò quella al centro. "Come tua sorella. Sappiamo che sei anche brava e dolce. Sei pura anche tu, puoi andare."
Le altre assentirono e Hope corse di nuovo dalla mamma mostrandole quel piccolo giocattolo come se fosse stato il premio che aspettava da una vita.
"Aster."
Fu quella di sinistra a rivolgersi alla ninfa, con voce più ferma di prima.
"Sì, signora?"
"Vi chiedo di portare fuori tutti, tutti quanti, soprattutto le bambine. Abbiamo bisogno di parlare con Andrew Marwell e Demetria Devonne Lovato da sole."
Mentre metteva giù Hope, le diceva di andare dalla ninfa e che lei sarebbe tornata presto, a Demi si mozzò il respiro. Poche persone la chiamavano così: sua madre quando combinava qualcosa, Andrew in occasioni serie e altre in contesti formali. Si rendeva conto che anche quello lo era, almeno per lei e Andrew, ma l'utilizzo del suo nome completo le aveva fatto capire quanto.
Una volta che tutti furono fuori da quella parte di bosco, lei e il fidanzato si strinsero la mano e rimasero fermi, in attesa. Le anziane li guardarono a lungo, da capo a piedi, studiandoli con attenzione. I loro sguardi erano intensi, penetranti, così tanto da far male.
"Avete delle figlie meravigliose" affermò con convinzione quella al centro. "Avvicinatevi. Piano. E lasciatevi la mano."
Non avere più il sostegno dell'altro fu, per entrambi, come perdere un po' della forza che si trasmettevano a vicenda. Si ritrovarono deboli e soli, pur vedendo e sentendo che l'altro era lì accanto, a pochi centimetri di distanza.
"Avete paura?" chiese quella a destra, con voce incolore.
"Non abbiamo mai sostenuto un esame del genere prima, quindi sì" rispose Demi per entrambi, mentre Andrew annuiva.
"Non dovete, se andrà tutto bene ci vorrà poco. Ora vi farò qualche domanda. Assolverò io il compito in quanto sono la più vecchia di tutte, e per la nostra legge ho il dovere di porvi questi quesiti ai quali dovrete rispondere con assoluta sincerità. Se le altre vorranno, però, potranno aggiungersi e fare domande a loro volta. Tutto chiaro?"
"Chiaro" risposero entrambi.
Sia i due che le anziane erano serissimi, adesso.
"Bene. Conosco già i vostri nomi. So anche perché siete finiti qui a Eltaria. Vi sentite ancora in colpa per aver perso Hope?"
"Sì" disse Demi senza nemmeno pensarci.
"Sì, anch'io" sussurrò Andrew.
“Forte, dovete parlare più forte. Altrimenti potremmo pensare che non dite la verità.”
“Scusatemi. Ripeto: sì, anch’io.”
“Demetria Devonne, perché continuate a provare questo sentimento anche se tutti vi dicono che non dovete?” domandò quella al centro.
Stavano leggendo le loro menti. Lo capirono non solo da quei discorsi che potevano sollevare tale dubbio, ma anche a causa di un mal di testa martellante che dalla fronte si stava propagando alle tempie e in ogni altra zona e del fatto che le voci delle anziane parevano essere sia fuori che dentro e provenire da ogni parte. Rimbombavano nelle loro teste. Ciò fece loro impressione, chissà quante cose stavano vedendo quelle donne, tutto quello che era accaduto loro nel passato, violando qualcosa che doveva rimanere privato. Al solo pensiero, venne loro da vomitare. Si portarono una mano davanti alla bocca, piegandosi in avanti, ma non uscì nulla, nemmeno un conato.
“Perché ogni madre lo proverebbe, non importa ciò che possono dirle gli altri” rispose la ragazza.
“So cosa state pensando” asserì la terza. Noi vediamo tutto nella vostra mente, ma ci limitiamo ai fatti e a qualche sentimento, lasciamo molte cose private come dev’essere. Se vogliamo capire qualcosa, lo facciamo con le domande.”
I due sospirarono di sollievo.
“E voi, Andrew,” continuò la donna più vecchia, “perché non dite il motivo per cui vi sentite in colpa?”
“In parte perché è lo stesso di Demi.”
“E?” lo incalzò.
Lui trasse un respiro tremante.
“E… perché ho difficoltà a esprimere i miei sentimenti.”
“Come mai?”
“Negli anni mi sono successe cose brutte e mi sono chiuso in me stesso. Ora, però, sto cominciando a cambiare, ad aprirmi. Tuttavia, non può succedere da un momento all’altro, è un percorso e a volte faccio fatica.”
"Definite quanto amate le vostre figlie."
Che domanda del cazzo pensò Demi.
"Anche se vi sembra stupida, Demetria Devonne, è importante per capire la vostra anima" le rispose la stessa vecchia.
"Scusatemi, non volevo pensare quella parolaccia, non era mia intenzione mancare di rispetto a delle figure importanti come voi.” Si sfregò le mani sui pantaloni. Se ne vergognò, avrebbe dovuto fare più attenzione. "Soprattutto in un contesto così formale come quello in cui ci troviamo. Comunque, non ci sono parole per definire questo amore. È così grande da essere senza misura."
"Io posso solo dire che da quando, oltre a Demi, ho anche loro nella mia vita, mi sento completo" rispose Andrew, sincero, mentre gli occhi gli si inumidivano.
La fidanzata gli sorrise.
"Avete intenzione di fare del male alla gente di qui, rubare, mentire, ferire, uccidere o altro?"
"Cielo, no! No, noi siamo grati a queste persone. Hanno salvato nostra figlia e ci stanno ospitando."
"Demetria ha ragione. E per quanto riguarda quelli che non ci considerano brava gente, se questo esame andrà bene spero che dopo non ci saranno problemi. Non ci è nemmeno passato per l'anticamera del cer… volevo dire, per la testa di far del male a qualcuno, noi non siamo quel tipo di persona."
Iniziò una trafila di domande, anche da parte delle altre due, riguardanti lo stato psicologico di Andrew, la situazione di Demi e i suoi problemi passati. Le anziane volevano capire quanto quello che era successo alla ragazza anni prima e al ragazzo in passato ma anche non molto tempo addietro influisse sulla loro vita presente, sul rapporto con le figlie, quello con familiari e amici e sull'accettazione di loro stessi. Furono domande complesse, che scavarono nel profondo dei due giovani facendoli anche piangere, riportando alla mente ricordi ancora vividi, presenti e dolorosi ma che, almeno in quel momento, avrebbero voluto dimenticare. Nonostante la difficoltà risposero a tutto, non crollarono mai completamente e sperarono che quelle crisi non dessero di loro un'immagine sbagliata, di persone deboli, o stupide, o poco sincere. Quelle domande sondarono i loro sentimenti più profondi e negativi come dolore, paura, tristezza e senso di colpa. Alla fine le anziane misero a una a una le mani sui loro cuori e dissero insieme:
"Avete superato un esame difficile per chiunque, dimostrando di essere non solo forti nello spirito ma anche buoni e puri di cuore. Nessuno può esserlo del tutto. Nel fiume non ci sono solo varie specie animali e acqua pulita, bensì anche terra, sassi, sporcizia, a volte la corrente è più forte e nelle sue profondità si nascondono pericoli. Come esso non è puro al cento per cento, così non lo è nessuno. Con ciò intendiamo dire che, anche se avete commesso degli errori, non siete persone cattive. Potete andare, e vi diamo il nostro personale benvenuto a Eltaria!"
Ai due piacque moltissimo la metafora del fiume, in effetti caratterizzava alla perfezione l’animo umano e quello di tutte le creature.
"Demetria!" la richiamò ancora una signora e lei, che si era voltata, si girò per guardarla. "So che desiderate lavorare nell'orfanotrofio di Eltaria, l'ho visto nella vostra mente assieme alle mie compagne."
"È così, signora."
"Lo trovo un gesto nobile.”
“Vi ringrazio.”
“Ho anche visto che Andrew vorrebbe farvi visita con voi oltre ad aiutare quando verrà altre volte, è vero, signore?”
“Sì.”
“Bene.” Presi due fogli e una penna, scrisse qualcosa. “Demetria Devonne, questo è un documento da mostrare alla Direttrice, se vi accetterà, che attesta che possedete tutti i requisiti. E Andrew, ecco il vostro per permettervi di visitarlo e stare con i bambini ogni volta che vorrete. Aggiungo che avete entrambi un cuore grande e tanto amore da dare non solo alle vostre figlie, ma anche ad altri bimbi."
"Lo darei a tutti quelli del mondo, se solo potessi" dichiarò Demi e Andrew annuì.
"Sì, non mi stupisce." Passò i fogli alle sue compagne perché li firmassero e poi ai fidanzati. "Se volete leggere e firmare…"
Quelle parole erano una loro descrizione sia in termini positivi che negativi, del resto nessuno è perfetto, ma davano di loro un'immagine di persone buone e belle dentro, cosa che fece loro un gran piacere. Le trovarono troppo generose, o magari erano loro che si sminuivano come al solito. Dopo queste, nel foglio di Demi c’era scritto:
Dichiariamo dunque che Demetria Devonne Lovato potrà non solo visitare l’orfanotrofio, ma anche lavorarci per tutto il tempo che vorrà.
In quello del fidanzato era riportata una cosa simile ma solo riguardo le visite.
"Come farà la gente a sapere che ci avete accettati?" domandò Andrew.
“Se mostrerete il documento si fideranno, ma potrebbe non essercene bisogno. Del vostro esame si parlerà presto al villaggio – noi non diremo niente, ma le voci corrono – e, vedendo che non ve ne siete andati, le persone capiranno che non dovranno temervi.”
I due ringraziarono, si inchinarono, strinsero loro la mano e, svuotati di molte delle loro energie fisiche e soprattutto mentali, uscirono per riunirsi agli altri.
   
 
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