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Autore: crazy lion    21/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 16.

 

PRIMO GIORNO ALLA PENDERGHAST

 
Arrivata da due ore a scuola con Lucy e Lune, Mackenzie credeva di essere fuori posto, sopraffatta da un senso di profonda solitudine. Non scriveva niente, né prendeva appunti sulla lezione iniziata alle otto e che, stando a ciò che c'era scritto sulla lavagna, era una di Teoria Magica. Composta, guardava sia quella che l'insegnante, ma si spaventava e distoglieva lo sguardo. Cos’avrebbe fatto se la maestra l'avesse notata? Non riusciva a parlare, che avrebbero detto tutti i presenti? Non ne era sicura e nel dubbio attendeva. La ragazza non aveva fatto l’appello e lei era seduta in ultimo banco, forse per questo non si era accorta della sua presenza.
"Bambini, chi sa dirmi cosa sta alla base della piramide elementale?" chiese l’insegnante.
Piramide elementale? pensò lei, confusa.
Cosa diamine era? Tenendo le mani intrecciate, desiderò di diventare invisibile. Era assurdo solo pensarci, ma ora eccola lì seduta a fissare le pagine del suo nuovo quaderno ancora bianche come la propria camicetta e a rimpiangere la scuola di Los Angeles. Lì aveva a che fare con i bulli anche se la situazione si stava, forse, risolvendo e durante un'interrogazione aveva indicato San Francisco come capitale della California anziché Sacramento, ma almeno riusciva a capire di cosa il materiale parlasse. Strinse la presa sulla sua penna fino a farsi male e sospirò.
Fa’ che non chiami me, ti prego, fa’ che non chiami me implorò, sperando che qualcuno più in alto di lei riuscisse a sentirla.
Attimi dopo il silenzio dell'aula fu tale da renderla sorda e, nonostante le sue preghiere, prima udì la voce dell'insegnante, poi fu colpita dal suo sguardo fisso su di lei. La bambina si limitò a ricambiarlo, sospirando di sollievo quando uno dei compagni alzò la mano. Perfino più bassa ma meno timida di lei, una piccola elfa dai capelli castani che, sicura della risposta, cercava di farsi notare.
"Miss Godfrey, miss Godfrey! Lo so, lo so!" seguitava a dire.
"No, no, Harmony. Sei una brava alunna, ma diamo un'occasione alla nuova arrivata, d'accordo?" le rispose la maestra con il suo solito tono gentile.
Il cuore di Mackenzie batteva come impazzito nel petto e, pur aprendo la bocca per parlare, non si stupì affatto quando non ne uscì alcun suono. Come se non bastasse, non conosceva quella dannata risposta. Che fare ora? Tutti la guardavano. Respirando appena, abbassò lo sguardo e prese a scrivere. Menzionò i suoi genitori naturali e fu colta da un cerchio alla testa e una fitta allo stomaco che la piegò in due. Spesso si distraeva, ma il dolore restava sempre, qualsiasi cosa facesse, dovunque andasse, per presentarsi più forte in alcuni momenti. Trarre anche un solo respiro le risultò impossibile, ma contò fino a dieci e si sforzò di contenersi. Non voleva scoppiare a piangere davanti a tutti, per cui si girò dall’altra parte e si premette un fazzoletto sugli occhi. Raggiunse la cattedra e consegnò il foglio all’insegnante. Si disse che avrebbe potuto andare da lei molto prima, ma l’incertezza, la paura e la confusione l’avevano bloccata. La maestra aprì e poi chiuse la bocca. "Mackenzie,” sussurrò la maestra, “stavo per dire che la Direttrice ci ha informati tutti della situazione e che conosco la tua difficoltà, oltre che quello che hai passato. E mi dispiace tantissimo, anche se so che le mie parole significano poco in casi come questo. Anzi scusami, avrei dovuto presentarti subito alla classe, sono imperdonabile.”
Non ti preoccupare. E grazie.
Mackenzie le sorrise per lasciarle intendere che non si era offesa. Miss Godfrey le spiegò che, per non agitarla, aveva preferito lasciarle del tempo per ambientarsi, anziché chiederle subito di presentarsi davanti a tutti e si scusò di nuovo. Le disse anche che a Eltaria bisognava dare del lei agli insegnanti, un’altra differenza, rifletté la bambina, rispetto a quanto accadeva a Los Angeles. Sperò che non si sarebbe sbagliata più e riprese a scrivere.
Ho paura. Sono umana e non magica e qui nessuno mi si avvicina. Insomma, non ho neanche la divisa! Sono… sono nel posto sbagliato?
Osservò i propri vestiti e i compagni che, a differenza sua, indossavano sopra gli abiti una divisa verde e nera, con lo stemma della scuola cucito all’altezza del petto.
"Che sta succedendo? Ha una giustificazione? Perché non parla?" azzardò un folletto da un banco in centro all'aula, curioso.
"No, piccola. Hai il diritto di stare qui come tutti gli altri” le sussurrò all’orecchio la maestra. Alzò appena la voce. “Evan, Mackenzie è umana, è nuova qui, non è mai stata in questo regno e non capiva la lezione."
"Ma perché scrive?" continuò il folletto, serio.
Nella letterina la bimba aveva anche pregato la maestra di non dire niente a nessuno, perché conosceva tutti ancora molto poco.
"Non ci riesce da tempo. Non posso rivelarvi il motivo e vi chiedo, per favore, di non domandarle nulla a riguardo. Se mai se la sentirà, ne parlerà con alcuni di voi, ma non statele addosso. Ho comunque una bella notizia: resterà con noi per qualche tempo. Vorrei che vi comportaste bene con lei, fatela sentire a suo agio, d'accordo? Non è magica e non abbiamo mai avuto un’umana in questa scuola, ma c’è sempre una prima volta e dobbiamo trattarla come una di noi."
Un coro d'assenso riempì l'aula e, sorridendo appena, Mackenzie si diresse verso il proprio posto. Nella vecchia scuola ci erano voluti mesi prima che i compagni la capissero e lì, in quel regno di fate, magia e speranza, appena un giorno. Tornò a sedersi più serena.
“Mackenzie, non preoccuparti per la divisa. La Direttrice me ne ha data una apposta per te, stavo per consegnartela.” Si diresse verso un appendiabiti vicino a una parete dove, suppose la bambina, d’inverno i bimbi appendevano i giubbotti. Lì c’era la sua divisa. “Ecco. Va’ pure in bagno a indossarla.”
La bambina ringraziò e uscì.
Non l’avevo notata, prima. È davvero bella! pensò.
E inoltre comodissima e perfetta per la sua taglia. Quando ebbe finito, tornò in classe. Chiese alla maestra se anche i bambini dell’asilo dovessero indossarla e lei le rispose di no.
“Ti va di presentarti alla classe e dire qualcosa di te?” le chiese Nancy Godfrey.
La bimba le diede un’altra veloce occhiata. Era sulla trentina e, vestita con una tuta blu e una collana d’argento, anche carina.
Certo. Tossì come se avesse voluto schiarirsi la voce, poi si alzò. Mi chiamo Mackenzie Lovato, ho sei anni e sono qui con i miei genitori, Demi e Andrew, e la mia sorellina Hope che frequenta l’asilo in questa scuola. Mi piace leggere e adoro gli animali.
La maestra ripeté ad alta voce e lei non aggiunse altro.
“Bene, allora benvenuta in questo regno!” esclamò la donna seguita dai bimbi e Mac sentì il suo cuore scaldarsi.
Qualcuno la distrasse. Di nuovo una voce nell'aula, la stessa della bambina dalle orecchie a punta.
"L'aiuto io."
Era Harmony che, ottenuto il permesso dell’insegnante, si accomodò accanto a lei e si presentò. Mackenzie le sorrise per ringraziarla e riprese il suo quaderno.
Mi rispieghi dall'inizio, per favore? Cosa cavolo è questa piramide?
Con uno sforzo di concentrazione non indifferente era riuscita a disegnarla, ma non capendo nulla della spiegazione dell'insegnante l'aveva lasciata bianca, spoglia dei simboli che vedeva. A quanto ricordava, gli stessi osservati anche sul retro delle scatole di Fairy O's e che la incuriosivano. La sua compagna aprì il proprio astuccio e afferrò una manciata di matite colorate.
"Certo! Non è difficile, fidati." Ricopiò quel disegno e alcuni altri su una nuova pagina di un quaderno. "Ecco, vedi la foglia?"
Mackenzie annuì.
"Bene. Indica il potere della natura. Nessuno dei nostri compagni di classe ce l'ha, ma sta alla base, proprio come gli altri quattro."
Parlava con lentezza, mentre aggiungeva figure e dettagli alla sorta di grafico che aveva appena disegnato.
Quattro? Ma ci sono sette spazi! protestò la bambina.
"Esatto, ma tu guarda in basso. Ci sono natura, acqua, aria, fuoco e terra. È soltanto uno schema, lascia stare la sua forma" proseguì l’elfa, per poi scostarsi piano i capelli dal viso. Mackenzie contò e ricontò quelle figure.
Natura, acqua, aria, fuoco e terra si ripeté nella mente. Per essere più sicura annotò quei nomi, prima accanto e poi sotto ai disegni. E gli altri due?
Distratta, Harmony non la udì. Miss Godfrey camminava fra i banchi per controllare il lavoro dei bambini e, notando la giovane umana in difficoltà, si avvicinò. Le prese la mano e la aiutò a correggere una parola scritta male.
"Cosa fai, ti mangi le lettere?” scherzò. “È acqua, non aqua" le fece notare, guidandola gentilmente.
Oh! Scus… ehm, mi scusi, non… scribacchiò arrossendo.
"No, non fa niente, capita. Chissà, forse la penna ti è scivolata dalle mani."
Rinfrancata dalle sue parole, Mackenzie ricambiò il sorriso che la donna le rivolgeva e sfiorò gli unici due spazi rimasti vuoti nella sua piramide incompleta.
Qui cosa metto? Non vedo bene da così lontano. Possibile che siano solo due cerchi?
Grazie all'aiuto di Harmony la lezione non era più tanto difficile, ma fra una parola e l'altra si era dimenticata di quel dettaglio e ora, impegnata con i propri scritti, l’elfa l'aveva lasciata sola e con quel dubbio in mente.
“I tuoi tratti sono delicati, sei brava a disegnare a matita, Mackenzie.”
La bambina avvampò, mettendosi le mani sulle guance bollenti per raffreddarle.
Grazie, Miss!
L’insegnante prese in mano l’oggetto e si occupò di terminare quella sorta di capolavoro. Disegnò i due cerchi che la bambina aveva visto: uno rimase vuoto, mentre accanto all'altro aggiunse delle piccole stelle.
"Hanno la stessa forma, ma non sono solo cerchi. Uno rappresenta il sole, l'altro invece la luna. Se ti serve puoi scrivertelo, oppure colorarli."
La maestra si voltò richiamata da Evan e Mackenzie si fece spiegare, stavolta da Harmony, quella che nel mondo magico veniva chiamata compatibilità elementale. Un concetto semplice, reso difficile solo dai paroloni che aveva per nome.
"Sei fortunata, oggi stavamo solo ripetendo e questo ci è stato insegnato la settimana scorsa. Tanti di noi non capivano, così Miss Godfrey ne ha fatto un gioco. Pensa a questo. La terra è tutta attorno a noi, la vedo sempre quando cammino nel bosco e intorno c'è la natura, quindi sono collegate, ci sei?"
Sì.
Era solo il suo primo giorno, ma quell'elfa aveva ragione, era tutto più facile di quanto sembrava.
"Benissimo, poi ci sono acqua e fuoco. Una spegne l'altro, ma se la prima non ci fosse la natura non vivrebbe, perciò devono restare in equilibrio. Mi capisci?" continuò, cercando le parole giuste da usare.
Sì. Poi cosa c'è? L'aria, giusto? tentò Mackenzie, interessata a quella sessione di studio, mentre scriveva righe e righe di appunti.
"Brava, cominci a comprendere" si complimentò Harmony. "La maestra ci ha spiegato che è il simbolo della libertà. Non è legata a nessuno ma vicina a tutti noi, dato che ci serve per respirare. Quello che sto per dirti è scienza: è come se tutti facessimo parte di un eco… eco…"
Si bloccò su quella parola così lunga e difficile da pronunciare.
"Ecosistema, sciocca di un'elfa!" rispose per lei una voce proveniente da un'altra parte dell'aula.
"Zitto, Evan" lo rimbeccò la diretta interessata stringendo i denti. "Sai come mi chiamo, sono Harmony!" urlò.
"Non gridare. Ma ha ragione, signorino. Non sono cose da dire, fanno star male le persone." La maestra passò da dolce a dura in un solo istante. "Avanti, chiedile scusa" gli intimò.
Il bambino arrossì per la vergogna.
"Scusi, Miss Godfrey, e perdonami anche tu, Harmy" sussurrò, usando un diminutivo con il quale a volte la chiamavano tutti e che non le dava fastidio.
“Scuse accettate” brontolò la bambina.
La ragazza sostenne il suo sguardo e, con le mani ai fianchi, tornò al posto in cattedra.
"Che non accada mai più, intesi? Non in quest'aula, non tollero comportamenti del genere!" finì per gridare, battendo un pugno sul tavolo.
Impietriti, i piccoli alunni restarono a guardarla dimenticando per un attimo di respirare, e in silenzio tornarono a lavorare sui pochi concetti appena appresi. Tutti tranne proprio Mackenzie, che per qualche secondo ricordò i suoi problemi terreni. Molti compagni, in particolare tre, l’avevano offesa più volte in quel periodo e in maniera pesante. Respirò a fondo per non scoppiare in lacrime.
"Cielo, non lo sopporto quando fa così. Non riesco a ignorare insulti del genere" bisbigliò Harmony al suo indirizzo, le braccia ancora conserte sul banco per la rabbia.
L’altra capì che avrebbe dovuto trovare qualcosa da dire per risollevarle il morale.
Nemmeno io. Non lo conosco, ma non mi piacciono i bulli. Prova a non pensarci e aiutiamoci, va bene?
"Va bene."
Qualche minuto più tardi, un suono disturbò la quiete della classe.
"È l'intervallo, ma è meglio non muoverci mentre Miss Godfrey è arrabbiata" le spiegò Harmony.
Mackenzie riaprì lo zaino e ne estrasse un panino al prosciutto. L’elfa aveva con sé due brioche al cioccolato, e nonostante la gola, l’altra non si intromise. Ancora scossa, mangiò senza voglia, ogni morso una sorta di dovere. Miss Godfrey diede ai bambini il permesso di muoversi. Alcuni uscirono in corridoio, altri rimasero dentro e la maestra andò fuori dalla classe, ma restò nei paraggi a controllare la situazione.
Mackenzie e Harmony non si mossero. Poco dopo, qualcuno si avvicinò a loro.
"Ciao."
Bassina, una bambina con gli occhi azzurri e i capelli rossi, sul polso una piccola fiamma, il che significava che quasi sicuramente era una pixie del fuoco.
"Ciao, Mahel. Vieni, siediti pure" le rispose subito Harmony. “Lei è Mackenzie. Mackenzie, questa è Mahel. Dai, salutatevi!"
Le due bambine si sorrisero appena e si strinsero la mano. Spostando una sedia senza far rumore, anche la pixie si unì a loro.
"Perché non hai un segno?" chiese a Mac.
Non ne ho mai avuto uno. Come ha detto Miss Godfrey, Sono un'umana.
"Oh! Nemmeno due ragazzini nell'altra classe ce l’hanno" rispose la bambina di fuoco.
A quelle parole Mackenzie sorrise di nuovo e finì la sua merenda.
Allora, cosa fate per divertirvi?
Harmony prese la parola.
"Io e le altre compagne abbiamo un gioco. Lo fanno in tanti, si chiama Magimani."
Magi… come?
"Magimani" ripeté l'elfa, parlando piano perché capisse. "Si fa così."
Sollevò entrambe le mani. Mahel si unì al gioco e, non appena i palmi delle due pixie batterono l'uno contro l'altro, stille di magia si liberarono nell'aria, rosse e verdi come i loro elementi.
Però! Fico! commentò Mackenzie, meravigliata.
Conosceva quel gioco, l'aveva provato più volte sia con Hope che con la mamma, ma a quanto sapeva non aveva un nome. Chissà che stava accadendo nell'aula della sorellina.
"Mac, i fichi sono frutti" le fecero notare, interdette, parlando all'unisono come gemelle.
Certo, ma è anche un modo di dire di noi umani. Se qualcosa è fico, allora è bello spiegò, stando al gioco e ridendo con loro.
Dopo altro divertimento, la campanella suonò di nuovo. L'intervallo era finito e le due bambine tornarono ai propri posti, ma non senza aver prima sorriso a Mac. Lei si sfiorò il cuore, che batté più forte. Si sarebbero incontrate anche in un altro sogno? Una parte di lei non vedeva l'ora di scoprirlo e ci sperava.
Dopo la ricreazione, ad aspettarle ci furono un’ora di matematica e una di lettura. Contrariamente a ciò che pensava Mackenzie, in quella scuola si insegnavano anche materie scolastiche umane e per fortuna la matematica era più facile della magia. Ascoltava senza distrarsi, prendendo appunti su una nuova spiegazione. La lezione del giorno riguardava le addizioni. Secondo l'insegnante, di cui non ricordava il nome, nonostante si fosse appena presentato proprio a lei, nient'altro che una somma di vari numeri. Per provare quella regola, l’uomo scrisse tanti esempi alla lavagna.
"Se qualcuno di voi non capisce, ditelo pure" pregò il maestro.
In risposta un silenzio di tomba, e poco dopo la lezione riprese. A spiegazione finita, l’insegnante assegnò una decina di operazioni da risolvere. Se Mac fu tranquilla e pronta a lavorarci, lo stesso parve non valere per Harmony. Nonostante la distanza, Mackenzie la notava con i pugni stretti e la schiena persino troppo dritta, in tensione come spesso accadeva a Lizzie durante i compiti di quella stessa materia. Se la cavava se si trattava di studiare la teoria, ovvero, ad esempio, il modo in cui svolgere un’operazione, ma le formule, per quanto semplici, non le entravano mai in testa.
"Mac! Ehi, Mac" la chiamò l’elfa, a voce bassa e con le ali tremanti, andando alla forse disperata ricerca di aiuto.
La bambina la guardò negli occhi e l'espressione di puro terrore che aveva in volto parlò per lei.
"Harmony, mi dispiace, il maestro mi vedrà!" sembrava dire.
 
 
 
Questa tornò a fissare le proprie risposte senza alcuna convinzione. Stava imparando, ma gli altri avevano già finito, perfino Evan che la prendeva in giro, e come poteva cinque più cinque fare venti? Aveva sbagliato? Di poco? O era un errore più grave? Vicina alle lacrime, rischiò di scoppiare a piangere, e notandola, il maestro si alzò dalla sedia.
"Harmony. Che succede?” le chiese, posandole una mano sulla spalla.
"Non lo so, forse ho sbagliato" rispose la pixie, le ali sempre in movimento a causa dell'ansia. L'insegnante sollevò un sopracciglio, prese in mano la propria penna rossa e corresse ognuno degli errori. La piccola pixie sentì gli occhi riempirsi di lacrime, specialmente di fronte a quei segnacci rossi. Non era la prima volta che li vedeva, e ognuno era una dimostrazione di quella che credeva essere scarsa intelligenza.
"Harmy, piccola, sono solo calcoli sbagliati, non hai motivo di piangere. Qui hai sforato di appena quattro numeri. Cinque più dieci fa quindici, non undici, pixie! Cinque più cinque fa dieci, non venti. E poi, tre più sette fa dieci, tu hai scritto dodici, ti sei confusa con tre più nove, per caso?"
"F-forse, non volevo" si difese la bambina, piena di vergogna.
"Tranquilla, non è un problema, ti sei corretta. Imparerai presto, te lo prometto."
La guidò nella riscrittura di ogni calcolo, facendole sempre capire perché aveva sbagliato.
Harmony sorrise appena e si asciugò le lacrime. Nonostante tutti i suoi dubbi, il maestro aveva ragione e, alzando lo sguardo fino a incontrare il suo, si sentì meglio. Ritrovata la fiducia in se stessa rifece da sola ogni operazione da capo e, una volta finito, pregò che almeno allora fossero giuste. Senza una parola, l'insegnante si occupò di controllarle e, orgoglioso, non dovette neanche tirar fuori la penna. Abbassandosi quanto bastava, la strinse a sé.
"Visto? Ti avevo detto che avresti imparato" le ripeté, la voce bassa perché solo lei potesse udirlo.
La bambina ricambiò quella stretta.
"La ringrazio" mormorò, felice di sapere che era dalla sua parte.
La mamma e il papà le avevano insegnato a rispettare i propri superiori e a fidarsi, e Mister Alan Baxter era proprio la persona giusta.
 
 
 
Poco lontana da lei, anche Mackenzie si ritrovò persa in pensieri del genere, in particolar modo quando il volto di Miss Godfrey le riapparve in mente. Evan l'aveva fatta arrabbiare e in quel momento la tensione in aula si sarebbe potuta tagliare con un coltello, ma nonostante tutto era stata buona con lei, decisa a presentarla alla classe e a farla sentire a suo agio. Inoltre nessuno le aveva chiesto nulla, tutti stavano rispettando il fatto che non volesse aprirsi riguardo i motivi che l’avevano portata al mutismo. Ed era strano, vista la curiosità dei bambini e che caratterizzava anche lei, ma forse in quel mondo i piccoli erano più buoni che sulla Terra. Sorridendo, non attese che di scoprire il prosieguo di quella giornata.
L’ora seguente fu dedicata alla lettura. Solo una seccatura a giudicare dalle espressioni annoiate dipinte sui volti di alcuni dei compagni, ma per lei una vera liberazione. Leggere le piaceva. Era una possibilità di imparare, scoprire e passare il proprio tempo, un’occasione per vivere una vita diversa dalla propria. Aprire un libro, per Mackenzie, significava tenere in mano una piccola chiave capace di spalancare innumerevoli porte, ognuna delle quali conduceva nello stesso magico luogo: la fantasia. Era come viaggiare senza mai sapere dove sarebbe arrivata.
Era stato proprio leggendo che aveva conosciuto Kaleia, Sky, Eliza e il loro mondo. Senza una compagna da cui seguire, aveva abbassato lo sguardo verso il suo zaino alla ricerca di un libro, così che l'insegnante, Miss Adriana Spellman, non si arrabbiasse scoprendola senza nulla da leggere. Tirò fuori un volumetto con un drago sulla copertina e alcune uova al suo fianco. Si trattava di uno di quei libri che aveva acquistato all’emporio. Non volendo portarli tutti per non avere troppo peso sulle spalle, la bambina ne aveva scelto solo uno.
“I personaggi non restano soli, se li porto con me” si era detta e scusata con gli altri, promettendo che li avrebbe letti con calma.
“Che libro hai?” le domandò Miss Spellman, che si era avvicinata. “Ma è lo stesso dei tuoi compagni! Come sapevi che avremmo letto questo, se sei arrivata oggi?”
Non ne avevo idea.
Bastò un attimo e perse la cognizione del tempo. Si ritrovò a vivere un'altra vita, sola ma non spaventata, in un bosco simile a quello di Eltaria, vicina a una grotta già vista. Che appartenesse ad Aster e alle sue sorelle ninfe? Voltò pagina. Si trovava ancora alla Penderghast, ma allo stesso tempo in quello strano bosco e non poteva crederci. Tutto le appariva alieno eppure conosciuto, e le veniva da ridere. Trasse un respiro. Poco oltre gli alberi, nella grotta di dura roccia, cauto e acquattato dietro a un cespuglio, c’era un ragazzo dai capelli neri e l’abbigliamento di un esploratore: scarpe da ginnastica, una maglietta leggera, uno zaino sulle spalle e perfino una sorta di elmetto con annessa una lampadina ora spenta. Catturata, Mac si affrettò a leggere il seguito. Alla sua vista il giovane si era portato un dito alle labbra.
“Non fare rumore, o mi scoprirà” le sussurrò poi, risultando troppo enigmatico per i suoi gusti.
Lei non aprì bocca per timore che il ragazzo scoprisse l'unico segreto che non rivelava, e all'improvviso qualcosa si mosse facendola sussultare. Non un umano, non una creatura magica, né un animale, bensì alcune foglie, seguite da pochi sassolini spostati dal vento. Il ragazzo tornò al suo nascondiglio e, senza un fiato, attese il momento più propizio per avanzare. Immobile dov'era, Mackenzie non aveva idea di cosa cercasse, ma poi la vide. Nascosta nel buio di quella caverna, una scintillante montagna di monete d'oro, a cui qualcuno stava sicuramente facendo la guardia. Colta dal freddo della paura, mosse appena un passo avanti, mentre la gamba le tremava con violenza. Enorme, addormentato eppure pericoloso, c’era un drago dalle scaglie color del fuoco, quattro artigli appuntiti per zampa e denti aguzzi. Per sfortuna sua e dell’esploratore, quel singolo passo svegliò l’animale che, già in allerta, nel buio profondo sforzò gli occhi, ma non riuscì a vedere nulla. Sicuro che si trattasse di un falso allarme tornò al suo riposo e, sprezzante del pericolo, il ragazzo si avvicinò, ormai fermo nella decisione di andare incontro alla bestia e al suo oro.
Aspetta, aspetta! È arrabbiato e pericoloso, potrebbe mangiarci!
Mossa dall'istinto oltre che dall'adrenalina, Mackenzie provò a scrivere, ma invano.
All’inizio le parole non si impressero sul foglio, e quando finalmente accadde era già troppo tardi. Il ragazzo si era allontanato, entrando in quella tana senza voltarsi.
Con le lacrime agli occhi per ciò che aveva appena letto la bambina richiuse quel libro e, pur lasciandolo sul banco, lo allontanò da sé. Lei non era davvero stata all’interno della storia, tutto era frutto della sua immaginazione e non avrebbe potuto dire niente al ragazzo, ma ci aveva provato lo stesso, fallendo. Cercò un pacchetto di fazzolettini in una delle tasche esterne del suo zaino, ne afferrò uno e si asciugò piano le lacrime.
"Mackenzie, che ti succede?" le chiese Mahel, rompendo il silenzio creatosi in quell'aula e alzandosi per andarle vicino.
"Già, che hai?" azzardò anche Harmony.
Ancora intenta ad asciugarsi il viso, l’altra dovette calmarsi prima di riuscire a scrivere.
È colpa del libro, mi dispiace tanto per il protagonista…
L’insegnante si avvicinò, lesse e si commosse.
“Lo fa perché sto piangendo?” si chiese Mackenzie, che ancora non conosceva la parola compassione.
"Su, riapri il libro e continua a leggere. Sai che finisce bene?" le consigliò la donna, nel tentativo di farle tornare il sorriso.
Sì, Miss, ma sai… lei sa che questo è uno spoiler?
"E che sarebbe?"
Mackenzie ridacchiò nello scrivere quella risposta per lei tanto ovvia.
È una cosa nostra, del tutto umana. In realtà è una parola inglese, come il mio nome o quello di mia sorella e significa, diciamo, anticipazione. Se sto seguendo un film, o un cartone, o leggendo un libro e qualcuno anticipa cosa succede prima che ci arrivo, allora è uno spoiler.
La mano le si sporcò d'inchiostro e consegnò quel foglio alla maestra che lesse in silenzio.
"Tutto qui? Perché non ci ho pensato primaL?" commentò, ridacchiando divertita dal fatto che la bambina, come del resto lei stessa si era accorta, aveva sbagliato un congiuntivo.
Non lo so si limitò a rispondere Mackenzie, per poi aggiungere una faccina sorridente e arrossire.
Non era abituata a tanta attenzione e ora la sua tristezza era stata sostituita dall'imbarazzo.
Miss Spellman le posò una mano su una spalla.
"Grazie Mackenzie, adesso ho capito.”
Si allontanò dal suo banco. La bimba attese che l’ora terminasse. Secondo l’orologio dell’aula, mancava poco.
"Bene, bambini, qualcuno ha capito la morale della storia e può spiegarla chiara e limpida?”
Alzando la mano, Harmony fu la prima a tentare.
"Alla fine si capisce che il ragazzo non voleva ferire il drago. Era una femmina e aveva delle uova. Lui le ha fatte schiudere, quindi è stato gentile. Ha senso, vero?"
La maestra aprì la bocca per parlare ma, prima che potesse riuscirci, il resto dei suoi piccoli alunni la precedette.
"Harmony!" esclamarono in coro.
"Cosa?"
"Spoiler" le risposero, prendendola bonariamente in giro.
Colta alla sprovvista, la maestra scoppiò a ridere.
Dopo alcuni minuti la campanella suonò. Prima che Miss Spellman andasse via, Mackenzie la raggiunse.
Grazie per avermi rassicurata.
“Figurati, è mio dovere aiutare.”
No, pensò la bambina mentre l’altra si allontanava, non era solo suo dovere. Miss Spellman aveva un cuore grandissimo, ecco perché le era stata tanto vicina.
"Dai, Mac, è ora di andare a casa!" urlò Mahel, contenta di poter tornare.
Non che la scuola non le piacesse, ma aveva anche un ottimo rapporto con la sua famiglia ed essere figlia unica le garantiva tanti vantaggi cosa che, data la sua età, apprezzava in modo particolare.
Arrivo scrisse Mac, affrettandosi a rimettere tutto nello zaino e portandolo in spalla.
Non voleva perdere tempo, non se uscire subito da scuola significava rivedere Kaleia, Eliza e gli altri. Corse fuori dall'aula assieme a Mahel e Harmony e per poco non si dimenticò di Hope, che si premurò subito di cercare.
"Ti aiutiamo noi. La scuola è enorme, potresti perderti" le dissero le due compagne, ben felici di accompagnarla all'ala adiacente, dove venivano tenuti i bimbi dell'asilo.
Va bene, grazie.
Si avventurarono negli ampi corridoi. All’inizio tutti uguali, ma dopo qualche minuto, eccoli. Ariosi e colorati, quelli dedicati all'asilo, le cui porte erano piene di disegni: basse casette in legno con camini dai quali usciva un fumo nero, volpi dalla coda lunghissima, conigli bianchi che correvano fra l’erba e un paio di scoiattoli con una ghianda fra le zampe, sbilenchi e mal fatti, ma tutti con un sorriso sul muso, prati in fiore e, infine, un arcobaleno. La colpì in particolare uno dei disegni dei conigli: un animaletto se ne stava in disparte, indietro rispetto agli altri, tuttavia non sembrava che quelli volessero isolarlo. Chissà cos’aveva pensato il bambino che l’aveva disegnato. Forse anche lui, per qualche motivo, si sentiva solo, un po’ com’era capitato a lei quel giorno prima di incontrare Mahel e Harmony, e doveva essere così anche per il coniglietto. La bimba sospirò, mentre più guardava quel foglio, più il cuore le si faceva pesante. Pregò che quel bambino stesse bene, che un giorno avrebbe colorato un prato pieno di conigli che giocavano insieme felici, e adesso lei non aveva più nulla di cui preoccuparsi, non era sola. Riguardò ognuno di quei fogli e sorrise. Nonostante quello fosse un sogno, le sembrava di aver ricreato il trio composto da lei, Elizabeth e Katie.
Non poteva ancora definire quella bambina una sua amica, ci aveva parlato solo un po’ a mensa, ma le era parsa simpatica e desiderosa di stringere amicizia con loro due. Dato quanto successo Mackenzie ed Elizabeth non si fidavano molto dei compagni, ma avevano deciso che le avrebbero dato una possibilità. In fondo, Katie non era mai stata cattiva con loro, non aveva mai detto nulla di male, a differenza degli altri. Nemmeno Mahel e Harmony erano davvero sue amiche, così come Lucy e Lune, ma avrebbero potuto diventarlo. Dopo aver cercato un po’, ricordando le parole della mamma che aveva spiegato a Isla dove accompagnarle, trovò la sezione di Hope.
"Dai, tua sorella ti starà aspettando" le disse Harmony.
Mackenzie riaprì una tasca del suo zaino e, ripreso il blocco note, mise su carta i propri pensieri.
Dici che posso? Sono solo sua sorella, non la nostra mamma.
La calligrafia si rovinò a causa della mancanza di una base d'appoggio.
"Certo, sta’ tranquilla. Forse una delle maestre ci chiederà di aspettare i nostri genitori, ma cosa può andare storto?”
"Su, Mac, provaci" la incalzò Mahel, le piccole ali da pixie che già fremevano per l’impazienza.
Va bene, va bene! scherzò la bambina, ridacchiando e chiudendo la mano a pugno.
Dette tre colpi sul legno della porta. Istanti più tardi, una donna dall'aria gentile si presentò a loro.
"Salve a voi, signorine, cercate qualcuno?"
Mackenzie non ebbe cuore di dire subito la verità, e notando la sua timidezza, Harmony si fece avanti al suo posto, indicandola.
"Mackenzie cerca la sorellina. Un'umana, si chiama Hope."
"È lì nell'angolo che gioca, ma dove sono i vostri genitori?" azzardò l'insegnante che doveva avere la stessa età di Eliza.
In quel momento fu Mahel a parlare.
"Stanno arrivando. Mac è più grande di Hope, e la sorellina si fida di lei! Può riportarla a casa? Farà attenzione, promesso!”
“Questa scuola ha delle regole a riguardo. Siete troppo piccole per uscire da sole, e se ve lo lasciassi fare, la Direttrice si arrabbierebbe. Che succederebbe se le vostre mamme arrivassero qui e non vi trovassero? O se fuori vi accadesse qualcosa di brutto? Non vi conviene aspettare?"
Si abbassò al livello della pixie del fuoco e le posò una mano sulla spalla.
Spaventata da quella sola idea, Mahel fu vicina alle lacrime e come lei anche Harmony, mentre a poca distanza da loro Hope aveva ormai smesso di giocare, e già in piedi, camminava verso Mackenzie a passo svelto e barcollante, la tipica andatura dei bimbi come lei.
"Mac! Mac!" chiamava.
"Hope, principessina, ti sei divertita con la casa delle bambole?" le chiese la maestra, voltandosi nella sua direzione e prendendola in braccio.
"Sì, ma… mamma?" rispose la piccola, non avendo occhi che per la sorella maggiore. "Mac, mamma?" insistette.
"Starà arrivando, amore. Adesso la chiamo, va bene?" le rispose la donna.
La rimise a terra e le tenne la manina.
Mackenzie intuì il volere di quella signora tanto gentile e aprì per l'ennesima volta il suo blocco note. Girando le pagine, indicò un numero di telefono più che conosciuto, ovvero proprio quello della mamma.
"Grazie Mackenzie, dammi un secondo e tieni Hope per mano."
Mentre stringeva a sé la sorellina, la bambina disegnò per lei cuoricini e faccine sorridenti. Aveva quasi due anni, non sapeva ancora leggere, e se c'era un modo di farla ridere era esattamente quello. Lasciandole avere una matita la incoraggiò a disegnare a sua volta, e ben presto le ultime pagine di quel blocco appunti furono piene di divertenti schizzi infantili.
Speriamo che la mamma arrivi presto, pensò la più grande mentre veniva percorsa da un fremito d’eccitazione, non vedo l’ora di raccontarle del mio primo giorno di scuola!
   
 
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