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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CAPITOLO 15.

 

LAVORARE CON IL CUORE

 
In un battito di ciglia, alla domenica si sostituì il lunedì. Demi faticava a svegliarsi e, aprendo gli occhi con uno sforzo che le parve immane, non vide quasi nulla. All’inizio solo immagini sfocate e distorte, poi la realtà, o almeno quella in cui ora si ritrovava a vivere. Si era di nuovo addormentata in casa di Eliza, nella stanza da letto che la donna le permetteva di occupare. Piccola, certo, ma per sua fortuna sempre accogliente. Si strofinò gli occhi, si rigirò fra le coperte profumate di pulito e, in silenzio, premette il viso contro il cuscino. Sorrise a se stessa e, stiracchiandosi come una gatta, senza neanche farlo apposta, sentì miagolare. Era Willow, la micia di Kaleia, giunta lì durante una delle sue gite fuori porta. Quel verso la distrasse per un attimo e, notandola, a malapena represse uno sbadiglio.
"Ciao, Willow" bofonchiò, le parole ancora distorte da tale gesto.
La gatta miagolò piano come per non disturbarla oltre. Si sdraiò sulla coperta e iniziò a muovere le zampe.
"Che fai, pasticci?" le chiese la ragazza, ridacchiando divertita.
“A te cosa smbra?” parve chiedere, o almeno fu così che Demi interpretò il suo miagolio.
“Fa’ una buona pasta, mi raccomando” le disse, poi rise.
La gatta iniziò a fare le fusa e abbassò lo sguardo.
La giovane scostò da sé le coperte e si alzò dal letto. Andrew dormiva ancora indisturbato e, conscia della sua stanchezza alle volte legata anche ai problemi di salute, preferì lasciarlo riposare. Gli depose un bacio sulla guancia e, infilate le pantofole, si preparò a uscire, ma in un attimo si ritrovò Willow alle spalle, sdraiata e con le zampe strette attorno alla sua caviglia. Per fortuna non usava gli artigli e si ritrovò a ringraziare chiunque in quella famiglia gliel'avesse insegnato. La gatta doveva essere stata attratta dal suono che producevano le ciabatte scivolando sul pavimento. Più divertita che arrabbiata, la ragazza si abbassò per accarezzarla e grattarle la testa. La micia smise di agitarsi.
"Su, basta. Giocheremo più tardi, va bene?"
Ancora una volta, e come se riuscisse a capirla, la gatta miagolò al suo indirizzo.
“Demi?”
Andrew sussurrò il suo nome e lei lo raggiunse sul letto.
“Shhh, continua a dormire. Scusami, non volevo disturbarti.”
“Non preoccuparti. Come ti senti? Per oggi, intendo.”
La ragazza sospirò: si era svegliata con un senso di oppressione al petto. Il giorno prima, eccitata alla sola idea di lavorare, non avrebbe mai immaginato che quell’emozione sarebbe stata offuscata da qualcos’altro.
“Non lo so, come se qualcosa mi rallentasse la respirazione rendendola più difficoltosa. Credo di avere paura” ammise con non poco sforzo. “I bimbi piccoli mi adorano, ma se non piacessi a quelli più grandi? Se non fossi brava con loro? Se si sentissero male, non solo fisicamente, e non ce la facessi ad aiutarli? Un conto è occuparmi delle mie figlie o di bimbi che hanno già una famiglia, un altro di piccoli abbandonati che possono avere delle difficoltà.”
Si mise la testa fra le mani, ma subito dopo lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi.
“Le ha anche Mackenzie e stai riuscendo a gestirle benissimo.”
“Come madre e perché la conosco, cosa che non è per quanto riguarda quei bambini. Davvero, ho paura di fare casino. Non capisco perché la provo solo ora.”
Sfregò le mani l’una contro l’altra, che tremarono come il suo intero corpo.
“Credo che fosse proprio questa sensazione a non farti provare paura. O magari la sentivi solo nell’inconscio, ma per il resto la felicità e l’adrenalina erano più forti. Ora il momento si avvicina e le tue emozioni sono differenti, è normale.”
Lei sbuffò e mormorò:
“Non lo so.”
“Ascoltami.” Andrew le strinse piano le mani e lei lasciò andare un respiro tremante, provando subito dopo un senso di sollievo. “In Kenya sei stata fantastica con i piccoli, me l’hai raccontato, e sei una madre meravigliosa. Hai pazienza, sei dolce e hai altre mille qualità. Sì, non sempre tutto sarà facile all’orfanotrofio, ma con la tua forza e l’empatia sono sicuro che riuscirai ad affrontare ogni cosa assieme ai bambini. E poi non sarai sola. Eliza ti rimarrà a fianco, così come le altre volontarie. Vivrai un’esperienza che porterai nel cuore per il resto della vita, vedrai.”
“Dici davvero? Ce la farò?” gli domandò stringendosi a lui.
“Sì, sta’ tranquilla.”
Demi lo baciò e lo ringraziò, poi respirò a fondo per calmarsi.
“Tu che farai?”
“Niente di che, rimarrò a casa. Uscirò a passeggiare, forse. Sto bene, non preoccuparti.”
“Ora dormi, e buona giornata” lo salutò con un sorriso.
“Anche a te. Dirò una preghiera, ma andrà tutto bene.”
“Grazie.”
Willow, che li aveva ascoltati muovendo le orecchie, si rimise in piedi e la seguì fuori dalla stanza. La porta cigolò appena. Giunte in corridoio, le due si imbatterono in Eliza.
"Buongiorno a entrambe, ragazze. Demi, hai fame?"
"Che c'è per colazione?"
"Puoi scegliere. Se vuoi dei cereali, magari solo un caffè, o se sei più golosa, dei waffle. Dovrò prepararli, ma non ci metterò molto.”
"Va bene solo il caffè, tranquilla. Decaffeinato, per favore" si limitò a dirle, non volendo imporsi in alcun modo.
Ormai lei ed Eliza conoscevano bene alcuni lati l’una dell’altra, anche se era presto per definirsi amiche.
“Meglio che mangi qualcosa” le sussurrò una voce nella sua testa. Non maligna come quelle che per anni aveva sentito soffrendo di disturbi alimentari e autolesionismo, bensì buona e gentile. “Ricordati che devi prenderti cura di te. Anni fa per colazione bevevi solo un caffè amaro o dell’acqua, o niente e non mangiavi mai. Per favore, non farlo anche ora.”
Se la immaginò come una ragazza dolce e premurosa, più o meno della sua età, con un bel sorriso e mani gentili e lisce che la accarezzavano. Insomma, una persona che si preoccupava davvero per lei. Pensò a come potesse essere il suo fisico, ma oltre a questo non le venne in mente altro. Quella voce aveva ragione: doveva occuparsi di se stessa. La aspettava una lunga giornata e, anche se per fortuna non aveva udito quelle cattive – accadeva pochissimo, ormai –, non era il caso di tentarle comportandosi in modo sbagliato.
“Credo che prenderò anche dei cereali, invece” aggiunse quindi con un sorriso.
"Caffeina e cereali siano, allora. Vieni, Willow e le tue figlie sono già di là che aspettano."
Demi affrettò il passo per starle accanto ed entrò in cucina, dove incontrò Mackenzie e Hope. Eliza doveva averle svegliate di sua volontà – per fortuna non aveva controllato se Hope dormisse ancora, o non trovandola si sarebbe spaventata a morte – e si assicurò che non fossero in ritardo per la scuola. La sera prima Isla le aveva spiegato che le lezioni e l’asilo iniziavano entrambi alle otto e mancava un'ora, quindi non avrebbero dovuto esserci problemi.
Alla sua vista Mackenzie sorrise e, affamata, tuffò il cucchiaio in una ciotola di Fairy O's a forma di stella. Mandò giù qualche boccone, prese il suo blocchetto e lo spinse verso di lei. Incuriosita, Demi lesse ciò che vi trovò scritto e sorrise a sua volta.
Buongiorno, mamma diceva, gentile, seguito poco prima del punto da una faccina sorridente e da un cuore.
Sorpresa da tale dettaglio Demi accarezzò quel piccolo disegno con le dita, e proprio allora sentì un balbettio.
"M-m-moji!" tentò Hope, sbagliando adorabilmente quella che nel linguaggio comune non aveva tardato a diventare una parola.
"Si dice emoji, bimba, con la e" le rispose la mamma, scandendo bene quella lettera.
La piccola la ignorò, la cantilenò invece che ripeterla correttamente e, sbavando senza volerlo, si sporcò il viso e il mento di latte.
"L'aiuto io" proruppe Eliza mentre, veloce, afferrava un fazzoletto. "Ecco fatto, anche se sai che non si parla a bocca piena. Birichina" aggiunse poco dopo, accarezzandole una guancia e facendola ridere.
Intenerita da quella scena Demi rise a sua volta, e nel silenzio di quel mattino qualcuno bussò alla porta.
Come se attendesse una persona già a quell'ora, Eliza scattò in piedi e Mackenzie guardò la mamma. Stringendosi nelle spalle, lei non riuscì a capire.
"Scusa, Eliza, chi è arrivato?"
"Dovrebbero essere Isla, Oberon e le figlie. Io e te dobbiamo lavorare, oggi, quindi ho chiesto loro di accompagnare le tue. Ti va bene, vero?" rispose l'altra in tutta fretta, mentre si precipitava alla porta e attendeva di poter aprire.
"No, mi piacerebbe portarle di persona, in fondo è il loro primo giorno. Pensi che riuscirò a farlo, se ci muoveremo in fretta? E sei sicura che avranno tempo di vestirsi? In quella scuola non hanno un codice d'onore o qualcosa del genere?"
Nelle parole di Demi c'era perfino più foga di quella visibile nei movimenti di Eliza.
"Demetria, calmati! Se vuoi possiamo accompagnarle e arrivare comunque in tempo. È il loro primo giorno, non serve mettersi troppo in mostra, di sicuro avranno delle uniformi della loro misura. E metti qualcosa di comodo, hai visto gli altri volontari, no?"
La cantante fece cenno di sì e, poco dopo, Eliza aprì la porta. Proprio come aveva detto, davanti all'uscio c'erano i quattro membri della famiglia Hall, anche se data la presenza di Rover seduto ai loro piedi sarebbe stato più corretto dire che erano in cinque.
"Demi. Eliza. Allora, le bambine sono pronte?" chiese Isla, annunciando il suo arrivo con la solita cordialità che la caratterizzava.
"Non ancora, scusami. Dacci qualche minuto. Intanto entrate pure, e niente scherzetti sul tappeto, piccolo Arylu" replicò la padrona di casa, che subito dopo scompigliò il pelo del cagnolino.
"Nessun problema, aspetteremo" mormorò Oberon.
"Già, non siamo neanche in ritardo" continuò Lucy.
Una veloce doccia aiutò Demi a distendere i nervi e un paio di jeans blu e una maglia bianca con sopra stampate alcune note musicali si rivelarono perfetti per l'occasione, indice di ciò che più amava fare, sempre energica e pronta ad allietare gli animi con la sua musica. Mackenzie si sciacquò il viso, le mani e i denti e indossò di nuovo la gonna blu ricevuta in dono da Eliza, abbinandola stavolta e grazie all'aiuto della mamma a una camicetta bianca senza troppi fronzoli. In fin dei conti stava andando a scuola, non attraversando il red carpet con le celebrità come lei. Ridacchiando a quel pensiero, tornò in salotto per salutare Lucy e Lune e accarezzare Rover che le piantò addosso le zampe e le leccò le mani. Ben presto fu il turno di Hope, vestita quasi del tutto di bianco e con indosso delle scarpine nere.
Una volta pronta, Demi tornò da Eliza e dai suoi ospiti. Si sfiorò la fronte, passandosi il dito sopra la cicatrice di quell’incidente, con la sensazione di aver appena sudato correndo una maratona ed espirò, sicura che i piccoli dell'orfanotrofio l'avrebbero fatta sorridere. Si fece dare uno zainetto dalla padrona di casa. In quello che Mac usava per portare i suoi fogli infilò anche la merenda e tre quaderni che le diede la donna che li ospitava, assicurandole che ne aveva altri nel caso fossero serviti. La piccola corse a prendere qualcos’altro, ma la ragazza non capì di che si trattava. Nello zaino di Hope mise un cambio nel caso si fosse sporcata. Non aggiunse la merenda perché, almeno nel suo mondo, le maestre la davano.
"Eccoci, perdonate l'attesa.” Si avvicinò alla porta con le bambine. “Possiamo andare.”
La strada era piena di centinaia di pixie e folletti, accompagnati dai genitori, pronti per un altro giorno di lezione alla scuola di magia Penderghast. Demi non scorse altri visi amici e partì con il suo gruppo. Pensò a cosa sarebbe potuto succedere a Mackenzie dato il suo mutismo, ma si impose la calma e cambiò mentalmente strada. Che senso aveva percorrere la stessa ogni volta, immaginando scenari inesistenti e catastrofici? Nessuno.
Dopo qualche minuto si ritrovarono di fronte al cancello della scuola, con un alto cartello in ferro con una bandiera appesa e, sopra la porta d’ingresso, una P in verde brillante. Era già aperto, così entrarono come gli altri fino a raggiungere l’atrio.
“Vado a parlare con la Direttrice” mormorò la cantante ricordando il consiglio di Oberon.
Aveva sussurrato affinché le bambine non udissero.
Tornò dopo poco. Aveva trovato l’ufficio della Direttrice grazie ad alcune indicazioni date da un’inserviente. La donna l’aveva accolta con calore e, dopo aver saputo che si sarebbero fermate un po’, accettato Mackenzie e Hope senza problemi indicandole le classi nelle quali sarebbero dovute andare. La ragazza sorrise nel vedere le quattro bambine saltare di gioia.
“Avrete un primo giorno fantastico, ne sono sicura” le incoraggiò.
Le abbracciò e se ne andò con Eliza.
Il viaggio le parve infinito, la stancò ma, sapendo ciò che stava per accadere, si fece forza e proseguì. Più volte camminò in punta di piedi per dar loro sollievo o si massaggiò le gambe indolenzite, ma per fortuna la loro andatura era lenta. A un certo punto si ritrovò con lei proprio davanti all'orfanotrofio. Cercò la sua mano per un briciolo di sicurezza e lei gliela strinse. La cantante si fermò, trasse un gran respiro, contò fino a dieci e le due entrarono.
Vennero accolte dalla Direttrice, da Julie, la volontaria già conosciuta e dalle altre colleghe e non ci volle molto prima che anche i disegni dei bambini, schizzi infantili ma secondo Demi bellissimi nella loro semplicità, facessero lo stesso.
"Jacqueline, ciao. Siamo in ritardo?"
"No Eliza, tranquilla. Theresa e io ci chiedevamo quando sareste arrivate. Prego, guidala pure, i piccoli vi aspettano."
Seguita da Demi, la donna entrò nella prima stanza alla fine del corridoio: quella dei neonati. Si portò un indice alle labbra per chiederle di fare silenzio. Demi rivide la piccola pixie Maisy, che ora aveva due giorni, lo gnometto Thior e Lilith, l'elfa che ormai aveva compiuto due mesi, si era trasformata in una bambina umana dai lucenti capelli neri e non era ancora stata trasferita nella camera lì accanto.
"Che dici, dormono?" sussurrò, assicurandosi di non disturbarli troppo.
"No, ma si spaventano con facilità. Avvicinati e, se proprio vuoi, parla piano" le rispose Eliza, muovendosi a scatti verso un armadietto chiuso a chiave.
Lo aprì con una di riserva che teneva nella tasca della veste e questo cigolò.
"Eliza, che stai facendo?"
"Sono le nove e un quarto, è ora che mangino di nuovo."
Indicò l'armadietto appena aperto con un gesto della mano.
Incuriosita, Demi si avvicinò. Conteneva oggetti piccoli e colorati simili a biberon, pieni invece che di latte di una strana sostanza a esso uguale per colore e consistenza, e per qualche motivo brillante.
“Quello cos'è?"
"La loro colazione. Se ti va, prendine uno e versa qualche goccia nelle lanterne, vedrai che succederà."
“Lo beve anche Lilith o dobbiamo dargliene di normale?”
“Finché è qui può bere questo senza problemi.”
Demetria eseguì e si avvicinò a quella dell’elfa. In totale onestà non avrebbe saputo spiegare perché avesse scelto lei e non gli altri, ma se le fosse stato chiesto, si sarebbe limitata a sorridere e dire che seppur magica, quella bimba le ricordava troppo la sua Hope forse a causa del colore dei capelli e degli occhi. Cauta, imitò Eliza sfiorando con le dita la catenina d'oro che teneva chiusa la sua lanterna e, prendendo in braccio l'elfa, le porse il biberon. La donna le mostrò un sorriso d'incoraggiamento.
"Vieni.” Le indicò la finestra rimasta aperta da cui filtrava quella del sole. “Hanno bisogno di luce, oltre che di cibo, per vivere."
Demi annuì, fece ciò che le aveva chiesto Eliza e in un attimo la piccola si attaccò alla tettarella. Sostenendola perché non si sforzasse o facesse male, la cantante rimase incantata. Non aveva parole. Era una sensazione indescrivibile, un po’ come quando aveva dato il latte a Hope per la prima volta. Tra le braccia aveva una creatura da proteggere e che necessitava della sua presenza. Andrew non era con lei, ma, se ci fosse stato, anche lui si sarebbe sciolto come neve al sole. Come si poteva non amare degli esserini così teneri?
“Perché sta ancora in quella se ha già due mesi?” chiese indicando la lanterna ora vuota.
“Prima della trasformazione si vede una luce fortissima, quasi accecante e all’improvviso la sfera luminosa diventa un neonato. Il piccolo può rimanere nella lanterna ancora per qualche giorno, ma poi è meglio utilizzare le culle, le carrozzine e tutto ciò che serve a un bimbo di quell’età, cosa che con Lilith faremo presto.”
“E come vi accorgete che i bambini hanno fame, dato che sono sfere luminose e non piangono?”
“Si agitano spesso, quando sono affamati. Io lavoro solo di giorno, ma un paio di volontarie restano qui la notte per controllarli e altre lo fanno con i bimbi più grandi. I bambini di tre, quattro, cinque o più anni si possono lasciare da soli per alcune ore, ma ci dev’essere sempre qualcuno per quelli di età inferiore e, comunque, anche i maggiori devono poter chiamare se hanno bisogno, per questo le volontarie sono parecchie e si gestiscono con gli orari.”
Poco lontana da Demi, Eliza si stava occupando di Thior che, al sicuro nella sua lanterna e troppo piccolo per uscirne, accettava ciò che gli offriva brillando con intensità sempre maggiore.
"Demetria, guarda" la pregò.
Ormai sazio, Thior si divertiva a giocare a modo suo con un sonaglio simile a quello che la cantante aveva visto durante il colloquio con le anziane, che se scosso, liberava polvere magica. Lo gnometto si agitava nella sua lanterna e, emettendo come al solito luce propria, parve danzare fra quelle piccole mura.
"Avevi ragione, è proprio un tesoro" commentò.
"Già" si limitò a risponderle l'altra, chiudendo gli occhi per evitare che una lacrima le solcasse il viso, mentre un sorriso le increspava le labbra.
Poco dopo aver nutrito anche Maisy, Ashley e Matthew, le due lasciarono quella stanza assicurandosi che i piccoli dormissero. Passarono a salutare Martin e Clary, entrambi addormentati nelle loro culle, raggiunsero un’altra porta ed entrarono. Lì trovarono i cinque bambini, che andavano tutti dai sei mesi all'anno e mezzo d'età, che Demetria aveva visto con Andrew. La ragazza seguì l'esempio di Eliza, che intanto si era seduta sul divanetto della stanza con in braccio un piccolo leprecauno. Aveva sei mesi e rideva e sorrideva soltanto guardandola. Gli fece il solletico e, coprendosi il viso con le mani, lo sorprendeva ogni volta.
"Dov'è andata Eliza? Dov'è?" gli chiedeva, avendo il piacere e la fortuna di sentirlo ridere ancora. "È qui!" rispondeva pochi attimi dopo, spostando le mani e storcendo il viso in mille facce buffe.
Il piccolo agitava braccia e gambe, non lasciando mai il suo giocattolo preferito. Semplice eppure adatta alla sua specie oltre che all’età, una finta pentola d'oro che Eliza gli insegnò a usare a dovere. Diede al bimbo una delle monetine di gomma e, facendo attenzione che non le mettesse in bocca, le mise al loro posto proprio nella pentola, invitando poi il bambino a imitarla.
Demi, che osservava da lontano mentre dondolava sulle ginocchia una pixie di un anno, le sorrise. La piccola volle scendere e camminare, e raggiunto il tappeto si inginocchiò alla ricerca di qualcosa con cui giocare. Demetria non osò interromperla, e attimi dopo la vide tornare indietro con in mano un cubetto di legno.
"Vuoi giocare, pixie? Va bene, aspetta" concesse, inginocchiandosi con lei sul tappeto.
Con mano ferma e rispettando i tempi della piccola, attese che capisse cosa fare e poi, insieme, innalzarono una torre di cubi alta fino al cielo, o così a Demi piacque pensare almeno fino a quando, annoiata o forse desiderosa di ricominciare, la bambina non mosse il cubo sbagliato e l'intera costruzione crollò.
È ora di cambiare idea.
Demi scorse proprio sul tappeto un Arylu di peluche. Sorridendo lo porse alla bambina e questa se lo strinse al petto. A quella vista, il cuore della ragazza si sciolse. Nel frattempo, Eliza aveva preso in braccio anche una piccola elfa, mentre un’altra volontaria si occupava dei due maschi, sempre della stessa specie.
A Eliza viene tutto così naturale. Io ho due figlie di età diverse e, per quanto sia diventata sempre più brava con il passare del tempo, a volte faccio fatica a gestirle.
Si avvicinò alla donna dopo aver fatto sedere di nuovo la bambina sul tappeto.
“Sei bravissima con loro. Io con Mackenzie e Hope a volte ho ancora difficoltà. Sono bambine tranquille, ma gestirne due, fra scuola e tutto il resto, non è facile.”
“Comprendo perfettamente. La sera in cui ho trovato Kaleia e Sky nel bosco, infreddolite, bagnate e affamate, ho subito detto loro di venire con me quando ho saputo che si trovavano lì da tempo. È stata una decisione improvvisa, inizialmente non mi sono ben resa conto che la mia vita sarebbe cambiata.”
“Accidenti, tutto così in velocità” mormorò Demi, dando all’altra la possibilità di udire. “Se sulla Terra ci fossero leggi diverse da quelle attuali riguardo l’adozione, non so se sarei stata in grado di prendere con me Hope e Mackenzie subito, senza ragionarci bene con l’assistente sociale e sola con me stessa, o a organizzarmi anche dal punto di vista pratico per accoglierle al meglio. Immagino che i giorni dopo tu abbia dovuto quantomeno fare compere.”
“Vestiti, giocattoli, libri per la loro età… Ero molto giovane, allora, di certo non pensavo che mi sarei fatta così presto una famiglia, ma è successo. Quando sei madre hai un’enorme responsabilità. Io lavoravo, dovevo lasciarle a qualcuno, portarle a lezione e gestire i vari impegni. Non è stato semplice.”
“E sappiamo che non è sempre facile crescere bambini che hanno sofferto.”
“Infatti. Mi hai detto che Mac ha incubi e qualche crisi.”
“Sì, sono entrambi molto brutti. Calmarla non è facile, le devo parlare, darle dell’acqua, ma a volte non so nemmeno io come comportarmi. Le crisi sono poche, ma sono le peggiori.” Una volta erano andate al parco e avevano incontrato un uomo che fumava. Mackenzie era corsa via, poi si era seduta a terra e aveva iniziato a tirare pugni all’asfalto. “Credevo le sarebbe uscito sangue dalle nocche. Guardava nel vuoto, non sembrava più lei” mormorò la ragazza, portandosi una mano alle tempie e deglutendo per impedire al dolore di trasformarsi in pianto.
Non avrebbe mai più dimenticato gli occhi inespressivi della sua bambina.
Sembrava persa, stordita, come se non fosse più stata in contatto con la realtà pensò.
“Dev’essere stato terribile!” esclamò Eliza.
La cantante fu scossa da un violento tremore.
“Sì. Le ho detto di calmarsi, che nessuno avrebbe voluto farle del male, usando il tono più dolce che potevo e, con le coccole, si è tranquillizzata. Di solito funzionano. Ma ho avuto paura di non riuscire a gestirla, come ogni altra volta.”
Trasse un profondo respiro e si fece portare dell’acqua dall’altra umana. Dopo qualche sorso stette meglio e guardò i bambini per concentrarsi su qualcosa di bello, che non fossero quei ricordi dolorosi.
“La psicologa cos’ha detto a riguardo?”
“Non ci andava ancora, ma credo che probabilmente mi avrebbe spiegato che in quel momento ha rivissuto il trauma, o una parte di esso, tramite un flashback, un insieme di memorie intrusive che fanno sentire la persona distaccata dal presente.”
“Dolce Dea!” Eliza si portò una mano alla bocca. “E poi ne avete parlato, tu e Mackenzie?”
“Poco. Le ho domandato se le aveva ricordato la sigaretta dell’uomo cattivo e lei ha annuito e poi le ho chiesto, da stupida, se allora non aveva dimenticato l’incubo fatto la sera precedente. Non ricordo cos’aveva sognato, ma comunque era sempre riferito al suo passato. Ha fatto cenno di no e allora mi sono decisa a farla aiutare, non solo perché stava male, ma anche dato che non si apriva molto con me riguardo il suo malessere.”
“Hai fatto la cosa giusta.”
“Avrei dovuto agire molto prima, in realtà, ma ho aspettato che l’adozione fosse finalizzata e sono successe altre cose, e…”
Eliza le prese una mano e la ragazza smise di parlare e prese un gran respiro. L’altra donna sussurrò:
“L’importante è che tu l’abbia fatto.”
“Già.”
“Sky non ha mai avuto reazioni del genere, ma mi parlava pochissimo e non mi guardava nemmeno in faccia. La sera, a letto, piangevo con il viso immerso nel cuscino.” Si era detta di essere una madre incapace, le raccontò, che forse sbagliava a causa della giovane età e dell’inesperienza, ma mai avrebbe portato quelle pixie all’orfanotrofio. Si erano già sentite abbandonate, non avrebbe fatto provare loro di nuovo quella sensazione. “Dopo un po’ di tempo le cose sono migliorate.”
“Sì, anche per Mackenzie è stato così, ma ogni tanto crolla. L’episodio del parco risale a qualche mese fa.”
“In ogni caso, stiamo facendo del nostro meglio come mamme. È sempre stato così, ne sono sicura!” esclamò Eliza, per risollevare a entrambe il morale.
“Sì, lo credo anch’io.”
Poco dopo, per i piccoli fu ora della merenda del mattino. Se ai più giovani toccò un biberon dello strano latte unito a quella che la cantante immaginò essere polvere magica, quelli un po’ più grandi mangiarono frutta omogeneizzata o vasetti di yogurt. Demi si inginocchiò sul tappeto dopo aver fatto sedere la sua pixie in un seggiolone e le porse un cucchiaino di purea di mela.
"Su, piccola, provalo" la incoraggiò.
All’inizio la bimba storse la bocca, ma dopo qualche cucchiaiata ci prese gusto e, invogliata sia da Demi che da quel sapore, finì il suo vasetto chiedendo con lo sguardo e il pianto che gliene venisse dato un altro. Per variare, la ragazza provò con uno alla pera e almeno allora la bimba non fece capricci. Nel frattempo, Demi si chiese cosa stesse accadendo a quella così prestigiosa scuola nel villaggio di Eltaria.
 
 
 
NOTA:
la questione dei flashback e delle memorie intrusive è un sintomo comune nel disturbo post traumatico da stress, o PTSD, di cui Mackenzie soffriva già allora. Durante questi episodi ci si sente distaccati dalla realtà e si possono sentire rumori o odori legati al trauma, oltre a vedere immagini che lo ricordano e vivere tutto ciò come se l’evento traumatico stesse avvenendo in quel momento. Ho preso tali informazioni dal sito www.healthyplace.com.
   
 
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