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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CAPITOLO 13.


 

COMUNITÀ E CALORE

 
Dopo essersi alzati e lavati, Demi e Andrew stavano rifacendo i letti.
Mackenzie prese la parola, riportandoli alla realtà.
Sai mamma, è strano non fare più brutti sogni. Le spiegò che in parte la rilassava il fatto di non svegliarsi nel bel mezzo della notte o del pomeriggio sudata e in lacrime a causa di uno di quegli incubi orribili, ma d’altro canto stava capitando qualcosa che non rispettava quella che per lei era la normalità. Non ho più nemmeno flashback, niente di niente, non gioco più in quel modo ripetitivo, né mi viene da disegnare la mia vecchia casa. È tutto diverso qui, più semplice, mi fa emozionare.
Non si chiudeva più in camera sua con alcuni peluche, li metteva per terra e fingeva che uno ne uccidesse due davanti agli altri due che rimanevano. Anche quello era un sintomo del disturbo post traumatico da stress: ripetere ciò che rammentava il trauma attraverso il gioco. Ma lì non capitava. E non riviveva l’omicidio tramite improvvise immagini mentali come se tutto stesse accadendo in quel momento, una delle cose più spaventose che le fossero mai capitate.
Un pomeriggio di qualche tempo prima stava parlando con la psicologa delle poche cose che ricordava, quando a un certo punto aveva udito i due spari e poi le urla agghiaccianti di sua madre. Sapeva che era accaduto qualcos’altro, ma non era riuscita a ricordarlo e, estraniandosi dalla realtà, le era parso di trovarsi ancora nella sua casa, con i genitori ancora vivi, ma immersi in una pozza di sangue.
Sangue, aveva scritto, c’è tanto sangue per terra! Quanto sangue! Ce n'è dappertutto. La mia mamma piange, urla.
Non aveva più sentito la psicologa che aveva cercato di calmarla, di dirle che nessuno le avrebbe fatto del male, seguitando a vedere e rivedere i genitori con una ferita sul petto, mentre quel liquido rosso si era spanto sul pavimento a una velocità impressionante e lei era rimasta a bocca aperta, non riuscendo nemmeno a gridare, con Hope fra le braccia che aveva continuato a piangere disperata. La mamma le aveva chiesto di metterle un cuscino sotto la testa e lei aveva obbedito, sperando che i genitori si riprendessero, ma quando ne aveva chiesto conferma alla madre e lei aveva balbettato, si era resa conto che non sarebbe stato così, che stavano per morire.
Non sopportò più il dolore che quei ricordi le provocavano. Fu scossa da un violento tremore ritornando al presente. La mamma dovette notare la sua agitazione, perché le si avvicinò.
“Amore, va tutto bene. Ci siamo io, papà e Hope qui con te, sei a Eltaria e al sicuro.”
Le parlava in modo dolce, accarezzandole il collo e i capelli. Quei gesti la rilassarono, mentre prendeva respiri profondi come la mamma le suggeriva. Il papà le portò un bicchier d’acqua e, dopo aver bevuto, si sentì più tranquilla.
“Per fortuna non ha avuto una crisi” mormorò suo padre affinché lei non sentisse, ma aveva udito e sì, si ritenne fortunata.
Grazie al cielo, anche se il suo sogno per un po’ era stato brutto, non si era trasformato in un incubo.
Non avrei voluto ricordare anche qui.
“Lo so, piccola, ma non possiamo controllare la nostra mente nemmeno nei sogni. Ne vuoi parlare? Potrebbe farti bene.”
È stato orribile, mamma, orribile! Si asciugò le guance rigate di lacrime. Loro erano ancora vivi, ma stavano morendo davanti a me.
Pianse per qualche minuto, immergendosi del tutto nel proprio dolore e dimenticando la bellezza di quel sogno. Era frutto della sua mente, ma ciò non significava che non ci sarebbero stati brutti momenti come quello. I genitori le rimasero accanto asciugandole gli occhi.
“Sei stata forte anche stavolta, piccola, e sono sicura che loro siano orgogliosi di te” le mormorò Demi all’orecchio.
“Non possiamo immaginare quello che hai passato, ma siamo qui, non ti lasceremo mai sola” le assicurò il papà. “Starai meglio, vedrai.”
Tirando su col naso, Mackenzie fu invasa da un senso di sollievo, simile a quello che aveva provato quando si era resa conto che avrebbero ritrovato Hope.
Grazie rispose. Mi sento un po’ meglio, possiamo andare.
Sorrise, anche se si trattò di un’espressione tirata.
“Immagino che il fatto di non avere più incubi o altro sia un’esperienza particolare, tesoro” mormorò la mamma. “A volte stai male, come hai visto, ma poi riesci a rialzarti, è questo che conta. Devi vivere il dolore, è giusto che sia così, ma sono sicura che riuscirai ad affrontare qualsiasi cosa.”
Parole forse un po’ difficili per una bambina della sua età, ma Mackenzie annuì.
“Siamo contenti che qui tu stia bene” riprese Andrew. “Cerca di goderti questi momenti più che puoi, però, non pensare a cosa non succede, ma a quello che invece capita, a quanto ti stai divertendo, alle bambine che hai conosciuto e alle cose di questo mondo che stai scoprendo. Capisco che sia strano, ma è positivo che tu non faccia brutti sogni. “Devi vederlo come un buon segnale.”
Non ero così felice da anni confessò la piccola con un sorriso enorme, stavolta sincero, che sembrò illuminare la stanza ed espandersi per tutto il bosco, dandole la sensazione che il peso che aveva sul cuore si alleggerisse.
I genitori la abbracciarono, commossi, con il cuore leggero. Vedere il proprio figlio sereno o felice è la cosa più bella. Mackenzie si meritava pace e sollievo.
 
 
 
Dopo che tutti ebbero mangiato, Eliza chiese a Demi e ad Andrew se sarebbe piaciuto loro fare un giro all'emporio. Era una giornata di sole e i due accettarono di buon grado, non volendo perdersi nessuna delle esperienze che avrebbero vissuto in quel mondo.
"Dove andae?" chiese Hope quando la famiglia si diresse in camera a vestirsi.
Demi le stava facendo indossare un abitino azzurro a fiorellini rosa.
"In un posto in cui ci sono tanti negozi e si possono comprare delle cose" le spiegò, dato che la parola emporio sarebbe stata incomprensibile per una bambina della sua età.
Non vedo l'ora di scoprire cosa c'è di bello! commentò Mackenzie, indossando una semplice e corta tuta da ginnastica blu e un paio di sandali.
Anche gli adulti erano incuriositi, di sicuro non avrebbero visitato dei negozi normali come quelli che c'erano a Los Angeles. Indossarono un paio di tute, nulla di troppo elegante, ma Andrew si mise il gel sui capelli e Demi li raccolse in due trecce.
Quando furono pronti a partire Eliza disse che quel giorno le figlie, Christopher e Noah non sarebbero venuti, ma di non preoccuparsi, non era successo niente e li avrebbero rivisti di sicuro il lunedì. Una volta in cammino verso la piazza al centro del villaggio, i cinque incontrarono la famiglia Hall. Isla salutò Demi e, pur non conoscendola ancora un granché, la abbracciò.
"Non ho dimenticato la tua canzone di ieri" le sussurrò all'orecchio. "Hai una voce stupenda, mi farai sentire qualcos'altro più tardi?"
"Se mi hai apprezzata così tanto, certo" le rispose l'altra, sorridendo.
La donna indossava un paio di pantaloncini leggermente attillati, che mettevano in risalto le sue gambe magre, e una maglietta a maniche corte. Alzò un braccio per proteggersi dal sole e Demi udì un lieve tintinnio. Un braccialetto d’argento andava su e giù e rifletteva la luce. La ragazza si complimentò per quel gioiello e Isla la ringraziò.
“Tu non ne porti?”
“Alle feste o in occasioni importanti come i concerti, ma per il resto mi darebbero solo fastidio.”
Quando la fata chiese a lei e al suo ragazzo il perché di quelle maglie lunghe, usarono la stessa bugia.
Ti prego, Signore, fa’ che non dobbiamo ripeterlo cento volte! pensò la ragazza.
Perché Isla non aveva detto nulla il giorno precedente? Forse non aveva trovato il momento giusto, ma non importava.
“Freddolosi a maggio? Conosco una fata che è come voi” ridacchiò quest’ultima.
Andrew e Oberon si salutarono e quest'ultimo, più espansivo, gli batté un pugno scherzoso su una spalla, sperando di non avergli dato l'impressione di voler affrettare un'amicizia non ancora nata. Il primo, però, accolse quel gesto con un sorriso e ricambiò, così l'altro poté rilassarsi.
"Tutto bene?" gli chiese. "Come vi trovate qui?"
"Benissimo, ci avete accolti e ci sentiamo, in un certo senso, a casa."
"Ne sono felice."
Le bambine si strinsero in un abbraccio di gruppo. Mackenzie disse a Lucy e Lune che il rosso delle loro gonne donava a entrambe.
“Grazie” risposero all’unisono.
Ma vi vestite sempre uguali?
“No.”
L’avevano detto ancora una volta insieme e la bambina scoppiò a ridere.
Quando Isla li informò che anche loro stavano andando all'emporio, si misero tutti in cammino. Impiegarono pochi minuti ad arrivare in piazza. Lì c’erano pixie, fate, folletti, ninfe e satiri da ogni parte. L'emporio era enorme, tanto che Andrew, Demi e le bambine non sapevano nemmeno da dove cominciare. Data tutta quella gente che camminava, parlava, entrava e usciva dai negozi con borse stracolme, e soprattutto visto l'alto numero di creature magiche alle quali loro non erano abituati, i quattro si sentivano disorientati e a Demi girava la testa. Isla dovette capirlo perché disse:
"Venite, entriamo in un negozio dove c'è poca gente. Avete solo bisogno di un po' di tranquillità."
"Bambine, non allontanatevi" raccomandò Andrew alle figlie, non volendo perderle in quel marasma.
Hope, che stringeva la mano della mamma, gliela lasciò. Demi respirava con affanno e per questo la piccola aveva la sensazione che qualcosa non andasse. Il suo compagno l'aveva capito e voleva lasciarla libera di ritrovare la calma. Demetria lo ringraziò con lo sguardo. Le sue figlie, le altre bambine, Eliza e il resto degli adulti vennero trascinati via dalla folla. Mackenzie e Hope erano lontane, troppo lontane. Avrebbe perduto tutti. Non doveva andare così. La testa le vorticò più forte. Non sarebbe più riuscita a trovare la strada di casa con tutta quella confusione attorno, abitava lì da troppo poco per aver già memorizzato il percorso. Qualcosa premette sul suo petto, un macigno immaginario che si mescolò agli spintoni involontari della gente che la sballottavano di qua e di là e tutto ciò fece male. Una bolla di nausea le invase lo stomaco e la bile le salì in gola, mentre la bocca le si riempiva di un sapore acido. Dovette fare uno sforzo immane per non sputare a terra, maledicendosi per non avere con sé un fazzoletto. Davanti a lei, una donna corpulenta rimaneva immobile mentre parlava con un signore. Non si sarebbe mai comportata così, né lì né sulla Terra, nei confronti di una sconosciuta e si vergognò, ma allungò le mani e le appoggiò appena alla schiena della donna, che sembrava non essersi accorta di nulla. La ragazza aveva bisogno di un sostegno, o sarebbe precipitata al suolo. Restò lì solo per qualche secondo, però, sperando di recuperare fiato, cosa che non avvenne. La nausea diminuì. Non avrebbe mai voluto che quella signora pensasse che desiderava rubarle dei soldi dalla borsa che le penzolava da una spalla. Si scostò di scatto, sbattendo la schiena contro qualcuno.
"Stia attenta!" sbottò una voce maschile.
Demi si girò e incontrò lo sguardo infastidito di un folletto.
"Mi scusi" riuscì a mormorare, con un filo di voce, prima che l'altro se ne andasse senza nemmeno risponderle.
Con il fiato corto, grondante sudore e temendo che presto avrebbe avuto un attacco di panico, cosa che non le succedeva da tempo, Demetria si slanciò in avanti. Prese a correre spinta da una forza che non credeva di possedere, sbatté contro la gente ricevendo esclamazioni infastidite, ma non si scusò, non ne aveva la forza. Proseguì fino a vedere Isla e a prenderla, con una certa irruenza, sottobraccio.
“Scu-scusami” balbettò, con la gola secca.
“Ti eri persa?”
“Sì” mormorò e le parlò a fatica delle sensazioni che aveva provato.
“Oh, tesoro, tranquilla. Non mi ero resa conto fossi rimasta indietro, perdonami. Tieniti a me, d’accordo? Andremo insieme.”
La voce vellutata della donna fu capace di tranquillizzarla.
Andrew e gli altri si girarono udendo quella frase sopra la confusione.
“Demi, ti senti bene?” le domandò il fidanzato. “Perdonami, non mi ero accorto.”
“Non preoccupatevi, ora va meglio” rispose la ragazza, che non voleva alimentare in ognuno inutili sensi di colpa.
Los Angeles era molto popolata, perciò Demi non aveva problemi a camminare in mezzo alla folla per le strade o nei centri commerciali, ma in un posto che non conosceva il panico aveva rischiato di prendere il sopravvento. Isla tirò fuori dalla borsa una bottiglietta d’acqua.
“È mia, ma bevi pure. Ti farà bene” aggiunse, vedendo che la cantante aveva aperto la bocca, forse per rifiutare.
Dopo qualche sorso e altri respiri profondi, si calmò ancor di più e riprese a camminare. Per fortuna il tragitto fu più breve di quanto si sarebbe aspettata, ma continuò a stritolare la fata come se fosse stata l'unica sua ancora di salvezza.
Quando il campanello della porta del negozio tintinnò e tutti furono dentro, Demetria tirò un sospiro di sollievo così lungo che le parve di non aver respirato per ore intere.
"Grazie" sussurrò, la voce incrinata da una lieve nota di panico ancora presente.
"Figurati. Ora rilassati e guardati intorno, d'accordo? È normale spaventarsi con così tante creature che non conosci, ma ti assicuro che non ti faranno niente."
"Mamma, c’è uno scettro come il mio!" Lucy indicò alcune scatole su uno scaffale alla loro destra. “Anzi, è ancora più bello di quello che ho.”
In particolare puntava il dito verso una di esse, che sopra era trasparente e lasciava vedere al suo interno vari scettri di colore azzurro con dei rubini in cima.
"Quelli sono…" Andrew restò senza fiato come la fidanzata.
Sono pietre preziose, mamma? chiese Mackenzie, ammirandone il colore rosso che splendeva anche grazie alla luce del sole.
"Sì, si chiamano rubini."
Sono bellissimi!
"Il mio scettro ne ha uno" disse orgogliosa Lucy, come se gli altri non l'avessero già capito dal suo precedente commento.
Me lo fai vedere, per favore? domandò Mackenzie, sempre più incuriosita.
"Sì, ma quando saremo a casa di Eliza."
Okay.
Sul medesimo scaffale e quelli intorno c'erano altri scettri di tanti colori diversi. Il negozio vendeva pozioni contenute in alcune boccette sopra alti scaffali e in varie scatole, anche queste di colori differenti.
"Gli scettri vengono dati alle fate o alle pixie a un'età specifica?" volle sapere Demi.
"Non c'è una regola, possono averlo come no. È un supporto in più, diciamo" spiegò Oberon.
"Io l'ho avuto il giorno del mio settimo compleanno, sai?" proseguì ancora Lucy.
"Che bel regalo!" esclamò Demi accarezzandole i capelli.
Quella bambina le piaceva, era chiacchierona, ma non dava fastidio e anzi, la sua allegria contagiava tutti. Chissà se anche Hope, crescendo, sarebbe diventata come lei. Mackenzie avrebbe mai ripreso a parlare? Come sarebbe stata la sua voce?
Sarà una bambina silenziosa o logorroica?
Sperava di sentir parlare la piccola, un giorno, ma sarebbe stato necessario un lavoro di anni con una logopedista e adesso Mackenzie, che non aveva ancora superato un trauma che, comunque, non si sarebbe mai lasciata del tutto alle spalle, non era pronta ad affrontare un percorso logopedico, gliel’aveva spiegato la psicologa. Catherine credeva che Mackenzie non sarebbe riuscita a gestire una terapia per trattare i propri problemi e capire ciò che provava e anche il fatto di ricominciare a parlare. Tutto ciò le avrebbe messo troppa pressione addosso. L'importante era che riprendesse a stare bene, che il suo futuro fosse sereno, si disse la ragazza, ma la mancanza della parola era comunque un problema.
"Benvenuti nel negozio di Beatrice, ma potete chiamarmi Bea."
Si fece avanti una donna in carne, con i capelli di un biondo scuro misto al rosso delle fragole e gli occhi color miele.
"Grazie" rispose Andrew.
"Conosco Eliza e gli Hall, ma voi? Siete stranieri?"
Non lo disse né con disprezzo né con paura e ciò fece sentire sollevati tutti quanti.
"Sì, siamo arrivati da poco" le spiegò Demi.
"Capisco. Come posso aiutarvi?"
"Stavamo solo dando un’occhiata," riprese l'uomo, "ma nel caso avessimo bisogno le chiederemo."
"Venite, vi mostro delle cose."
Per cortesia la seguirono, ma tutti ebbero la sensazione che volesse vendere ai Lovato qualcosa a ogni costo. Li portò nel retro del negozio dove mostrò loro varie boccette con pozioni di diversi colori e altri oggetti legati alla stregoneria. In particolare, si soffermò su alcuni cristalli che sembravano risplendere di luce propria.
"Ma sono bellissimi" mormorò Demi, incantata.
"Vero? Ed estremamente delicati, ma vi assicuro che vale la pena possederli. Se metterete uno di questi nella vostra casa come soprammobile, la renderà più accogliente."
"Mille rubli di luna?" chiese Andrew leggendo il prezzo.
Non sapeva se avessero lo stesso valore dei dollari, ma supponendo di sì si disse che era parecchio e altri superavano addirittura i tremila.
"A volte la bellezza ha un alto costo, signore" rispose la venditrice.
"A parte il fatto che non abbiamo i soldi che si usano qui, non compriamo mai cose così costose" precisò Demetria.
Nonostante la sua ricchezza, cercava sempre di non eccedere.
"Oh, ma posso darvene uno gratis se la prossima volta acquisterete qualcosa qui" provò la donna, disposta a tutto pur di vendere un prodotto anche in seguito.
"Bea, credo che i miei ospiti abbiano detto di no" intervenne Eliza con voce ferma.
Non avrebbe voluto trattarla male e si era posta in modo gentile, ma quando ci voleva ci voleva.
"Okay, scusate" rispose solo questa e se ne andò con lo sguardo basso.
Perlomeno non aveva insistito troppo.
Visitarono un negozio di vestiti. Demi avrebbe voluto comprare qualcosa per lei e le figlie e anche Andrew sarebbe stato felice di avere degli abiti suoi, ma non avevano soldi e non osavano chiedere. Isla, però, se ne accorse e li convinse che avrebbe pagato tutto senza alcun problema, lottando contro i loro cortesi rifiuti. Alla fine, la cantante scelse qualche tuta da ginnastica con pantaloncini e maglietta corti, alcune maglie lunghe, prese vestiti simili anche per le figlie, diverse paia di scarpe, ciabatte e sandali per tutte e tre, un paio di giacche leggere a testa nel caso avesse fatto più fresco, intimo, pannolini per Hope e una gonna per lei. Andrew optò per un paio di tute e dei sandali. Provare tutto e cercare gli abiti giusti portò via loro tempo, ma alla fine uscirono con tre borse piene di acquisti e ringraziarono Isla.
Il terzo negozio era una libreria piena di libri di magia: manuali di incantesimi, enciclopedie e romanzi con fate, streghe, ninfe e altre creature che raccontavano le loro avventure amorose, d'azione o di altri generi. Demi si avvicinò a uno scaffale e prese in mano un volume dalla copertina gialla, di circa settecento pagine e ben messo.
"Vediamo. Il suono dell'amore, di Wren Doyle. Mmm, interessante."
Di solito si diceva Il calore dell’amore, ma non l’aveva mai sentito accostato alla parola suono. La trama narrava la storia di una fata che, dopo varie difficoltà legate ad alcuni problemi della sua famiglia, conosceva un folletto e se ne innamorava. Lui ricambiava e a quanto pareva la storia d'amore si costruiva lentamente, non come accade in certi romanzi o in alcune fanfiction nelle quali i due stanno insieme dopo una settimana o un mese dal momento in cui si sono incontrati la prima volta, ridicoli secondo Demi. Ma le difficoltà non erano finite per i due, perché la fata scopriva di essere incinta. E la trama si interrompeva, con qualche frase vaga. La ragazza avrebbe tanto voluto leggerlo. Poteva apparire una storia cliché dato il riassunto, ma secondo lei non lo era affatto.
"Ti interessa?" le chiese Isla.
"Sì, parecchio."
"Io l'ho letto, è ben scritto e pieno di colpi di scena, non prosegue con troppa lentezza e si sofferma sulla psicologia e le emozioni dei personaggi. Ci sono anche quattro seguiti, te li consiglio. Eccoli qui. La saga è già completa."
Anche La musica dei nostri cuori, il secondo libro, era un bel titolo e i seguenti le piacquero perfino di più.
"Vorrei tanto prenderli" confessò.
Non aveva mai letto una saga intera se il primo libro non l’aveva catturata, ma quella volta una sorta di sesto senso le suggerì che poteva fidarsi delle parole della fata.
"Se vuoi te li posso comprare io" si offrì questa con un gran sorriso.
"No, no! Non voglio che tu spenda ancora per me. Ci hai già preso i vestiti e poi costano troppo. Cioè, non… insomma, sei gentile, ma mi imbarazza che tu voglia regalarmeli perché non ho soldi."
"Non è di certo colpa tua, cara. Dai, coraggio. Vedilo come un dono di conoscenza. Non siamo ancora amiche, è troppo presto."
L'altra annuì: non poteva che concordare, ma Isla le stava simpatica e non escludeva che un giorno sarebbero potute diventare amiche.
"D'accordo" si arrese infine.
Lì costava tutto meno rispetto al suo mondo, anche i vestiti che, seppur di buonissima qualità, avevano un prezzo ridicolo. E così, poco dopo aveva anche una borsa con cinque libri sottobraccio. Intanto Mackenzie e Hope avevano preso, grazie a Eliza, alcuni libri per bambini, la prima di favole e la seconda di disegni da colorare.
Andrew, che non avrebbe saputo come ricambiare la loro gentilezza, le ringraziò.
"Figuratevi, l'abbiamo fatto col cuore" rispose Eliza.
“Cosa sono quelle?”
Demi stava indicando delle lanterne di ceramica appoggiate su uno scaffale.
“Ciò che sembrano, credo” le rispose il fidanzato.
“No, non esattamente.” Era stata Isla a prendere la parola. “Sono quel che pensate, ma servono per i neonati. Quando vengono alla luce, pixie e folletti sono piccoli come lucciole e i genitori li mettono, con molta delicatezza, dentro queste lanterne che li proteggono e li tengono caldi con la loro luce. Solo mamma e papà possono aprirle, ed è verso i due mesi che i piccoli hanno una sorta di picco di crescita e diventano grandi come bambini umani della loro età.”
Demi, Andrew e Mackenzie guardarono Isla con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata. Sì, quello era un mondo magico, ma c’erano sempre più diversità rispetto al loro che li sorprendevano ogni volta, alle quali ancora faticavano a credere.
“Che cosa particolare” commentò Demetria, che doveva ancora realizzare del tutto.
Domandò quale fosse la differenza tra fata e pixie. Aveva sentito pronunciare entrambe le parole in quei giorni, ma a quanto ne sapeva un pixie era una sorta di folletto e, da stupida, non aveva chiesto delucidazioni. Grazie alla risposta di Eliza, scoprì che si trattava di una fata prima del compimento dei tredici anni e la cantante ricordò che Emmastory, l’autrice della saga, l’aveva spiegato in una nota aggiungendo che se l’era inventato.
“La gravidanza funziona in modo diverso rispetto a quella degli umani? Come si fa a sapere se il piccolo sta bene?”
Demi pose quelle domande dato che era sicura che lì non esistessero ospedali e che, com’era probabile, a parte i guaritori – credeva si chiamassero così – gli altri non ne sapessero molto di medicina.
“Chi da una mano alla fata in questione quando deve partorire? Un’altra fata senza nessuna esperienza per quanto concerne la gravidanza o il parto? Una con esperienza, magari una levatrice?” domandò Andrew.
Isla, l’unica che aveva partorito, rispose:
"Dato che siamo esseri magici la questione sembra complicata, ma in realtà è tutto più semplice di quanto pensiate. Per noi fate l'attesa è di nove mesi, come per gli umani, anche se in genere siamo aiutate dalle ninfe o da altre fate di cui ci fidiamo ciecamente. Quando sono nate Lucy e Lune abbiamo fatto questo e per fortuna non ci sono stati problemi. Già appena nate cercavano di starmi vicine, ho potuto tenerle in mano" aggiunse, mentre le si inumidivano gli occhi al solo ricordo di quelle due minuscole pixie, una color avorio e l'altra sui toni del rosso ancora spento.
"Cielo, d-dev'essere stato…" balbettò in risposta la ragazza, ancora incredula.
Chissà cosa si provava a stringere una creatura tanto piccola.
"Bellissimo, e stanne certa, un giorno proverai le stesse cose anche tu."
O forse mai pensò la ragazza.
Isla non sapeva niente della sua sterilità, ma quella frase costrinse comunque la cantante a inghiottire un boccone amaro.
Si diressero a un quarto negozio. Le pareti erano dipinte di un giallo acceso e alcune scatole di rosa o azzurro. Si trattava di un luogo in cui si vendevano vestiti, ma solo per neonati e bambini fino a un anno, copertine, culle, carrozzine, passeggini, seggioloni e molto altro. Andrew e Demi accarezzarono alcune tutine in ciniglia appese lì intorno, godendosi la loro morbidezza.
"Magari un giorno potremo avere anche noi un bambino" sussurrò lui all'orecchio della fidanzata.
Lei respirò piano, serrò le labbra e deglutì a vuoto.
"Non lo so, amore” disse con un filo di voce. “Dovremo pensarci con molta attenzione."
Le procedure per un qualsiasi trattamento di fertilità non sarebbero state semplici o brevi. Ne discusse con lui.
"Le tue paure sono anche le mie" le rispose l'uomo. "Sentiremo un ginecologo, faremo degli esami. Forse ci consiglierà una clinica per la fertilità, o andremo in quella in cui sei stata tu. Magari non ce la faremo, o invece riusciremo lo stesso a crearci una famiglia più grande, chi lo sa? Altrimenti adotteremo un altro bambino, un neonato di una donna che potrebbe sceglierci come genitori."
"Sono aperta a entrambe le possibilità, ma per quanto amerei restare incinta la cosa mi fa anche molta paura, forse perché temo di non riuscirci, rimanere delusa ogni volta, o di perderlo, dato che sarebbe la prima gravidanza che, credo, spaventi tutte le donne. Dovrei essere più elettrizzata, me ne rendo conto. Do l’idea di trattare questo periodo come un peso, ma non è così."
Lui le prese la mano.
“Lo so” rispose con dolcezza e lei si sentì capita.
Ne avrebbero discusso a tempo debito, ora non era il momento, anche perché non sapevano nemmeno come sarebbe proseguita la loro relazione.
Gli altri non li avevano sentiti, erano più avanti o più indietro.
"Guarda, Hope." Demi le indicò una tutina bianca. "È simile a una di quelle che ho preso per te quando sei arrivata."
C'era scritto Sei mesi sul cartellino, l'età della bimba quando l'aveva incontrata la prima volta. Lei, non capendo del tutto ciò che la mamma aveva detto, sorrise appena.
Anch'io portavo vestitini così piccoli, papà?
"Certo Mac, e sono sicuro che erano morbidissimi."
A differenza di quanto accaduto nei precedenti negozi, non erano soli. Alcune coppie gironzolavano tra le corsie e fra di loro c’erano un paio di donne in stato di gravidanza avanzata. Demi sorrise nel guardarle, ma allo stesso tempo provò una fitta allo stomaco, tanto che dovette mettersi le mani davanti a esso per non vomitare. Anche se ormai si era rassegnata al fatto di essere sterile, non era mai riuscita ad accettarlo fino in fondo. Da quando l'aveva scoperto si sentiva incompleta, meno donna, come se una parte di lei le fosse stata strappata via a forza. Una sensazione della quale non si sarebbe più liberata.
"C'è drin drin, mamma!" esclamò Hope quando entrarono nel quinto stabile, un negozio di giocattoli.
La bambina stava indicando una scatola con l'immagine di un sonaglio uguale a quello che le aveva dato la fata anziana.
"Ho visto, tesoro. E pensa che ne hai uno anche tu."
Lì dentro c'era di tutto: peluche, bambole di ogni tipo e dimensione, case delle bambole, accessori finti, in plastica, per cucinare, macchine e carrozzine giocattolo e non solo. Mackenzie, Hope, Lucy e Lune si guardavano intorno incantate neanche si fossero trovate in Paradiso, e con gli occhi sbarrati non sapevano dove puntare lo sguardo perché un secondo dopo qualcos'altro catturava la loro attenzione.
"Papà, c'è scritto che questa fata ha il mio potere. Posso averla?" chiese Lucy indicando una scatola.
"Va bene."
Lune trovò un orsetto con il suo elemento, mentre Eliza volle comprare a tutti i costi a Mackenzie e Hope dei cubi con le lettere parlanti. Andrew e Demi si opposero, ma lei insistette, anche se non in modo eccessivo e alla fine, per fare ancora più felici le piccole, i due accettarono.
Poco dopo, tutti fecero ritorno a casa. Isla, Oberon e le loro figlie si fermarono ancora un po' da Eliza e, mentre le bambine si rincorrevano a poca distanza da loro, la fata chiese a Demi di cantarle qualcos'altro come le aveva promesso. La cantante prese un gran respiro e scelse una canzone più leggera ma che a lei piaceva. Sperò valesse lo stesso per gli altri.
"Non parlo di Andrew in quella che sto per cantare, tra noi va tutto benissimo e ci amiamo" mise in chiaro, per evitare fraintendimenti.
“Cosa vuoi cantare, Without The Love?” le domandò il suo ragazzo.
“No.”
I due si sorrisero e la ragazza iniziò.
"I should've known when I got you alone
That you were way too into me to know
This isn't love boy, this ain't even close
But you always think we're something that we're not
And now you call me every single night
I only answer 'cause I'm too polite
We happened once or maybe it was twice
Yeah you always make it hard for me to stop
But you always think we're something that we're not
 
You wanna be more than just friends
I can't go through this again
Stop trying to get inside my head
Don't wanna do more than hook-up
It's getting stupid
'Cause I should've known but I forgot
That you think we're something that we're not, Hey!
 
I hear you're telling every one you know
That I'm the one like you can't let me go
And you just keep on blowing up my phone
'Cause you never seem to knowing you should stop
Don't introduce me any of your friends
Delete my number, don't call me again
We had some fun but now it's gonna end
But you always made it hard for me to stop
Now you always think we're something that we're not
[…]"
Tutti applaudirono e Demetria fece una sintetica traduzione.
"Descrive una ragazza, come posso dire? Tosta, ecco. Una che sa quello che vuole e non vuole e la cosa mi intriga" commentò Isla.
Anche Oberon si complimentò con lei e Andrew le disse che ogni volta che sentiva quella canzone la apprezzava di più.
Dopo poco la famiglia Hall tornò a casa propria, dato che era ormai ora di pranzo, ed Eliza si offrì di tenere d'occhio le bambine in modo che Andrew e Demi potessero rilassarsi.
 
 
 
Una volta in camera i due si distesero sul letto, sopra le coperte, e si presero la mano stringendosela piano.
“Che caldo!” La ragazza indossò la tuta più leggera che trovò. “Il viaggio di ritorno mi ha fatta sudare tantissimo.”
Per fortuna si erano lavati e ora stavano meglio.
“Già, ma almeno nei negozi l’aria era fresca. Direi loro la verità anche solo per togliermi questi vestiti lunghi di dosso.”
“Anch’io, ma è troppo presto.”
“Non potremmo dire, che so, che abbiamo avuto un qualche tipo di incidente?”
“E mentire ancora? Non me la sento.”
Lui sospirò.
“D’accordo, ma non vorrei tenerlo nascosto per sempre.”
“Nemmeno io, non possiamo vivere così. Sono sicura che, quando arriverà il momento giusto per dire ogni cosa, lo capiremo.”
"Spero tu abbia ragione.” Si fece ancora più serio. “Scusami se ho tirato fuori l'argomento del bambino, prima, in un posto del genere."
Solo dopo averlo fatto si era reso conto del proprio errore.
"Non importa.” La voce le si incrinò. “Ma questo è un argomento delicatissimo per me, sai anche tu quanto ho sofferto per le notizie che il dottore mi ha dato allora. E ogni volta che ci penso lo faccio ancora."
"Lo so, mi dispiace. Non riesco nemmeno a immaginare, non avrei dovuto" concluse abbassando lo sguardo.
"Tranquillo dai, tutto a posto. Comunque, per il momento per me andiamo bene così come siamo. Se vorremo un altro figlio ci ragioneremo con molta attenzione, va bene?"
"Benissimo. E anche secondo me siamo perfetti."
Lei si girò su un fianco, verso di lui, e lo abbracciò forte. Poco dopo li unì un bacio intenso e passionale. Le loro guance erano così calde che i due ebbero l’impressione che stessero andando a fuoco. Andrew le accarezzò la schiena facendo piccoli circoli con un dito e provocandole gemiti di piacere, che Demi cercò di controllare per non spaventare le bambine o far pensare cose strane a Eliza. Il solo pensiero la fece ridacchiare. Gli passò le mani fra i capelli castani inebriandosi del loro profumo fresco, sul collo, sul petto e Andrew rabbrividì, lo percepì anche lei sotto le dita.
"Ti amo" gli mormorò sulle labbra e lui fece lo stesso, con dolcezza, accarezzandola con quelle parole sincere.
Il pranzo passò tranquillamente. Le bambine divorarono tutta la loro porzione di pollo, per Hope divisa in pezzi piccoli, e le patate al forno che la padrona di casa aveva preparato. Per la più piccola aveva invece cucinato un purè di patate, pensando che le sarebbe stato più facile mangiarlo. Tutti ne assaggiarono perché ce n'era in più e convennero che era buonissimo.
"Per stasera pensavo di preparare una cosa particolare: pasta con speck e noci. Per Hope ho un po' di ragù."
Interessante commentò Mackenzie, che si leccava già le labbra.
"Non voglio metterti fretta, Eliza, e nemmeno darti fastidio dato che sei già così gentile, ma quando posso visitare l'orfanotrofio?"
"Anche oggi pomeriggio" rispose la donna con un gran sorriso, mentre aiutata da Andrew cominciava a sparecchiare.
"Mi farebbe un piacere immenso!"
Demi prese a battere un piede sotto al tavolo. Non vedeva l’ora di stare con i bambini e aiutare.
"Le anziane hanno detto che posso far visita anch'io. Vorrei, ma a chi lasciamo le bambine?"
Erano già state in casa-famiglia, non era il caso che venissero all'orfanotrofio e soprattutto che non lo facesse Mackenzie, dato che ricordava bene quell'esperienza. Per quanto quel luogo potesse essere, in certi momenti, pieno di allegria – o almeno così speravano –, si trattava pur sempre di un luogo dove si trovavano bambini che per svariate ragioni erano stati abbandonati.
"Vado da Isla a chiederle se può passare per fare loro da babysitter. Magari potrebbero divertirsi ancora con Lucy e Lune" disse Eliza e, dopo aver lavato i piatti, uscì.
Le bambine tornarono a riposare e anche Demetria e Andrew ci provarono, ma con scarsissimo successo.
“Non ho più sonno al pensiero di quello che faremo dopo” gli confessò la fidanzata nel buio, cercando la sua mano.
“Nemmeno io, e rimanere a letto quando non riesco a dormire mi innervosisce.”
Aveva continuato a girarsi da quando ci era entrato, così come lei.
“Tanto vale alzarsi, allora.”
Una volta in cucina, bevvero del succo d’arancia per rinfrescarsi. La ragazza sfregò le mani l’una contro l’altra. Era meraviglioso restare in attesa di una cosa che si desiderava tanto vedere o fare, e sperò che quest’ultima non sarebbe stata più bella dell’esperienza in sé.
“Non sarà così” si disse, mentre la voce nella sua testa appariva convinta.
“Come te non ho mai visitato un orfanotrofio e non so cosa aspettarmi, Demi. Piangerò perché proverò pena per quei bambini? O dolore? Oppure sorriderò? E loro come ci vedranno? E se alimentassimo in loro false speranze?”
Andrew parlò a macchinetta, fermandosi solo quando la fidanzata gli mise una mano sul ginocchio.
“Di adottarli, intendi? Sono sicura che i volontari spiegheranno loro chi siamo, non mi preoccuperei di questo. Per il resto, non possiamo sapere come reagiremo, ma in ogni caso sarà un’esperienza importante.”
Si zittirono.
Ora non restava che aspettare.
 
 
 
CREDITS:
Demi Lovato, Something That We’re Not
 
 
 
 
NOTE:
1. ho trattato a fondo i problemi di Mackenzie in Cuore di mamma. All’inizio avrei voluto farlo anche qui. Bisogna tener conto del passato dei personaggi. Ma Emmastory mi ha detto che questo è un sogno e nei sogni, almeno a volte, le persone sono più felici che nella realtà. Desiderava che, per Mackenzie le cose fossero un pochino diverse. È stata tranquilla fin dall’inizio per i motivi che abbiamo già spiegato. Non può e non deve dimenticare il proprio passato, infatti ce ne saranno accenni anche in futuro. Si tratta di un sogno e desideravamo che fosse contenta almeno qui, ma se non avessimo parlato almeno un po’ di ciò che le è accaduto e di cosa prova, il tutto sarebbe risultato incompleto. Tornerà alla realtà, dovrà di nuovo combattere contro i suoi demoni, ma adesso è più contenta, pur senza dimenticare, e noi la vediamo come una cosa bella.
2. Ho ripreso le frasi di Mackenzie riguardo il sangue e la mano della mamma da Cuore di mamma, mentre ho scritto io, per questa fanfiction, la descrizione di quanto è accaduto dopo, pur rifacendomi a quello che avevo raccontato nell’altra.
3. Per ciò che riguarda il percorso logopedico, in Cuore di mamma non ne ho parlato e non lo farò in futuro perché trattare di due terapie diverse e così importanti insieme sarebbe stato troppo pesante da leggere e difficile da affrontare per me, perché queste sedute non si possono riassumere in poche righe, altrimenti non si vedono i progressi del personaggio, e avrei riempito troppe pagine parlando solo di terapia. Non posso dire nulla sul finale della storia, ma per capire quale sarebbe il percorso che Mac dovrebbe seguire ho contattato una logopedista che mi ha dato alcune informazioni. Quando le ho scritto che la psicologa pensava che Mackenzie non fosse pronta ad affrontare quel percorso assieme all’altro, non mi ha detto che non si poteva parlare di una cosa del genere, anzi, ha anche contattato una sua amica psicoterapeuta per chiedere se una situazione come quella sarebbe stata plausibile.
   
 
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