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Autore: crazy lion    22/03/2021    1 recensioni
Crossover scritto a quattro mani con Emmastory tra la mia fanfiction Cuore di mamma e la sua saga fantasy Luce e ombra.
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti vissuti da Demi e dalla famiglia, raccontati nel libro di Dianna De La Garza Falling With Wings: A Mother's Story, non ancora tradotto in italiano.
Mackenzie Lovato ha sei anni, una sorella, un papà e una mamma che la amano e, anche se da poco, una saga fantasy che adora. È ambientata in un luogo che crede reale e che, animata dalla fantasia, sogna di visitare con i suoi. Non esita perciò a esprimere tale desiderio, che in una notte d’autunno si realizza. I quattro vivranno tante incredibili avventure con i personaggi che popolano quel mondo. Ma si sa, nemmeno nei sogni tutto è sempre bello e facile.
Lasciate che vi prendiamo la mano, seguite Mackenzie e siate i benvenuti a Eltaria, un luogo per lei e la famiglia diviso tra sogno e realtà.
Disclaimer: con questo nostro scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendiamo dare veritiera rappresentazione del carattere dei personaggi famosi, né offenderli in alcun modo.
Quelli originali appartengono alle rispettive autrici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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CAPITOLO 24.

 

TIMORI E RIFLESSIONI

 
Erano le dieci e, mentre Mackenzie studiava chissà cosa Hope rifletteva, per quanto potesse farlo una bambina della sua età. Ormai aveva capito che la sorella, a scuola, faceva cose più difficili di lei e, anche se da una parte avrebbe voluto diventare grande, dall'altra si divertiva di più all'asilo a giocare. Più volte a casa era capitato che prendesse uno zainetto, se lo mettesse sulle spalle e dicesse:
"Scuola, compiti"
e la mamma ridesse. Ora, anche se era in un asilo nuovo, si stava divertendo da matti. Le maestre avevano portato lei e gli altri bambini in una stanza piena di cuscinoni e la piccola stava saltando su uno di essi. La cosa più bella era sprofondarci appena quando ci finiva sopra. Ogni tanto alzava le braccia in aria, oppure gridava e si buttava sul morbido cuscino in varie posizioni. Intorno a lei, i suoi compagni facevano lo stesso e c’era chi camminava, ma altri correvano e rischiavano di andarsi addosso. Le insegnanti supervisionavano tutti, ognuna i dieci bambini che aveva nella propria classe e cercavano di mantenere un minimo di ordine.
Hope udì una di loro rimbrottare un folletto che cercava di prendere un cuscino a una pixie, la quale lo stringeva al petto anche se con fatica vista la grandezza.
“Jackson, quello è di Diandra, lasciaglielo.”
Stanca di saltare e con il fiatone, Hope si gettò a peso morto sopra uno di quei cuscini, ma non fece in tempo a riposarsi perché, poco dopo, un suo compagno le sarebbe saltato sulla pancia se lei non si fosse spostata in velocità. Salì allora sopra un altro cuscino, più piccolo e a forma di cavallino a dondolo, sul quale si dondolò per diversi minuti avanti e indietro fissando un punto indefinito. Dopo un po', qualcos'altro catturò la sua attenzione: si trattava di un terzo cuscinone a forma di tunnel dentro il quale ci si poteva infilare. Nessuno lo stava usando, quindi lo fece lei. Ci passò all'interno, uscì dall'altra parte e rise di cuore, salutò con la manina e continuò così senza stancarsi mai. Le sembrava di sparire e poi ricomparire come in una magia, magari una di quelle che sapevano fare Sky e Kaleia e che anche a lei sarebbe piaciuto imparare. Perché non ci riusciva? Non fu capace di darsi una risposta.
Le maestre richiamarono i bambini nelle rispettive classi per dar loro la merenda, che quel giorno consisteva in qualcosa di più gustoso dello yogurt del mattino prima: pane e Nutella. Il pane era morbidissimo e le insegnanti lo spezzarono a tutti in pezzi né troppo piccoli né di esagerata grandezza, giusti perché potessero metterli in bocca senza che accadesse nulla di male. Piacque a tutti e non solo mangiare li zittì facendo calare sulle due aule un silenzio assoluto, ma ogni bambino si sporcò, chi il naso, chi una guancia e chi, come Hope, addirittura la fronte. Le maestre li aiutarono a pulirsi e a lavarsi e raccontarono loro una favola.
 
 
 
Finito il suo racconto, l'insegnante della classe di Hope contò gli alunni e si rese conto che ce n'erano solo nove.
"Dov'è Hope?" chiese.
Nessuno le rispose.
Strano, non li perdeva di vista un attimo, non si era accorta che la bambina si fosse allontanata.
Se le fosse successo qualcosa non me lo perdonerei mai.
Ma ora l'importante era trovarla. Forse era caduta o si era ferita, chi poteva saperlo? Il cuore della signora saltò un battito mentre la assaliva la consapevolezza che aveva pochissimi secondi per decidere cosa fare: cercarla da sola o chiamare l'altra maestra? Ma in quel caso, con chi sarebbero rimasti i loro bambini? Il tempo era tutto in quella situazione e, anche se dubitava fortemente che la bambina fosse uscita dalla scuola senza essere vista e fermata, non si poteva mai sapere. La porta era chiusa e non abbastanza bassa da permetterle di aprirla. Tirò un sospiro di sollievo, mentre gli altri bambini la guardavano straniti. Diede loro dei fogli e alcuni barattoli di pennarelli dicendo a ognuno di farle un disegno che poi avrebbero appeso in classe, in modo da tenerli occupati, promise che sarebbe tornata subito e uscì lasciando la porta aperta.
Al centro di una stanza si trovava una casetta di plastica che i bimbi utilizzavano spesso per giocare.


 
 
Hope si era infilata lì dentro da un po'. La storia che leggeva la maestra non le stava piacendo poi tanto e così aveva pensato che avrebbe preferito andare a giocare da qualche parte. La casetta era simile a una che vedeva ogni tanto nelle pubblicità a casa e che desiderava chiedere alla mamma. Quella in cui si trovava non era grande, ma lei ci sarebbe stata benissimo anche sdraiata e con le braccia spalancate non prendendo tutto lo spazio. Non c'erano sedie, ma davanti a lei si trovava un piccolo tavolino con un telefono finto. Compose un numero a caso e prese in mano la cornetta.
"Pronto? Ciao. Sì, sì, ciao mamma" concluse, prima di mettere giù e ridere come una matta.
Aveva appoggiato per terra una bambola, che mise seduta accanto a lei, e due tazzine di plastica. Finse di preparare il tè e lo offrì alla sua amica, poi lo bevvero insieme.
"È buono!" esclamò. “Tanto.”
In quel momento la porticina si aprì e la maestra, troppo alta per entrare lì dentro, le parlò dall'uscio.
"Hope, piccola, ecco dov'eri finita!" Avrebbe voluto abbracciarla per il sollievo che stava provando, ma doveva spiegarsi. "Tesoro, ascolta, non puoi andare via senza dirmi dove, potresti farti la bua e io devo sapere sempre se ti trovi con me o se stai giocando, capito? Non fare più così."
Alzò appena la voce e la bimba la guardò, poi abbassò gli occhi.
"Dire dove sono" sussurrò, dopo averci messo qualche secondo a comprendere.
"Esatto, bravissima. Sempre, sia alla mamma, sia a me o alle altre persone che ti fanno compagnia e ti conoscono, almeno finché sei così piccola."
Tornata in classe, anche lei si divertì con i colori. Disegnò la casetta, con la bambola e la scena che stava mettendo in atto prima che l'insegnante arrivasse a interromperla.
Le restanti ore passarono tra giochi, canzoncine, un girotondo e altre favole.
 
 
 
"Sky?" chiese Andrew, dopo che la ragazza era appena rientrata da una passeggiata.
"Sì?"
"Ho sistemato la cucina e il bagno così Eliza non dovrà lavorarci, e spolverato il salotto e passato l'aspirapolvere. Ho anche lavato i piatti e le tazze della colazione."
La ragazza rimase colpita.
"Non dovevi. Sei un ospite, se mamma sapesse ti direbbe di non stancarti. Ti vedo provato."
Andrew era pallido e con le occhiaie.
Poteva sembrare che lei non si preoccupasse per gli altri, ma non era affatto così e, anche se non aveva ben capito cosa volesse dire soffrire di ansia e soprattutto di depressione, cercava di immedesimarsi in lui e in ciò che aveva raccontato. Andrew era pallido e con le occhiaie.
"Non sono le pulizie a stancarmi, o almeno non così tanto. A volte è colpa dei miei problemi, se mi sento peggio la mia mente è affaticata e di conseguenza anche il mio fisico pensa di esserlo."
"Stai più male di ieri?"
Glielo chiese in tono grave, avvicinandosi piano.
I loro occhi si incontrarono, verde nell'azzurro, e si fissarono con intensità per un lungo istante.
"Ho avuto un attacco di panico, stanotte. Nulla di grave, ce ne sono stati di peggiori, ma per diversi minuti sono stato male."
"Mi dispiace, e hai idea del perché?"
Le disse ciò che aveva riferito alla fidanzata.
"Sì, cambiamenti tanto drastici di vita, luogo in cui si abita e altro possono scombussolare, in effetti, o almeno credo" rispose la fata, con la testa fra le mani. "Il semplice fatto di dormire in un letto diverso influisce quantomeno sul sonno."
Andrew annuì, scusandosi per non aver rifatto bene il letto: gli capitava di tirare male le coperte, di farlo con svogliatezza. Aggiunse che perfino alzarsi e aprire la finestra era stato difficile, tutto ciò per colpa della depressione.
“Tranquillo, lo sistemo io.”
“Non vorrei darti l’impressione di essere uno sfaticato” si affrettò a dire, mettendosi le mani davanti al volto.
A casa propria poteva fare ciò che voleva, ma era un ospite e si sentiva maleducato.
Sky gli sorrise e gli poggiò una mano sulla spalla.
“Va tutto bene, non angosciarti.”
“Grazie, Sky. Forse dovrei andare a fare due passi per schiarirmi le idee e tirarmi su. I dottori dicono sempre che passeggiare aumenta le endorfine. Significa che aiuta a migliorare l'umore."
La fata confermò che era così asserendo che accadeva anche a lei e, dopo avergli chiesto se aveva bisogno di un'accompagnatrice e aver ricevuto risposta negativa, lo guardò uscire.
Sospirò e pregò qualcuno più in alto di lei e di chiunque altro. Non sapeva a chi rivolgersi con esattezza, se fosse quel Dio di cui a volte Demi e il suo ragazzo avevano accennato oppure no, ma gli domandò di fare in modo che Andrew stesse bene e che lui e la sua famiglia fossero felici. Si accomodò sul divano e rimase in silenzio per un po', finché Midnight non entrò dalla finestra aperta. Anziché appollaiarsi sulla sua spalla, le piombò tra la pancia e le gambe. Cinguettò facendola sorridere.
"Sei venuto a risollevarmi il morale, eh, Midnight?" gli chiese, poi prese ad accarezzargli con un dito il nero piumaggio.
Era di una morbidezza incredibile.
Non sapendo cosa fare, Sky prese un libro, poi si risedette con il merlo che si rimise subito nella posizione di poco prima. La fata del vento si immerse nella lettura del romanzo d'avventura che aveva iniziato pochi giorni addietro, immedesimandosi nel protagonista e vivendo, almeno per un po', le sue vicende. Non era quello il genere che preferiva, non amava in modo particolare i libri di narrativa, ma il volume che aveva fra le mani l'aveva catturata e così si era decisa a dargli una possibilità. Anche se adesso aveva una vita felice, adorava estraniarsi dalla realtà in quel modo, staccare la spina ed evadere per poi ritornare più piena di energia. Nel frattempo, Midnight la osservava alzando la piccola testolina e sbirciava le pagine. Non era la prima volta che accadeva e, quando se ne accorse, Sky lesse ad alta voce. Poco dopo il merlo volò sul suo trespolo e, continuando ad ascoltarla, chiuse gli occhietti, si rilassò e si addormentò. Sky sorrise a quella vista. Non voleva disturbarlo, quindi riprese la lettura in modo silenzioso.
Dopo alcuni minuti sentì qualcuno bussare alla porta.
Mise un segnalibro, chiuse il volume, lo ripose al proprio posto e aprì.


 
 
Davanti a lei c'era Noah e, desiderando un bacio da lui, la ragazza gli si gettò addosso e gli catturò le labbra nelle proprie. Il ragazzo rimase spaesato per qualche momento ma, abituato all'impulsività della fidanzata, si riscosse subito e ricambiò con passione. Dopo il primo bacio Sky si staccò appena e i due rimasero abbracciati per minuti interi senza parlare, guardandosi con gli occhi di chi ama e con il cuore che faceva le capriole per la felicità. Non sentivano nessun rumore intorno a loro, né si rendevano conto di essere ancora sull'uscio di casa. La ragazza non si preoccupò nemmeno del fatto che Andrew sarebbe potuto tornare da un momento all'altro e che avrebbe potuto vederli. In quel momento esistevano solo Sky e Noah, come se fossero stati gli unici abitanti di quel mondo. I loro respiri si fondevano l'uno con l'altro creando nuvolette di vapore mentre i cuori e le anime erano da tempo una cosa sola.
"Dovremmo rientrare, non credi?" mormorò Noah, timoroso di interrompere un momento tanto intenso e farla star male.
"Forse è una buona idea."
Ritornare alla realtà fu come essere scagliati giù dal cielo e battere con violenza la testa sul duro suolo, ma erano ancora lì, insieme, e nessuno impediva la loro unione. Si tennero per mano e si sedettero sul divano.
"Allora, come stai?" le domandò Noah. "Ieri eri strana.”
"Si tratta di quanto ci hanno raccontato. Credo ci sia dell'altro, Demi stamattina me l'ha confermato. Penso che siano stati peggio di così" ammise abbassando lo sguardo.
"E sei preoccupata."
"Sì."
Seguì una breve battuta di silenzio, durante la quale lui rifletté.
"Beh, non puoi costringerli a parlare."
"Non voglio, infatti."
"Lo so, ma stavo per aggiungere che se si apriranno vorrà dire che si sentiranno pronti, che si fidano di noi in modo incondizionato e a quel punto potremo saperne di più. Secondo te che è successo?"
"La morte della sorella deve aver segnato Andrew in modo più profondo di quanto ieri ci ha dato a intendere, ma per ciò che riguarda Demi non so proprio che dire. Prima ho parlato con lui e l'ho visto abbattuto. Forse dovrei fare qualcosa per tirare su il morale a tutti o, comunque, renderli felici."
Se mesi prima, in un impeto di profondo calore umano, aveva avvolto attorno al collo di Bucky una sciarpina per proteggerlo dal freddo, ora era sua intenzione aiutare i compagni per quanto possibile, anche con un gesto semplice.
"E stai pensando a qualcosa?"
La ragazza annuì.
"Vorrei fare una torta."
"Una torta?"
"Sì, al cioccolato. Alle bambine piacerà di sicuro e spero anche ai grandi. Non sono bravissima in cucina, ma ci posso provare."
L'importante è il pensiero rifletté Noah, o almeno i suoi genitori gli avevano sempre detto così.
I due si diressero nel villaggio degli umani e poi nel negozio di alimentari, dove acquistarono biscotti, cioccolato fondente, burro e uova per preparare il salame di cioccolato. Noah disse che ci andava anche il rum, ma lo ritennero poco consono data la presenza di due bambine.
Una volta tornati, e dopo un altro fugace bacio, si misero subito all'opera. Noah tritò il cioccolato fondente e lo fece sciogliere a bagnomaria. Mentre aspettavano che diventasse del tutto fuso, i due innamorati si strinsero di nuovo.
"Secondo me, di carattere, sei più dolce tu di questa torta" le sussurrò il suo ragazzo sfiorandole la guancia con un dito.
Sky sentì un brivido correrle lungo la schiena e le braccia, che le fece venire voglia di baciarlo di nuovo.
"Non ne sarei sicura, ma grazie" gli rispose, considerando strano quel complimento.
Anche se con gli altri faticava ad aprirsi, con Noah riusciva a sfogarsi di più.
La ragazza stava sbriciolando i biscotti, ma lui la prese fra le braccia e le sorrise. Fu un sorriso un po' strano, che non gli arrivò agli occhi. Lei si voltò, gli accarezzò il collo e le guance sbarbate, poi lo baciò con dolcezza.
"Che succede?"
La sua voce fu delicata come i petali di una margherita, poche volte le era uscita così.
"Stavo pensando a una cosa. Ho sempre sentito dire che due fidanzati, per essere ancora più intimi, dovrebbero condividere le loro paure. Stiamo insieme da qualche anno, ormai, ti conosco e credo di sapere quali sono, ma non ne abbiamo mai parlato in profondità. Ti andrebbe di farlo ora?"
Sky si irrigidì all'istante e lui si pentì subito di aver posto quella domanda. Sapeva che era un argomento delicato per la ragazza perché conosceva in particolare una delle sue paure, quella più grande, profonda e che, lui non si capacitava di come, mascherava benissimo, ma che la tormentava dall'età di otto anni.
Sky respirò con le narici dilatate e strinse le mani a pugno per un secondo, senza sapere come sentirsi. Noah non l’aveva chiesto con cattiveria, ma solo per aiutarla e starle vicino perché, anche se lei non lo diceva, aveva bisogno di questo, ma non si aspettava un simile quesito. Forse, ragionò, parlarne in modo sincero le avrebbe dato una mano a sentirne meno il peso.
"D'accordo," mormorò, "ma inizia prima tu."
Noah stava mettendo del burro a pezzetti in una ciotola, aggiunse lo zucchero e montò il tutto con le fruste elettriche, incorporando le uova una alla volta. Dopo aver usato ancora le fruste, lasciò che la fidanzata continuasse e parlò.
"Io ho paura degli insetti. Mi fanno schifo. So che siamo in un bosco e che ce ne sono tantissimi, quindi sembrerebbe una fobia assurda, ma succede lo stesso."
Dopo aver aggiunto il cioccolato al composto chiaro e spumoso, Sky continuò a mescolare per amalgamarlo, ma poi si fermò e lasciò che fosse il suo ragazzo a continuare.
"Sminuzza i biscotti quando la cioccolata sarà incorporata al resto, poi aggiungili a tutto questo e continua a mescolare" gli ordinò. "Scusa, ma se voglio parlare delle mie paure devo fermarmi, o combinerò un disastro."
"Non preoccuparti."
"Io…" Esitò. "Dobbiamo proprio parlarne mentre prepariamo un dolce?"
Ridacchiò, sfregandosi una mano sui pantaloncini corti.
"Siamo soli e sì, riconosco che non sia la situazione ideale, ma mi è venuto in mente quest'argomento. Se preferisci, possiamo farlo un'altra volta."
Potrei non riuscire a dirlo, più avanti pensò la ragazza.
Scosse la testa con vigore.
"No. Va bene." Prese un tremante respiro, come se stesse per piangere. "Io ho paura dei ragni, come Kaleia." Aveva detto prima quello perché era il timore più facile del quale parlare. Si guardò intorno alla ricerca di qualche insetto o ragnatela, ma non ne trovò. "E poi temo qualcosa di peggiore."
Dopo un breve momento di silenzio, Noah disse:
“Parlamene solo quando te la senti, prenditi il tuo tempo.”
Lei lo ringraziò con lo sguardo. Aveva la gola riarsa e bevve due bicchieri d'acqua a piccoli sorsi prima di stare meglio. La testa le girò, ma si aggrappò con forza al piano di lavoro della cucina. "Temo l'abbandono."
La parola abbandono aleggiò nella stanza per qualche secondo, ma i due ebbero la sensazione di udirne l'eco nelle menti per interminabili istanti, mentre quel vocabolo rimbalzava a destra e a sinistra come tra due pareti di roccia. Visto quanto Sky aveva passato quella era una parola intrisa di sofferenza, nonostante tutto.
"Continua solo se ce la fai, amore mio" mormorò Noah, non volendo costringerla in alcun modo.
"Quando Eliza ci ha prese con sé la tenevo lontana, lo sai, con quel vento, ma era anche un modo per metterla alla prova, per capire se si sarebbe avvicinata o arresa alla mia diffidenza."
Ricordava di aver passato giorni chiusa in camera. Era uscita a fatica e solo per mangiare o giocare con Kaleia, per renderla felice. Per il resto non aveva mai risposto, perlomeno non a voce, alle richieste di Eliza di fare qualcosa insieme o di conoscersi meglio e, mentre quella aveva tentato e ritentato rispettando comunque i suoi spazi ma senza successo, lei non aveva fatto altro che annegare nella palude della tristezza, non riuscendo a smettere di riflettere sulle giornate trascorse nel bosco sola con la sorella. Era arrivata a pensare che nessuno le avrebbe mai trovate, né si sarebbe occupato di loro con amore. E anche se poi era successo, lei si era sentita troppo arrabbiata contro chi l’aveva abbandonata o dimenticata con Kaleia per essere in grado, al contrario della sorellina, di considerare Eliza una mamma. La sua era morta, o le aveva abbandonate scordandosi di loro e sparendo chissà dove, come se non le fosse importato di quello che avrebbe dovuto essere il suo regalo più prezioso: le figlie. Avrebbe, appunto.
L’atteggiamento di Sky è comune nei bambini che sono stati abbandonati o comunque adottati per qualsivoglia ragione pensò Noah, dopo che la ragazza gli ebbe riferito ogni cosa.
Non era chiaro cosa fosse successo ai genitori di Kaleia e Sky, ma loro l'avevano vissuta in quel modo.
"Lei, però, ha capito. Mi ha aiutata e tutto è andato meglio. Mi sono innamorata di te relativamente presto, ma la sofferenza è arrivata dopo."
Fu terribile dirlo, le provocò una fitta così forte al petto che per poco non cadde all'indietro, ma mise le mani sopra di esso e respirò più tranquillamente possibile.
"Hai paura che io ti abbandoni, o ce l'avevi, Sky?"
La voce del suo fidanzato era pacata. Se l’aveva ferito, lui non lo dava a vedere. Quel tono gentile le accarezzava i punti nei quali le ferite del suo passato travagliato sanguinavano ancora e pareva cercare di cicatrizzarle con quanta delicatezza possibile.
"L'ho avuta, sì.” La sua voce si frantumò come vetro. “Ma non te ne ho parlato perché non stavamo insieme da molto. Temevo che un giorno, senza dirmi niente, te ne saresti andato e a volte ne ho ancora paura. So che tu non sei quel tipo di persona, mi dispiace anche solo aver avuto un'idea del genere, ma ero spaventata a morte. Ogni tanto sogno di svegliarmi e non trovare più nessun membro della mia famiglia, solo un biglietto con scritto che se ne sono andati e che a loro non importa niente di me."
Le sue labbra si piegarono in un sorriso triste, il più pieno di sofferenza che Noah avesse mai visto nella vita. Sky non smetteva di sorridere, eppure non mascherava più i suoi sentimenti, li stava mostrando a lui com'era successo tante altre volte. Nei suoi occhi gli parve di vedere una sottile nebbia, rendendoli ancora più profondi. Erano azzurri, eppure adesso parevano più scuri, come quando il cielo si riempie di nuvole grigie prima del diluvio.
“Io ti amo, Noah, ti amo tantissimo! Però ti prego, non lasciarmi! Non lasciarmi da sola!" La voce le si arrochì a causa della disperazione. "O, se succederà, ti supplico, ti imploro, prima parliamone, noi…"
Noah la prese in braccio come fosse stata una principessa o la sua sposa e la baciò con dolcezza. Le sue labbra erano seta al contatto con quelle di lei.
"Io non ho alcuna intenzione di lasciarti, Sky. E se per qualche assurdo motivo mi comportassi come uno stronzo, ti assicuro che me ne pentirei e mi farei perdonare, ma mi disgusta anche solo il fatto che io ti stia dicendo che potrei arrivare a questo. Ti amo da morire, voglio stare con te per sempre e non potrei vivere senza di te.” Le accarezzò una guancia. “Non posso darti quello che ti è stato tolto, non riesco a restituirti i tuoi veri genitori o a cancellare il dolore che provi, ma riuscirò a trasmetterti tutto il mio amore ogni giorno, se me lo permetterai."
“Sul serio?” chiese lei, con una vocetta acuta come quella di una bambina.
"Te lo giuro.” Le baciò i capelli. “Io ti amo più della mia stessa vita, tua sorella ed Eliza fanno lo stesso anche se in modo diverso e nessuno ti abbandonerà mai. Di' a quei sogni che sono solo frutto della tua mente, che non corrispondono alla realtà, e vedrai che li temerai di meno. Se non dovesse essere così, parlane con me ogni volta che vuoi."
La sua voce, i gesti di lui, tutto la fece scoppiare in lacrime. Un pianto liberatorio e a singhiozzo che non si concedeva da tempo immemore. Soffriva sempre, nel profondo della sua anima, anche quando non pensava al proprio passato, perché certe esperienze non si scordano in nessun momento, ma era sollevata. Sapeva che Noah le sarebbe rimasto accanto, ma sentirglielo dire, essere rassicurata, le trasmise un senso di calore che la avvolse e le entrò dentro, facendola tornare a respirare di nuovo.
"Se ci sei non ho paura, Noah" mormorò, asciugandosi gli occhi, prima di baciarlo di nuovo. "Grazie."
Lo disse in modo accorato e Noah ne rimase colpito.
"Figurati. Se fosse capitato a me, tu avresti fatto lo stesso."
"È vero. Ti amo anch'io, Noah!" gli ripeté.
Un altro bacio li unì, più lento e profondo stavolta, dopodiché ripresero a preparare il dolce prima che si rovinasse ogni cosa.
 
 
 
Christopher e Kaleia avevano da poco trovato riparo all’ombra di una quercia. Si fecero aria con le mani per respirare meglio e lei si asciugò la fronte con un fazzoletto.
“Avremmo dovuto uscire prima per la nostra passeggiata” commentò.
“Hai ragione. In pratica, l’estate è già qui.”
Accanto a loro, Cosmo era sdraiato sull’erba a pancia all’aria e con la lingua fuori. A sei mesi non gli mancavano le energie, ma il caldo aveva messo al tappeto anche lui.
Kaleia si sfiorò il ventre: aveva appena sentito muovere il bambino. Si era trattato di un movimento lievissimo ma percepibile da lei in quanto fata e del quale un’umana, al contrario, non avrebbe potuto ancora accorgersi.
“Ti immagini come sarà?” chiese, la voce ridotta a un sussurro.
“Bellissimo, amore mio.” Christopher le circondò la vita con un braccio. “Hai dubbi?”
“No.” Il suo volto si aprì in un sorriso, poi tornò serio mentre lei si grattava la testa bruna. “Mi domando solo se saremo bravi genitori.”
“Stai pensando ai…”
Ma il ragazzo si interruppe quando lei si rabbuiò e un velo di dolore le circondò e coprì gli occhi.
“Ne abbiamo già parlato. Non voglio farlo ancora, non adesso.”
Avevano trattato l’argomento poco tempo dopo la scoperta di essere incinta e Kaleia era scoppiata a piangere. Voleva loro bene e al contempo li odiava, nonostante gli sforzi fatti da Eliza affinché lei e Sky non provassero questo. Un momento credeva che fossero state due figure amorevoli, un altro no e la sua testa si riduceva a un guazzabuglio di pensieri in contrasto. Per quanto fosse più espansiva di Sky, il loro dolore era lo stesso.
“Va bene, scusami.” La voce dolce di Christopher le fece tirare un sospiro di sollievo evitandole un’emicrania. “Allora di cosa? O di chi?”
“Di Eliza. È l’unica mamma che conosco, è lei che mi ha insegnato molte cose sulla vita e sull’amore.” Kaleia ritrovò il sorriso. “Sarò una brava mamma quanto lo è sempre stata lei con noi? E siamo pronti per diventare genitori?”
Suo marito rifletté per qualche istante.
“Mi pongo anch’io queste domande pensando a mio padre. Credo che nessun genitore sia mai davvero pronto a diventarlo, nemmeno quando vuole un figlio con tutto se stesso.” Le accarezzò i capelli e le scostò una ciocca dalla fronte. “Ma grazie a tua mamma e a te stessa sei diventata una persona con dei saldi valori, paziente, che ama i bambini e che ha altre mille qualità.”
“E difetti.”
“Anche, come tutti. Ma un innamorato li accetta e a volte fatica a vederli” ridacchiò, dandole poi un bacio. “Sarai una mamma meravigliosa.”
“Grazie, e tu un padre fantastico.”
Lui la strinse in un abbraccio e la ragazza ricambiò; restarono immobili per parecchio tempo a godersi il reciproco calore e la sicurezza di quella stretta, non facendo più caso al caldo della giornata. Cosmo si erse sulle zampe e parve volesse mettersi in mezzo, ma alla fine si sedette.
“Sì, ce la possiamo fare” asserì lei, più convinta e sciogliendo l’abbraccio. “Di sicuro non saremo i migliori, sbaglieremo, ma impareremo a non commettere più gli stessi errori con il tempo. Almeno spero.”
“Esatto, nostro figlio ci aiuterà in questo, pur non sapendolo.”
“Ci farà crescere.”
“Sì.”
Non lo dissero, ma tremarono, segno che i loro timori non erano scomparsi, benché parlarne avesse fatto bene a entrambi. Nei mesi successivi sarebbero aumentati soprattutto per lei con l’avvicinarsi del parto, Kaleia ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa. Per un momento le mancò il fiato, ma si toccò di nuovo la pancia e cercò di non pensarci. Mancava ancora tempo e, chissà, magari avrebbe potuto parlarne con qualcuno per dei consigli. Non ce la poteva fare da sola, aveva bisogno di sostegno e non solo dall’uomo che le stava accanto.
I due rimasero in silenzio a riflettere sul futuro che li attendeva, sulla vita che avrebbero vissuto non in due ma in tre. Stringere il loro figlio tra le braccia sarebbe stata un’emozione tanto forte che non riuscivano nemmeno a immaginarla, e da lì avrebbero iniziato un cammino come famiglia, fatto di alti e bassi, gioie e dolori, ma nonostante tutto sapevano una cosa: ne sarebbe sempre valsa la pena.
   
 
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