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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 14.

 

UN’ESPERIENZA FORTE

 
Dopo un'ora Andrew, Demi ed Eliza uscirono di casa. Hope, Mackenzie, Lucy e Lune stavano giocando con i cubi parlanti sotto la supervisione di Isla. Quando costruivano qualcosa, i blocchi iniziavano a cantare canzoncine o a dire lettere o parole, un'altra cosa stranissima che sorprese tutti.
"L'orfanotrofio si trova nella comunità umana di Eltaria" spiegò la donna. “È un po’ lontano, spero non vi stancherete troppo."
I due fidanzati si tenevano per mano e decisero di non chiedere nulla. A essere onesti, non sapevano cosa aspettarsi. Se pensavano alla parola orfanotrofio si figuravano nella mente un edificio con la vernice scrostata, l'acqua che cadeva nelle crepe dei muri e tanti, tantissimi bambini, molti dei quali in condizioni orribili. Demi aveva letto, su internet – si augurava non fosse vero, ma purtroppo aveva trovato anche dei video su YouTube a riguardo – di un orfanotrofio in Russia in cui c'erano quattrocento bambini, tutti con gravi difficoltà di deambulazione e deglutizione, che avevano bisogno di assistenza da parte di infermieri e altro personale specializzato. Ventisette di loro erano morti denutriti, abbandonati a loro stessi e senza cure. Chi avrebbe dovuto curarli aveva lasciato alcuni di loro a digiuno, ad altri aveva dato del cibo che non erano in grado di masticare. Le autorità stavano indagando, il Direttore era stato accusato e la vicenda era venuta allo scoperto dopo la morte di un bimbo di undici anni che pesava solo dieci chili. Ma di quella storia non aveva saputo più niente. Come si poteva essere disumani e trattare i bambini peggio di oggetti vecchi e da buttare? Una lacrima le sfuggì, ma aveva pianto tanto per quell’orrore che forse non riusciva a versare più lacrime a riguardo. Credeva che non tutti i posti fossero così, ma tremava mentre si dirigevano verso quel luogo. A Eltaria le persone che aveva conosciuto erano buone e responsabili, voleva sperare che all'orfanotrofio le condizioni dei bambini fossero di gran lunga migliori, nemmeno paragonabili a quella casa degli orrori.
Per strada non c'era nessuno, tutti si trovavano nelle loro abitazioni a rinfrescarsi e riposare in attesa che passasse la calura del pomeriggio. L’emporio, però, era ancora aperto e in quella zona i vari negozi brulicavano di gente.
“Questa città è decisamente più tranquilla della nostra” disse Andrew.
Chiacchierando, un’ora e un quarto trascorse più piacevolmente.
"Eccoci, siamo arrivati" annunciò Eliza indicando un grande cancello in ferro battuto.
Il cartello appeso recitava:
Casa degli angeli del cuore
Dove i non voluti sono i benvenuti.

"Il nome è interessante e la frase sotto efficace" commentò Andrew.
Lui e la fidanzata sospirarono e lasciarono ricadere le braccia lungo i fianchi. Non erano abituati a camminare tanto, le vesciche erano sparite, ma i piedi e le gambe dolevano loro da giorni e, nonostante le chiacchiere, percorrere tutta quella strada non era stato semplice e si erano fermati un paio di volte per riprendere fiato. Seppur in parte privi di energie non desideravano rientrare, non in quel momento. Demi, ancora insicura, non diceva niente.
Non tutti i genitori che abbandonano i figli lo fanno perché non li vogliono, ma anche perché non possono prendersene cura pensò.
All’esterno la struttura era ben messa, una grande casa in mattoni, con un giardino verde e rigoglioso sul davanti. Non c'erano crepe nei muri e le piante erano curate, così come i fiori. Non dava l’impressione di essere un posto abbandonato a se stesso, il che era un buon segno. Ma le interessava di più capire come stavano i bambini.
"Tutto bene?" le domandò Eliza.
Demetria non sorrideva più, era in allerta. Non pareva nemmeno più la persona che aveva conosciuto solo pochi giorni prima.
"Sì, a posto" mentì quest'ultima, che non voleva rattristare la donna. "Ora cosa dobbiamo fare? Bussare? Suonare?"
"Io sono una volontaria." Eliza tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un grande mazzo di chiavi. Queste tintinnarono cozzando l'una contro l'altra e lei, conoscendole tutte a memoria, ne scelse subito una rossa, di ottone, la più grande di tutte. La infilò nella toppa e la serratura scattò. "Avevo detto alla Direttrice che sareste venuti, prima quando sono andata a chiamare Isla sono passata per avvertirla. Vorrà farvi qualche domanda, ma ho garantito io per voi e poi basta che mostriate i documenti."
I due annuirono in silenzio; da quando le anziane li avevano esaminati, ogni volta che uscivano se li portavano sempre dietro per sicurezza. Tutto era immobile, lì fuori. Il vento friniva fra gli alberi e qualche uccellino cantava. Sul prato si trovavano alcune giostre, tra le quali diverse altalene sia per grandi che per piccoli, quattro o cinque scivoli, cavallini a dondolo, una casetta nella quale rifugiarsi e altre ancora.
"È bellissimo qui."
Demetria aveva aperto bocca per la prima volta dopo minuti interi.
"Ti aspettavi un posto in cui i piccoli sono sempre tristi e le persone non si prendono cura di loro?"
La domanda così diretta della donna le fece abbassare lo sguardo e la cantante si vergognò.
"Non sono mai nemmeno stata nella casa-famiglia dove hanno vissuto Mackenzie e Hope. Nei film i bimbi sembrano felici, ma ho letto e so anche da me che nella realtà non è sempre così" spiegò. "Mi rendo conto di essere un'ignorante a riguardo e di saperne poco."
"Idem" mormorò solo Andrew.
Si diedero degli immaturi. Avrebbero dovuto informarsi e fare domande, prima di giungere a conclusioni affrettate. Ora Eliza stava di certo pensando che erano due persone che non sapevano niente, piene di stereotipi su quella e altre tematiche.
"Non sempre ciò che mostrano nei film è vero. E non tutto quello che si legge corrisponde alla realtà. Ci saranno altri posti nei quali, purtroppo, le condizioni dei bambini non sono buone, ma questo non è il caso. Io e altre persone che lavorano qui, professioniste e volontarie, tutte esaminate dalle fate anziane prima di poterci venire, cerchiamo di far sentire i piccoli a casa. Ma non è un compito facile. Molti, soprattutto i più grandi che non vengono adottati, hanno tanta rabbia dentro."
"Mi pare il minimo" disse Demi.
"Alcuni, quelli che hanno più difficoltà, parlano con una fata specializzata nella psicologia dei bambini, da noi si chiama così. Credo che si dica "psicologa”, nel vostro mondo, o sbaglio?” Essendo un'umana, mi pare di aver già sentito questo termine."
"È esatto" confermò Andrew.
"Vanno da lei per parlare e cercare di affrontare i traumi e tutti i sentimenti che provano. Anche questa fata lavora qui."
I due ritennero positivo che ci fosse una figura del genere a Eltaria. Demetria immaginava che nessuno lì sapesse cos'erano uno psicoterapeuta o uno psichiatra, ma la presenza di una psicologa per i piccoli valeva tanto.
Eliza aprì con una seconda chiave una grande porta in legno che cigolò appena. Si trovarono davanti un ingresso ampio, con le pareti dipinte di giallo con appeso qualche disegno di sicuro fatto dai piccoli. In uno erano raffigurate alte montagne con la neve, talmente realistica da assomigliare a panna livellata con il cucchiaio, in un altro una fata con in braccio un Arylu dalle focature azzurre e in un terzo due bambini, forse amici, che si tenevano per mano e sorridevano. Alla loro sinistra, dietro un lungo bancone, sedeva una donna che, quando riconobbe Eliza, si sporse per salutarla.
"È già la seconda volta che ti vedo qui oggi, come mai visto che è domenica?" le chiese in tono gentile.
"Ho portato un paio di conoscenti che vorrebbero vedere questo posto e lei ci lavorerà anche" rispose indicando Demi.
"Se è possibile dare una mano oggi, io sono disponibile" aggiunse Andrew.
Non voleva che quella donna pensasse che erano dei turisti che consideravano l'orfanotrofio un'attrazione da aggiungere al loro itinerario di viaggio.
"Oh, bene! Con cinquanta bambini ci fa piacere avere un aiuto. Io mi chiamo Jacqueline, piacere."
Aggirò il bancone e strinse loro la mano. Aveva i capelli lunghi fino alla fine della schiena, lasciati sciolti, e gli occhi di un intenso color miele simili a quelli di Madison, la sorella minore di Demetria. Avrà avuto al massimo venticinque anni ed era altissima, tanto che per baciare i nuovi arrivati su una guancia dovette abbassarsi alla loro altezza.
Dopo le presentazioni, la cantante le fece i complimenti per il suo sorriso.
"Grazie. Diamoci del tu" concluse Jacqueline in tono cordiale.
I due, ancora confusi da tutta quella confidenza, la baciarono e abbracciarono provando un senso di smarrimento che svanì poco dopo, quando Eliza li calmò con la sua voce vellutata.
"Perdonatela, qui siamo espansivi."
"Sì, mi dispiace, non era mia intenzione spaventarvi."
"Non si preoccup… ehm, non ti preoccupare" rispose Demetria con un gran sorriso.
"Vado a dire alla Direttrice che siete arrivati" annunciò Jacqueline e sparì in un attimo.
"Lei fa un lavoro di segreteria" riprese Eliza. "Registra i bambini che arrivano, le famiglie che li adottano, controlla i documenti assieme alla Direttrice e ha un registro a parte con tutti i nomi dei bimbi che vengono adottati, quelli dei genitori e altre informazioni. È brava in ciò che fa e si dà il turno con l'altra collega, Angie. I piccoli non sono tanti, per cui riescono a gestire bene questa situazione soltanto in due."
Sul bancone c'erano un contenitore con alcune biro e matite, diversi blocchetti di fogli, due o tre grossi registri e altre scartoffie. Per un momento straniti dal fatto che non ci fossero i computer e che lì facessero tutto a mano, Andrew e Demi si ricordarono che quello non era il loro mondo e che a Eltaria, sotto certi aspetti, si viveva in modo differente. A volte loro due non avrebbero saputo come fare senza il PC. Andrew lo utilizzava spesso al lavoro. Tanti documenti erano stampati, ma ne aveva altri solo lì. Con il computer preparava le arringhe e mandava email, mentre Demi lo utilizzava per scrivere le sue canzoni e non solo. Ma tutta quella tecnologia lì non c'era. Era un'altra, grande differenza tra la Terra, o almeno i paesi più sviluppati, ed Eltaria.
Poco dopo Jacqueline tornò accompagnata da una donna sulla sessantina, con i capelli ormai bianchi, un sorriso dolcissimo e due occhi azzurri ancora vivaci. Era bassa e in carne, ma la cosa che colpì Demi più di tutto fu l'espressione del suo volto. Sembrava in pace e anche molto buona.
Si avvicinò alla coppia.
"Buon pomeriggio. Io sono Theresa Horston, la Direttrice di quest'orfanotrofio." Dopo le presentazioni aggiunse: "Se volete seguirmi nel mio ufficio, controlliamo i documenti e parliamo un attimo."
Eliza fece loro cenno di andare, assicurando che li avrebbe aspettati lì. I due si mossero a passi incerti, mentre Theresa aveva un incedere spedito. Li guidò lungo uno stretto corridoio, su per una lunga scala, anche questa in legno e con il corrimano dello stesso materiale e, dopo aver attraversato un grande atrio vuoto, la donna aprì una porta.
"Accomodatevi pure, prego" li invitò, lasciandoli passare per primi.
"Permesso" dissero i due all'unisono.
L'ufficio aveva due grandi vetrate che accedevano a una piccola terrazza dalla quale si poteva vedere tutta la comunità di Eltaria. Dipinti di blu, i muri erano in parte occupati da disegni colorati per la maggior parte di rosso, giallo, arancione, rosa e verde, con vari paesaggi raffiguranti boschi o montagne che conferivano un tocco di allegria e vivacità all'ambiente. Demi e Andrew si accomodarono su due sedie imbottite e con i braccioli, che si trovavano di fronte a una lunga scrivania, anche questa piena di scartoffie.
"Allora," riprese la donna, "mi è stato detto che lei, Demi, vuole lavorare qui per qualche tempo."
Quindi Theresa dava loro del lei. Essendo una Direttrice doveva utilizzare un tono più formale, il che era giusto, ma dopo aver udito così tante persone dire di dare loro del tu fu strano sentire quel lei. D’altronde, ricordarono ciò che aveva spiegato loro Eliza a riguardo e la cosa non fu più tanto bizzarra.
"Sì, è esatto. Non so dirle quanto ci tratterremo, ma di sicuro qualche altro giorno."
O almeno spero.
Se avesse raccontato a Theresa del sogno di Mackenzie questa non ci avrebbe creduto, ne era sicura. Meglio restare sul vago.
"Capisco. Mi fa piacere."
"Anch'io sarei felice di aiutare oggi, se posso. Se ci sarà bisogno, verrò anche i giorni seguenti. Vogliamo davvero dare una mano" concluse Andrew, calcando su quelle ultime parole.
"Quindi non siete venuti qui per, non so, non fare niente e poi raccontare ai vostri amici che "Siamo stati in un orfanotrofio e abbiamo visto tanti poveri bambini"?" continuò Theresa facendo una voce in falsetto. "Scusate, non voglio mancarvi di rispetto. Anche se non ne ho viste molte, ho incontrato persone del genere. Venivano qui, facevano poco o niente e poi se ne andavano non tornando mai più. Quelle che invece vogliono aiutare si impegnano, passano il giorno con i bambini, magari donano qualcosa e quando possono fanno ritorno. C'è differenza tra fare volontariato per essere elogiati e svolgere quest’attività per arricchirsi, inteso come dare qualcosa ai bambini al di là dell'aspetto materiale e soprattutto donare loro il proprio cuore."
"Le assicuro, e posso parlare anche per Andrew, che noi non siamo il primo tipo di persone che ha descritto." Raccontò di Mackenzie e Hope, di come le aveva adottate, del suo amore per i bambini e del viaggio fatto in Kenya molti anni prima. "Ho visto posti che non dimenticherò più, paesaggi suggestivi ma anche tanta povertà. Tutti, però, sembravano felici, anche i bambini nelle scuole, benché immagino non sia sempre così a causa delle mille difficoltà che devono affrontare, difficoltà che, pur essendoci stata, in parte fatico ancora a immaginare. Mi commuoveva sentirli parlare e cantare. Assieme alle donne, ho portato l’acqua dal pozzo a casa con dei secchi. Eravamo tutte a piedi nudi, il caldo ci soffocava, io sudavo e avevo il fiatone. Ma l’ho fatto solo una volta, loro escono in cinque momenti della giornata per riuscirci. Dopo quest'esperienza, ho imparato moltissimo. Mi sono sentita vicina a quelle persone che lavorano duramente ogni giorno e tutto ciò mi ha fatta crescere.” La voce le si era spezzata. Le tremavano le mani. Tossì più volte e sussurrò: “Con la mia famiglia abbiamo deciso di adottare una bambina a distanza." Le spiegò di cosa si trattava e poi proseguì: "Le sue lettere, i disegni che fa, la pagella dove sono scritti i voti arrivano a casa dei miei, perché voglio che anche loro siano coinvolti in quest'esperienza, ma sono io a fare il bonifico. Cioè, insomma, a pagare perché lei riesca a mangiare e a studiare."
"Quindi ha aiutato molte persone, sia durante quel viaggio sia dopo, anche bambini" osservò Theresa. Non era rimasta indifferente alla commozione nei suoi occhi, le lacrime che avevano minacciato di scendere mentre parlava, le mani che si erano mosse frenetiche durante il racconto dell'esperienza in quel posto di cui lei non aveva mai sentito parlare prima, e aveva capito una cosa che le disse. "Ha un grande cuore."
"La ringrazio, ma faccio soltanto quello che sento dentro" rispose la cantante, schiarendosi la voce per ricomporsi.
"Io ho adottato un bambino a distanza con i miei genitori quando ero piccolo, poi un altro nel momento in cui sono diventato maggiorenne, ma in Madagascar" raccontò Andrew. "È sempre stato bello per me pensare che ho dato a questi bambini un futuro migliore, li consideravo un po' dei fratelli minori. Quando arrivavano le foto, i disegni o, ancora di più, le lettere, mi mettevo a piangere mentre le leggevo e…"
Nascose il viso tra le mani per non far vedere le sue lacrime.
"Va bene, mi basta sentire questo. Mostratemi i documenti."
Dopo averli esaminati con attenzione, la Direttrice chiese a Demi come mai non le avesse chiesto quanti soldi avrebbe guadagnato lavorando lì.
“Mi è sempre stato insegnato di non farlo” spiegò lei con semplicità, “ma avevo intenzione di domandarlo ora, con gentilezza.”
Theresa le sorrise con calore, quella ragazza era una persona umile.
“Qui paghiamo bene i nostri volontari: dieci rubli di luna l’ora. Fanno millecinquecento al mese.”
Era una paga più che onesta.
La signora fece sapere alla coppia che avrebbe potuto raggiungere Eliza. Concluse dando loro il benvenuto ufficiale nella Casa degli angeli del cuore e li salutò con gentilezza.
Una volta tornati dalla donna che li ospitava, i due la seguirono di nuovo oltre il primo corridoio, ma anziché girare a destra verso le scale, svoltarono a sinistra. Dopo aver aperto una pesante porta in ferro che si chiuse con un tonfo dietro di loro, Eliza disse ai fidanzati che i bimbi erano divisi per età ma non per razza e che non tutti erano in fasce.
Dalla prima stanza alla quale si avvicinarono, con la porta dipinta metà di rosa e metà di azzurro, non si sentiva provenire alcun suono. O i bambini stavano dormendo, oppure… I due adulti non sapevano cosa pensare. Eliza aprì piano.
"Qui ci sono i neonati" sussurrò.
Vennero accolti da una volontaria di diciotto anni al massimo, che disse di chiamarsi Julie. Più che sul suo aspetto fisico, Andrew e Demi si concentrarono su ciò che avevano davanti: cinque lanterne appoggiate su una coperta sul pavimento. Dentro di esse, cinque sfere luminose grandi come lucciole che brillavano di luce propria.
"Sono questi i bambini?" domandò Demetria incredula.
Non aveva mai sentito parlare di piccoli in forma di sfera prima d'allora, tranne un breve accenno all’emporio che, però, non le aveva fatto capire molto. Quella luce aveva qualcosa di particolare che la attirava, che la costringeva a non staccarle gli occhi di dosso.
"Esatto" rispose Julie. "Lei è Maisy, ha solo un giorno ed è una pixie. È stata abbandonata ieri nella sua lanterna qui fuori. Come volontari, possiamo aprire questi contenitori e controllare la salute dei piccoli, in quanto alcuni di noi sono guaritori, e curarli se c'è bisogno. Io sono una di loro, benché non sia esperta, sto ancora studiando. Ci prendiamo cura di tutti i bambini nel momento in cui si ammalano, facciamo il possibile. Lui invece è Thior, è uno gnomo e ha venti giorni." In effetti, la seconda sfera che stava indicando era più grande. Julie parlò degli altri tre, due femmine e un altro maschietto, tutti elfi. Una delle bambine, Lilith, avrebbe compiuto due mesi il giorno dopo, era quindi quasi pronta per la trasformazione. Ashley e Matthew, invece, avevano un mese. "Se volete potete parlare loro" concluse la ragazza.
“E come fate a capire se sono maschi o femmine, dato che sono lucine?” chiese Andrew.
“Da come si comportano” rispose Eliza. “Le femmine sono meno timide dai maschi. Se avvicini loro la mano, loro si avvicinano prima dei maschi.”
Fu Demetria la prima ad avvicinarsi.
"Ciao, piccolini" mormorò, per paura di spaventarli. “Mi spiace che siate qui, ma spero che troverete presto una famiglia."
"I neonati vengono adottati subito, abbiamo già diverse richieste" la rassicurò Eliza. "Nel giro di alcuni giorni dovrebbero essere tutti nella loro nuova casa."
"È così anche nel nostro mondo per i bambini piccoli" aggiunse Andrew, che si avvicinò e sussurrò loro qualche parola di incoraggiamento e d'affetto.
"Quelli che fanno fatica a trovare una casa sono i più grandi," proseguì Demi, "sopra i sette anni. Tutti vogliono bambini piccoli. Io ero aperta a riguardo, quando ho adottato le mie figlie. Mi aspettavo che Mackenzie fosse più grande, ma dato che il loro caso era grave, che avevano bisogno di una famiglia in tempi brevi e che mi sono innamorata di lei e della sorellina non appena le ho viste in fotografia, ho detto subito di volerle incontrare."
"Purtroppo è vero anche qui," constatò Julie, "molti bambini sono grandi."
Dopo averla salutata i quattro si diressero verso un'altra stanza. Dei pianti disperati riempirono l’aria.
"E adesso ci si diverte" mormorò Demetria all'orecchio del fidanzato, rammentando il periodo nel quale Hope aveva pianto ogni santa notte perché stava mettendo i dentini.
La seconda stanza, con la porta dipinta del medesimo colore, aveva bambini di due, tre, quattro e cinque mesi.
"Qui ci sono età diverse perché i piccoli sono pochi, soltanto dieci, sarebbe stato assurdo dividerli" spiegò loro Eliza.
La seconda volontaria disse che avrebbero potuto prenderli pure in braccio e la cantante e il suo ragazzo non se lo fecero ripetere due volte. Con i cuori che scalpitavano, si avvicinarono una a una culla e l'altro a una carrozzina. Quattro bambini dormivano e gli altri piangevano e si lamentavano, tanto che la volontaria e una sua collega che rientrò in quel momento dovevano continuamente intrattenerli. Li avevano già nutriti e cambiati, bisognava solo distrarli.
"Come date loro i nomi?" domandò Demetria mentre sollevava piano quella che, a giudicare dalle orecchie a punta, doveva essere una piccola elfa.
"Lei per esempio è Clary, ha solo due mesi” disse Eliza. “Quello che tiene il tuo fidanzato, invece, è Martin e ne ha cinque. Se i bimbi sono grandi ci dicono loro stessi come si chiamano. Per il resto li sceglie la Direttrice, ma anche noi possiamo suggerirne. A volte li diamo loro se nel giorno in cui li troviamo c'è qualche festa particolare, ma in generale rispetto a quelli che ci piacciono. Al momento dell’adozione, i genitori possono decidere se lasciarli loro o cambiarli. Questo accade soprattutto con i neonati o i bambini fino a un anno. I genitori che adottano quelli più grandi preferiscono lasciare ai bimbi il loro nome, soprattutto se sono abbastanza cresciuti da riconoscerlo.”
A Demi non era mai venuto in mente di cambiare i nomi delle sue figlie, non sarebbe stato giusto e non era nemmeno sicura delle procedure da adottare o se le sarebbe stato permesso.
“Nei casi nei quali, invece, lo cambiano, la Direttrice rilascia un certificato con il nuovo nome e quello di mamma e papà, se i genitori mantengono il suo ricevono comunque il documento. Una copia resta a noi e una a loro” proseguì Eliza. “Quando i bambini arrivano qui, dobbiamo chiamarli in qualche modo per registrarli, dare loro un'identità è importante. Altre volte, invece, è chi li abbandona che lascia un biglietto con scritto il nome. Qualsiasi età abbiano i piccoli, i genitori hanno dieci giorni di tempo per venirli a riprendere e spesso lasciano oggetti, anche magici, che possono dare loro la possibilità di riaverli."
"Più o meno come si faceva da noi una volta, per quanto riguarda i dieci giorni e gli oggetti" rifletté Andrew stringendo il piccolo che, sentendo la sua voce, si calmò.
Clary non aveva mai pianto, nemmeno quando erano entrati. Se ne stava tranquilla tra le braccia di Demi che, per sentirsi più sicura, si era seduta su un piccolo divano che si trovava di fronte alle culle e alle carrozzine. Le sosteneva la testina e la schiena e le aveva messo una mano tra le gambe per tenerla meglio. La bambina la guardava con i suoi grandi occhi marroni e le sorrideva.
"Sei dolcissima, lo sai?" le chiese la ragazza, mentre la piccola tirava un urletto e le stringeva l'indice con la manina.
Andrew, intanto, seduto accanto a lei, faceva il solletico a Martin che rideva.
"Me li porterei a casa entrambi" le fece sapere.
"Anch'io, te lo assicuro!"
Giocarono con loro per diversi minuti, li coccolarono, li accarezzarono, fecero fare loro il giro della stanza per calmare qualche pianto e fu difficile rimetterli giù. Si sentirono come se li stessero lasciando e se per colpa loro i piccoli vivessero un secondo abbandono, soprattutto nel momento in cui scoppiarono a piangere entrambi. Ma non potevano adottarli. Per quanto sarebbe piaciuto loro, quella strana situazione non permetteva ad Andrew e Demi di diventarne i genitori. In più quei piccoli non erano fratelli, non avrebbero potuto adottarli entrambi.
"Troveranno presto una famiglia che li amerà, vedrai."
L’uomo cercò di rassicurare la fidanzata, liberando poi un pesante sospiro.
"Lo spero." il suo sussurro fu quasi inudibile, mentre il groppo che aveva in gola non si voleva sciogliere né trasformare in pianto.
È quella la cosa peggiore, pensò la cantante, il momento in cui le lacrime vogliono uscire ma, chissà per quale arcano motivo, non lo fanno.
Eliza dovette notare la loro tristezza e chiese ai due se volevano prendersi una pausa. Entrambi annuirono e lei li condusse a fare una passeggiata in giardino. Pensare che quei bimbi fossero stati abbandonati era straziante perché, per quanto fosse bello tenerli in braccio, nessuno dei due poteva dimenticare ciò che avevano vissuto e che, anche se i piccoli non lo ricordavano, avevano già sofferto. I fidanzati non sapevano perché i genitori avessero lasciato lì quei cinquanta bambini, se per povertà, perché non li volevano o per altre ragioni. Certo era che ai piccoli causava dolore.
"Anche a me ogni tanto serve tempo per staccare" confessò Eliza dopo alcuni minuti di assoluto silenzio. "I bambini qui sono spesso felici, ma a un certo punto qualcuno dei più grandi mi chiede se troverà mai una mamma e un papà, o perché i genitori non l'hanno voluto, se torneranno, pensa che l’abbandono sia colpa sua.” La donna abbassò lo sguardo. “Io cerco di calmarlo, di fargli capire che non è in alcun modo responsabile di tutto ciò, che mamma e papà lo amavano, ma non potevano tenerlo. Non voglio che li odino, benché a volte sia inevitabile dato che in certi casi, per fortuna rari, anche quelli di quattro, cinque, sei o più anni vengono abbandonati qui fuori. Insomma, è difficile. Molti dei più grandi non sono cresciuti qui, sono stati lasciati, con un cartello al collo che diceva che avremmo dovuto prendercene cura. Di solito quelli vengono abbandonati di giorno, così possono suonare un campanello e viene aperto loro subito, i genitori magari promettono che torneranno, ma non lo fanno mai. I piccoli, invece, di solito vengono abbandonati di notte, nelle loro lanterne o avvolti in una copertina. Per cui sì, lo so, non è facile. Né per loro, soprattutto né, a volte, per chi ci lavora."
"Quanti ce ne sono di grandi?" chiese Demi sorridendo a Eliza.
"Trenta, dai cinque a i nove anni. Gli altri cinque, che dovete ancora vedere, vanno dai sei mesi all'anno e mezzo. Per ora non ne abbiamo di altre età. Con i più grandi dobbiamo ancora parlare per cui, Demi, li vedrai in questi giorni. Dobbiamo dire loro che verrai a lavorare qui, per questo non ve li faremo conoscere oggi. Vedendovi, potrebbero pensare che desiderate adottarli."
I due annuirono.
Sarebbe stato molto doloroso per loro scoprire che non era così, meglio fare attenzione, aveva ragione Eliza. Rientrarono dopo aver respirato a pieni polmoni l'aria pulita di Eltaria, e una volta nella terza stanza vennero accolti dalla risata argentina di un bambino. Stava gattonando sul tappeto che ricopriva tutto il pavimento e giocava con qualcosa, da quella distanza non riuscirono a capire se si trattava di un peluche o di cos'altro, ma appena li vide corse, sempre a quattro zampe, verso di loro. Aveva riconosciuto Eliza, che lo prese subito in braccio.
"Ciao, Harold!"
La volontaria che si occupava di loro si scusò dicendo che erano bambini vivaci, ma per i tre non c'era nessun problema.
"Vuoi tenerlo, Demi?"
“Volentieri, Eliza, grazie.”
Sedendosi stavolta su una poltrona foderata di velluto, la ragazza lo prese tra le braccia.
Il bambino, che aveva capelli e occhi nerissimi, scalciava, continuava a muovere le mani, rideva e urlava, ma pareva così contento che contagiò anche la ragazza facendola scoppiare in una sonora risata.
"Lui di che razza è?" chiese a Eliza.
"Uno gnomo. È qui da quando è nato, abbandonato a poche ore di vita."
Andrew, intanto, si era buttato sul tappeto a giocare con due bambini più grandi, uno di circa un anno e mezzo e l'altro forse di uno o poco meno, visto che a malapena si reggeva in piedi, entrambi elfi maschi. Li faceva divertire muovendo alcuni sonagli che producevano un rumore delicato, suonando una piccola tastiera giocattolo e inseguendoli per poi fingere di mangiare loro la pancia.
“Vi mangio tutti!” esclamava, mentre questi riempivano la stanza di risate.
Eliza si occupava a fatica degli altri due. Poco dopo, però, purtroppo i tre dovettero lasciare l'orfanotrofio. Era ormai sera, i piccoli dovevano mangiare e la padrona di casa necessitava di un po' di tempo per preparare il sugo.
"Allora, vi è piaciuto stare con i bambini?" chiese quando, dopo aver salutato le volontarie, la segretaria e la Direttrice, uscirono.
"Molto" risposero i due all'unisono.
"È stata un'esperienza forte, d'impatto per certi versi e divertente per altri" continuò Andrew.
"Non posso che concordare. E non vedo l'ora di lavorare qui e di dare una mano il più possibile."
"Come mai non ci sono ninfe e satiri?" domandò ancora l'uomo.
"Non è nella loro cultura abbandonare i bambini. I figli per quelle creature si tengono, in qualsiasi condizione. Se si ha un problema, ci si fa aiutare dalla comunità."
"Magari fosse così in tutto il resto del mondo, anche nel nostro."
Una volta a casa, Eliza si mise subito ai fornelli mentre i genitori, benché stanchi, giocarono con Hope e Mackenzie.
La pasta e il sugo vennero eccezionali. I maccheroni erano cotti a puntino e, nonostante lo speck fosse parecchio salato, com’era normale, la delicatezza delle noci contribuiva a smorzarne appena il gusto in modo che i due si equilibrassero e le ultime, con la loro croccantezza, si rivelavano una gioia per il palato. Dopo la buonissima cena la serata trascorse tranquilla tra giochi, qualche altra canzone che Demi cantò volentieri, di sua spontanea volontà, e chiacchiere. Tutti, però, andarono a letto presto. Li aspettava una giornata intensa: Andrew sarebbe rimasto a casa a svolgere qualche faccenda, Eliza e Demi avrebbero avuto una mattinata di lavoro all'orfanotrofio e Mackenzie il primo giorno di scuola, mentre Hope quello dell’asilo. E non vedevano l’ora.
 
 
 
NOTE:
1. la vicenda dell’orfanotrofio russo è, purtroppo, vera. L’ho letta nell’articolo “Bambini morti di fame e per soffocamento: accade in un orfanotrofio in Russia” sul sito wwww.fanpage.it, anche se l’ho trovata anche in altri siti come www.lagazzettadelmezzogiorno.it.
2. Demi ha festeggiato in Kenya, nella regione del Masai Mara, il suo ventunesimo compleanno. È stata lì una settimana ed è partita con l’organizzazione Me to We, che organizza viaggi di volontariato in vari Paesi. La descrizione del portare l’acqua è vera. Ho preso le informazioni sui siti www.theglobeandmail.com e www.looktothestars.com. Purtroppo non ho trovato altro che fosse di rilevanza per il capitolo, quindi il resto è inventato.
   
 
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