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Autore: cin75    21/03/2021    4 recensioni
Dalla storia:
Nell’appartamento di Jared, il ragazzo, era ancora fermo al centro della soggiorno, con lo sguardo fisso sulla porta di casa chiusa. I suoi occhi vedevano ancora la sagoma di Jensen, la sua mente continuava a gridargli “Muoviti, lui non è più su quella porta!E’ andato..., devi respirare di nuovo. Devi muoverti di nuovo!”
Non seppe quanto tempo passò, ma ad un certo punto diede retta a quella voce interna e quasi con fatica, raggiunse il divano. Si sedette, poggiò la testa sul cuscino dello schienale.
Completamente vuoto, completamente svuotato. Decisamente confuso.
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins, Richard Speight Jr.
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano quasi le cinque del mattino, quando Jensen sentì la porta dell’appartamento di Jared aprirsi. Scattò in piedi e restò in assoluto silenzio, mentre l’altro , entrando in casa, lo vedeva ancora lì, e rimaneva immobile all’uscio di casa.

Non disse niente, ma notò che Jared aveva in mano un sacchetto di carta.

“Non sei andato via!” sussurrò , forse sarcastico Jared.

“Credo di essere stato via già per troppo tempo!” si ritrovò a rispondere d’istinto Jensen, che abbassò immediatamente lo sguardo, quando gli occhi accusatori di Jared lo fulminarono.

“Bene!” fece poi, il più giovane e porse a Jensen il sacchetto che aveva in mano. “Qui o da un’altra parte non è importante!”

Jensen, sorpreso, prese il sacchetto e lo aprì. All’interno, una tinta per capelli , delle forbici e un rasoio nuovo presi in uno di quei Market sempre aperti.

“Ma cosa….”

“Hai detto che vuoi parlare, che vuoi spiegarmi.”

“Sì!” fece Jensen, rincuorato da quelle parole.

“Ma io ho bisogno che sia tu...il vero tu a dirmi tutto.” e Jensen capì.

“Posso usare il tuo bagno?!” chiese. L’altro annuì solamente.

 

Circa un’ora e mezza dopo, Jared sentì la porta del bagno aprirsi.

Era nervoso. Pochi istanti e avrebbe rivisto Jensen, il vero Jensen. Il suo Jensen.

Ma era ancora suo? Lo avrebbe saputo presto.

Jensen aveva ancora un asciugamano tra le mani quando si fermò davanti all’altro che lo osservò di nuovo con un certo terrore. Come si guarda un fantasma. Il viso di nuovo glabro. I capelli, anche se non con un taglio perfetto, di nuovo corti.

“Io...io credo di averti macchiato un paio di asciugamani ...di là!” fece Jensen, con un tono misto tra la colpa e l’imbarazzo.

“Io credo che tu abbia cose più importanti di cui preoccuparti al momento!” replicò con un tono stranamente gelido, Jared.

Ma poi , il giovane si stranì!

“Jared ?” lo richiamò Jensen, per destarlo da quel suo stato di giustificata confusione.

“Tu hai...hai ancora...” fece incerto Jared indicando all’altro, gli occhi.

In un primo momento Jensen non capì, si guardò nello specchio dell’ingresso credendo di avere della schiuma da barba ancora sul viso, ma quando si ritrovò a fissarsi, capì. Avevo tolto gli occhiali, ma aveva dimenticato altro. Aveva ancora le lenti a contatto colorate che gli rendevano gli occhi castani. Piano, le tolse. Per un po’ sentì gli occhi bruciargli, li strinse, ma poi sentì che tutto tornava a posto.

Si voltò piano verso Jared che inspirò profondamente quando si rese conto che di fronte a lui c’era di nuovo Jensen.

“Ok! Ti ascolto!” si costrinse a dire andandosi a sedere sul divano.

Jensen prese un respiro, pronto ad iniziare e andò a sedersi sul piccolo puff che era di fronte al sofà su cui era Jared.

“Ricordi che tre giorni a settimana lavoravo da mio padre all’ufficio contabile?” iniziò.

“Sì.”

“Durante una revisione contabile a cui lavoravamo entrambi, ci accorgemmo di alcune irregolarità. Papà chiamò il responsabile della società esaminata, la Turner Inc. e…” ma Jared lo fermò, stranito.

“Un attimo. La Turner?”

“Sì!”

“La Turner Import Export di Rufus Turner ?!” sottolineò. “La società che controlla quasi tutto il commercio del Texas!?”

“Sì.” convenne ancora Jensen. “Papà gli comunicò quello che aveva scoperto. Solo qualche ora dopo , un paio di associati, o almeno loro si presentarono come tali, vennero allo studio. Con poche ma chiare minacce, ci fecero capire che ogni cosa doveva restare esattamente così com’era. Diplomaticamente ci fecero capire che se avessimo provato a far presente alle autorità competenti del “fraintendimento finanziario”, non sarebbe stato facile, per noi, andare avanti.” riferì, ricordando gli eventi , senza sentire il bisogno di fare troppi nomi e Jared ascoltava ogni parola con attenzione.

“Che avete fatto?!”

“Ricordi come era papà!” rammentò amaramente il biondo. “Prima di tutto si spiegò come mai una società di tale portata si serviva di un piccola società contabile come la sua e poi… lo sai, lui era ligio al dovere e alla giustizia. Non esitò e il giorno dopo quella visita, chiese un colloquio con un agente federale.”

“Siete andati all’FBI?!” domandò sorpreso Jared. “Quando? Perché non mi hai mai detto niente?”

“Mancai un week end. Ricordi? Ti dissi che portavo papà a fare un esame clinico fuori città.” gli fece fare mente locale e Jared annuì.

Ma poi, insistette: “Ma perché non me ne hai mai parlato?”

“Perchè dopo che parlammo con l’agente Sheppard, quello preposto al caso, mi convinsero, soprattutto per il tuo bene e la tua sicurezza, che tenerti fuori era la cosa migliore da fare. Meno persone erano al corrente di quell’affare, minori sarebbero state le possibilità di coinvolgerti direttamente a tutto. A noi. A me.”

“Non pensi che avrei potuto e dovuto scegliere io?”

“Sì, certo e so che avresti scelto di starmi accanto!”

“Come minimo, Jensen!” fece offeso.

“Lo so, ma quando Sheppard mi disse che c’era la possibilità di un trasferimento per sicurezza testimoni, insomma….non volevo gettarti in mezzo a tutta quella merda. Stavo già tentando di tirarmene fuori io, e non potevo di certo….”

“Aggrapparti a me!?” domandò sarcastico.

“Non potevo farti una cosa del genere!” cercò di giustificarsi Jensen.

“No, ma è stato più facile farmi credere di essere morto.” replicò secco.

Jensen accusò il colpo, ma ribattè subito.

“Quello non era previsto.”

“No?!”

“No. Quella sera, la sera dell’incidente, dovevo vedere Sheppard e i miei genitori, per dire loro che io non sarei partito con loro, che avrei affrontato tutto da Austin, che non potevo lasciarti. Promisi loro che sarei stato attento e Sheppard mi assecondò dicendo che ci sarebbe stata una pattuglia a tenermi sotto controllo. Ma quello che nessuno di noi immaginava è che i mastini della Turner avrebbero agito nel modo in cui hanno fatto.” proseguì nel racconto.

“Cioè?” fece ansioso del racconto.

“Fecero qualcosa alla macchina e in una curva della Oak Hill, papà perse il controllo. Sia lo sterzo che i freni non erano più controllabili e la macchina volò dritta nella scarpata!”

“Oddio!!” sussurrò Jared, immaginando quello che era successo. “I tuoi ? Dove sono adesso? Sono ancora sotto protezione? Stanno bene?” domandò pensando che anche per i genitori valesse la stessa menzogna occorsa a Jensen.

Ma il maggiore a quella domanda, abbasso lo sguardo e a Jared parve di percepire un’immensa tristezza in quel gesto. “Jensen...” lo richiamò e quando il biondo alzò lo sguardo aveva gli occhi immensamente tristi e lucidi.

Jared non riuscì a dire niente altro se non un affranto: “O mio Dio!”

“No, Jared. Loro non stanno bene. Non stanno affatto bene.” asserì con amarezza.

“Cosa...”

“Quando la macchina uscì fuori strada, miracolosamente, io fui sbalzato fuori. Mentre mamma e papà rimasero intrappolati all’interno. Mi risvegliai dopo più di tre settimane. Sheppard e i medici mi dissero che ero stato in coma, che papà era morto sul colpo e che mamma , purtroppo , era morta poco dopo l’arrivo in ospedale. Disperavano di salvare anche me a causa delle ferite che avevo riportato, ma , a detta di Sheppard, ho lottato con le unghie e con i denti. Due arresti cardiaci e tre operazioni alla schiena per diminuire una compressione spinale hanno dato un bel da fare ai medici che facevano di tutto per tenermi in vita!” tentò perfino di sembrare ironico.

“Dio...Jensen. Mi...mi dispiace così tanto!” fece Jared rattristato e dolorosamente colpito da quella parte di racconto. Jensen annuì a quel dispiacere che sapeva essere sincero da parte dell’altro e non solo di circostanza. “Come stai!?” si ritrovò a chiedere data la questione del coma. “Hai detto che sei stato in coma, che la tua schiena...”

“Beh!! di tanto in tanto ho ancora problemi con la schiena, ma niente di insopportabile!” lo rassicurò.

Jared sospirò profondamente e in quel sospiro Jensen potè scorgere tutta la profonda frustrazione che il ragazzo provava.

“Perdonami. O almeno spero che un giorno tu possa perdonarmi. Pensavo di fare la cosa giusta e invece ho perso i miei genitori, sono quasi morto anche io, e ho fatto soffrire te in un modo che di certo non meritavi.” fece il biondo.

“Jensen...”

“No, merito il tuo astio, il tuo odio. La tua rabbia.” fece massaggiandosi la mascella arrossata. “Perché ricordo benissimo quali sono state le mie ultime parole, quella sera, prima che andassi via per incontrare Sheppard e i miei. E posso solo immaginare quello che hai passato e dovuto passare tu, quando ti dissero che ero morto. Ma credimi quella sera volevo davvero...”

“Ti prego possiamo non parlarne adesso?!” fece il più giovane, alzandosi dal divano e raggiungendo il centro della stanza, dove forse aveva più aria con cui respirare.

“Ok!” continuò, invece, Jensen. “ Ma voglio che tu sappia che quella sera, l’inferno, non è iniziato solo per te.” e a quell’affermazione, Jared deglutì, e si girò verso Jensen, che lo guardava dal suo posto. “Anche io ti ho perso. E perdendo te, ho perso tutto.”

Jared si muoveva nervosamente nella stanza. Nella mente ancora mille e mille domande. Una fra tutte….

“Perchè ti sei riavvicinato a me in quel modo?”chiese. “Come... Alex?!” precisò comunque.

Jensen sapeva che quella domanda sarebbe arrivata prima poi.

“Qualche mese fa ho testimoniato davanti al Gran Giurì. Ormai, nomi, date , conti esteri...tutto è nelle mani dell’FBI e della Giustizia. Ero finalmente, di nuovo, libero di riprendermi la mia vita e puoi immaginare quale fosse il mio primo pensiero.”

“Ok! Ma non mi hai risposto….perchè presentarti come Alex!?” rinsaldò, Jared. Deciso a sapere davvero tutto. “Perchè non ritornare e basta?!”

“Jared, erano passati oltre quatto anni e io non potevo ripiombare nella tua vita come se niente fosse. Bussare alla tua porta e dire: “Ciao Jared. Sono vivo, mi sono solo finto morto ma ora sono tornato. Riprendiamo da dove abbiamo lasciato!”, tu non lo avresti accettato. Io stesso non avrei accettato una cosa del genere.” spiegò Jensen. “Tu potevi avere qualcuno con te, ne avresti avuto tutto il diritto e io non ne avevo nessuno per mandare in frantumi la tua vita. Di nuovo.”

“E allora cosa?, quando hai capito che ero da solo , ti sei divertito a fare l’agente sotto copertura?” domandò sarcastico.

“No!!” rispose offeso Jensen. “Non è come pensi. Tu non hai idea di quante volte stavo per rivelarmi, ma ogni volta...non lo so...qualcosa mi fermava. Avevo paura!”

“Paura?!”

“Se ripresentandomi a te, tu mi avessi messo alla porta? Se non avessi accettato quello che era successo? Se ...” ed erano talmente tanti i “se”, e tutti plausibili, che non poteva elencarli tutti. E così: “Alex invece poteva stare con te, parlarti, accompagnarti in giro, uscire con te la sera, vedere dei film con te...e allora io...io...” disse in colpa.

“E fin quando credi avresti potuto essere lui?” lo accusò. “In quel teatro qualcosa è scattato, e poi ieri sera..qui, se non ti fossi fermato, se fossimo arrivati alla camera da letto, come credi avresti potuto evitare che io vedessi il tatuaggio?!” gli fece presente.

“Non lo avrei permesso!” sussurrò Jensen.

“Cosa non avresti permesso?!” ribattè.

“Non sarei mai venuto a letto con te come “Alex”, sarebbe stato ingiusto verso di te. Verso quello che provo ancora per te.”

“Quello che provi ancora per me?!” chiese incredulo Jared, come se non fosse possibile una cosa del genere.

Jensen lo guardò – ferito – dopo quella domanda. Ma poteva capirne comunque , il senso.

“Che tu ci creda o no, ti amo ancora esattamente come ti confessai quella maledetta sera: in un modo assurdo con cui so per certo che non ci sarà nessun altro dopo di te. Ti ho dato tutto e continuerò a farlo finché potrò. Quindi ...che altro potrei dare a chi dovrebbe o potrebbe esserci dopo di te.” gli ricordò con quello stesso tono con cui Jared, ricordò, Jensen gli aveva parlato quella sera. “E questo tatuaggio serve ancora a ricordarmi il modo in cui ti appartengo, in cui ti amo. In cui ho sempre voluto appartenerti e in cui ho sempre voluto amarti. Completo, indelebile, resistente al tempo!”

Jared ricordò ogni parola, ogni sensazione, ogni magnifica emozione che aveva provato quando Jensen gli si era dichiarato. Ma non poteva fare finta che una parte della sua mente, forse quella ancora razionalmente lucida, gli stesse gridando di sbatterlo fuori di casa e rifarsi finalmente una vita.

Oh se lo avrebbe voluto! Una, se pur minima, vendetta per quello che aveva dovuto patire.

Ma poi, si ritrovò a guardare di nuovo quegli occhi verdi, quasi imploranti, non di perdonarlo ma almeno di credergli.

Esasperato , si passò le mani sul viso, cercando disperatamente di vedere un po’ di luce in quello che lui credeva essere l’ennesimo tunnel oscuro.

 

In quel momento, Jensen lo raggiunse al centro del soggiorno. Vide la confusione sul volto di quello che era stato il suo compagno. Si maledisse, rendendosi conto, di essere la causa dell’angoscia e il dolore che vedeva brillare in quegli occhi, mai visti così tristi.

Lo aveva fatto di nuovo. Aveva fatto soffrire Jared in un modo che non sapeva di poter fare e si odiò profondamente. Capì che il ragazzo aveva bisogno di tempo per pensare, riflettere e di sicuro per prendere una decisione.

“Si è fatto tardi..” disse, così e poi guardò distrattamente l’orologio. Appena le quattro di mattina. Sorrise ironico. “O forse dovrei dire che è troppo presto. Dopo quello che è successo, quello che hai saputo...penso che tu abbia bisogno di tempo e spazio. E anche di riposare. Vado via. Chiamami quando e se vorrai rivedermi, quando potrai di nuovo sopportare la mia presenza. E tranquillo...” disse poi, prendendo il giubetto. “Capirò se non vorrai avere più niente a che fare con me.” e fece per andare via. “Domani in mattinata chiamerò Misha e comunicherò che Alex deve partire per improrogabili urgenze familiari e che quindi si licenzia.”

Andò verso la porta, aprì, sperando in un richiamo. Sperando sperando sperando.

Ma quel richiamo che tanto aspettava non arrivò.

Uscì dall’appartamento e si chiuse la porta alle spalle.

Proseguì come un automa fin verso il portone principale e poi arrivò alla macchina e nemmeno si rese conto come e quanto tempo ci mise per arrivare a casa sua. O per lo meno quella casa che aveva affittato a nome di Alex Cordell. Si chiuse la porta alle spalle. Andò fino al piccolo divano del soggiorno. Si sedette. Gomiti alle ginocchia. Viso tra le mani. Lo aspettava una lunga lunga giornata.

   
 
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