Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Luschek    21/03/2021    2 recensioni
Tratto dal testo:
«Dov’è Bertolt?»
Nessuno risponde. Pieck aumenta l'intensità della presa e volge l’attenzione su Zeke, che butta la cicca per fumare una terza sigaretta. I due si guardano tra loro, però non si azzardano a sostenere lo sguardo di Reiner. Non ha bisogno che l’uomo pronunci le fatidiche parole, affinché capisca.
Quel silenzio tagliente gli fa sembrare tutto così chiaro, è il tassello mancante del puzzle che fino a poco prima era incompleto: Bertolt non è al suo fianco perché è morto.
{Hanahaki!AU | Pairing: ReiBert, PokkoPikku | Avvertimenti: Spoiler!}
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Berthold Huber, Porco Galliard, Reiner Braun, Zeke Jaeger
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 3 


Affrontare il Dolore 

 

 

Reiner non batte ciglio. Ha il petto in fuori, il mento alto e perfino gli occhi lucidi, mentre ascolta l'inno Marleyano. Col fisico statuario e quell'atteggiamento fiero, ricorda a Porco la caricatura del perfetto Guerriero, che viene mostrata spesso durante l'addestramento dei cadetti. Lo trova patetico, ma tace. Oggi l'astio che nutre nei suoi confronti non può avere la precedenza.  

Insieme a Pieck, si è imposto l'obiettivo di far luce su quella faccenda misteriosa. Infatti, non è casuale che sia il ragazzo che la ragazza si siano piazzati ai lati del collega, nel frattempo che il coro celebra la solennità del governo Marleyano. Questo è solo il primo passo del loro piano e nulla lo farà desistere dal portarlo al termine.  

Tanto è rimasto alzato, che gli pulsano le piante dei piedi e gli formicolano i polpacci, eppure si impone di non sfigurare accanto a Reiner, il quale, invece, sembra non sia affatto toccato da quella fatica. Non ha neanche una goccia di sudore che gli scorre sulle tempie, lo stupido.  

Porco lo scruta con gli occhi ridotti a due fessure, torvo in volto, e sembra un falco intento a studiare la preda. In parte lo è, dato che attende trepidante di cogliere un guizzo di debolezza nell’atteggiamento altrui. Anche se si ostina a dimostrarsi impassibile, si è reso conto che Reiner è più fiacco da un certo periodo fino ad oggi – azzarderebbe parecchio, se dicesse che questa coincidenza si sia manifestata dopo l’assurda scoperta che ha fatto insieme a Pieck qualche settimana prima.  

L’altro ragazzo ha degli aloni scuri che gli contornano gli le palpebre, dettaglio che, né la vista aguzza dell’amica, né la propria, si sono lasciati sfuggire. Di solito, in circostanze in cui il sonno viene a mancare vi è il Titano che rinstaura le energie – ma sembra che, nel caso di Reiner, il Corazzato non assolva a tale compito. Dev’essere successo qualcosa, hanno pensato entrambi, quando si sono accorti di quel particolare – e l’enigma si è infittito maggiormente, quando hanno ottenuto quell’indizio.  

«C’è qualcosa che non va?»  

Il sussurro di Reiner è flebile, ma sussulta comunque quando gli giunge alle orecchie. Si fissano con la coda dell’occhio a lungo e in silenzio, finché Porco nega tramite un lieve cenno del capo.  

«D’accordo. Perché mi osservi, allora?»  

Dalla sua bocca non proviene alcuna risposta, men che meno dallo sguardo, che distoglie, per concentrarsi sull’uomo in divisa che, al termine dell’inno, si posiziona dinanzi un leggio e prende parola. La faccia dell’individuo è conosciuta, ma non sa associarla a nessun nome. Probabilmente è uno dei tanti ufficiali che, durante le battaglie, restano nelle retrovie a sollazzarsi, per poi prendersi tutto il merito quando ritornano a Marley. 

«Compagni Marleyani! Quale onore, quale gioia è avervi qui, oggi! Amati Guerrieri, fiore all’occhiello del nostro Impero! Che privilegio! Vi ringrazio tutti per essere presenti!»  

Il resto del discorso sfuma in un brusio, come una fastidiosa interferenza che gli rende più arduo focalizzarsi sui propri pensieri. Spera che termini presto quella tortura: considera tale rimanere impalato al centro di una piazzaforte, mentre ascolta il burattinaio del governo stillare bile dalla bocca, ad ogni parola che pronuncia. A Porco non importa molto, se quell’uomo tessa le lodi dei Guerrieri perché nutre un profondo e sincero rispetto nei loro confronti. Fino a quando non mancherà nulla ai suoi genitori, a lui andrà bene tollerare l’ipocrisia, nonostante gli provochi una fastidiosissima orticaria. 

A riportarlo alla realtà è un colpo di tosse. Non un anonimo lamento che si leva dalle truppe, dalle tribune, o dalla prima fila di seggi su cui oziano i comandanti. Il colpo di tosse proviene dal ragazzo accanto a sé. Senza dire nulla, lo scruta tramite la coda dell’occhio, in attesa di qualsiasi indizio che possa confermare i suoi dubbi. Reiner tossisce solo un’altra volta, piano, cosicché l’auditorio non venga disturbato.  

«Tutto bene? Hai una brutta tosse… sembra che fumi» lo stuzzica Pieck.  

«Sì. Solo un po’ di mal di gola» replica quello, facendo rizzare le antenne ad entrambi.  

“Come può avere mal di gola?” si chiede Porco.  

Basterebbe concentrarsi, affinché il Titano lo curi. Perché tenerselo?  

La ragazza ha avuto il medesimo pensiero, poiché reclina il capo all’indietro e gli lancia un’occhiata circospetta. Il ragazzo annuisce, per confermare che ha notato anche lui quel dettaglio incoerente.  

«… infine, mi auguro che vi troviate nella nostra modesta cittadina. Come stabilito dal decreto cinquecento nove, articolo dodici e comma sette, tutti gli eldiani dovranno circolare sia all’interno delle aree a loro riservate, sia che in quelle esterne, indossando rigorosamente la fascia identificativa. Non ci saranno eccezioni di alcun tipo. E con questo, non credo vi siano ulteriori notizie da comunicare. Vi auguro una splendida permanenza!»  

Porco tira un sospiro di sollievo quando la solfa finisce. Percepisce le gambe indolenzite ed è impaziente di sgranchirsele, ma attende che sia Zeke il primo a rompere la fila. Quando ciò succede, Reiner lo segue a ruota, poi prosegue lui e a chiudere la colonna vi è Pieck. Adesso che non indossa più le stampelle, la ragazza può restare al loro passo – in ogni caso non sarebbe stato un problema, poiché vi sarebbe egli a sostenerla. Come sempre.  

«Il generale è stato parecchio ridondante, oggi» commenta Zeke e tutti mugugnano per dargli ragione.  

«Penso che mi ritirerò nella stanza. Sono esausto. Voi andate in perlustrazione, piccoletti?»  

Sia lui che Reiner storcono le labbra in una smorfia di disgusto, quando sentono quel nomignolo. Solo Pieck appare impassibile, dinanzi quell'appellativo pronunciato con un tono languido.  

«Non lo so... Pokko, Reiner, voi che volete fare?»  

«Mi sembra un’ottima idea. Così vediamo com’è fatta questa colonia. Dicono che la specialità del luogo sia il cibo piccante, qui» suggerisce lui. 

«Non so, ragazzi… anch’io sono parecchio stanco.» 

La voce di Reiner è incerta, ma nessuno dei due accetterà un rifiuto. Infatti, Porco sa che Pieck si avvolge al braccio del collega per tale motivo. Zeke osserva incuriosito quel gesto. Probabilmente ha notato quanto sia straniante quel modo di fare della ragazza. 

«Dai, Reiner. Ti farà bene prendere un po’ d’aria fresca. Vuoi restare a dormire tutto il giorno, come un vecchietto?» lo canzona lei. 

«Ehi. Stai cercando di insinuare qualcosa, dolce Pieck?» la rimbecca Zeke e quella gli risponde con un sorriso sornione.  

Gli ribolle il sangue nelle vene, mentre guarda Zeke avvicinarsi alla ragazza e scostarle una ciocca di capelli dal volto. Non sa neanche lui perché provi un’emozione simile alla rabbia, soprattutto nei confronti dell’uomo, che ormai considera come il fratello maggiore di cui non ha potuto godere.  

Strizza gli occhi e li sbarra un poco quando realizza cos’è quel sentimento a lui familiare: è geloso. È geloso di Zeke. Distoglie l’attenzione dall’uomo, per concentrarsi su Pieck: sembra stare al gioco dell’uomo, ma mantiene il suo solito atteggiamento pacato e pronuncia le sue solite sentenze pungenti. Nonostante ciò, ogni sorriso o parola che lei rivolge all’altro gli corrodono lo stomaco.  

«Allora,» prorompe Porco, rivolgendosi a Reiner, il quale ha tentato, fino adesso, di divincolarsi dalla presa della ragazza, «andiamo? Non abbiamo tutto il giorno.» 

L’interpellato lo fissa con uno sguardo crucciato, poi sospira e scuote il capo, sconsolato.  

«Va bene. Devo andare in bagno, però. Quindi, Pieck… potresti lasciarmi, per favore?»  

La ragazza esegue quanto chiesto, non prima, però, di avergli dato una pacca di conforto sulla schiena.  

«Dovrei andarci anch’io» commenta Zeke.  

Senza essere vista dagli altri due, Pieck indica col capo Reiner. Seguilo. Il pensiero di seguire Reiner e Zeke in bagno non gli piace. Anzi, lo disgusta persino. Perché si è fatto coinvolgere in quella situazione?  

Nell’istante in cui i suoi occhi incontrano le iridi pece di Pieck, ricorda: perché prova più amore verso di lei, di quanto provi orgoglio.  

«Che coincidenza. Devo andarci anch’io» annuncia Porco, mentre le orecchie gli si tingono di rosso, a causa dell’imbarazzo. 

I tre uomini si osservano reciprocamente e, se da una parte Zeke fa spallucce e s’incammina, Reiner lo osserva con un sopracciglio sollevato. Ha notato anche lui il suo atteggiamento strano, ne è certo. 

«Che c’è, Braun? Mi scappa» lo anticipa.  

«Nulla. È solo una coincidenza, no, Galliard?»  

Porco annuisce e lo oltrepassa. Adesso Reiner non gli sembra più fiacco come prima, anzi, ha intravisto nella sua voce il bambino spocchioso che detestava da piccolo. Forse è solo una loro impressione e, dopotutto, non hanno motivo di credere che stia male. 

«Non metteteci troppo!» fa eco Pieck alle loro spalle.  

«Ci metteremo il tempo necessario!» le grida Porco di rimando, ormai rosso come un peperone.  

Prima di svoltare l’angolo, l’unico suono che ode è la risata di lei.  

 

Ha notato che qualcosa non va. Da un po’ di tempo ad oggi, Porco e Pieck gli stanno attaccati più del solito – l’atteggiamento recente di entrambi, inoltre, gli ha confermato questo sospetto. Vorrebbe capire cosa vogliano da lui, perché lo inquieta incontrare, ogniqualvolta che si volta, due paia d’occhi che lo spolpano vivo. È palese che cerchino di scovare qualcosa in lui: ma cosa?  

Reiner tenta ad aggrapparsi ai frammenti di memoria sparsi, che fluttuano nella mente come nuvole nel cielo. Quello che ne cava, però, non è nulla di concreto. Nutre un lieve sospetto, tuttavia non lo prende in considerazione: è stato attentissimo nel celare il proprio segreto. È impossibile che Porco o Pieck sospettino qualcosa. A meno che…  

«Dio mio, perché…» sibila Porco e i pensieri di Reiner si diradano.  

Allunga il collo oltre la spalla del collega, per capire cos’è che lo turbi, e ottiene la risposta alla sua domanda quando scruta Zeke servirsi dell’orinatoio. Non si scompone, sebbene un brivido di ribrezzo gli attraversi la schiena, e, a differenza dell’altro, affianca il superiore. Quello non batte ciglio, disinteressato da ciò che lo circonda, e Reiner si rilassa – o almeno, ci prova, dato che Porco non smette di far scorrere le pupille da lui a Zeke e viceversa, quando tutti e tre hanno i pantaloni slacciati. Non si scompone, a differenza dell’altro, e tende l’orecchio curioso, quando l’uomo lo richiama. 

«Porco.» 

La voce dell’uomo è calma e perentoria. Entrambi i ragazzi si voltano e lo fissano, in particolare Porco, che si mostra crucciato. 

«Se non la smetti di fissarmi, penserò che sei invidioso.» 

L’altro diventa rosso come la fascia che porta al braccio, sfoggia un lieve ringhio e a denti stretti sibila: 

«Non è vero! È solo che...» poi si blocca, inghiotte ciò che stava per dire, e sbuffa «lascia stare.» 

Mentre Zeke solleva la zip della cerniera, gli lancia un’occhiata eloquente e comprende il motivo di tale imbarazzo. Reiner arriccia le labbra in un sorriso lieve e l’altro sogghigna sotto la barba, nel frattempo che Porco impreca e si allaccia la cintura, che cigola sotto al suo tocco rude.  

Non lo dice, però gli è mancato ridere con qualcuno – gli riporta alla mente ricordi felici che non sono suoi, ma che custodisce gelosamente.  

 

La notte era il suo momento preferito, lì a Paradise. Durante il giorno Reiner era costretto ad indossare le vesti del Soldato – o forse non era più una maschera, quella? –, mentre di sera, dopo che avevano cenato e si erano infilati sotto le lenzuola, poteva essere sé stesso e bearsi del calore di Bertolt.  

Lo stava facendo anche quella volta: aveva appoggiato la guancia sul petto dell’altro e, senza protesta alcuna, si lasciava cullare dal battito del suo cuore. Probabilmente si sarebbe addormentato da lì a poco. 

«Dai, fallo se ne hai il coraggio!» sbraitò Eren e Jean ribatté qualcosa che non capì. 

Quando si sollevò una caciara, a cui si aggiunsero le voci di Connie e Marco, Reiner scostò piano il braccio con cui Bertolt lo stringeva, affinché non si svegliasse, e gattonò fino al bordo del materasso, da cui poteva scorgere cinque figure battibeccare tra loro – anzi, due litigavano furiosi, gli altri tre tentavano di separarli invano.  

«Jean! Eren! Basta! Che è successo?» 

Quello di Reiner avrebbe dovuto essere un urlo, ma parve più un sussurro, poiché non voleva disturbare il ragazzo che gli dormiva vicino. Nessuno dei due contendenti lo degnò di attenzione. Gridarono ancora, stavolta con maggior enfasi, e fu in quel frangente che decise di scendere dal letto, preoccupato per ciò che sarebbe potuto succedere. Prima che potesse raggiungere la scaletta a pioli, tuttavia, percepì qualcosa volargli accanto e, dopo, vide due cuscini schiantarsi sulle teste di Eren e Jean.  

«Cazzo, ha fatto male! Chi è stato?» sibilò il secondo. 

Si voltarono tutti in direzione di Reiner, accanto cui fece capolino Bertolt. Aveva i capelli arruffati, le palpebre mezze chiuse e un rivolo di saliva che gli scendeva dall’angolo della bocca. Sembrava ancora in trance ed egli si chiese come fosse riuscito a centrare i due bersagli. 

«Grazie, amico!» esclamò Connie, «E scusa per il disturbo!» aggiunse. Bertolt sollevò un pollice verso l’alto in risposta, poi crollò con la faccia sulle coperte. 

«Perché stanno litigando?» domandò Reiner agli altri tre, quando Jean ed Eren ripresero a gesticolare.  

Il primo mimava una lunghezza coi palmi delle mani, mentre l’altro negava tramite il capo. Che razza di discussione stavano intrattenendo? Nel frattempo che attendeva una risposta, allungò una mano verso Bertolt e gli accarezzò la testa. Quello non si mosse di un millimetro e lui sperò che fosse riuscito ad addormentarsi. 

«Ah, lascia stare Reiner... è una sciocchezza.» 

Un rossore tenue si propagò sulle guance di Marco, ma Reiner continuò a non comprendere. In suo soccorso giunse Connie, che gli rivelò senza alcuno scrupolo: 

«Stanno litigando su chi ha il cazzo più grosso!» 

Dall’altra parte della baracca qualcuno ululò un insulto, qualcun altro gridò “Io! Adesso tornate a dormire!” e qualcun altro – a giudicare dalla voce roca, fu Franz – rise a crepapelle. 

Armin e Marco si coprirono il volto con una mano, imbarazzati: Connie fece spallucce, noncurante di quanto aveva appena urlato. 

«Mi sembra un ottimo motivo per discutere nel bel mezzo della notte» scherzò, «aspettate, adesso scendo e risolviamo la faccenda.» 

Scosse appena Bertolt, per avvertirlo del suo allontanamento, però, a parte un respiro più profondo e rumoroso degli altri, non ottenne risposta. Gli scoccò un bacio leggero sulla nuca, poi, attento a non far traballare il letto a castello, scese. 

Quando raggiunse Jean ed Eren, questi erano sul punto di esplodere di nuovo – lo dedusse dalle orecchie bordeaux di Eren e dal ghigno strafottente di Jean –, ma fu più lesto di entrambi e tappò le loro bocche con le mani. 

«Smettetela di gridare, mi avete distrutto i timpani!» borbottò, «Se volete risolvere questo enorme dilemma, c’è solo una soluzione e voi due sapete bene qual è.» 

I due ragazzi tacquero e si scrutarono di sottecchi. Erano davvero così determinati da fare quanto aveva suggerito Reiner? 

La risposta provenne da Jean, che si divincolò dalla presa del ragazzo più alto, per poi indicare Eren. 

«Io e te. Fuori. Ora» dopo questo, puntò il dito anche contro Reiner «dato che ti sei intromesso, parteciperai anche tu. Vediamoci nelle stalle.» 

Eren e Reiner sollevarono un sopracciglio, perplessi, e osservarono la schiena di Jean mentre veniva inghiottita dalle ombre del corridoio. Connie, Marco ed Armin avevano affiancato i due rimasti. 

«Vuole farlo davvero?» domandò il primo, incredulo. 

«A quanto pare...» mormorò il secondo. 

«Be’, se è una gara del cazzo che vuole» ironizzò Reiner, «allora gliela daremo. Giusto, Eren 

Conclusa la frase, diede una vigorosa pacca tra le scapole di Eren, che barcollò in avanti. Questo aveva arricciato le labbra in un broncio disgustato – e qualcosa gli suggeriva che ciò era dovuto all’idea di calarsi i pantaloni dinanzi Jean. Non lo biasimava affatto: da qualsiasi lato si volesse guardare quella situazione, non era una prospettiva allettante 

«Puoi sempre ritirarti» suggerì Armin e Reiner sperò che l’altro accogliesse il consiglio dell’amico. 

«Neanche per sogno! Così gliela sarei vinta!» ululò Eren 

Un altro insulto, da parte di chi cercava di dormire, si librò nell’aria. Avrebbero dovuto svignarsela alla svelta, altrimenti si sarebbe scatenata una rissa all’interno dei dormitori.  

«D’accordo, d’accordo, basta urlare, però!»  

Dopo questo monito, il quintetto decise di defilarsi dalla camerata in punta di piedi. Quando il gruppo si fu allontanato, qualcuno proferì: 

«Grazie al cielo.» 

In molti concordarono con l’anonima voce. 

Arrivati alle stalle, trovarono Jean come aveva annunciato loro poco prima. La spavalderia sembrava che lo avesse abbandonato, sostituita da un broncio a cui Reiner non sapeva fornire spiegazioni. Forse ci aveva ripensato? Pregò che fosse così, tuttavia, anche se la situazione lo metteva a disagio, Jean non si tirò indietro.  

Nonostante la riluttanza iniziale, Eren gli si piazzò davanti, con lo sguardo severo di chi era pronto alla battaglia. Si mise accanto ai due e così formarono un triangolo.  

«Ricordatemi perché li stiamo assecondando.» 

Il volto di Marco era diventato paonazzo e, grazie al rossore, le sue lentiggini spiccavano moltissimo. Mentre osservava i ragazzi pronti a sfidarsi, Connie si prese il mento tra le dita, pensoso. 

«Io sono qui per scoprire se l’ego di Jean è grosso come il suo...» rivelò questo. 

«Allora! Che fate, vi vergognate? Avete paura di sfigurare?» gridò Jean, interrompendolo, e alcuni cavalli nitrirono e scalciarono, spaventati. 

«E chi dice che saremo noi a sfigurare, faccia da cavallo?» lo incalzò Eren, mentre si afferrò i lembi dei calzoni. 

«Ben detto, Eren!» Reiner rise, dopodiché chiese: «al mio tre sveliamo le carte?» 

Gli altri due annuirono e allora cominciò a contare. Giunto al tre, i duellanti abbassarono i loro pantaloni. Ci fu una lunga pausa, durante la quale Jean, Eren e Reiner si studiarono reciprocamente, ma nessuno di loro emise un verdetto. Infatti, fu Connie a rompere il silenzio creatosi: 

«Be’, ragazzi, siete proprio deludenti! Mi aspettavo di meglio da voi.» 

A Marco sfuggì una risatina, mentre Eren e Jean sollevarono le loro proteste contro Connie. Armin si mise in mezzo ai tre, con le braccia tese per tenerli lontani l’uno dall’altro, e Reiner tentò di risollevarsi i calzoni, così da aiutarlo, ma una voce proveniente dietro le figure di Marco e Connie lo fece trasalire. 

«Che state facendo?» 

Dopo che si avvicinò, Bertolt sgranò gli occhi e li fissò come se fossero stati dei folli – e forse lo erano davvero, dato che stavano infrangendo il coprifuoco imposto da Shadis per un motivo tanto futile. In particolar modo, lo sguardo di lui si soffermò su Reiner, che percepì le guance bruciare a causa dell’imbarazzo. Eppure, Bertolt non lo stava giudicando: pareva solo sorpreso di vederlo coinvolto in quelle circostanze. 

«Si stavano sfidando a chi ha il cazzo più grosso, ma non ha vinto nessuno» spiegò Connie, con un tono di voce delusissimo. Poco dopo, tuttavia, s’illuminò lo sguardo, e domandò: «Facci vedere il tuo, Bertolt!»  

Jean ed Eren tacquero, mentre Marco ed Armin si voltarono verso il nuovo arrivato. Reiner scosse il capo, perché sapeva che l’avrebbero messo soltanto a disagio con quei discorsi.  

«Connie! Lascialo stare, lui parte svantaggiato! Non conosci la regola della L?» 

Il commento di Jean zittì tutti. Bertolt non ribatté, ma abbassò lo sguardo e le guance assunsero una tonalità bordeaux. 

«Ne sei sicuro, Jean? O dici così perché hai paura che ti faccia rimangiare le parole e, magari, anche qualcos’altro?» lo rimbeccò Reiner, infastidito dalla saccenteria dell’altro.  

L’amico era troppo buono per rispondere, di conseguenza si sentiva in dovere di prendere le sue difese. Finché ci sarebbe stato, avrebbe difeso Bertolt a spada tratta: anche se si trattava di questione becere come quella su cui stavano battibeccando. 

«Be’, se mi sbaglio può sempre dimostrarmi il contrario. No?» rispose Jean piccato e si mise le mani sui fianchi. 

Tutti si voltarono verso il ragazzo più alto, in attesa di una sua replica. Si stava stringendo un polso con la mano, gesto che faceva spesso quando era in una situazione stressante.  

«Bertolt, non sei costretto a farlo» mormorò Reinercon le sopracciglia corrugate e la voglia di dare una bella lezione a Jean.  

«Già, lascia stare» disse Marco, «non devi dimostrare niente.» 

Bertolt fece un sospiro profondo, poi scosse il capo. Aveva una luce strana nello sguardo, che Reiner non seppe riconoscere. Cosa gli stava passando per la testa? 

«Va bene… Dopo possiamo tornare a dormire, però?» 

Nessuno ebbe il tempo di registrare ciò che stava succedendo, fino a quando non lo videro abbassarsi i calzoni. Soltanto Connie ebbe il coraggio di commentare con un “Wow, amico!”, mentre tutti gli altri si acquietarono e sbarrarono gli occhi, tranne Reiner, che si lasciò sfuggire una grassa risata quando guardò l’espressione sbalordita di Jean. 

«La regola della L, eh, Jean?» lo canzonò Connie. 

Bertolt si rivestì in fretta e così fecero gli altri, ma nessuno commentò ulteriormente. Jean si allontanò mogio, come se avesse la testa altrove, e non salutò, mentre Marco, frettoloso di raggiungerlo, si congedò con un cenno della mano. 

«Ben gli sta. Ottimo lavoro, Bertolt» commentò Eren, che si avviò verso l’uscita insieme ad Armin e Connie. 

Il “grazie” che mormorò Bertolt fu pronunciato troppo piano per essere sentito. 

«Voi due… venite con noi?» chiese il secondo. 

«No, grazie ragazzi. Rimaniamo qui per un po'» rispose Reiner e insieme all’altro li salutarono con un gesto della mano. 

 

Dopo che rimasero soli, Reiner si stampò in faccia un sorrisetto e si inoltrò nelle stalle. Si recò nell’angolo dove veniva ammucchiata la paglia  l’unico, inoltre, che era illuminato dai raggi lunari  e vi si sdraiò sopra. Bertolt lo raggiunse e, dapprima esitante, gli si coricò accanto.  

«Sul serio?» gli chiese, riferendosi alla sua lontananza, e allora l’altro gli si accoccolò al petto.  

Rimasero in un religioso silenzio, che venne spezzato solo quando Reiner scoccò a Bertolt un paio di baci fra i ciuffi corvini.  

«Gliel’hai fatta vedere a Jean, prima, eh? In tutti i sensi» ridacchiò e l’amato sollevò il capo per scoccargli un’occhiataccia  che non durò molto, perché Reiner fece cozzare immediatamente le loro bocche. Il bacio dapprima vorace, divenne poi lento e umido ma non gli dispiacque, anzi. 

«Be’… Qualcuno doveva pur vendicarti, no?» mormorò Bertolt col fiato corto, quando si staccarono. 

«Ehi! Stai insinuando qualcosa?» 

Si fissarono a lungo negli occhi, poi scoppiarono a ridere e i cavalli nitrirono di nuovo, spaventati dal rumore, e ciò intensificò le loro risa  quella di Reiner in particolare, perché Bertolt si conteneva anche nelle risate , finché non scemarono piano. L’unico suono percepibile divenne il loro respiro  e il brucare vorace di qualche animale poco propenso al sonno.   

«Reiner 

«Mh 

«Ti sta scoppiando il cuore…» gli fece notare Bertolt, che gli strusciò la guancia contro i pettorali. 

Reiner non replicò, perché l’altro aveva ragione: il suo battito era così veloce, che il cuore sembrava volesse scappargli dalla gabbia toracica. Non poteva farci nulla, però: l’altro gli provocava tale reazione ogni volta che lo aveva accanto. Gli era impossibile pensare ad altro che non fosse lui, oppure che non lo riguardasse. Si sentiva come incantato  a tal proposito, gli sovvenne la voce profonda di una donna che paragonava l’amore alla magia. Ignorava l’identità di quella signora che gli parlava con dolcezza e non volle interrogarsi troppo su di lei: in quel momento l’unica persona che contava nella sua vita la stringeva tra le braccia. 

«Be’, questa è colpa tua» scherzò, «sei tu che mi fai questo.» 

Non gli fu risposto nulla. Bertolt si limitò a guardarlo, dopodiché gli portò una mano sul viso e col polpastrello tracciò linee immaginare, percorrendo gli zigomi alti, la mandibola squadrata, la cunetta sul naso, e, infine, si soffermò sulle sue labbra screpolate. Sentì il corpo percorso da scariche elettriche piacevoli, quando Bertolt compì quel gesto. Senza esitazioni, allora, Reiner dischiuse le labbra attorno al dito. L’altro deglutì, ma sembrò apprezzare la sensazione, quindi lui continuò e si permise di succhiarlo, ricevendo un mugolio di assenso. 

«Adesso sei tu che mi farai scoppiare il cuore» affermò Bertolt, con la voce arrochita. 

«Penso che non sarà l’unica cosa ad esplodere» sussurrò malizioso Reiner e strappò un’altra risata al ragazzo. 

«Sei proprio pessimo, Reiner 

 

  

«Sei proprio pessimo, Reiner.» 

Sbatte le ciglia, confuso, e si volta verso il ragazzo che ha pronunciato quella frase. Porco pare deluso e comprende il motivo, solo quando questo ammicca alla porzione di polpo alla gallega che tiene in mano. Ne ha assaggiato solo un boccone e già percepisce lo stomaco in subbuglio  non sa, però, se sia colpa del peperoncino o di altro. È da troppo tempo che gira a zonzo in compagnia di Pieck e Porco – quasi due ore, ormai, da quando hanno lasciato l’edificio del quartier generale. Dovrebbe tornare al più presto nelle sue stanze, altrimenti rischia che si verifichino incidenti indesiderati.  

Deve trovare un modo efficace per scollarseli – o perlomeno trovare un luogo appartato dove vomitare, nel caso in cui si sentisse male. 

«Non ho molta fame» spiega spiccio, «penso che lo butterò…»  

L’altro ragazzo lo fulmina con lo sguardo, come se avesse appena insultato sua madre, dunque Reiner gli propone: 

«Oppure lo vuoi tu?»  

Allungatogli lo snack, Porco lo osserva con circospezione, soppesando la possibilità di accettare quel dono, poi glielo prende dalle mani e se ne porta un pezzo alla bocca, senza ringraziare – ma da lui non si sarebbe aspettato nulla di diverso. 

«Allora, Reiner… cosa vuoi fare adesso?» 

L’eccessiva premura che Pieck dimostra nei suoi confronti lo mette a disagio, così come la temporanea tregua che Porco gli ha dato. Sono troppo gentili, troppo cauti, troppo falsi.  

«Voglio solo andare a casa, adesso» ammette esasperato, «oppure volete tenermi in ostaggio un altro po’?» tenta di sorridere, ma la piega che prendono le sue labbra è quella di una smorfia. 

«In ostaggio? Addirittura?» 

È palese, dal tono della voce di lei, che Pieck cerchi di allentare la tensione. Reiner non vuole renderle la vita difficile, ma non vuole neanche sorbirsi la farsa che i due portano avanti da un paio di giorni – e che oggi tocca picchi altissimi di assurdità. Il nodo nello stomaco si attorciglia di più e la nausea cresce. Deve allontanarsi il più presto possibile. 

«Sì. Prima avete insistito affinché io stessi con voi» Reiner lascia che le pupille scorrano da Pieck a Porco, dopodiché continua, «non sono un idiota, me ne sono accorto.» 

Nessuno dei due replica, tuttavia si osservano reciprocamente, come se fossero stati colti con le mani nel sacco. A lui è sufficiente quella reazione per continuare il suo discorso – così potrà allontanarsi subito, dato che percepisce già le budella attorcigliarsi. 

«Io… non so cosa sia preso a tutti e due. Vi ringrazio per la compagnia, ma guardiamo in faccia la realtà: noi non siamo mai stati amici, neanche quando eravamo bambini, quindi… non capisco da dove derivi il vostro attaccamento nei miei confronti, adesso. Soprattutto da parte di Porco, che mi ha sempre odiato.» 

Gli occhi di Pieck si spalancano, mentre Porco butta a terra il contenitore, ormai vuoto, del polpo alla gallega. Reiner percepisce qualcosa premere sul fondo della gola, ma deglutisce per trattenerla lì. Non può permettersi passi falsi.  

«Siamo solo preoccupati per te, Reiner. La tua esperienza su…» 

«No, non tirare in ballo Paradise,» la interrompe lui, scuotendo il capo, «se fosse stati preoccupati per me sin dall’inizio, mi sareste stati accanto subito, invece vi siete incollati solo da un paio di settimane. Non posso più andare in bagno da solo. Letteralmente.» 

Pieck apre bocca, ma inaspettatamente Porco si frappone tra lei e lui e, inoltre, gli rivolge un’occhiata torva. 

«Innanzitutto, abbassa i toni. Poi, ingrato che non sei…» gli occhi del ragazzo vengono attraversati da un guizzo di timore, mentre si arresta, «... Che cazzo hai, Reiner? Sei bianco come un morto. Stai per sboccare?» 

L’altro non ha affatto torto: quando ha percepito un bolo di nettare e petali risalirgli l’esofago, ha percepito un gelo innaturale attraversargli le ossa – non può permettersi, però, che loro scoprano il suo segreto, quindi dà le spalle ad entrambi e comincia a correre, incurante delle grida di Pieck che lo prega di aspettarli. Spera che le sue gambe non cedano stavolta. 

 

Il bucaneve nel vaso è morto. Tralasciando la sfumatura giallastra che hanno assunto i petali, lo si deduce da come il gambo si sia rannicchiato su sé stesso, oppure dalla foglia che si è staccata non appena lei ha sfiorato la pianta. Karina sospira, mentre rimira l’ennesimo tentativo – fallito – di decorare casa. È incapace di curarsi delle cose – e delle persone –, eppure non smette mai di provare. Prima o poi, pensa tra sé e sé, riuscirà a combinarne una giusta.  

Senza troppe cerimonie, prende il vaso contenente la piantina e la butta nella pattumiera. Non batte ciglio quando il contenitore si sfracella, ma, a differenza sua, Gabi sobbalza ed emette un grido di stupore. La bambina è tanto sorpresa che brandisce il pastello rosso come un pugnale. Karina si pente di essere stata poco delicata, ma contemporaneamente si domanda perché la piccola abbia avuto una reazione così esagerata. 

«Tutto bene, tesoro?» 

La bambina sbatte le palpebre un paio di volte, dopodiché annuisce e ritorna a colorare il proprio disegno. Quell’atteggiamento così mansueto la incuriosisce. Le ultime volte che si è presa cura di Gabi, questa faticava a rimanere seduta per oltre cinque minuti. Adesso, invece, è irrequieta, si osserva spesso intorno con gli occhi spalancati, come se si aspettasse che qualcosa di temibile succeda da un momento all’altro.  

Si chiede perché sua cognata non l’abbia avvertita di tale novità. Che non se ne sia accorta? Rimprovererà quella donna per bene, non appena la vedrà. Al suo Reiner non è mai accaduto qualcosa del genere.  

Al momento, però, ci penserà lei ad aiutare Gabi: del resto ha cresciuto un vero Guerriero – l’unico, inoltre, che è tornato vivo dalla terra dei demoni! Chi, se non lei, può scoprire cosa si cela nell’animo inquieto della bambina? 

È per questo motivo che lascia da parte le faccende domestiche e prende posto accanto alla bambina, la quale non la degna nemmeno di uno sguardo. Prima di porle una qualsiasi domanda, Karina allunga il collo per osservare l’opera d’arte che quella sta ritraendo. Sul foglio immacolato vi è un omino stilizzato, con un ciuffo biondo in testa e dalla cui bocca nascono una serie di spirali rosse, che si riversano su una linea verde.  

Quello scarabocchio la mette addosso un’inquietudine che prima non provava. Le dà le stesse sensazioni negative di quando passa sotto una scala, oppure di un gatto nero che le attraversa la strada. C’è un significato particolare dietro ciò che ha visto, ne è certa. Non le importa nulla dei parenti – del suo stesso figlio, addirittura – che le ripetono di essere troppo superstiziosa. Qualcosa non va in quello che percepisce e se ne convince nel momento in cui, dopo una manciata di minuti, suonano al campanello con insistenza, quasi fino a stordirle le orecchie. 

Esclude le possibilità che sia Reiner, dato che quest’ultimo è in missione in medio-oriente, o sua cognata, poiché il suo turno di lavoro dovrebbe essere appena cominciato.  

«Zia… non apri?» domanda Gabi, senza staccare gli occhi dal foglio. 

Con il petto pesante come un macigno, Karina trova la forza di alzarsi e raggiungere la porta d’ingresso. Non ha uno spioncino, perché la casa è molto antica – deve ringraziare, anzi, che abbia un asse di legno per impedire agli estranei di intrufolarsi –, quindi socchiude la porta quanto basta per intravedere chi sia.  

«Karina Braun?» 

La testa le vortica e sente che il cuore non le reggerà a lungo, a causa della paura che s’impossessa di lei centimetro dopo centimetro. È un’accozzaglia di brividi e sudore freddo – e non osa immaginare come si ridurrà quando il soldato Marleyano aprirà di nuovo bocca. 

«Deve seguirci. Ora.»  

Dagli occhi ghiaccio dell’uomo non traspare nessuna emozione. È come guardare in faccia le bambole di porcellana di Gabi.  

«Si tratta di Reiner Braun.» 

 Non può percorrere molta strada, men che meno nascondersi dai due, dato che gli sono alle calcagna – a suggerirglielo sono gli stivali di Porco, che impattano sull’asfalto del marciapiede poco dietro di lui – però tenta di non farsi vedere dai passanti. È per tale motivo che imbocca il primo vicolo che gli si para lungo la strada, si appoggia al muro lurido – sordo alle proteste dei gatti randagi che gli soffiano contro, poiché sono stati spaventati da quell’improvvisa invasione – e tossisce fuori il suo amore maledetto.  

«Cazzo, Pieck! Corri!»  

La risposta della ragazza si perde tra i vari colpi di tosse e lo scalpitio delle scarpe. È costretto persino a serrare le palpebre, a causa dello sforzo, e ciò che percepisce, quando comincia ad accasciarsi sul terreno, sono due mani grandi che lo tengono sollevato, per quanto possibile, e due morbide che gli sorreggono la fronte. 

Alterna momenti di apnea, durante i quali sente i polmoni in fiamme, a momenti in cui ricerca l’ossigeno con frenesia – la stessa che impiegava per cercare la bocca di Bertolt. Poiché non è da solo, strizza gli occhi per trattenere le lacrime, sebbene qualcuna gli sfugga comunque – ma adesso vi è Pieck ad asciugargliele, impedendo che esse gli si cristallizzino sulle guance, come è solito fare. Nonostante la vista appannata, scorge petali piccoli e bianchi, contornati da una sfumatura cremisi che non sa ricondurre ad alcun tipo di fiore.  

«Pieck, c’è… C’è del sangue» balbetta Porco e, sentendolo, Reiner si concentra su quello che, realizza, è un liquido rosso. Forse sta raggiungendo Bertolt, finalmente? 

Se così fosse, non sarebbe affatto male: andarsene via, lontano da sguardi indiscreti, e senza destare troppo scalpore – gli dispiace solo aver coinvolto i due che ora lo stanno soccorrendo. Avrebbe dovuto rifiutare prima e, ne è consapevole, ancora una volta è stata la volontà di apparire a sabotarlo. Ha sempre sbagliato tutto, ne è cosciente: ha cominciato da quando è diventato un cadetto, affinché suo padre lo vedesse, e non ha smesso più. Quanto può essere stupido? 

«Ho visto, Pock! Se non si ferma, però, non posso fare nulla!» 

Il tocco della ragazza rimane gentile, sebbene lei sia alterata, ma non la biasima: la morte è già ingestibile quando prevista, figurarsi quando è improvvisa. I crisantemi smettono di sbocciare dopo un paio di lunghi e intensi minuti, lasciandogli in gola qualche fogliolina e un bruciore che non se ne andrà subito. Appena Porco nota che il suo corpo non è più scosso da singulti, lo accompagna piano verso il terreno e lo aiuta a sedersi, poi lui e l’altra gli si accasciano accanto.  

Hanno tutti e tre il fiato corto  in particolare Reiner, che pare abbia l’asma, dato il suo respiro irregolare e affannato  e fissano il cielo, come se attendessero un’imminente pioggia. Il tempo sembra essersi congelato nel frangente in cui sollevano gli occhi, perché rimangono immobili, incuranti dei vestiti insozzati di saliva e sangue e ricoperti di petali candidi come la neve. Di tanto in tanto un passante getta uno sguardo nel vicolo, spalanca gli occhi e affretta il passo. Reiner è certo che qualcuno avviserà le sentinelle sparse in città e sarà solo questione di minuti, prima che il generale Magath e Zeke li raggiungano.  

Nonostante sia conscio di questo dettaglio, non si sposta di un centimetro. Vuole godersi la quiete, le mani di Pieck, che gli tamponano il viso con un fazzoletto di tessuto, per ripurilo dai grumi di nettare e sangue.  

«Allora è vero» sentenzia Porco ad un tratto, «stai morendo. E vomiti fiori.» 

Socchiude le palpebre, spossato, e non replica. C’è una punta di incertezza nella voce del ragazzo. Adesso comprende il motivo che spingeva i due a stargli accanto. Sapevano qualcosa. 

«Perché?!»  

Il grugno irato dell’altro lo fa sorridere, anche se non è una situazione consona per farlo. Trova ilare che quella domanda gliela ponga lui, che, forse, l’ha desiderato morto molte volte  o forse è solo la malinconia ad averlo convinto di ciò.  

«Da cosa lo sospettavate?» soffia, in parte davvero curioso di sapere dove abbia sbagliato. 

«Ti ha visto Falco. Al cimitero» ammette la ragazza e Reiner sente il senso di colpa attanagliargli il petto. 

Falco lo ha visto. Oltre ad avere Gabi sulla coscienza, ha anche Falco. Ha traumatizzato due bambini, a causa della sua incoscienza. E con Falco non ha avuto nemmeno occasione di scusarsi, anche se le scuse in tali circostanze servono a ben poco. 

Quanto è stato stupido a sottovalutare qualsiasi cosa abbia contratto? Porco l’ha definita una malattia. Reiner neanche si è informato, troppo preso dall’eccitazione e dalla speranza che, qualsiasi cosa gli si sia insediato tra le viscere, lo stronchi il prima possibile, così da potersi ricongiungere con… 

«È per Bertolt? È così?!» 

Si dice che la pazzia sia un filo di capello e la verità di Porco è la forbice che lo recide. A Reiner dapprima scappa una risata bassa e roca, dinanzi la quale gli altri due lo osservano interdetti, poi si scioglie in una valanga di singhiozzi che vengono soffocati contro il palmo della propria mano. Dapprima nega e poi annuisce col capo, perché intende entrambe le risposte: in parte la sua folle scelta è dovuta a Bertolt, in parte a tutto ciò che si è lasciato alle spalle su Paradise.  

«Porco… basta.» 

Non sa se Pieck l’abbia detto genuinamente, oppure perché commossa dalle lacrime che ora gli scendono lungo le guance. Se fosse possibile sparire, lo farebbe volentieri, perché si sta odiando con la stessa intensità con cui ha amato e ama chi non c’è più. Eppure, sebbene sia ignara di questo suo desiderio, la ragazza lo realizza in parte, dato che si issa sulle ginocchia per stringerlo al petto.  

«Perdonami per ciò che ho detto prima» sussurra lui e l’altra gli regala una carezza tra i capelli. 

«No... Scusami tu» mormora lei di rimando e gli accarezza la zazzera bionda. 

Nessuno dei due aggiunge altro: neanche, quando, Porco si alza e li abbandona, lasciandoli crogiolare da soli nella loro sofferenza.  

Nemmeno, quando, odono l’eco delle grida di Magath, seguito dal marciare dei soldati, propagarsi tra le stradine.  

 
 

Note dell’Autrice 

Eccoci qui, al penultimo capitolo di questo breve viaggio! Reiner è stato colto in flagrante e non è riuscito a nascondersi. Gabi sembra traumatizzatissima ancora turbata da ciò che le è successo nello scorso capitolo, mentre Porco, be’... Non ha preso molto bene il fatto che Reiner volesse lasciarsi morire. In tutto ciò mi dispiaccio un sacco per Pieck, sono stata proprio cattiva con lei in questa fanfiction, ma vi prometto che nella prossima la tratterò meglio! Che cosa succederà nel prossimo? Io lo so e già sento la folla inferocita che si avvicina, armata di forconi e torce! Come sempre, ringrazio chiunque abbia speso un po’ del proprio tempo per lasciare una recensione, o anche solo per leggere la storia! Dato che questo capitolo è particolarmente corto, oltre i significati dei fiori ho deciso di lasciarvi alcune precisazioni! 

La fanfiction è ambientata qualche mese dopo il ritorno di Reiner (contate un mese di convalescenza in ospedale + quello in cui si svolgono gli eventi) e, per essere più precisi, sei/sette mesi dopo che Ymir è stata mangiata da Porco, quindi che quest’ultimo ha appreso della morte di Marcel). Di conseguenza, se Reiner vi sembra troppo emotivamente instabile, se Porco vi sembra troppo arrabbiato col mondo e Pieck troppo sensibile, è perché ancora qui i ragazzetti hanno un’età che oscilla tra i diciassette e diciotto anni. Di conseguenza, Gabi e Falco ne hanno solo otto e sono prossimi all’arruolamento, mentre Colt ne ha quattordici circa e già è stato arruolato! 

 Inoltre, vi avviso che il prossimo capitolo non verrà pubblicato regolarmente, perché è ancora in fase di stesura, quindi impiegherò sicuramente il doppio del tempo... Mi scuso in anticipo per l'inconveniente!

E ora vi lascio il significato dei fiori: 

Bucaneve: speranza. 

Crisantemo bianco: dolore. 

 

Se siete arrivati alla fine di queste note, non mi resta che regalarvi un caloroso abbraccio per la pazienza! 
 
Luschek 

   
 
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