Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Mondschein    23/03/2021    0 recensioni
JeanKasa
Modern!AU
Farsi convincere dalla propria famiglia ad andare in vacanza insieme a loro era stato un grande sbaglio, ma Mikasa dovrà ricredersi quando, a causa di un piccolo incidente in spiaggia, conoscerà Jean. Un incontro casuale che le permetterà di affrontare la relazione passata e chiuderne i battenti una volta per tutte, agguantando così una nuova esperienza, una nuova occasione.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il giorno successivo, Mikasa e la sua famiglia raggiunsero la spiaggia verso le otto e mezza. 
Orario inusuale per gli Yeager, ma avevano deciso di andare al bar a fare colazione e poi a cercare il posto migliore nella spiaggia pubblica. 
Eren era l'unico che sembrava uno zombie. Nel messaggio della sera prima aveva scritto che sarebbe rientrato senza ombra di dubbio all'una. Invece aveva ritardato, come il suo solito, per cui aveva dormito sì e no quattro ore quella notte. Carla si era imbestialita perché non accettava un comportamento del genere e come punizione l'aveva costretto ad alzarsi presto per andare con loro.
Eren aveva delle occhiaie da far spavento e Mikasa lo sfotteva ben volentieri. 
«Sei un cazzone, la prossima volta vedi di tornare almeno a mezzanotte.» 
«Stai scherzando?» ringhiò mentre era disteso sul telo. 
I loro genitori li avevano lasciati da soli sotto gli ombrelloni per andare a fare il primo bagno del giorno. Mikasa si stava spalmando la crema solare ed Eren aveva tutta l'intenzione di dormire fino a mezzogiorno in spiaggia. 
«Siamo in estate e in vacanza, di coprifuochi non ne voglio sentir parlare» puntualizzò Eren, distendendosi e indossando gli occhiali da sole per nascondere le profonde occhiaie che si erano formate a causa delle mancate ore di sonno. 
Mikasa levò gli occhi al cielo senza ribattere; quando Eren si intestardiva nelle sue convinzioni era inutile inculcargli un altro punto di vista. Afferrò il cellulare e si sistemò a pancia in giù, pronta per continuare a leggere il suo psycho-thriller preferito. 
Mikasa sussultò quando sentì Eren rivolgerle la parola. «Non avevo mai notato che quel costume ti risaltasse così tanto il seno.» 
«Eren!» Si coprì il petto con il braccio e tirò al fratello il barattolo della crema solare addosso, colpendolo sul fianco. «Ma che hai in quella testa bacata? E poi pensavo stessi già dormendo.» 
«Ahia, ma sei tu che ce l'hai bacata! - allontanò indispettito il barattolo, - e poi ringraziami o qualche maniaco potrebbe vederti, volerti e portarti via da me.» 
«Cretino.» Scosse il capo e si concentrò sullo schermo del telefono. Ma la lettura risultò più faticosa del previsto poiché sentiva nella sua testa un chiodo fisso che non voleva smettere di tormentarla. Ai suoi genitori e men che meno a suo fratello non aveva rivelato dell'uscita al bar la notte scorsa. Sembrava un sogno ricordarsi quell'ora passata fuori, come se in realtà fosse stato tutto frutto della sua immaginazione. 
Jean, Marco, Marlo e Hitch non li aveva intravisti neppure per sbaglio in giro per il campeggio o al bar. Riflettendo, arrivò alla semplice conclusione che, come Eren, a loro piaceva dormire fino a tarda mattina. Era inutile quindi crogiolarsi, non conosceva affatto le loro abitudini, ciò nondimeno doveva illudersi che quei ragazzi volevano sul serio passare le loro giornate insieme a lei. 
L'unica a cui l'aveva raccontato era stata Sasha, amica fedele fin dai tempi delle elementari. Le aveva scritto in maniera entusiasta, era contenta di quel passo avanti e che aveva messo da parte la corazza che la proteggeva da ogni singolo sconosciuto che provava ad approcciarsi a lei. Sasha conosceva fin troppo bene Mikasa e la capiva perfettamente. 
Una parte di sé era davvero grata di avere un'amica come lei, capace di sostenerla nei momenti di maggiore difficoltà. Se non ci fosse stata Sasha a trasmettere quelle sicurezze che pezzetto dopo pezzetto le si erano sgretolate, forse ancora oggi navigherebbe in un limbo di tristezza e angoscia che attanagliava il suo petto, nascosto sotto la corazza che si era costruita per proteggersi da chi le stava attorno, mostrandosi per quello che in realtà non era. Le sarebbe bastato poco per una ragazza buona e introversa come lei chiudersi in se stessa senza fidarsi facilmente di qualcuno. Sasha era riuscita a smuoverla e farle capire che "non tutti in questo mondo sono degli emeriti figli di puttana". E da allora aveva cominciato a rivivere la sua vita da single che tanto le era mancata. 
«Che caldo» esalò Mikasa mettendosi seduta e osservando il mare. I suoi genitori erano tornati da poco sistemandosi sulle loro sedie; suo padre sotto l'ombrello a leggere una rivista che parlava di scienze mediche, mentre sua madre al sole per abbronzarsi. 
Carla si girò verso di lei e sentendo quel commento accennò un sorriso. «Perché non vai a farti un bagno? L'acqua è magnifica.» 
«Vieni con me?» 
Carla spostò lo sguardo verso suo marito e poi su suo figlio, il quale dormiva profondamente, e accettò di buon grado la richiesta di Mikasa. Si incamminarono sulla sabbia verso il mare, zigzagando tra i vari ombrelloni e bagnanti. 
Mikasa immerse i piedi nell'acqua fresca e sospirò di sollievo. Seguì Carla fino a che l'acqua non le arrivasse al bacino. 
«Ti stanno davvero bene i capelli raccolti così.» 
«Grazie.» Sorrise a sua madre, portando una mano a toccare la treccia. Era stata lei a insegnarle alcune acconciature fai da te. 
Di mestiere Carla faceva la parrucchiera e Mikasa da piccola, insieme a Eren, passava molto tempo al suo negozio. Seguendo così da vicino il suo lavoro avrebbe voluto fare anche lei quel tipo di carriera. Non era male, sua madre avrebbe potuto aiutarla e magari, dopo aver seguito dei corsi specifici, avrebbero lavorato insieme. 
Ma questo era un sogno che aveva da bambina. Adesso per lei era impensabile seguire le orme di Carla, non tanto perché non le piaceva, ma perché crescendo aveva iniziato a sviluppare interessi molto differenti da quelli che aveva all'età di dieci anni. Era giusto così. 
«Come ti senti oggi?» chiese Carla, immergendosi fino alle spalle. 
Mikasa rispose con un cenno del capo. «Bene, vedere Eren buttato giù dal letto da papà è stato uno spasso.» 
Carla levò gli occhi al cielo. «Quel ragazzo mi farà impazzire» ridacchiò e sul viso di lei si formarono delle piccole rughe dettate dall'età. Carla aveva quarantaquattro anni, eppure aveva un aspetto giovane e molto bello. Aveva un fascino invidiabile, anche se lo nascondeva sempre. Non per sua volontà, ma prima di se stessa metteva davanti a sé la vita dei suoi figli. 
Secondo Mikasa doveva concedersi uno stacco da quella quotidianità per fare qualcosainsieme a Grisha. Loro due si meritavano di passare qualche momento da soli, ma erano sempre preoccupati per Eren e Mikasa. Credevano che se la potessero prendere se li avrebbero lasciati soli. Ovviamente i due fratelli si mettevano sempre a ridere su questa questione, perché ormai erano grandi e non avevano più bisogno, in parte, dell'apprensione dei genitori addosso. 
«Ma come ti senti, tesoro? Sembri molto triste.» Ed ecco che sua madre aveva iniziato a preoccuparsi per lei. 
«Sto bene» rispose, abbassando lo sguardo sull'acqua per nulla cristallina. La sabbia sollevata rese difficile scorgere il fondale, non le si vedevano neppure i piedi. 
Carla sospirò osservando sua figlia. Amava lei come amava Eren, ma alcune volte le riusciva difficile capirla fino in fondo. Non perché fosse la sua figliastra, ma perché, a differenza di Eren, lei aveva molto più autocontrollo e riusciva sempre a nascondere le sue vere emozioni. In quel momento appariva tranquilla, si era appena immersa e nuotava con tutta calma, godendosi l'acqua. Ma il sesto senso di Carla le diceva che le stava nascondendo qualcosa, e lei voleva almeno capire cosa. 
«Ieri sera c'erano dei vestiti piegati sul sedile di fronte il vostro letto.» 
Mikasa ebbe una piccola reazione e si voltò verso Carla, che sorrideva genuinamente. «Non mi hai raccontato che cosa hai fatto ieri sera da sola.» 
«Ho letto.» Fu la risposta più veloce che avesse mai dato. Come se ce l'avesse lì da chissà quanto tempo. 
«Leggi tanto, non hai trovato qualche amica dell'anno scorso?» 
«Certo che no... non ci siamo mica scambiate i numeri di telefono.» Fremette dal timbro di voce che aveva usato, scaricando una rabbia repressa solo con quella frase. Osservò l'espressione adombrata di sua madre e si sentì in colpa per averle risposto così malamente, ma non ebbe la forza di chiederle scusa. Dopotutto non era forse stata costretta ad andare con loro in vacanza? 
«Ieri sera sono andata al bar da sola» sospirò, guardando verso la spiaggia. «E ho conosciuto delle persone, ma non le ho viste oggi.» 
«Capisco.» Carla fece un mezzo sorriso. «Speriamo che rincontrerai questi ragazzi, come sono?» 
«Be', sembrano simpatici.» Si strinse nelle spalle, e ripensando a Jean iniziò a credere che con lui avrebbe avuto qualche chance per saldare una pseudo amicizia. Almeno non avrebbe passato tutto il tempo a disprezzare quella vacanza.

***

Le ore in spiaggia passarono molto veloci e arrivata l'ora di pranzo, Mikasa smise di illudersi del fatto che avrebbe rivisto Jean. Ancora non si era fatto vivo e per di più tra poco avrebbe sloggiato insieme alla sua famiglia per andare a mangiare un boccone da qualche parte. 
Si era già portata avanti indossando la maglia, ma doveva ancora aspettare suo padre e suo fratello che stavano finendo di giocare a una partita a carte. 
Era tedioso guardarli mentre imprecavano l'uno contro l'altro, per questo motivo si allontanò da loro per immergere i piedi nell'acqua un'ultima volta quella mattina. E fu un bene prendere quella decisione. 
Con le braccia conserte e lo sguardo puntato da qualche parte fisso sui bagnanti, Mikasa potè scorgere il chiodo fisso dei suoi pensieri. 
Era come se entrambi avessero una calamita nei loro occhi, perché appena si rese conto della sua presenza, Jean alzò lo sguardo posandolo su di lei. 
La riconobbe, le sorrise e la raggiunse. 
Mikasa ricambiò quel sorriso. 
«Buongiorno! Da quanto sei qui?» 
«Da questa mattina, i miei genitori sono voluti venire presto.» 
«Ah, cavoli, noi siamo arrivati giusto giusto dieci minuti fa. Mi dispiace, forse ci stavi aspettando?» 
Mikasa a quel punto si vergognò a dare una risposta. Poteva dire sì o no, l'effetto sarebbe stato diverso ma comunque devastante da entrambe le parti. 
Ma Jean fu lesto a cambiare argomento. «Ti va di mangiare con noi? Che devi fare?» 
Si sentì colta alla sprovvista. «Ecco, non lo so...» 
«Abbiamo panini a sufficienza per tutti, e poi volevamo passare al bar a prenderci un gelato.» 
L'idea la allettava parecchio. Avrebbe potuto passare un pomeriggio diverso. 
«Kirschtein?! Non ci posso credere!» 
I due ragazzi sussultarono sentendo quella voce tremendamente familiare. Si girarono di colpo e Mikasa sgranò gli occhi vedendo Eren avvicinarsi precipitosamente a loro. 
«Chi non muore si rivede, Yeager.» 
La ragazza posò lo sguardo su Jean, più che esterrefatta. Si conoscevano? Come era possibile? 
«Che diavolo ci fai qui e con mia sorella per giunta?» 
«È lui tuo fratello?» 
Tutto in quel momento era caduto in uno stato confusionale. Per prima Mikasa, che non si capacitava del fatto che aveva parlato con una persona che suo fratello già conosceva. 
Eren la superò, mettendosi testa a testa contro Jean, che era decisamente più alto di lui di quasi dieci centimetri. «Senti un po' faccia da cavallo, non è che hai cattive intenzioni?» 
«Eren!» Mikasa provò a mettersi in mezzo a loro, ma senza successo. 
«Ma che stai farneticando, dannato? Sono un gentiluomo con le ragazze!» 
«Ah, adesso non ti interessa più il cazzo? Frocetto dei miei stivali?» 
«Ma frocio lo sarai tu! Deficiente!» 
Un gay e un bisessuale che si insultavano dandosi del frocio; Mikasa era scombussolata. E poi come si permetteva a gettare insulti gratis? 
«Ma vi sentite quando parlate?!» s'intromise in quella folle discussione, portando su di lei la loro attenzione. «Eren, rovini sempre tutto!» 
«No, Mikasa!» 
Ma lei non lo stava più ascoltando. Si allontanò dai due ragazzi il più in fretta possibile. Era tentata di urlare loro degli improperi, ma non era il caso visto che c'era un sacco di gente che avrebbe potuto sentirla. Sapeva che il tedesco di per sé per gli italiani pareva una lingua cattiva, e se la sentivano urlare, li avrebbe definitivamente traumatizzati. 
Jean era scioccato e avrebbe voluto raggiungere Mikasa per spiegarle tutto con calma. Eren però aveva altri piani. 
«Vado io, non ti avvicinare a lei!» 
Jean non rispose a quel torto ingiustificato. Non aveva diritto di controllare sua sorella in quel modo. Forse lo faceva perché ai tempi delle medie non erano mai andati d'accordo e quella consapevolezza fece sorridere mentalmente Jean. Considerava Eren troppo immaturo per la sua età, o forse era solo una facciata del suo carattere esuberante. In fin dei conti erano sempre stati simili sotto quel punto di vista, ma questo non doveva giustificare il comportamento che aveva mostrato di fronte a Mikasa. Ci era rimasta male, glielo aveva letto in faccia, e come poteva stare lontano da quella ragazza che lo aveva colpito fin dal primo sguardo? 
Non poteva, semplicemente non poteva.

***

«Eren, giuro che se parli ancora ti spacco la faccia.» 
Lo sguardo raggelante di Mikasa fece zittire il ragazzo, che preso dallo sconforto abbassò il viso sul suo piatto di insalata. 
Carla e Grisha si scambiarono un'occhiata e quest'ultimo prese parola. «Non è il caso di agitarsi. Mi potete spiegare brevemente che diavolo è successo?» 
Eren diede una veloce occhiata a Mikasa, che rifiutò di spiccicare parola. «Abbiamo incontrato Kirschtein, vi ricordate il mio compagno di classe delle medie?» 
«Il ragazzo con il quale finivi ogni due per tre in punizione?» chiese Carla alzando una sopracciglia. 
«Uhm, sì» confermò il ragazzo un po' in imbarazzo. Quegli anni erano stati l'inferno per i loro genitori. Eren era propenso a cacciarsi sempre nei guai, ma passati quegli anni travagliati si era calmato. Le medie erano state pessime e frenetiche, non vedevano l'ora che se ne andasse al liceo. 
«E quindi? Qual è il tuo problema?» 
«Il mio problema, papà?» sbottò Eren. «Non mi va che un tipo come lui vada in giro con Mikasa, chissà com'è diventato negli anni!» 
«Ma hai il cervello fuso!» Mikasa era furibonda. Era impensabile per lei che suo fratello potesse reagire in maniera tanto infantile. Nemmeno a dieci anni era così esageratamente arrogante. «Come puoi dire certe cose? Sono capace di capire se una persona è, o non è, con la testa sulle spalle. E poi si tratta di una conoscenza estiva, poi chissà se lo rivedrò più!» 
«Ovvio che vi rivedrete! Abita a Monaco pure lui!» 
«Ora finiscila! Mi sono veramente stancata di sentirti parlare!» 
«Basta, tutti e due» tuonò Carla, posando il bicchiere sul tavolino da campeggio. Si erano sistemati nella piazzola vicino al camper a mangiare, l'ombra della tendina li proteggeva dal sole cocente. «Eren, devi finirla di comportarti come un bambino. Mikasa ha ragione, non ha tre anni che non sa di chi fidarsi o meno.» 
Il cuore di Mikasa si fece più leggero sentendo quelle parole. Non solo Carla mettendosi in una giusta posizione riusciva a capire entrambi i suoi figli, ma riusciva la maggior parte delle volte a placare quei riverberi incontrollati. 
«Se tua sorella vorrà uscire con questo ragazzo meglio per lei, almeno così sarà un po' più contenta di questa vacanza.» 
«Vorremmo conoscerlo, è possibile?» disse Grisha guardando sua figlia, che annuì impercettibilmente. 
Eren restò in silenzio e con lo sguardo abbassato, offeso dalla ramanzina di sua madre. 
Il pasto continuò senza che Eren pronunciasse parola e Mikasa non era intenzionata a rivolgersi a lui, perché era ancora troppo arrabbiata per la scenata di pochi minuti prima. 
Eren non la salutò nemmeno quando ebbe finito di mangiare. Entrò in camper dicendo loro che si sarebbe messo a letto per riposare un po'.
«Io ora vado al mare, raggiungo Jean.» 
I suoi genitori le diedero il permesso, così prese solo il borsone e si avviò da sola verso la spiaggia. 
Jean non sapeva del suo arrivo e questo rendeva ansiosa la ragazza che si era ripromessa di andare da lui a chiedere scusa, nonostante il nervoso provato a causa di Eren. Una scenata del genere suo fratello avrebbe potuto risparmiarsela. Sapeva che lo faceva perché teneva tanto a lei, che voleva proteggerla anche a costo di farsi odiare. Ma ormai erano grandi, non aveva bisogno delle attenzioni che riceveva da quando erano diventati ufficialmente fratelli. Ciononostante, si era ripromessa che ne avrebbe parlato con lui quando si sarebbero calmate le acque. 
Arrivò in spiaggia e si stupì di vedere così poche persone. Probabilmente erano andate tutte a mangiare nei loro camper. 
Vide immediatamente l'ombrellone di Jean e il suo amico Marco, e si avvicinò prendendo prima un bel respiro, armandosi di coraggio e buona volontà. Si tolse le infradito per poter camminare sulla sabbia: mossa stupida, perché scottava come lava. 
«Ehi!» 
«Mikasa!» Marco l'aveva vista per prima, e appena pronunciò il suo nome, Jean aveva levato lo sguardo stupito su di lei. Il ragazzo si alzò portando le mani sui fianchi. 
«Mi volevo scusare per il comportamento di mio fratello. È uno zuccone, ma non lo fa per male, è solo troppo apprensivo.» 
«Già, lo avevo immaginato.» Jean ridacchiò e la invitò a sedersi sui loro teli, ma Mikasa rifiutò di buon grado e tirò fuori dalla sua borsa il telo e lo posò a terra accanto a quelli di Marco e Jean. I due ragazzi si scambiarono un'occhiata d'intesa mentre Mikasa sfilava la maglia che la copriva fino a metà coscia, mostrando loro le sue belle forme. Il costume se l'era cambiato, mettendo quello amaranto, il suo preferito. 
«Se ripenso alla scenata di stamattina mi sale l'imbarazzo.» 
«Mi spiace davvero Jean, era impensabile per me che voi due foste conoscenti.» 
«Di cosa ti preoccupi Mikasa? Loro due sono sempre stati cane e gatto. Se sono sopravvissuti alle medie, figurati adesso.» Marco ridacchiò, dicendo a Mikasa che anche lui era stato un loro compagno delle medie. 
«E di certo non dobbiamo ascoltare le sue lamentele. Se vuoi stare insieme a noi ben venga!» 
Tutto sommato Mikasa stava bene con loro. La facevano ridere e avevano passato delle ore molto divertenti giocando a palla oppure a carte. Avevano anche fatto il bagno per ben due volte e Mikasa aveva perso la cognizione del tempo. Dapprincipio era questo ciò che si aspettava dalla vacanza: trovare qualcuno con cui stare per ore e ore, andando di comune accordo fin da subito, scoprendo passioni e interessi comuni.

***

Jean era riuscito a fare buona impressione a Grisha. Per Carla non aveva avuto il minimo problema, ma del giudizio del padre era titubante. 
Mikasa aveva cercato di non illudersi, ma suo papà l'aveva stupita quando strinse la mano di Jean con voga. Era felice di aver passato quel piccolo test, persino Jean sembrava più tranquillo ora che aveva conosciuto i suoi genitori. Mancava solamente Eren all'appello, ma il ragazzo era sparito insieme ai suoi amici, quindi Mikasa aveva deciso che gli avrebbe parlato quella sera dopo cena. 
Dovevano risolvere la questione e lei era testarda quanto Eren, non avrebbe ceduto tanto facilmente. Avrebbe parlato con lui anche sotto costrizione, non le interessava se avesse cercato di ignorarla. 
«Quindi adesso che abbiamo l'approvazione dei tuoi, possiamo uscire insieme?» ridacchiò Jean. 
Mikasa ci mise un po' a rispondergli. «Così suona male.» 
«E dai, scherzavo!» 
Si sentiva grata del fatto che Jean non la vedesse come una spasimante. Era un bel ragazzo, su quello non c'era ombra di dubbio. Avrebbe fatto faville se ci avesse provato con qualche altra ragazza o ragazzo del campeggio, ma lui non si era mai pavoneggiato, non aveva mai tentato di rimorchiare nessuno. Si godeva la vacanza con i suoi amici divertendosi insieme a loro, e questo gli bastava. E così andava bene pure a Mikasa. 
La sera fu decisiva per Eren. Sebbene detestasse faccia da cavallo non poteva fare la figura dell'idiota di fronte a sua sorella. 
I suoi genitori erano d'accordo sulla loro frequentazione, perché lui doveva andare controcorrente? Erano stati anni preadolescenziali, era normale per dei ragazzini delle medie azzuffarsi per un nonnulla. Soprattutto se si trattava di Eren e Jean, due teste calde irrazionali. 
Con un'espressione a dir poco seccata, fece pace con Mikasa e Jean, il quale era venuto a prendere la ragazza. 
«Se ti va di unirti a noi, sei il benvenuto.» 
Ma no, che noia, avrebbe voluto dire Eren. Era sicuro che gli amici di Jean erano noiosi e non voleva trascurare di certo i suoi. Ognuno sarebbe rimasto al sicuro nel proprio territorio onde evitare stragi e battibecchi inopportuni. 
«No, grazie. Mi vedo con...» 
«Bene, non fare cazzate e vedi di non tornare troppo tardi. O ti vengo a cercare. Tanto saprò come trovarti visto che pubblicate tutto nelle stories.» 
Eren grugnì indispettito, ma non ribatté, perché sua sorella aveva perfettamente ragione. «Be', non fare tardi pure tu.» 
Lanciò un'occhiata torva a Jean, che ricambiò con un sorriso salace che gli diede sui nervi. 
«Tranquillo» rispose Mikasa, facendo finta di non notare la tensione palpabile tra i due ragazzi. 
Lo salutarono e andarono via, raggiungendo gli altri tre del gruppo. 
I due fidanzati erano sempre l'uno appiccicato all'altra, mentre Marco e Jean parlavano con Mikasa in mezzo, suggellando interessi simili. 
Marlo aveva proposto di andare verso il centro, in un locale che lui conosceva bene. Non era situato proprio al centro cittadino, ma era comunque una via pedonale molto comoda da raggiungere dove si agglomeravano i giovani. 
Mikasa non era molto propensa ad andarci, ma non voleva lamentarsi del fatto che non gradiva i locali affollati e rumorosi. 
Appena arrivarono al pub, c'era un trambusto da far venire il mal di testa, ma tutto sommato non c'erano molte persone. Ordinati i loro drink avevano occupato la misera pista da ballo, muovendosi a ritmo di musica. 
Hitch si trovava a suo agio e si divertiva come una scatenata, bevendo e strusciandosi sul suo ragazzo senza il minimo pudore. 
A un certo punto Mikasa venne tirata fuori dalla calca, incontrando gli occhi di Jean. «Mi accompagni fuori per una sigaretta?» 
Rispose con un cenno del capo e lo seguì con il polso intrappolato nella presa ferrea di Jean, in modo tale da non perdersi in mezzo a quella marmaglia di giovani. 
Giunti fuori presero una bella boccata d'aria fresca. Si allontanarono da lì, percorrendo la strada accanto alle vetrine dei negozi chiusi. 
Jean tirò fuori la sigaretta e se l'accese. 
«Devi per forza farlo?» 
«Che cosa?» 
«Fumare.» 
«Pensavo non ti desse fastidio.»
«No, infatti.» 
Mikasa si chiedeva perché e come si arrivasse a fumare. Lei aveva provato tante volte, perché Floch l'aveva indotta a farlo, e sempre si era rifiutata di continuare dopo una singola boccata. 
Le faceva schifo. Neppure nei suoi periodi più stressanti le era mai balzata l'idea di fumare con il solo scopo di rilassarsi. 
«Ho un po' il vizio, lo ammetto» disse Jean guardando la stecca che bruciava lentamente. 
«Forse è un po' colpa di mio padre. Lui è medico chirurgo e non sopporta le persone che fumano. Ha avuto a che fare con molti pazienti fumatori.» 
«Meno male che non ho fumato davanti a lui!» 
Scoppiarono a ridere e poi calò di nuovo il silenzio tra loro. 
«Volevo chiederti una cosa» proruppe Mikasa, tenendo però lo sguardo su una vetrina di un negozio d'abbigliamento. «Come fai a sapere che mio fratello è omosessuale? Quando vi siete visti vi siete insultati entrambi.» 
«Strano ma vero, io lo seguo su instagram, anche se non lo uso quasi mai. Tuo fratello l'ha sbandierato di qua e là, per questo lo so.» 
Mikasa sorrise. «E' stato quando ha fatto coming out con i nostri genitori. Era al settimo cielo.»
Jean annuì. «E poi ci siamo incrociati qualche anno fa a un Pride. È stato scioccante per entrambi, ma non ci siamo rivolti la parola.» 
«Capisco.» 
«Ha mai trovato qualcuno?» 
«Niente di serio.» 
«Allora forse è per questo che è frustrato», ridacchiò, facendo un ultimo tiro di sigaretta. 
Mikasa lo guardò aggrottando la fronte. «Frustrato? Ma ti pare? Sicuramente ha delle storie spassionate con migliaia di ragazzi. Hai visto quanto è seguito sui social?» Si fermò appena si rese conto di una cosa. 
Jean la guardò alzando una sopracciglia e lei scosse la testa. «Niente, forse hai ragione.» 
Poteva dire che sapeva qualcosa sulla vita sentimentale di Eren, ma era da un po' che non ne parlavano. Dopo quello che era successo, Mikasa non voleva più saperne e non chiedeva nemmeno ai suoi amici se avessero interessi per qualcuno. Era un rifiuto un po' autoimposto, che non c'entrava nulla con la sua volontà. 
L'ultima volta che aveva sentito parlare Eren di una cotta, era stato un anno e mezzo prima, quando ci aveva provato con un ragazzo più grande di lui ma che lo aveva rifiutato alla bell'e meglio. Il tipo si chiamava Levi, e frequentava un circolo equestre a trenta minuti da Monaco. Lo aveva conosciuto grazie al suo amico Armin, che aveva invitato Eren a vederlo in una gara di salto ostacoli. Fu da quel giorno che Eren si faceva "le trippe mentali". 
Raccontò a Jean questa storia e non ci furono battutine o cose simili. Ascoltò in meticoloso silenzio, come se quell'argomento lo rispettasse a prescindere da Eren.
«E di te? Mi dici niente della tua relazione passata?» 
Certo, doveva aspettarselo. In fin dei conti suo fratello non poteva permettersi di essere al centro dei suoi dialoghi. 
«Non c'è niente da dire, in realtà» mentì. Si morse il labbro e fissò i suoi piedi. 
«L'altra volta mi avevi detto che era sempre geloso. Non è che era uno possessivo?» 
Aveva centrato il bersaglio. 
«Oh, gesù» imprecò, notando che Mikasa non aveva negato. «Era un pazzo?» 
«Era megalomane, ma non in modo eccessivo. Alla fine avevamo quasi quindici anni quando ci siamo messi insieme. Mi ha allontanato dalle mie amicizie e mi ha indotto a stare con lui e i suoi amici. Ma a me stava bene. Anche quando mi diceva di vestirmi in un modo piuttosto che in un altro, non lo faceva sembrare una cosa anomala. Ecco.» 
«Be', se lo amavi... e poi?» 
«E poi nulla, i miei genitori mi hanno sempre detto che lui era un ragazzo poco di buono, che dovevo stare attenta perché il suo gruppo di amici segue un po' la strada della delinquenza. Ho aperto gli occhi solo quando mi ha detto chiaro e tondo che Eren non gli piaceva, che gli stavo troppo attaccata e che non era normale avere un rapporto così intimo con un fratello. Abbiamo litigato, in modo molto acceso a casa sua. Io me ne sono andata piangendo ed è lì che si è formata una crepa indelebile nel nostro rapporto. Più i giorni passavano e più mi saliva l'ansia quando stavo con lui. Quando poi ho riallacciato i rapporti con una mia vecchia amica, Sasha, abbiamo di nuovo litigato.» 
Fece una breve pausa. «Alla fine me ne sono fatta una ragione e l'ho lasciato. Anche se non è stato facile. Avevo paura di incrociarlo per strada, magari mentre andavo a scuola, quindi per un bel po' mi sono fatta accompagnare dai miei o da Sasha. Eren mi ha aiutato a bloccarlo ovunque, ma c'erano sempre numeri strani che mi mandavano messaggi orribili.» 
«Tipo?» Jean però poteva immaginarli. 
Mikasa si strinse nelle spalle. «Stronza, puttana... cose così. Ho sofferto.» 
«Mi spiace, hai avuto un grande coraggio a uscirne da sola, sai?» 
«Me l'ha detto anche la mia terapeuta» affermò con un leggero tremolio nella voce. «Ma alla fine non ero da sola, c'era la mia famiglia a supportarmi, e anche Sasha.»
«Lui è stato il bastardo che cercava di negarti tante cose belle. Queste persone è meglio lasciarsele alle spalle come ricordi. Sono esperienze, possono capitare, purtroppo.» 
Mikasa annuì solamente, provando uno strano senso di angoscia. Era da molto che non ne parlava con qualcuno della sua relazione passata e tante volte era riuscita a non pensarci più. Ma faceva ancora male, forse un dolore indelebile costretto ad affievolirsi ma mai a scomparire. 
Jean era stato carino a dire quelle parole perché si sentiva che era dispiaciuto, o che comunque comprendeva un po' quel tipo di dolore. E non l'aveva nemmeno giudicata. 
Sospirò. «È passato ormai.» 
«Sei stata tanto male? Penso che tu lo amassi.» 
«Mi sembra ovvio» sbottò e si morse il labbro inferiore. «Sì, insomma. È stato il mio primo ragazzo serio, capisci?» 
«Certo, certo. Dai, sei una bellissima ragazza. Vedrai che troverai qualcuno che ti amerà tantissimo e ti tratterà con rispetto.» 
Mikasa arrossì a quel complimento, non se l'aspettava così su due piedi. Non sapeva come replicare. «Floch mi amava per com'ero...» 
Jean strabuzzò gli occhi, le mani tenute nelle tasche dei pantaloncini. «Se ti amava perché non ti lasciava libera di vestirti come volevi?» 
«Ma questo è un altro discorso!» 
«No, è lo stesso. Se per caso tu fossi la mia ragazza - e in quel momento il cuore di Mikasa partì in quarta, battendo contro la cassa toracica come un mantra, - io non ti farei allontanare dai tuoi amici, e non sarei nemmeno geloso di Eren! Non deciderei nulla per te, sei tu a fare le tue scelte, no?» 
«Ho già sentito una frase simile» replicò imbarazzata. 
«Ah, lo so, anche io.» Jean rise e portò una mano tra i suoi capelli, tirandoli indietro, e Mikasa pensò che fosse il gesto più sensuale che gli abbia mai visto fare. 
«Fai l'università?» Cambiò di colpo il discorso, non ne poteva più di fidanzati. 
«Sì, facoltà di psicologia.» 
«Ma dai...» 
«Già, vorrei specializzarmi in psicologia criminale. O una cosa simile.» 
«Fico, è una strada interessante quella che hai scelto, anche se un po' lunga.» 
«Me ne sono fatto una ragione. E tu?» 
«Io sono ancora al liceo» rispose Mikasa prendendo il cellulare in mano per vedere l'ora. 
«Sì, ma che vorresti fare?» 
«Penso scienze dell'educazione. Vorrei diventare educatrice di bambini.» 
«Bellissimo!» esclamò forse con troppa enfasi. «E come mai?» 
«Forse perché sono rimasta colpita dal centro infantile dove mia mamma mi ha lasciata. Diciamo che mi sono trovata bene.» 
«Ti ha lasciata?» 
«Non per suo volere, adesso è in Giappone, ma all'epoca era sola e senza lavoro e non poteva tornarci insieme a me.» 
«Ho capito, e la senti ancora?» 
«Sì, ogni tanto. Siamo andati a trovarla una volta. È stato un bel viaggio. Ti stai chiedendo se vorrei stare con lei? Direi di no. Dovrei imparare meglio il giapponese, e non mi va troppo.» 
Jean sbuffò divertito, perché aveva senz'altro colto il senso d'ironia nella sua voce, e aveva anche compreso che non si sarebbe separata così facilmente dalla sua famiglia. Era cresciuta insieme a loro ed erano passati undici anni, sicuramente non avrebbe lasciato la sua casa e le persone che amava. 
Fu uno squillo a interrompere la loro lunga chiacchierata e Jean rispose a Marco. Parlò velocemente dicendo che era con Mikasa fuori dal locale e che sarebbe tornato indietro insieme a lei. Appese la telefonata e fece cenno alla ragazza di andare. 
«Comunque io vorrei fare psicologia perché... mia mamma ha sofferto molto quando mio padre è venuto a mancare.» 
Mikasa schiuse le labbra. «Mi dispiace, è successo da poco?» 
Scosse il capo in segno di diniego. «Quando avevo sei anni. È stata dura, ma per mia madre molto di più. Andava da uno specialista e ogni tanto portava anche me. Credo che sia il percorso giusto da fare.» 
«Sono sicura che lo sarà.» 
Jean le sorrise genuino. Insieme, con le braccia che si sfioravano, tornarono dal loro gruppo di amici.

   
 
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